ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 dicembre 2015

Russo o Putin fobia?

I conti di Putin in Siria per ora tornano, anche se Obama dice il contrario
I funzionari di Washington ammettono che la strategia russa sta dando frutti. Obiettivi divergenti e dialoghi di pace
Il presidente russo Vladimir Putin (foto LaPresse)

New York. Barack Obama dice che la Russia finirà nel “pantano della Siria”, che il tentativo di consolidare il potere di Bashar el Assad “non funzionerà”, che Vladimir Putin è stato “trascinato in una guerra civile inconcludente e paralizzante”, proprio lui che è un avanzo del Diciannovesimo secolo risciacquato nello stagno ideologico della Guerra fredda. A microfoni spenti i funzionari dell’Amministrazione dicono il contrario.
Putin sta già raccogliendo ciò che ha seminato, usando una scaltra mistura di oculatezza e spregiudicatezza. Il regime di Assad “è in una posizione più sicura” grazie al sostegno militare della Russia, ha detto un ufficiale americano all’agenzia Reuters nel contesto di un’inchiesta su quello che davvero Washington pensa della campagna siriana di Putin. L’immagine che emerge è quella di una campagna efficace rispetto all’obiettivo primario, puntellare il regime di Damasco e consolidare i territori che controlla, una missione largamente “successful” condotta con “spese relativamente basse” e perdite minime. Gli analisti della Casa Bianca stimano che lo sforzo bellico russo possa costare fra uno e due miliardi di dollari l’anno, una piccola frazione di un bilancio della Difesa da 54 miliardi. Il prezzo del petrolio danneggia l’economia russa in generale, ma in questo frangente aiuta a ridurre le spese della macchina bellica.

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Il Cremlino dice che dall’inizio della campagna, a settembre, ha perso tre uomini in Siria, su un contingente di circa cinquemila. Per gli americani i soldati russi uccisi sono circa trenta, un costo umano comunque sostenibile nei calcoli di Putin. “I russi non si sono gettati alla cieca in questa operazione, stanno ricavando benefici”, ha detto un’altra fonte della Reuters, e il primo beneficio è aver fatto scivolare via la cacciata di Assad dal tavolo delle trattative. Il 25 gennaio, alla ripresa dei colloqui di pace di Ginevra, il governo siriano si presenta come un interlocutore consolidato da mesi di campagna militare a trazione russa. E agli occhi di Washington, Putin si è trasformato giocoforza in un leader razionale che persegue con abilità da scacchista l’obiettivo di spezzare l’opposizione al regime nella parte occidentale del paese, consolidando il controllo della striscia alawita che congiunge Damasco al porto di Tartus fino a Latakia, la base da dove partono i caccia russi. E’ una logica di frazionamento, non di riconquista dell’intero paese. Seguendo questa logica, la direttrice dell’iniziativa russa è la ripresa di Aleppo, cosa che mette gli interessi di Putin in contrasto con quelli della coalizione a guida americana, che mira innanzitutto a distruggere lo Stato islamico e a mettere sotto assedio la sua autoproclamata capitale, Raqqa. La selezione dei target dei bombardamenti russi in questi mesi ha messo in chiaro la divergenza degli obiettivi strategici.

Qualche giorno fa uno strike russo nei dintorni di Damasco ha ucciso un importante leader dei ribelli, Zahran Alloush. Alloush non era fra i comandanti fidati dell’America, ma il dipartimento di stato non l’ha presa bene: “Attacchi come questo complicano gli sforzi per creare un negoziato credibile”, ha detto un portavoce di Foggy Bottom. Ciò che complica la posizione di Obama non è l’attacco in sé, né la generale riluttanza russa nel colpire lo Stato islamico, quanto il dover ammettere che Putin non è un leader irrazionale o disperato che s’è gettato nel pantano siriano per assecondare la sua aggressività congenita e soddisfare anacronistici appetiti imperiali.
di Mattia Ferraresi | 30 Dicembre 2015 

http://www.ilfoglio.it/esteri/2015/12/30/siria-conti-di-putin-per-ora-tornano-anche-se-obama-dice-il-contrario___1-v-136517-rubriche_c394.htm




Il patriarcato di Mosca licenzia i suoi portavoce. Che si ribellano e accusano


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Mentre a Roma, in Vaticano, è in viaggio la riorganizzazione dei servizi di comunicazione e di informazione, con l'imminente scioglimento del pontificio consiglio presieduto da monsignor Claudio Maria Celli e con l'avvenuta nomina del giornalista americano Greg Burke a nuovo vice di padre Federico Lombardi, a Mosca, nel cuore del più potente e popoloso patriarcato dell'ortodossia, l'informazione ecclesiale ha subito un autentico terremoto, con la defenestrazione dei suoi due uomini più in vista.
Tutto è avvenuto nel giro di pochi giorni, a ridosso del Natale del calendario latino.
Il comunicato n. 98 dell'anno in corso, emesso il 24 dicembre al termine di una riunione del santo sinodo del patriarcato di Mosca, ha reso nota l'unificazione in un solo organismo di due dipartimenti sinodali: quello per la Chiesa e la società e quello dell'informazione sinodale.
Il nuovo organismo ha preso il nome di dipartimento sinodale per la Chiesa, la società e i media e ha come capo colui che già dirigeva il secondo dei dipartimenti unificati, Vladimir Legoyda, un laico, che è anche direttore della rivista ortodossa "Thomas".
È invece stato cacciato sui due piedi l'ecclesiastico che è stato per anni il portavoce più rappresentativo e autorevole della Chiesa ortodossa russa, come capo del primo dei due dipartimenti unificati e come membro del consiglio interreligioso di Russia, l'arciprete Vsevolod Chaplin.
Non solo. La cacciata di Chaplin è stata preceduta, pochi giorni prima, dalla rimozione di un altro "comunicatore" di primissimo piano, Sergey Chapnin, da direttore della ufficiale "Rivista del Patriarcato di Mosca".
Lo spunto per il licenziamento di Chapnin è stato un articolo da lui pubblicato lo scorso novembre sul sito americano "First Things" col titolo "A Church of Empire", molto critico della sottomissione della Chiesa russa al potere politico.
Dopo quell'articolo Chapnin ha rilanciato le sue critiche in una conferenza al Centro Carnegie di Mosca, nella quale ha detto che la Chiesa ortodossa russa si trova in una condizione di “nuovo silenzio”, in un clima di paura che induce tutti a tacere, "visto cosa è successo a chi ha detto che qualcosa non va".
In un'intervista rilanciata da Asia News in italiano e in inglese, Chapnin ha specificato che uno dei punti di disaccordo più forti riguardano la giustificazione, da parte dei massimi dirigenti della Chiesa russa, degli interventi militari in Siria e in Ucraina come una "guerra santa" voluta da Dio:

> In Russia una nuova "Chiesa del silenzio"
A giudizio di Chapnin, oggi alla testa della Chiesa russa esercitano un potere assoluto il patriarca Kirill e il potente capo delle relazioni esterne del patriarcato, il metropolita  Hilarion di Volokolamsk.
Anche l'altro grande licenziato, l'arciprete Chaplin – che pure è proprio un di quelli che esaltano la "guerra santa" in Siria e in Ucraica –, è molto critico della concentrazione dei poteri in queste due persone, circondate ormai soltanto da uno stuolo di "servitori", a dispetto della "sinodalità" tipica dell'ortodossia.
E a suo modo Chaplin è anche lui critico della sottomissione a un certo potere politico: "Ho provato a dire a Sua Beatitudine che il tono delle relazioni con lo Stato che la Chiesa russa tende ad avere è sbagliato. Dobbiamo essere più critici nei confronti delle azioni immorali e ingiuste compiute dalle autorità, in nessun caso dobbiamo adulare strutture che sfidano la fede ortodossa così chiaramente come l’attuale amministrazione ucraina. In generale, non dobbiamo temere di entrare in conflitto con coloro che detengono il potere nel mondo”.
Anche le prese di posizione di Chaplin sono state rilanciate in italiano e in inglese da Asia News:
C'è poi un'altra notizia di diverso tipo ma non meno importante. Nella medesima riunione del 24 dicembre del santo sinodo del patriarcato di Mosca (vedi il comunicato n. 92) il metropolita Hilarion ha riferito che nell'incontro panortodosso di metà dicembre ad Atene in preparazione di un concilio di tutta l'ortodossia si è arrivati a un punto di rottura sulle procedure della futura assise. La massima contrapposizione è stata tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli, che rivendica un primato contestato da Mosca.
La rottura non è di poco conto, perché senza un accordo sulle procedure il tanto atteso concilio panortodosso non potrà essere celebrato.




Settimo Cielo di Sandro Magister 28 dic http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/12/28/il-patriarcato-di-mosca-licenzia-i-suoi-portavoce-che-si-ribellano-e-accusano/

Il terremoto nel patriarcato di Mosca. Una seconda lettura dei fatti. E una terza 

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Ricevo e pubblico, da un informato osservatore dell'ortodossia.
*
Gentile Magister,
sull'affaire del patriarcato di Mosca, di cui ha riferito nel precedente post di Settimo Cielo, le segnalo un commento che aiuta a capire meglio, a mio parere, il senso dei due clamorosi licenziamenti dei portavoce Vsevolod Chaplin e Sergey Chapnin:
Ne è autore l’arciprete Andrew Phillips, che in Inghilterra è una delle voci più addentro alle cose del patriarcato di Mosca e anche più in sintonia con il patriarca Kirill e le alte gerarchie russe.
La cosa interessante che Phillips mette in luce è il doppio segno di questi allontanamenti: quello di Chapnin per arginare il dissenso teologico “liberal”, quello di Chaplin per arginare un’effervescenza di segno opposto, ultra-nazionalista, da “guerra santa” riguardo alle iniziative della Russia in Ucraina. Insomma, due provvedimenti non “reazionari” ma, diciamo così, “centristi”.
Per quanto riguarda l’articolo di Chapnin su "First Things", a una prima lettura è suggestivo, ma per un pubblico che ignora le dinamiche vere della Chiesa russa. Un esempio è quando Chapnin parla del caso di padre Kochetkov, che presenta come una sorta di voce evangelica e “democratica”, che negli anni Novanta sarebbe stata ridotta al silenzio da una Chiesa incapace di aprirsi a una dimensione di libero dibattito. In realtà Kochetkov è stato ed è tuttora, seppur in sordina, esponente di una parte dell’ortodossia russa che, anche per i canoni cattolici, si può tranquillamente qualificare come “eretica”, arrivando essa a negare, in modo più o meno obliquo, fondamenti della fede come la divinità di Gesù e l’immortalità dell’anima.
È quella parte dell'ortodossia – non soltanto russa – con cui, non a caso, fanno “ecumenismo” Enzo Bianchi e la comunità di Bose. Ma non solo Bose. Il paradosso è che anche ambienti che in campo cattolico sono agli antipodi da Bose –, come i conservatori di "First Things" o, nell'alveo di Comunione e liberazione, "Russia Cristiana" – per un approccio al tema venato da una certa russofobia culturale e politica, o per cercare degli interlocutori simpatetici nei confronti del cristianesimo occidentale, finiscono poi per esaltare le stesse figure del dissenso ortodosso con cui Bose tesse le sue trame. Figure che finiscono per essere corteggiate sia da cattolici di “sinistra” che di “destra”.
Un piccolo esempio tra tanti è stata la mostra che all’ultimo Meeting di CL a Rimini "Russia Cristiana" ha dedicato al metropolita Anthony Bloom, figura che sta all’ortodossia più o meno come l’abate Giovanni Franzoni stava alla Chiesa di Paolo VI negli anni Settanta.
Per russofobia, a proposito di "Russia cristiana", intendo, dal punto di vista politico, una radicata ostilità all'attuale establishment putiniano e, dal punto di vista teologico, un radicale favore per figure filoccidentali dell'ortodossia russa, nell'illusione che possano essere dei validi punti di contatto tra cattolicesimo e ortodossia, quando spesso lo sono invece tra ortodossia e protestantesimo (come nel caso di Alexander Schmemann, 1921-1983, amatissimo da "Russia Cristiana") e comunque sono viste dal patriarcato di Mosca – a ragione – come voci marginali se non estrinseche rispetto alla tradizione ortodossa.
Grazie e saluti cordiali.
(Lettera firmata)
*
POST SCRIPTUM – Era in rete da poche ore la precedente lettera, quando sull'agenzia "Asia News" diretta da padre Bernardo Cervellera è uscita un'analisi dei fatti di Mosca ricca di ulteriori informazioni e valutazioni, tutte di grande interesse, a firma di Stefano Caprio, sacerdote di rito bizantino-slavo, fondatore a Mosca dell'istituto di teologia "San Tommaso d'Aquino" e docente a Roma di storia della filosofia russa al Pontificio Istituto Orientale:




Settimo Cielo di Sandro Magister 29 dic http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/12/29/il-terremoto-nel-patriarcato-di-mosca-unaltra-lettura-dei-fatti/

Licenziamenti a Mosca: il Patriarcato verso il Terzo millennioL’allontanamento del giornalista Sergei Chapnin e dell’arciprete Chaplin da parte di Kirill sono segno di un’inquietudine nel Patriarcato di Mosca. Superato il periodo sovietico e divenuto la pietra angolare della società russa, oggi è superato dal nazionalismo militante di Putin. Rimane il desiderio di cambiare e di trovare nuove vie efficaci per la sua presenza nel Paese. Da un esperto della Russia, già missionario a Mosca.


Roma (AsiaNews) - Nei giorni scorsi il Patriarca Kirill  ha licenziato il direttore della rivista del Patriarcato di Mosca, Sergej Chapnin; subito dopo si è diffusa la notizia del licenziamento dell'arciprete Vsevolod Chaplin, capo del dipartimento sinodale per i rapporti tra la Chiesa e la societàRiportiamo qui sotto l'opinione di p. Stefano Caprio, un esperto della Chiesa russa,  per diversi anni missionario a Mosca.
Ha fatto scalpore, almeno tra gli “addetti ai lavori” dell’informazione sul mondo ecclesiastico, l’allontanamento dai loro ruoli di due personalità piuttosto esposte nella struttura del patriarcato ortodosso di Mosca: il giornalista Sergej Chapnin e il quasi omonimo prelato Vsevolod Chaplin, da anni direttore del dipartimento “sociale” della Chiesa russa. Questa coincidenza ha dato adito a dietrologie di vario genere, sulla figura del patriarca Kirill, dei suoi collaboratori, dell’episcopato ortodosso russo e delle relazioni di Mosca con le altre Chiese ortodosse, in particolare con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. È difficile comporre un quadro globale dal semplice spostamento di due pedine, pur significative, di una struttura importante come quella russa. Per dimensioni, essa è paragonabile alla conferenza episcopale italiana, e conviene inquadrare questi fatti in un minimo di cornice dell’evoluzione recente della religiosità in Russia, senza scordare le relazioni tra i protagonisti della vicenda.
Kirill e i suoi collaboratori
In realtà il patriarca Kirill (Gundjaev), 69 anni, in carica da quasi sei anni come capo della Chiesa russa, non è nuovo a questi avvicendamenti repentini. Diventato vescovo nel 1976, prima del compimento dei 30 anni, in piena epoca brezneviana, ha ricoperto molte e importanti cariche ecclesiastiche, che ne hanno fatto un protagonista di primo piano nella vita della Chiesa e della società, prima di giungere al soglio patriarcale. Da sempre ama rinnovare il suo staff, elevando a grandi responsabilità dei giovani (per i sacerdoti collaboratori di Kirill, diventare vescovo dopo i 30 anni è già segno di scarso carisma, in ossequio alla carriera del capo), per poi sostituirli o spostarli bruscamente e senza troppe spiegazioni. Il patriarca segue con particolare attenzione due categorie professionali di per sé piuttosto laiche come i diplomatici e i giornalisti, che arruola in continuazione negli affari ecclesiastici e spesso eleva alla dignità sacerdotale senza preavviso, per riempire caselle particolarmente delicate. La filiera più preziosa dei collaboratori è quella dei giovani monaci, gli unici che possono raggiungere la cattedra vescovile (i sacerdoti sono in genere sposati); l’esempio più illuminante è quello del metropolita Ilarion (Alfeev), stretto collaboratore di Kirill fin dai primi passi nella vita monastica, che ricopre attualmente la carica tenuta per tanto tempo dal patriarca stesso a capo delle relazioni estere del patriarcato. Ilarion, di fatto il “numero due” della Chiesa russa, è stato più volte sull’altalena dei favori del capo, salendo e scendendo la scala dell’influenza effettiva sulle vicende della Chiesa in patria e all’estero.
Conservatori e liberali
Non stupiscono più di tanto, quindi, i licenziamenti dei giorni scorsi, soprattutto quello di Chapnin, brillante giornalista che era riuscito a dare un volto accattivante alla austera e burocratica pubblicazione patriarcale, quella “Rivista del Patriarcato di Mosca”.  Nei lunghi decenni sovietici la rivista era stata l’unica fonte di informazione ecclesiastica, sopravvissuta ai cambiamenti a differenza della Pravda o delle Izvestija, come ultimo baluardo dell’ideologia ufficiale. Chapnin viene considerato una delle poche voci di tendenza “liberale” nell’ortodossia russa ufficiale, e la sua rimozione viene spiegata come un taglio alla libertà di espressione e un segno di autoritarismo conservatore del patriarca. Più enigmatica appare la decisione di ristrutturare i settori informativi e sociali del patriarcato, che ha portato all’esclusione di padre Chaplin. Anzitutto è la stessa personalità del monsignore (in russo protoierej) a presentare diverse zone d’ombra: 47 anni, quasi coetaneo di Ilarion (ha due anni di meno, pur sembrando molto più anziano), anch’egli è fin dalla prima giovinezza tra i collaboratori più stretti di Kirill, ma la sua carriera è stata assai meno movimentata. Sacerdote del “clero bianco” sposato, anche se nessuno conosce la moglie e non risulta che abbia figli, Chaplin non ha mai sfiorato l’episcopato, che pure sembrava accessibile da “prete celibe” (da qui i dubbi sull’effettivo matrimonio), ma da molti anni porta la mitria vescovile, privilegio che dovrebbe essere riservato ai preti anziani. Come membro del Dipartimento Esteri del Patriarcato, Chaplin è un volto noto fin dagli anni Novanta e, almeno in partenza, una delle personalità più aperte e dialoganti con tutti, salvo poi trasformarsi negli anni di Putin nel più acceso sostenitore della politica nazionalista e della ri-ortodossizzazione della società, nemico del secolarismo e del multiculturalismo. Kirill ha sempre lasciato a lui la parte più “politica” dell’azione ecclesiale, usandolo spesso come ariete nelle polemiche sull’etica e sul ruolo della Chiesa nella società russa. Il suo licenziamento è sembrato un bilanciamento a quello di Chapnin, un conservatore per un liberale, ma il peso specifico dei due è molto diverso; Chaplin era un perno della struttura, il giornalista solo un gregario.
Chiesa ortodossa e nazionalismo
Al di là delle questioni personali e delle semplificazioni giornalistiche, questa piccola “tempesta amministrativa” segnala un punto di svolta nella vita del Patriarcato di Mosca. Da quando è stato eletto, infatti, il patriarca sta tentando di ristrutturare la gestione ecclesiastica, scomponendo e ricomponendo i suoi dipartimenti, cercando di ottenere un doppio risultato: da un lato un’efficienza di tipo curiale (Kirill ha frequentato molto il Vaticano da giovane, ed è un grande estimatore dei gesuiti), dall’altro la “sinodalità” di tradizione ortodossa (la sobornostrussa), tanto che la macchina patriarcale è stata pomposamente rinominata due anni fa “Presenza Interconciliare” (Mezhsobornoe prisutstvie). La riforma non deve avere finora avuto molto successo, viste le lamentele di entrambe gli epurati sulla gestione personale e autoritaria del patriarca stesso. In realtà, Kirill ha ben chiaro che gli anni a venire saranno cruciali per la Chiesa russa: essa ha recuperato ormai da anni la sua centralità nella vita del Paese, ma rischia di perdere sempre più credibilità, superata dal nazionalismo militante e integralista della politica putiniana. Il caso dell’Ucraina ha fatto da detonatore a questa crisi: Kirill era contrario all’annessione della Crimea e alla tensione con l’Ucraina, in cui prospera la parte più attiva dell’intera Chiesa Ortodossa Russa.
La “battaglia per l’Ortodossia”
Nella ricostruzione della Chiesa dopo il comunismo, infatti si possono distinguere almeno due fasi già compiute. La prima “rinascita religiosa” degli anni Novanta, incontrollabile ed ingenua, aveva rischiato di emarginare ulteriormente la Chiesa Ortodossa, che comunque aveva conservato un certo ruolo centrale nella fase sovietica (e Kirill ne era già uno dei protagonisti). Il Patriarcato fu costretto a difendersi dalla concorrenza esterna ed interna: da un lato la propaganda (il cosiddetto “proselitismo”) di cattolici polacchi e ucraini, protestanti da ogni dove, sette e movimenti religiosi di ogni genere, e dall’altro i dissidenti ortodossi provenienti dall’epoca del samizdat, gli eretici che mischiavano ortodossia e neo paganesimo, e soprattutto i cosiddetti starets carismatici, di cui solo pochi potevano dirsi autentici, che mettevano in discussione la gerarchia ufficiale. La lotta contro tutti questi avversari ha costretto Kirill e gli uomini a lui vicini a repentini voltafaccia e acrobazie ideologiche, passando in poco tempo da progressisti dialoganti a difensori intransigenti della tradizione spirituale e dell’autorità costituita della Chiesa ortodossa.
La “battaglia per l’Ortodossia” ha rivelato la fragilità della rinascita religiosa, un fenomeno in realtà piuttosto aleatorio, e la necessità del consolidamento delle strutture e dell’influenza della Chiesa nella società: è questa la seconda fase degli anni Duemila, sostenuta dal regime di Putin, in cui il Patriarcato ha raggiunto un livello di controllo della vita sociale pari quasi soltanto all’epoca tra Ivan il Terribile e Pietro il Grande, quando la Chiesa di Mosca si affrancò dalla tutela di Costantinopoli e guidò la politica dei primi zar Romanov. Ora proprio il potere raggiunto rischia di trasformarsi nel peggiore dei boomerang: la società dimostra di essere sempre più stanca dei proclami ecclesiastici contro il fumo e i vizi, contro tutti i diritti e la libertà di espressione (di cui padre Chaplin è stato il campione, alla maniera dei vecchi oberprokuror dell’Ottocento), e soprattutto è lo stesso Putin con i suoi adoratori (sempre più numerosi anche all’estero) a sottrarsi alla tutela dello stesso Kirill, che è stato il vero suggeritore della politica nazionalista russa fino all’esplosione populista attuale, a cui il patriarca intende ora sottrarsi. Le guerre in Ucraina e in Siria non corrispondono al programma di Kirill, che vorrebbe invece far fare alla Chiesa e al popolo russo un salto di qualità in senso più spirituale e pastorale. Il patriarca ha forse attraversato troppe e diverse stagioni per potersi accreditare come un “papa Francesco” russo, ma la sua vera aspirazione è portare la sua Chiesa a essere il leader spirituale del mondo, non meno del Vaticano. Da qui anche i contrasti continui con Costantinopoli, dai russi giudicata una Chiesa succube della “religione unica” del mondo globalizzato, guidata dalle Chiese e dalle sette occidentali, a cui la Russia si vuole contrapporre.

Il cristianesimo russo da sempre predilige gli scenari apocalittici, e gli eventi del mondo chiamano proprio a prepararsi a svolte radicali; le teste che cadono a Mosca e a Roma, nell’apparente mondo ovattato delle curie, annunciano che la battaglia si fa sempre più frenetica. L’aveva già previsto Gesù nel Vangelo: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo” (Lc 16,21).


Stefano Caprio

http://www.asianews.it/notizie-it/Licenziamenti-a-Mosca:-il-Patriarcato-verso-il-Terzo-millennio-36284.html#

Padre dall'Oglio for dummies

Padre dall'Oglio for dummies

Le sconvolgenti (jihadiste) dichiarazioni taciute dai media del gesuita "simbolo della rivoluzione" siriana in Italia


di Francesco Santoianni*

Che alcuni giornalisti creino un comitato e un sito per la liberazione di un loro amico che ritengono essere tenuto “prigioniero” è certamente cosa buona e giusta. Ma, forse, - se non altro, per la loro professione - prima di cantare le lodi di Padre Dall’Oglio quale “testimone di fede” o addirittura simbolo del Giubileo …. avrebbero fatto bene a leggersi quello che il loro amico asseriva pubblicamente.
Ad esempio, il suo ultimo editoriale , pubblicato sul blasonato Huffington Post diretto Lucia Annunziata (destinataria di una Lettera aperta da parte della redazione di Sibialiria), “La morale cristiana e l'arma chimica siriana” : “(….) Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d'immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi. È ampiamente dimostrato che il regime fa esperimenti micidiali d'uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile, proprio per vedere di superare quella maledetta linea rossa impunemente.”
Già: “cosa ci sarebbe di immorale?”. Ma il peggio deve ancora arrivare: “Invece se ci lasciate sbranare dal regime assassino, allora, ve lo promettiamo, la necessaria doverosa e disperata autodifesa ci consiglierà, ci obbligherà a costituire un tale micidiale pericolo alla sicurezza regionale da obbligarvi ad assumervi comunque le vostre responsabilità.” (….) Non è per minacciare, è invece per allarmare riguardo ad un pericolo oggettivo e già reale che mi lascio andare a propositi così drammatici.”
Si direbbe, invece, una inequivocabile minaccia in stile jihadista; del resto, basta leggere altre sue sconcertantidichiarazioni: «Sono arrivato oggi (il 27 luglio, ndr) a Raqqa (città allora sotto il feroce controllo di al-Nusra, ndr) e sono contento per due ragioni: sono sul territorio siriano in una città liberata e sono stato bene accolto. La gente nelle strade si sente libera e questa è l’immagine della madre patria che auspichiamo per tutti i siriani. Ovviamente nulla è ancora completato, ma l’inizio è buono».
Tra l’altro, non è la sua prima apertura di credito al fanatismo dei mercenari islamici in Siria. Basta leggere qui (…Avete paura dell’estremista islamico? Certo, molti lo temono; ma l’estremista islamico è un cittadino come te, non è un diavolo…) qui, (..Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi...) qui o quest’altra sua dichiarazione: ” (…) Il jihadismo è il fatto di prendere le armi per ristabilire la giustizia.”. E dei combattenti di Al Qaeda dice: “Sottolineo che sono fratelli e sorelle in umanità. Nei miei dialoghi con loro, ho riconosciuto degli uomini e delle donne che hanno una passione religiosa, un sentimento religioso che condivido. Sono persone impegnate ma innamorate di giustizia“.
Sono questi i valori ai quali si richiamano i giornalisti (tra i quali strapagati inviati RAI) del Comitato di solidarietà per Padre Dall’Oglio? Speriamo di no. E speriamo che, d’ora in poi, prima di abbandonarsi ad attestati di stima o richieste di beatificazione, si degnino di leggere quello che ha veramente detto Padre Dall’Oglio.

*Francesco Santoianni sarà da gennaio l'autore del blog "Guerra e media" su l'AntiDiplomatico
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=13847

La Russia non dà scampo: I terroristi fuggono precipitosamente dai sobborghi di Damasco

La Russia non dà scampo: I terroristi fuggono precipitosamente dai sobborghi di Damasco
 

I Media tedeschi hanno riferito che circa 2.000 terroristi dello Stato islamico e di Al Nusra hanno lasciato il sud di Damasco.

Le organizzazioni terroristiche Stato islamico e Al Nusra sono state indebolite notevolmente dopo l'operazione delle forze spaziali russe in Siria. Il 27 dicembre, circa 4.000 persone, tra i quali circa 2.000 membri dello Stato islamico e di Al Nusra, insieme alle loro famiglie, hanno lasciato il sud di Damasco, riporta il giornale tedescoDeutsche Wirtschafts Nachrichten. "Ad oOgnuno è stato permesso di prendere una valigia e un piccolo armamento", ha riportato il giornale tedesco. "Gli autobus speciali sono arrivati con ​​un giorno in anticipo per portarli alle città di Raqqa e Marea, bastioni dello Stato islamico e Al Nusra, rispettivamente."

Gli attacchi di forze aeree russe contro l'Isis hanno avuto inizio il 30 settembre scorso, su una richiesta ufficiale da parte del paese arabo. Come ha annunciato dal capo del Dipartimento Operazioni strategiche dello Stato Maggiore Generale delle Forze Armate russe, Sergey Rudskoi, durante questo periodo, gli aerei russi hanno effettuato oltre 5.200 sortite. Gli attacchi contro i gruppi terroristici vengono effettuati quotidianamente. Secondo lo Stato Maggiore, il successo dell'offensiva di terra da parte dell'esercito siriano è dovuto anche alla partecipazione della Russia.

Sergey Rudskoi ha aggiunto che le truppe siriane cingono d'assedio le organizzazioni terroristiche, anche nella provincia di Damasco. Inoltre, il giornale tedesco ha confermato, personalmente, la veridicità delle informazioni. Oltre a Damasco, sono stati compiuti grandi progressi nelle province di Latakia e Aleppo.

Il 30 settembre scorso l'aviazione russa ha lanciato la sua operazione contro lo stato islamico in Siria, su richiesta del presidente siriano Bashar al Assad. Da allora, i Su-24, Su-25 e Su-34 hanno attaccato una serie di obiettivi terroristici in varie parti del paese da una base aerea a Latakia, nel nord-ovest della Siria. Una mappa interattiva pubblicata dal portale "The  Aviationist" riporta la portata delle operazioni effettuate da parte della Russia in questo paese.
Fonte: RT

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