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mercoledì 16 dicembre 2015

La Presenza Reale secondo Bergoglio


In questi giorni è stata diffusa una notizia che, laddove dovesse esser confermata, non potrebbe che corroborare ancora una volta i nostri timori circa le convinzioni di Bergoglio a proposito della Presenza Reale. 

Scrive un lettore che il Papa avrebbe invitato un Vescovo laziale a “punire severamente” i sacerdoti che si rifiutano di comunicare i fedeli nella mano, ostinandosi a comunicarli sulla lingua. Secondo Bergoglio, negando la Comunione in mano, il sacerdote offenderebbe Cristo presente nel Suo Corpo sociale (sic). 
Una proposizione del genere rivela la perfetta coerenza con quanto sostengono i carismatici di Rinnovamento nello Spirito ed il loro intrinseco padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, intimo dello stesso Bergoglio sin dalle riunioni ecumeniche di Buenos Aires (vedi qui). Si potrebbe anzi affermare che proprio le teorie di Cantalamessa si trovano implicitamente ripetute e riprese in tutta la loro inaudita gravità. 

Padre Cantalamessa sostiene infatti che le parole della Consacrazione - Questo è il mio Corpo - vadano riferite all’assemblea presente alla celebrazione, e non alle Specie Eucaristiche. Egli ha avuto modo di spiegarlo a giovani sacerdoti, invitandoli ad enfatizzare questo concetto con un gesto della mano, indicando appunto i fedeli, senza concentrarsi sull’altare. Secondo questa teoria, Cristo si renderebbe presente nell’assemblea, e questa presenza sarebbe semplicemente significata dalla condivisione del banchetto eucaristico. Per questo motivo, egli afferma che non avrebbe senso celebrare Messe senza la presenza dei fedeli, e che - terminato il rito - le Sacre Specie perderebbero, assieme alla finalità, anche il loro significato, tornando semplice pane e vino. In pratica, padre Raniero nega i dogmi relativi alla Presenza Reale, ivi compresa la mutazione ontologica, sostanziale e permanente del pane in Corpo di Cristo e del vino in Sangue di Cristo. La concezione secondo la quale Cristo sarebbe presente simbolicamente nelle Specie Eucaristiche altro non è che la transignificazione luterana; quella secondo cui Cristo sarebbe presente nelle Specie Eucaristiche allo scopo di rappresentare l’unione dell’assemblea è la transfinalizzazione, sostenuta da alcune sette protestanti. 

Al di là dell’oggettivo sacrilegio che la somministrazione della Comunione in mano inevitabilmente comporta - sul quale si sono espressi eminenti ecclesiastici e, con l’eloquenza dell’esempio, anche Benedetto XVI - ciò che desta sconcerto è l’affermazione di Bergoglio, che rivelerebbe un idem sentire con Cantalamessa e le sue tesi ereticali. 

La presenza di Cristo nell’assemblea riecheggia inoltre il tristemente famoso art. 7 dell’Institutio Generalis del nuovo Messale Romano promulgato da Paolo VI nel 1969, laddove essa affermava: La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: "Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt. XVIII, 20).

Tale definizione, assolutamente impropria e inadeguata - oltreché chiaramente intrisa dello spirito protestante che informa l’intero corpus della cosiddetta Riforma Liturgica conciliare - fu poi emendata in senso cattolico nel 1970: Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è chiamato a riunirsi insieme, sotto la presidenza del sacerdote, che agisce nella persona di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, cioè il sacrificio eucaristico. Per questo raduno locale della santa Chiesa vale perciò in modo eminente la promessa di Cristo: «Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt XVIII, 20). Infatti nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche.

Come si vede, la prima definizione della Messa ometteva completamente il riferimento al ruolo ministeriale del sacerdote, così come la differenza sostanziale tra la presenza di Cristo nell’assemblea, nella Parola di Dio e nel Santissimo Sacramento. D’altra parte, cambiare la definizione della Messa ex post è stata un’indecorosa operazione di maquillage, che nulla ha tolto alla vergognosa equivocità di quel rito, concepito a partire da quella definizione eretica: non basta cambiare l’etichetta di un flacone di veleno per renderlo ipso facto innocuo. 

Secondo la dottrina cattolica, nell’assemblea la presenza di Cristo è spirituale; nella proclamazione della Sacra Scrittura Cristo è in presente come voce del Maestro, anche se sarebbe più appropriato parlare di presenza dello Spirito Santo, che della Scrittura è ispiratore; il sacerdote con l’Ordine Sacro, quando celebra la Messa agisce in persona Christi, è alter Christus; nelle Specie Eucaristiche Cristo è invece presente in modo completamente diverso: con il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità. Nulla di paragonabile alla presenza spirituale. Notiamo en passant che anche l’altare consacrato rappresenta Cristo, ridotto nella liturgia riformata a semplice tavolo di un banchetto conviviale. 

Nel Santissimo Sacramento Cristo è presente realmente, non spiritualmente: la stessa differenza che si ha - se ci si concede la similitudine - tra l’esser davanti ad una persona in carne ed ossa e il leggere una lettera ch’essa ha scritto, o il sentirne la voce registrata, il guardarne un ritratto, il rievocarne nella mente il ricordo. 

Andrebbe osservato che l’espressione corpo sociale di Cristo usata da Bergoglio è imprecisa: la terminologia cattolica usa appropriatamente l’espressione corpo mistico, laddove mistico indica una relazione misteriosa, ma non per questo meno vera, della Chiesa e dei suoi membri vivi - ossia i battezzati in istato di Grazia - al Capo di questo corpo, che è Cristo. 

Ma anche senza soffermarci sull’imprecisione del termine corpo sociale, rimane evidente che la presenza del Signore nel suo corpo mistico non rende divini né i singoli fedeli né la Chiesa: essa è sì divina, ma in quanto fondata da Dio e strumento della divina Redenzione. E invece, a sentir Bergoglio, pare che egli ritenga proprio questo: che cioè il popolo di Dio, l’assemblea dei fedeli riunita attorno all’altare sia essa stessa segno sacramento della presenza di Cristo, quasi causa efficiente di esso: un concetto che pare interpretare in senso estensivo l’equivoca espressione conciliare la Chiesa sacramento di salvezza (Lumen Gentium 1, anche se andrebbe notato che lo stesso documento usa una similitudine: Cum autem Ecclesia sit in Christo veluti sacramentum seu signum et instrumentum intimae cum Deo unionis totiusque generis humani unitatis). 

Ecco allora che per Bergoglio nei fedeli radunati intorno alla mensa eucaristica si manifesta non già una mera presenza spirituale (di cui al passo di Mt XVIII, 20), ma una vera e propria Presenza Reale, della quale il presidente dell’assemblea si limiterebbe a prendere atto, e che sarebbe testimoniata dalla partecipazione al pane eucaristico. Insomma, luteranesimo puro. Ecco perché Bergoglio ha potuto affermare, nel tempio luterano, quelle tremende parole sulla Presenza Reale: 

Ma mi diceva un pastore amico: Noi crediamo che il Signore è presente lì. È presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza? Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni… 

Espressioni simili si ritrovano nel magistero bergogliano anche laddove egli parla dei poveri come carne di Cristo

Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà del Signore. E questo non è facile (vedi qui). 

E se è vero che i poveri possono essere in qualche modo carne di Cristo, se cioè le opere di misericordia che compiamo nei loro confronti sono fatte per amore di Dio, non è altresì vero che ad essi sia dovuto un culto latreutico, come se essi fossero realmente e sostanzialmente il Corpo di Cristo. 

Si dovrebbe inoltre ricordare che i poveri non sono ex se una categoria di eletti. Anzitutto la povertà, al pari della malattia, della morte, della concupiscenza e dell’ignoranza, è una conseguenza del peccato originale. Esser povero non garantisce il paradiso, tanto quanto l’esser ricco non apre le porte dell’inferno: la povertà permette al ricco di distribuire i propri beni e beneficare i bisognosi, e al povero di accettare la propria condizione con spirito di accettazione, espiando le colpe proprie e altrui. Prospettare un paradiso terrestre in cui non esiste povertà è un inganno e un miraggio luciferino.

Partendo da questa concezione distorta del Corpo di Cristo presente nei fedeli e nei poveri, si comprende anche il motivo che porta Bergoglio a non genuflettere all’Elevazione, o ad astenersi dal presiedere la processione del Corpus Domini, mentre non lesina proskynesis allorché si cimenta nella lavanda dei piedi di carcerati dinanzi alle telecamere.

E si comprende perché egli possa affermare che il voler comunicare un fedele ponendogli l’Ostia Santa sulla lingua, anziché sulle mani, sia un’offesa al Corpo sociale di Cristo. Quel fedele, essendo Corpo di Cristo, non deve inginocchiarsi né rendersi passivo dinanzi al sacerdote che gli porge del semplice pane, o qualcosa che ha la sola finalità di evidenziare quel Corpo sociale

Anche Kiko Arguello non lascia spazio a fraintendimenti: negli Orientamenti alle équipes di catechisti per la fase di conversione, scrive: 

Non c’è Eucaristia senza assemblea. È un’assemblea intera che celebra la festa e l’Eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione dell’assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. È da questa assemblea che sgorga l’Eucaristia (pag. 317).

Mi permetto a questo punto di formulare un’ulteriore chiave interpretativa del magistero liquido di Bergoglio, relativa alle recenti aperture circa l’ammissione dei divorziati risposati alla Comunione. 

Se si nega la transustanziazione e si afferma viceversa la transignificazione o la trasnfinalizzazione, si limita la Presenza Reale alla sola celebrazione della Cena (vocabolo conciliare mutuato dai Protestanti): esso ha la mera finalità di rappresentare l’unità dei fedeli. Orbene, se si estende questo concetto anche al Matrimonio, si può dire che il Sacramento agisca solo per significare l’unione tra i due coniugi. Partendo da questo presupposto, ne consegue che se gli sposi non dovessero considerarsi uniti, verrebbe meno anche il Sacramento stesso, che non compie realmente e definitivamente quello che rappresenta, ma si limita a fungere da semplice simbolo. Anche in questo caso, venuta meno la finalità, verrebbe meno anche il Sacramento: ecco perché il processo di dichiarazione della nullità delle nozze cattoliche può esser semplificato, ecco perché si possono ammettere i concubinari alla Comunione.

Sono riflessioni che proiettano ombre inquietanti su un personaggio che non perde occasione di seminare confusione ed insinuare errori dall’altro di una cattedra alla quale dimostra di esser del tutto inadeguato. 

Non dimentichiamo tuttavia che le deviazioni dottrinali di questo infausto Pontificato hanno radici profonde, che risalgono al Concilio Vaticano II e alla liturgia protestantizzante che esso ha inventato.

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1 commento:

  1. Non rivelarti da meno, Signore, dei costruttori giapponesi. 3 anni o 100mila km di garanzia su Bergoglio, il quale è palesemente difettoso:ritiralo, Signore.

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