ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 6 agosto 2015

Scippo in fuorigioco: cartellino rosso!!

Così Francesco il contropiedista dribbla chi vorrebbe fare di San Pio un’immaginetta poco misericordiosa

Padre Pio da Pietrelcina è stato anche una (involontaria) icona della lotta fra tradizione e modernismo nella chiesa. Ancora oggi, c’è chi lo contrappone a Bergoglio
Papa Francesco (foto LaPresse)
Buon contropiedista, pur con le scarpe ortopediche, efficace nelle verticalizzazioni improvvise che puntano dritte all’obiettivo, al bersaglio grosso, Papa Francesco ha messo a segno un altro di quei suoi ribaltamenti di fronte, quei suoi cambi di segno intelleggibili anche ai semplici, per cui va celebre e che sconcertano, a turno, i suoi (incauti) laudatori e i suoi (prevenuti) detrattori.
Il corpo di San Pio da Pietrelcina (il frate cappuccino fu canonizzato nel 2002 da Giovanni Paolo II, il Papa di cui aveva predetto l’elezione) sarà esposto in San Pietro all’8 al 14 febbraio 2016, Mercoledì delle Ceneri, il giorno in cui Bergoglio invierà in tutto il mondo i “missionari della Misericordia”, conferendo loro speciale mandato di predicare, confessare e rimettere i peccati durante il Giubileo della Misericordia. Il contropiede non sta nel fatto di mettere sotto la protezione di un Santo Confessore, il più celebre dei confessori novecenteschi, i suoi “missionari” addetti al perdono. Sta piuttosto nel fatto che il santo frate, col suo corpo stigmatizzato, con la sua predicazione popolare e rude capace di evocare l’Inferno e il Paradiso, con i suoi miracoli da mistico premoderno è sempre stato l’icona (l’immaginetta, a volte) della restistenza umana, o sovrumana, della chiesa tradizionale contro le due minacciose modernità del Novecento: la modernità del mondo, e soprattutto quella della chiesa. Del forte impatto mistico, allegorico di Padre Pio fanno parte anche alcune coincidenze simboliche che provocano allo stupore i semplici devoti, e fanno invece saltare la mosca al naso agli chierici intelletuali. Nato il giorno in cui Francesco Crispi tolse i crocefissi dalle scuole, fu sulla terra per cinquant’anni un “Crocefisso vivente” e un “uomo dei dolori”, con quelle stimmate ricevute nell’anno simbolo del dolore del mondo, il 1918. Morì infine nel 1968, l’anno della “Humanae Vitae” e della Grande Tempesta nella chiesa. Ce n’è abbastanza per farne un difensore della fede e della tradizione. Tantopiù che in vita fu tormentato da “modernisti” di ogni tipo, dallo scientista Padre Agostino Gemelli, che non credeva al suo corpo miracoloso, a Giovanni XXIII, che a lungo sospettò del frate, iil quale del resto non ebbe mai parole entusisate per il Concilio Vaticano II e le sue innovazioni, a partire dalla riforma liturgica. Non a caso la sua immagine non ha mai entusiasmato i cattolici progressisti, mentre è invece ammirata dai tradizionalisti. “Padre Pio subì nel corso della sua vita numerose incomprensioni e calunnie, per le quali dovette subire umilianti ispezioni canoniche… Quel periodo sarà ricordato come quello di più dura persecuzione nei confronti del santo di Pietrelcina. Giovanni XXIII non comprese mai la santità di padre Pio”, per dirla con le parole dello storico Roberto De Mattei, sul Foglio di qualche anno fa. Ma anche per don Gianni Baget Bozzo, il fatto che Giovanni XXIII “non amasse il futuro santo fa comprendere meglio lo spirito con cui Roncalli convocò il Vaticano II”. O per dirla, a mo’ di controprova, con un laico come Michele Serra, ai tempi della canonizzazione: “Tra il culto del dolore di Padre Pio e il cattolicesimo sorridente e quasi allegro di Giovanni c’è un baratro, sangue e penitenza da una parte, la famosa carezza ai bambini dall’altra. Entrambi al centro di un culto popolare esteso… il loro differente destino ci aiuta a inquadrare i nostri tempi. Evidentemente questi sono tempi di stimmate e di fanatismo, non di sorriso, non di luna piena sopra gli uomini di buona volontà”.

ARTICOLI CORRELATI Aggrappati al corpo del santoLo storico Sergio Luzzatto, ha dedicato qualche anno fa un bel libro alla complessa figura di Francesco Forgione e alla complessa edificazione del suo culto nell’Italia che usciva dalla civiltà contadina per avviarsi alla modernità: “Padre Pio - Miracoli e politica nell’Italia del Novecento” (Einaudi). Un libro che ricostruire con completezza il contesto storico in cui la vicenda del cappuccino di Pietrelcina è collocata., ma che ha soprattutto il merito cogliere in Padre Pio il focalizzarsi del grande scontro tra una fede tradizionale, il laico Luzzatto la definisce “arcaica”, che si identifica nella figura carismatica e “complessa” del frate-confessore e un cristianesimo che prova a farsi moderno, adatto a vivere nel secolo. Padre Pio dunque come l’icona dello scontro tra modernismo e tradizione, ortodossia e positivismo.

Il tempo, e la canonizzazione, hanno sottratto in parte San Pio da Pietrelcina a queste dispute che non gli appartengono – per qunto, tutt’altro che sprovveduto, avesse le sue opinioni sul “rinnovamento” della chiesa. Eppure anche oggi la massa dei pellegrini che si reca a San Giovanni Rotondo, la fede e la mediaticità (radio, tv, guornali) che vive attorno al culto del santo – e al corpo del santo – esprime un tipo di religiosità lontana dalle movenze interiorizzate, intellettualizzate del cattolicesimo post conciliare. E non è difficile trovare negli scritti e articoli di cattolici tradizionali(sti) la figura poco misericordiosa (più che altro niente affatto lassista) di Padre Pio contrapposta a quella troppo “chi sono io per giudicare” di Papa Bergoglio. C’è poi un aspetto fortemente mistico nell’esperienza di Padre Pio, lo messo in luce qualche anno Antonio Socci nel suo “Il segreto di Padre Pio”, che tanto risulta estraneo al “gusto” contemporaneo del cristianesimo conciliare, tanto affascina i pellegrini, i frequentatori di gruppi di preghiera e i tanti cattolici che vanno riscoprendo una forma religiosità anti-laica.

Le cose poi non stanno rigidamente così, basterebbe pensare che un Papa poco mistico, molto intellettuale e per qualcuno eccessivamente “progressista” come Paolo VI fu invece attento al Padre, e ne facilitò l’apostolato e appena eletto Papa gli garantì la piena libertà nel suo ministero confessionale. Il contropiede di Bergoglio sta in realtà tutto nella semplicità con cui vanifica queste schematizzazioni, che sono sia mediatiche sia ecclesiali (meglio: clericali). Bergoglio è un Papa di religiosità popolare, a suo modoc un mistico. E’ certamente un gesuita che “nec cantat nec rubricat” e che non dice la messa in latino, ma non si può certo dire che  non abbia una devozione per la semplicità sacramentale della liturgia, o non ami le immagini tradizionali della fede popolare, basti pensare che andò a omaggiare la Salus Populi Romani, l’immagine sacra della Madonna di Santa Maria Maggiore il giorno dopo l’elezione. Parla del diavolo (quasi) quanto padre Pio, con gli stessi accenti antichi e antimoderni. Che abbia voluto non solo l’immagine, o l’evocazione spirituale, ma il corpo, il corpo del santo con le stimmate per mostrare fisicamente la sua idea di misericordia non è così strano.
di Maurizio Crippa | 05 Agosto 2015 

Aggrappati al corpo del santo

Padre Pio arriva a Roma per il Giubileo. Scotimento dell’anima, devozione popolare, sorpresa
di Eduardo Savarese | 05 Agosto 2015 
Il corpo di San Pio da Pietrelcina, canonizzato nel 2002, sarà esposto in San Pietro dall’8 al 14 febbraio 2016
Papa Francesco ha ottenuto che la sua richiesta fosse esaudita e così il corpo di San Pio da Pietrelcina sarà esposto in Vaticano per il Mercoledì delle Ceneri, il prossimo febbraio, dall’8 al 14, per il Giubileo della Misericordia, Anno Santo straordinario, nel giorno in cui il Papa invierà in tutto il mondo i Missionari della Misericordia, conferendo loro speciale mandato di predicare e confessare perché “siano segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in cerca del suo perdono”. E questa è la notizia.

Ha senso interrogarsi sui possibili significati dell’ostensione del corpo del santo? Sì, perché le due possibili risposte immediate, e diametralmente opposte, ci lasciano insoddisfatti. La risposta del mondo laico svilisce la pratica devozionale, arcaica, ciecamente distante dai mezzi della ragione e intrisa di una spiritualità immatura, degna di masse di capre ignoranti bisognevoli di deteriori forme di consolazione. La risposta del mondo religioso, invece, esalta la statura e la forza dell’esperienza di vita del Santo di Pietrelcina, e assume come un dato di fatto la sequela di milioni di fedeli e pellegrini, con un atteggiamento di autocompiacimento esclusivo che riduce il legame viscerale con Padre Pio all’ennesimo dogma.

ARTICOLI CORRELATI Così Francesco il contropiedista dribbla chi vorrebbe fare di San Pio un’immaginetta poco misericordiosa Da ragazzi andavamo a Venegono La verità della storia Opzione Benedetto? Battaglia e testimonianza non sono in contraddizioneQuando mi sono riavvicinato alla chiesa cattolica, dopo la lettura de “I fratelli Karamazov”, la figura di Padre Pio non mi piaceva per niente. L’immagine stessa del santo, e gli spezzoni dei filmati dei suoi ultimi anni di vita, mi restituivano un corpo stanco ed un viso arcigno, quasi cattivo, segnato da un aggrumarsi dell’espressione (labbra, guance, naso, fronte, occhi) in una smorfia disgustata di fronte al mondo. Quello che interpretavo come disgusto, mi allontanava, mi creava disagio e timore. D’altra parte, la mia scarsa conoscenza del fenomeno delle stimmate e la convinzione arrogante che la vera religione consistesse in un approfondimento interiore incessante, che poco o nulla aveva a che fare con segni esteriori, mi rendevano insofferente verso il frate cappuccino, in misura tanto più acuta quanto maggiori erano le folle, soprattutto popolari, che si riempivano le auto e i portafogli del suo ritratto.

Un profondo cambiamento della mia percezione di Padre Pio è derivato dalla visione del bel film interpretato da Sergio Castellitto. Provai un’emozione profondissima davanti alla scena delle stimmate, oltre che una inquietudine dolorosa, anzi, una vera e propria paura, per gli incontri con Satana nelle lunghe ore passate al confessionale. Negli ultimi anni, ho riconsiderato a fondo la bellezza, la forza e l’importanza della devozione popolare la quale, nelle sue espressioni più sane e vere, lontana da fenomeni di esaltazione di gruppo, affonda le sue radici nella comunicazione quotidiana con Dio e i suoi santi, comunicazione non mentale, non pensata, non mediata dal diaframma dei simboli, ma diretta perché, semplicemente, vissuta e praticata come un’esperienza di dialogo viva e tra vivi. Mi capita quindi di ritrovare una pace sicura e compiuta quando osservo nella mia parrocchia una signora sui sessanta dalla capigliatura biondo platino malamente tinteggiata, che veste panni troppo stretti per la sua età e il suo peso, passare cappella per cappella salutando i santi, fermandosi puntualmente davanti alla piccola icona di San Pio e sostandovi più a lungo che altrove, con parole gettate a mezza voce e fittamente dalle labbra, e l’immancabile saluto finale che consiste in tre carezze per niente delicate sulla barba del frate cappuccino.

Ora, la scelta di Papa Francesco di esporre le spoglie del santo in occasione dell’anno giubilare della Misericordia riveste l’esattezza perfetta dei simboli: la presenza del corpo del santo non solo sancisce la natura corporale della fede cattolica, edificata e continuamente scandita dallo scandalo dell’incarnazione, ma, connessa com’è alla funzione dell’anno giubilare, e cioè la ricerca e l’esercizio della misericordia, diventa segno e direi anche sigillo della vocazione più spiccata di San Pio: l’essere un instancabile confessore. Innumerevoli sono i racconti, gli aneddoti, i ricordi delle confessioni del frate: il suo rigore, gli accessi di ira, i momenti di tenerezza, sembrano prendere forma nel confessionale come se qui l’uomo e il servo di Dio esprimesse compiutamente la sua personalità, e la scelta di seguire il Cristo. Ecco, con questa scelta il Papa mette al centro un sacramento tra i più discussi e meno praticati dalla cristianità occidentale: appunto la confessione. Ogni volta che mi confesso, devo vincere grandi resistenze. Probabilmente perché mi sento oppresso dalla posizione della Chiesa rispetto alla omosessualità. E poi per molti anni la confessione, almeno per me, si è ridotta ad una precisa configurazione degli atti impuri compiuti dal punto di vista della vita sessuale. Tuttavia, superata la sessuofobia (instillata in primo luogo dal catechismo della chiesa cattolica, ahimè…), e le resistenze dovute all’eccessivo controllo della ragione sulle mie scelte, ogni volta che vado a confessarmi ne esco più leggero e rafforzato da una presenza che non viene da me, ma dalla gratuità di una sorgente che mi scorre accanto e dentro perennemente, pur tacitata dal frastuono delle cose inutili (così è accaduto nell’ultima confessione con un acuto, vitale e spontaneo frate francescano al santuario della Verna). Esporre il corpo di Padre Pio oggi è uno scotimento della coscienza, per tutti: è il simbolo di tutto quanto sbagliamo, come sacerdoti e come popolo di Dio, e di tutte le possibilità di grazia che avremmo invece la possibilità di godere nell’accedere al sacramento della confessione. Meditare l’avvio del tempo di Pasqua del 2016 davanti alle sue spoglie richiama ciascuno, credente e non credente, alla domanda fondamentale: abbiamo bisogno di misericordia, di perdono, di riconciliazione oppure no? E da dove deriva questo bisogno? E chi può soddisfarlo per sempre? Per il Santo di Pietrelcina la vita stessa, l’intera sua esistenza, è stato rispondere a tutte queste domande, facendo del suo corpo la assoluta risposta: le stimmate sono il segno della morte di Cristo, di una morte sofferta per amore non commensurabile; le stimmate sul corpo del frate cappuccino, allo stesso tempo, sono le feritoie aperte sulla luce della grazia. Feritoie aperte a beneficio delle moltitudini che sanno di avere bisogno di misericordia. Ed oggi so che il volto del santo era respingente per me perché affetto da una sorta di deformità (la fatica piena di speranza di Cristo appeso alla Croce) che mi spaventava quando coglievo solo il dolore e mi sfuggiva l’amore; e che, con le parole di Sant’Agostino (“la sua deformità è la nostra bellezza”), sta prendendo il posto di sirene incantatrici di più evidente, ma insufficiente bellezza, per accreditarsi come unica, fondamentale, vera bellezza.

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