ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 19 settembre 2015

Senza conseguenze ?^

Non doniamo la nostra vita a Dio senza conseguenze

Al di fuori di Dio e della fede, i monaci sono incomprensibili. Non bisogna aver paura di dire che non servono a niente. Eppure, il monaco sa che la sua vocazione è misteriosamente utile, perché misteriosamente efficace per gli uomini; riconosce che la sua povera esistenza è una partecipazione imperfetta alla vita, alla passione e alla morte dolorosa di Gesù Cristo. Ma la sua anima non vuole perdere di vista le ferite di Nostro Signore. [...]
In una lettera a Jacques e Raïssa Maritain, Léon Bloy scriveva: "Quali che siano le circostanze, mettete sempre l'invisibile davanti al visibile, il Soprannaturale avanti al naturale; se applicate questa regola a tutti i vostri atti, siamo certi che sarete rivestiti di forza e immersi in una profonda gioia". Pur senza volerlo, l'autore ha riassunto l'essenza dell'ambizione del monaco.
I monaci sono stelle brillanti che conducono silenziosamente l'umanità verso i cammini della vita interiore. La loro intera vita, fin nei suoi minimi dettagli, è centrata in Dio. Non bisogna meravigliarsi che questo dono assoluto possa produrre effetti che superano la semplice razionalità. Non doniamo la nostra vita a Dio senza conseguenze.
San Benedetto aveva l'assillo di piacere veramente a Dio. Nelle biografie che sono dedicate a lui, sono sempre stato colpito dalla sua gioia di vivere sotto lo sguardo di Dio. Concepiva la solitudine come una prova d'amore. Ci ha donato delle regole che permettono di disporre delle armi adeguate per condurre il difficile combattimento della vita interiore. La sua ambizione era di dare ai monaci i mezzi per abitare sotto lo sguardo di Dio. Con la foga dei timidi, questo grande santo era divorato dal desiderio di essere in Dio. L'ordine che ha fondato ha acquisito un posto fondamentale nella storia della Chiesa e, ancora di recente, non credo di tradire un segreto nell'affermare che l'esempio dei benedettini è stato determinante per Joseph Ratzinger. La sua sete esclusiva di Dio assomiglia in tutto a quella dei monaci. [...]
Ormai, quando ritorno in Guinea, non manco di dedicare almeno due giorni ai benedettini e alle benedettine. Amo i monasteri poiché sono le cittadelle di Dio, le piazzeforti in cui possiamo trovarlo con maggiore facilità, le muraglie dove il cuore di Gesù veglia con dolcezza.

[Robert Sarah, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, trad. it., Cantagalli, Siena 2015, pp. 344-345, pp. 348-349 e p. 350]
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CHIESA SENZA PACE

Vaticano, la lettera di Ratzinger che ha fatto infuriare Papa Francesco

Circola un’indiscrezione su un presunto scontro fra papa Bergoglio e Benedetto XVI, ma io ritengo che non possa esserci stato. Se non altro per il carattere dei due, politico-gesuitico il primo, mite e gentile il secondo. Entrambi molto attenti ad osservare forme rispettose.
Può essersi trattato di una lamentela, con il sapore della velata critica, da parte di Bergoglio, ma lì in Vaticano anche un lieve sussulto è il segnale di un sommovimento profondo. Sembra infatti che Bergoglio non abbia gradito l’elogio pubblico che Benedetto XVI ha fatto del cardinale Robert Sarah, il prelato africano che ha appena pubblicato in varie lingue il libro “Dio o niente”.
Ratzinger ha cortesemente risposto all’invio del volume con questo biglietto: «Ho letto “Dio o niente” con grande profitto spirituale, gioia e gratitudine. La vostra testimonianza della Chiesa in Africa, della vostra sofferenza durante il tempo del marxismo, e di una vita spirituale dinamica, ha una grande importanza per la Chiesa, che è un po’ spiritualmente stanca in Occidente. Tutto ciò che avete scritto per quanto riguarda la centralità di Dio, la celebrazione della liturgia, la vita morale dei cristiani è particolarmente rilevante e profondo. La sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del “genere” mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica».
Non c’è neanche una parola che possa giustificare il disappunto di Bergoglio. Oltretutto è proprio Francesco che, nel 2014, ha chiamato il cardinale Sarah in Vaticano come Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
Ma a papa Bergoglio fanno ombra tutti coloro che spiccano per autorevolezza spirituale e, in effetti, la stima generale per Sarah si è ingigantita in questo anno, sebbene lui non ami affatto la ricerca della popolarità e faccia vita riservata, dai tratti fortemente ascetici (sono noti i suoi digiuni per il suo paese poverissimo). Sarah si caratterizza per l’assoluta fedeltà alla dottrina cattolica. Egli ripete che la verità va testimoniata e non può essere sottoposta a sondaggi d’opinione o mode ideologiche.
Anche le parole di Ratzinger fanno trasparire la generale stima su di lui che del resto il papa emerito manifesta verso tutta la Chiesa africana di cui ha elogiato la testimonianza, mentre quella occidentale (perlopiù progressista) è stata da lui definita “spiritualmente stanca”. Proprio questa Chiesa africana di Sarah si sta dimostrando un’intransigente oppositrice alle “rivoluzioni” vagheggiate da Bergoglio e Kasper nei due Sinodi su famiglia ed eucarestia.

È un’opposizione molto scomoda per il cattoprogressismo perché, mentre quella tedesca di Kasper è una Chiesa ricchissima di soldi e povera di fedeli, quella di Sarah è una Chiesa del Terzo Mondo, povera di beni, ma giovane ed ardente di fede, fiorita in questi decenni grazie ai grandi viaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e gioiosamente fedele al loro magistero.
Contrariamente alla Chiesa latinoamericana che è al tracollo (per emorragia di fedeli) ed è influenzata da ideologie laiciste e marxisteggianti, la Chiesa africana è una Chiesa in crescita e non succube delle ideologie. Anzi, Sarah è un simbolo di coraggio cristiano perché da vescovo della Guinea si è opposto apertamente, correndo gravi rischi, sia alla dittatura comunista che alla dittatura militare. Atteggiamento di opposizione frontale che non risulta sia stato tenuto da Bergoglio. Sarah ricorda per molti versi Karol Wojtyla.
Anche - come scrive Ratzinger - per “la sua coraggiosa risposta ai problemi della teoria del “genere”» che «mette in chiaro in un mondo obnubilato una fondamentale questione antropologica». L’elogio ratzingeriano a Sarah per «la centralità di Dio» e «la celebrazione della liturgia» è come fumo negli occhi per i progressisti. I quali parlano dei poveri come se ne parla nei salotti, cioè in modo ideologico. Mentre Sarah letteralmente viene dalla povertà.
Quando Benedetto XVI lo nominò al Pontificio consiglio “Cor Unum” motivò così la sua scelta: «Perché so che, fra tutti, lei ha esperienza della sofferenza e conosce il volto della povertà. Lei sarà il più capace di esprimere con delicatezza la compassione e la prossimità della Chiesa ai più poveri».
Dunque l’elogio di un tale uomo di Dio fa ombra all’attuale vescovo di Roma. Oltretutto perché si sovrappone alla questione tuttora irrisolta della strana “rinuncia” di Benedetto XVI e della sua presenza in Vaticano come “papa emerito”, con la veste e la qualifica da papa. Caso unico nella storia della Chiesa. Sempre più - con il calo dei consensi nei sondaggi di opinione su Bergoglio - cresce la nostalgia per la mite sapienza di papa Benedetto.
Va detto che egli fa la sua appartata vita di preghiera e non interferisce mai, in nessun modo, nella vita della Chiesa. Ma tale è la sua autorità che tutti ne spiano i più piccoli sospiri: i suoi estimatori per trovare conferme, i suoi nemici per sospettarlo di congiurare, sognando magari di espellerlo dal Vaticano.
Già attorno al Sinodo dell'ottobre scorso ci fu chi favoleggiò di complotti immaginari e però dovette riconoscere che Ratzinger non partecipava a nessuna “fronda”. Ma che si censuri ogni posizione difforme come congiura la dice lunga su questa stagione e sulle fobie della tifoseria bergogliana.
Del resto che il papa emerito possa essere - come dire - sotto osservazione, lo fa pensare anche un fatto curioso di questi giorni.
Lo scrittore cattolico più noto e autorevole, Vittorio Messori, il 9 settembre scorso, ha incontrato Benedetto XVI, su richiesta di quest'ultimo, nella sua abitazione vaticana. Un dialogo cordiale per l'antica stima e l'amicizia che li lega (insieme realizzarono il libro intervista “Rapporto sulla fede”, che fece epoca).
L’altroieri, su un sito cattolico, “La Nuova Bussola quotidiana”, Messori ne ha dato notizia. Ma si ha l'impressione che avrebbe volentieri fatto a meno di parlare di questo incontro personale fra vecchi amici e che lo abbia dovuto fare per prevenire - come lui dice ironicamente - «chi si ostini a pensare all’incontro tenebroso tra congiurati».
I complottologi mormorano lo stesso, ricordando che Messori, il 24 dicembre scorso, osò firmare un commento critico su papa Francesco, sul Corriere della sera. Ma in realtà Messori, con rispetto ed eleganza, si limitò a esternare alcuni motivi di perplessità, insieme a qualche apprezzamento e fu egualmente bombardato a tappeto dall'establishment bergogliano.
In ogni caso ciò non ha impedito a Benedetto XVI di invitarlo a conversare con lui e Messori - nel suo resoconto - avverte che non ha voluto «metterlo in imbarazzo con domande da giornalista indiscreto, come i suoi rapporti col suo successore o come i motivi “veri” della sua rinuncia».
Messori tace sul loro colloquio. Due cose però le dice. La prima: «Su sua richiesta, ho cercato di fargli una sintesi della situazione ecclesiale, almeno così come la avverto. Alla fine non ha detto che: “Io posso solo pregare”. Resoconto stringato. In apparenza dice poco. Ma in realtà fa molto riflettere chi sa leggere tra le righe (nemmeno un accenno a Bergoglio).

C'è poi un altro passo che sorprende (per la scelta dei termini) e fa pensare. Scrive Messori: «mentre mi inchinavo per baciargli la mano (come vuole una tradizione che rispetto, soprattutto da quando si cerca di declassare il ruolo e la figura del Supremo Pontefice), Sua Santità mi ha messo una mano sulla testa, per una benedizione». Sempre di più oggi guardano a lui, da tutti gli schieramenti, ma lui guarda solo al Cielo. Per salvare l'unità della Chiesa Bergoglio oggi avrebbe un modo geniale: invitare Ratzinger al Sinodo (ma a parlare, altrimenti sarebbe usarlo).
In fondo era stato proprio Bergoglio a dire, di papa Benedetto, «che sarebbe stato meglio che vedesse gente, uscisse e partecipasse alla vita della Chiesa». Sarebbe meglio per tutti.
di Antonio Socci
www.antoniosocci.com

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