ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 25 dicembre 2015

Dio e Non Dio

Germania, primi anni del Novecento. Durante una conferenza presso l'università di Berlino, un noto intellettuale lanciò una sfida all'uditorio studentesco: "E' vero che Dio ha creato tutto ciò che esiste?"
Uno studente sollevò il braccio e rispose: "Certo!"
"Orbene" - proseguì l'intellettuale - "se Dio ha creato tutto, allora ha creato anche il male, dato che il male esiste oggettivamente, ed è soverchiante intorno a noi. E siccome noi siamo ciò che produciamo, se Dio esistesse, sarebbe prevalentemente malvagio."
Gli studenti ammutolirono, e l'intellettuale sorrise. "In realtà questo discorso non vuole provare che Dio sia malvagio, ma solo che non esiste. E' semplicemente un mito religioso."
Un altro studente sollevò il braccio. "Posso, signore?"
"Dimmi pure."
Lo studente si alzò in piedi. "Secondo lei, signore: il freddo esiste?"
"Domanda profonda", constatò l'intellettuale, tra le risatine degli altri studenti. "E' del tutto evidente che esista, ragazzo mio."
Il giovane scosse il capo. "Nossignore. Secondo le leggi della fisica ciò che definiamo freddo è in realtà assenza di calore. Ogni corpo od oggetto può essere analizzato e studiato solo quando possiede o trasmette energia, e il calore è propriamente la manifestazione di un corpo quando possiede o trasmette energia. Lo zero assoluto (-273 °C) è la totale assenza di calore, quindi di energia; tutta la materia cessa di essere analizzabile a quella temperatura. Il freddo, quindi, in realtà non esiste. Esiste il calore. Noi abbiamo creato la parola 'freddo' per descrivere l'assenza di calore."
L'intellettuale annuì. "E allora?"
"Signore, esiste l’oscurità?", proseguì lo studente.
"Naturalmente."
"Ancora una volta signore, purtroppo lei è in errore. L’oscurità è in realtà assenza di luce. Noi possiamo analizzare la luce, ma non possiamo analizzare l’oscurità. Possiamo usare il prisma di Newton per misurare le lunghezze d’onda di ciascun colore. Ma l’oscurità non è misurabile. E sa perché non lo è?"
L'intellettuale sospirò.
"Perché non esiste", affermò il ragazzo. "Oscurità è un termine che abbiamo inventato per descrivere ciò che accade in assenza di luce. Mi appresto a concludere. Signore, secondo lei il male esiste?"
“Esiste, e non solo secondo me. E' intorno a noi. Lo vediamo ogni giorno. E’ nella crudeltà umana, nei crimini, negli abusi, nelle violenze. Tutte queste cose non sono altro che manifestazioni del male. Ora vorresti negare l'esistenza del male?"
"Sissignore. Con tutto il rispetto, il male non esiste, o almeno non in quanto attributo indipendente. Il male è essenzialmente assenza di bene. E’ una parola che l’uomo ha inventato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male nelle sue infinite manifestazioni riflette il grado di assenza di Dio nelle cose e nelle creature. E’ come il freddo che si manifesta quando non c’è calore o l’oscurità che si manifesta quando non c’è luce."
L'uditorio mormorò per qualche secondo, e poi iniziò ad applaudire.
Il rettore dell'Università raggiunse lo studente: "Interessante visione. Come ti chiami, ragazzo?"
"Albert Einstein, signore", rispose lui.
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A tutti (o quasi) i nostri Auguri di Buon Natale
http://www.anticorpi.info/2015/12/dio-e-non-dio.html#more

La storia di Natale. Socci: Maria e Giuseppe persi come i nostri giovani

Ecco cosa dobbiamo rubare
alla Germania della Merkel
Forse «Via delle storie infinite» sarebbe la giusta dislocazione per «il caffè della gioventù perduta» di cui parlava Guy Debord. La vedo ogni giorno questa generazione di venticinquenni e di trentenni. Volti che fanno tenerezza. Destini incerti come le foglie nei boschi di dicembre. Proprio nell' età che dovrebbe essere quella della fioritura, della fecondità, dell' energia.
Silenziosi, pur trovandosi a pagare tutti i conti degli errori della generazione precedente. Sembrano naufraghi in una terra di nessuno. Ci sono fra loro anche i «pirla», come in ogni compagnia, ma perlopiù è una generazione di ragazzi bravi, intelligenti, col segreto dolore di chi si sente fuori luogo, senza definizione, anonimo, senza un posto nel presente e forse nel futuro: «non c' era posto per loro in quell' albergo».

Così - col versetto evangelico riferito a Maria e Giuseppe (due altri giovani di duemila anni fa, con un figlio che doveva nascere) - con quelle parole del Vangelo, si può descrivere la condizione di questa generazione. Non c' è «un posto» per loro. Non solo un posto di lavoro (e il lavoro è tanto per un uomo). Ma non hanno un posto nel mondo: una dimora, una patria, una terra che abbia un perché, una bellezza e un futuro. Non hanno padri che dicano loro chi sono e per cosa vale la pena vivere. Abbandonati. Perduti. Senza sapere da chi sono stati fregati. Smarriti come solo si può smarrire un figlio all' aeroporto. In una terra di nessuno, che non è più il tuo Paese e non è nemmeno una terra straniera. È un non-luogo.
Sembra (ma non è così) che per loro non sia in partenza nessun volo. Non sentono chiamate. Sono spaesati. Si dice che il nostro non è un Paese per giovani. Ma è perduta questa gioventù o è perduto un tale Paese? Guy Debord - ricordate il Situazionismo e la Società dello spettacolo? - fece una suggestiva parafrasi dell' incipit della Divina Commedia, che sembra un affresco di oggi: «Nel mezzo del cammino della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta».
Stava in un libro strano con un titolo misterioso: In girum imus nocte et consumimur igni. Questo bizzarro titolo latino, un vero palindromo (si può leggere egualmente da sinistra a destra e viceversa) è in realtà una citazione dell' esametro imperfetto che è stato attribuito a Paolo Silenziario, un poeta bizantino del VI secolo d.C. Pare sia dedicato alle falene o alle torce (ma vale per tutte le gioventù bruciate) e significa: «Andiamo in giro di notte e veniamo consumate dal fuoco».
Da quale fuoco? Dalla vita come passione inutile, come diceva Sartre? L' uomo deve ardere, ma per cosa? Consumarsi per nulla è la dissipazione e la disperazione. Una gioventù bruciata (dagli altri o da se stessi) è l' opposto dell' ardore. Guardo i bei volti dei miei figli e mi chiedo: quale giovinezza è veramente perduta e bruciata? Non è forse quella che non conosce il suo significato?
Bisogna donare la propria vita (e così farne un capolavoro) prima che il tempo ce la rubi.
Questo è il vero fuoco, così la giovinezza non sfiorisce mai. Sapere per cosa (per chi) si vive. E si muore. Toni Negri ha scritto un libro autobiografico di 600 pagine. C' è una frase che colpisce: «"Papà, che cosa vuol dire morire?", chiede mia figlia». La risposta non arriva, in 600 pagine. E allora voglio raccontarvi una storia di ardore, cioè di amore. Una storia di vita che vince la morte.
Era giovane anche Robert Southwell. Era un poeta. Nasce a Horsham St Faith in Inghilterra, viaggia per l' Europa, va a Parigi e poi a Roma (e non c' era l' Erasmus). A 19 anni, nel 1580, entra nella Compagnia di Gesù. A 23 anni è ordinato sacerdote. A 25 anni viene mandato, con Henry Garnett, in Inghilterra.
Era la sua patria, ma la corona aveva imposto l' anglicanesimo e perseguitava i cattolici. Un feroce decreto della regina Elisabetta comminava la pena di morte ai sacerdoti cattolici che fossero trovati sul suolo inglese.Era un bagno di sangue terribile. Un martirio che fece molte vittime illustri. Così Robert entrò clandestinamente nel suo Paese. A quel tempo i gesuiti erano un po' i «marines» della Chiesa.
Si trovavano sempre nelle imprese più ardimentose, che si trattasse delle foreste amazzoniche (si ricorda il film Mission) o dei Paesi sotto tirannie anticattoliche, si trattasse di solcare gli oceani fino all' India e al Giappone, come Francesco Saverio, o di entrare alla corte degli imperatori cinesi come Matteo Ricci. Il giovane padre Robert svolse in Inghilterra il suo lavoro missionario, in segreto, per nove anni.
Poi, nel 1592, a 31 anni, fu denunciato, arrestato e accusato di far parte di un complotto per assassinare la regina Elisabetta.
Durante la prigionia fu brutalmente torturato, ma lui sempre si dichiarò innocente sostenendo che dovevano giudicarlo il popolo inglese e Dio. Nel 1595, a 34 anni, fu condannato a morte per tradimento (come si vede non ci sono solo gesuiti troppo amici dei potenti anticattolici, ma anche dei grandi gesuiti martiri). Gli fu tagliata la testa e il corpo fu fatto a pezzi. Ma quando il boia sollevò il suo capo mozzato, quel 21 febbraio, a Tyburn, il popolo non gridò «Traditore!», come di consueto. Il giudizio del suo popolo era contenuto in un triste silenzio di sgomento. E il giudizio di Dio? Robert Southwell fu beatificato nel 1929 e fu proclamato santo nel 1970 da Paolo VI. È uno dei quaranta martiri d' Inghilterra e del Galles. Un giovane santo e martire.
Una gioventù bruciata, la sua, si direbbe. Ma bruciata per amore, per il grande Amico, per il vero Re dell' universo, un Re croficisso. Così Robert Southwell conquistò un' eterna giovinezza.
È sua una memorabile poesia su quel fuoco, su quell' ardore, su questa giovinezza bruciata (la vedremo). Southwell fu un grande poeta ed ebbe un' influenza decisiva sulla letteratura inglese, a cominciare da William Shakespeare di cui fu amico: c' è chi sostiene che proprio grazie a lui Shakespeare sia morto (segretamente) da cattolico. Southwell appartiene a quel fiume di poesia metafisica che comprende anche John Donne e arriva a Thomas S. Eliot, passando per quello straordinario poeta che fu Gerard Manley Hopkins (1844-1889), un covertito al cattolicesimo diventato anche lui gesuita.
Dunque, dicevo, fra le poesie di Southwell ce n' è una, strana e struggente, intitolata The Burning Babe (Il bambino che brucia), una poesia apprezzata da due artisti apparentemente così lontani da Southwell, come Dylan Thomas e Ben Jonson. È stata recentemente trasformata in canzone dal violinista folk inglese Chris Wood ed è stata cantata da Sting nella cattedrale di Durham. Inizia in una sorta di foresta oscura, che è la vita di tutti, dove accade qualcosa: «Una bianca notte d' inverno, tremando nella neve,/ Fui sorpreso da un improvviso calore che m' infiammava il cuore».
L' "everyman" che racconta questa situazione allegorica si accorge che il calore gli viene da un «bambino raggiante», lì vicino, che soffre per essere avvolto nelle fiamme e versa fiumi di lacrime che quasi le spengono.
Il fanciullo parla: «appena nato mi consumo in fiamme ardenti,/ eppure nessuno si avvicina a riscaldarsi il cuore o a sentire il mio fuoco!». Ma da dove vengono quelle fiamme? Lo spiega il bimbo: «Il mio petto innocente è la fornace, la legna ha rovi laceranti,/ Amore è il fuoco, il fumo son sospiri, le ceneri insulti e scherno;/ Giustizia porta la legna e misericordia soffia sui carboni». È un fuoco che trasforma il duro metallo delle «anime degli uomini», piene di sozzura, per rinnovarle, e dopo le fiamme «mi scioglierò in un bagno per lavarle nel mio sangue».
Conclude il poeta: «Dette queste parole sparì alla mia vista dissolvendosi d' improvviso,/ e subito mi ricordai che era il giorno di Natale». È venuto al mondo per dare la sua vita per te, una follia d' amore, perché tu fossi felice per sempre.
Antonio Socci

1 commento:

  1. Non mi piace per niente Socci: e' intellettualmente disonesto, accoglie un fatto solo quando gli da ragione! E poi è un credulone propenso a far credito a qualunque cosa susciti un emozione a sostegno di quello che pensa: insomma, un autentico modernista!

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