ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 8 gennaio 2016

Pazzerello chi?

UN CONCILIO SBAGLIATO ?

    Il Concilio Vaticano II partì con il piede sbagliato? Papa Giovanni XXIII nel convocarlo non pensava affatto ad una riforma generale della Chiesa tanto è vero che riteneva di concluderlo nel giro di due mesi                                                   di Francesco Lamendola  


  
Abbiamo già avuto modo di ricordare come papa Giovanni XXIII, nel convocare il Concilio Vaticano II, non pensasse affatto ad una riforma generale della Chiesa, tanto è vero che riteneva di concluderlo nel giro di due mesi: apertolo l’11 ottobre 1962, contava di chiuderlo per la festa dell’Immacolata, vale a dire l’8 dicembre, cioè meno di sessanta giorni in tutto.
E abbiamo anche ricordato come egli ritenesse don Lorenzo Milani, il “profetico” priore di Barbiana, «un povero pazzerello, fuggito da qualche manicomio»; come avesse espresso, fin da anni non sospetti, una netta contrarietà alla “innovazione” liturgica (e architettonica) consistente nel rivolgere l’altar maggiore, nelle chiese, non verso il Santissimo, ma verso l’assemblea dei fedeli; come condividesse il giudizio negativo sulla esperienza dei preti operai, già espresso dal Sant’Uffizio;  come, sempre in linea con il Sant’Uffizio, giudicasse in senso sfavorevole le ultime opere teologiche di Teilhard de Chardin, inclinanti verso una certa qual forma di panteismo (e sia pure “cristocentrico”); e come non si fosse mai sognato di abolire il latino quale lingua liturgica, tutto al contrario, come lo considerasse irrinunciabile, pur ammettendo, eventualmente, la celebrazione della Messa anche nelle lingue nazionali, laddove ciò fosse risultato idoneo e opportuno (cfr. il nostro articolo: «Il vero pensiero di Giovanni XXIII su messa in latino, don Milani, Teilhard e preti operai», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 12/11/2015).
Al massimo, Giovani XXIII pensava di chiudere il Concilio entro il Natale del 1962: due mesi e mezzo di lavori in tutto, né più, né meno. Ciascuno può giudicare da sé come sia possibile che, in un tempo così breve, egli immaginasse che il Concilio aveva lo scopo di riformare tutta la vita della Chiesa, tutta la liturgia, tutta la pastorale, e, magari, perfino la dottrina teologia e i dogmi; alla onestà intellettuale di ciascuno è affidata la conclusione sulle reali intenzioni del Pontefice, qualsiasi cosa si pensi di ciò che il Vaticano II è stato o di ciò che avrebbe dovuto, o potuto essere, e non è stato, o non è stato abbastanza. Quello che non è onesto, che non è legittimo, è attribuire a Giovanni XXIII chissà quali intenzioni riformatrici, o perfino rivoluzionarie; e continuare a sostenere che il vero “spirito” del Concilio non è tanto ciò che si desume da una lettura oggettiva dei documenti redatti dai Padri conciliari, ma, appunto, ciò che corrisponde a questa inafferrabile ed evanescente categoria, lo ”spirito” del Concilio, che ciascuno può interpretare, evidentemente, come preferisce, e che i cattolici i quali si autodefiniscono volentieri come “progressisti” (o, talvolta, “maturi”, “consapevoli”, “adulti”, e così via, quasi che gli altri fossero un’accozzaglia di immaturi, inconsapevoli, bambocci e, quel che è peggio, reazionari) interpretano come uno strappo, una rottura – oh, ma gioiosa e trionfante, beninteso!, con gli squilli di tromba dello Spirito Santo a fare da sottofondo – nei confronti della Tradizione, improvvisamente retrocessa e degradata da colonna portante della Rivelazione (insieme alle Sacre Scritture) a fattore di disturbo e di ritardo, a pietra d’inciampo, a palla al piede sul cammino del rinnovamento ecclesiale e delle “magnifiche sorti e progressive”.
Abbiamo anche cercato di dimostrare come tutto il Concilio si sia svolto sotto una costante e indebita pressione da parte di alcuni teologi, i quali godevano della fiducia del Pontefice (di Giovanni XXIII prima, di Paolo VI in seguito), specialmente Karl Rahner e Jacques Maritain, dunque anche laici, i quali, fatto inaudito e mai verificatosi nella storia due volte millenaria della Chiesa, presero, fin dall’inizio, la direzione intellettuale e morale dei lavori e le impressero la direzione desiderata; salvo poi pentirsi loro stessi di certi esiti e di certe derive – almeno nel caso di Maritain e di Henri de Lubac - e lamentare che qualcuno avesse voluto cavalcare un vento disordinato e deleterio di innovazione ad ogni costo (cfr. i nostri articoli: «Rahner e Maritain, cattivi maestri del Concilio?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 27/08/2012; e «Anche de Lubac, alfiere dei “progressisti”, mise in guardia contro le derive post-conciliari», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» il 21/06/2015).
Che qualcosa si sia svolto in maniera un po’ strana, fin dalle fasi preparatorie del Concilio (anzi, per essere precisi, fin dalla sua fase anti-preparatoria), non è una nostra opinione, ma emerge chiaramente dall’esame spassionato dei fatti; senza contare il non trascurabile “dettaglio” che nessun concilio ecumenico era mai stato convocato non in per dirimere una specifica questione teologica o disciplinare, ma così, per affrontare e discutere un po’ tutti gi aspetti della vita della Chiesa, della sua dottrina, della sua organizzazione e della sua liturgia.
Riportiamo, a questo proposito, una pagina del libro – libro, si badi, che fu pubblicato prima dell’inizio dei lavori del Vaticano II, e, in ogni modo, in un’ottica nettamente favorevole - di John L. Murphy, redentorista e professore all’Accademia Alfonsiana dal 1959 al 1971, «I ventun concili ecumenici» (titolo originale dell’opera: «The General Councils of the Church», Milwaukee, The Bruce Publishing Company, 1960; traduzione dall’inglese delle Benedettine del Monastero di S. Maria di Rosano, Roma, Edizioni Paoline, 1961, pp. 201-202):

«Già nel Concilio Vaticano I Pio IX aveva voluto percorrere una via del tutto nuova nella preparazione remota di un Concilio. Volle cioè sentire il parere di alcuni Vescovi. La stessa via è stata seguita da Giovanni XXIII, ma con alcuna varianti di vaste proporzioni. Mentre infatti Pio IX si era limitato a inviare un elenco di domande a cui una quarantina di Vescovi avrebbero dovuto rispondere, Giovanni XXIII ha creduto opportuno non assegnare alcun limite né  al numero dei Vescovi, Prelati, Superiori, Generali di Istituti religiosi clericali, Università Cattoliche da consultare, né al genere di argomento, consigli o suggerimenti che ciascuno avesse stimato conveniente inviare al Sommo Pontefice. Ci fu piena libertà in un senso e nell’altro.
Ne risultò un numero straordinario di persone consultate, cioè circa 2.700. Ma quel che deve aver fatto più impressione è che la grande maggioranza delle persone consultate ha risposto all’invito del Santo Padre. Sono infatti più di 2.000 le risposte catalogate dalla Commissione antipreparatoria.
Ma se la consultazione preconciliare dell’Episcopato, quanto al numero, è assai superiore a quella del Concilio Vaticano I, si perviene alla stessa conclusione a riguardo degli argomenti sui quali l’Episcopato o gli altri Ecclesiastici o Università interrogati hanno espresso i loro pareri. Nella preparazione remota del Concilio Vaticano I era stato formulato un formulario di domande su alcune questioni. Bastava dare una risposta in forma affermativa o negativa. Diversa è stata la via seguita in questa fase antipreparatoria del Concilio Vaticano II. Non si trattava di rispondere a domande preformulate, ma ciascun interrogato poteva proporre l’argomento o la questione che credeva più conveniente o adatta a una trattazione conciliare.
Se una consultazione così generale ha avuto l’inconveniente di far pervenire a Roma un ammasso enorme di proposte e di consigli, alle volte disparatissimi, avrà però consentito al Santo Padre di farsi un’idea reale della situazione e dei bisogni che si profilano sia nei luoghi più remoti della Chiesa che in quelli più vicini.
Il 17 maggio 1959, festa della Pentecoste, Giovanni XXIII costituiva una Commissione Antipreparatoria del Concilio Ecumenico che doveva classificare e sintetizzare le risposte dei Vescovi, dei Prelati, delle Università Cattoliche e dei Superiori Generali degli Istituti religiosi clericali interrogati. I membri di quella Commissione dovettero lavorare assai intensamente perché nel breve giro di un ano espletarono il loro mandato.»

Vi è qualcosa di sconcertante in questo modo di procedere, facendo precedere la convocazione di un Concilio ecumenico da un questionario inviato a quasi 3.000 soggetti, anzi, non un questionario, ma un foglio in bianco, nel quale si chiede di avanzare qualsiasi proposta e qualsiasi questione ciascuno ritenga di voler sottoporre. Ciò dà l’idea che non si sappia su che cosa incentrare il Concilio stesso e che si voglia sollecitare una sorta di mobilitazione generalizzata, con tanto di chaiers de doléance, e con la prospettiva di ingenerare aspettative enormi, proprio perché vaghe e indefinite e, pertanto, aperte a qualunque progetto e a qualunque fantasia.
È strano come il Papa, o i suoi più stretti consiglieri e collaboratori, non si siano resi conto di ciò che significava avviare un simile sondaggio di opinioni: il minimo che ci si sarebbe dovuti aspettare era che gli interpellati traessero l’impressione che la Chiesa intendesse trasformarsi in un qualcosa di simile a una democrazia parlamentare, dove si procede a colpi di maggioranza e non in base a un criterio di verità gerarchicamente stabilito. Insomma, pare strano che nessuno si sia reso conto che si stava innescando un processo analogo a quello che, nella Francia del tardo XVIII secolo, vide la convocazione dell’Assemblea degli Stati generali e poi consentì a quest’ultima di trasformarsi, per decisione propria, in Assemblea nazionale costituente, sfuggendo completamente dalle mani di colui che l’aveva indetta (il re) e avviando un processo inarrestabile di tipo costituzionale e democratico, al quale l’Antico regime non poté sopravvivere.
Parliamoci chiaro: la Chiesa, così come si è evoluta nei duemila anni della sua storia, era, ed è sempre stata, ed è tuttora, sostanzialmente una monarchia assoluta, beninteso di tipo teocratico; e una monarchia assoluta che si rivolge a migliaia di soggetti per chiedere quel che si deve fare, equivale ad una monarchia che si vuole trasformare in senso costituzionale, per mettersi al passo con quel che avviene nella società profana del mondo moderno. In un certo senso, è una operazione legittima, ma estremamente arrischiata e che non si può improvvisare, perché foriera di sviluppi imprevedibili e potenzialmente devastanti; inoltre, è una operazione che pecca appunto per un eccesso d’imperio, laddove pare sollecitare una nuova forma di partecipazione assembleare: l’imperio del sovrano assoluto “illuminato”, che decide, in modo perfettamente autocratico, quando sia arrivato il tempo di cambiare, come e quanto.
Sono in molti a pensare che Giovanni XXIII abbia inteso giocare d’anticipo rispetto a quelle forze centrifughe e destabilizzanti le quali all’interno della Chiesa, minacciavano, se non governate, di incrinarne seriamente la stabilità e l’armonia: proprio quelle tendenze che egli aveva visto, e intimamente biasimato, nelle forme di una pastorale “dal basso”, polemica verso la gerarchia (don Milani), di una nuova liturgia “orizzontale” in luogo di quella “verticale” (l’altare rivolto ai fedeli e non a Dio), di una introduzione surrettizia di concetti mutuati dal marxismo e dalla lotta di classe (preti operai), di una teologia sempre più arrischiata su ardui sentieri d’intellettualismo anti-tomista e quasi gnostico (Teilhard de Chardin), di un “dialogo” inter-religioso che rischiava di scivolare nel relativismo e nell’abdicazione della specificità della proposta cristiana (pretesa di mutare il senso della formula: «Extra Ecclesiam nulla salus», equiparando tutte le religioni e indicandole come altrettante legittime strade per la salute dell’anima).
Se così è stato, bisogna concludere che Giovanni XXIII sottovalutò la portata delle forze da lui stesso poste in movimento. Come poteva pensare di concludere il Concilio in soli due mesi, dopo più di tre anni di preparazione e dopo aver lasciato trasparire l’intenzione di ascoltare tutti, di sollecitare tutti, di chiedere, quasi, la direzione da prendere, dopo che, per duemila anni, era stato il Pontefice stesso a indicare la strada, nel pieno rispetto della Rivelazione? Anche lui, forse, aveva introiettato un dato centrale della cultura moderna: l’idea che la gerarchia deve essere mitigata dalla democrazia, il verticismo dall’assemblearismo; che un governo, per essere pienamente legittimo, anche il governo della Chiesa, non può ignorare il fatto che la democrazia si è imposta ai popoli come la sola forma di governo pienamente legittima. Convocando il concilio ecumenico – cosa che già Pio XII era stato tentato di fare, ma cui aveva rinunciato per la coscienza dei rischi che ciò comportava – egli volle forse mostrare che la Chiesa non temeva il mondo moderno, che si apriva alla sensibilità democratica e che cercava il consenso di tutti, ripudiando la tradizione autocratica. Ma, di nuovo, se è stato così, allora egli ha commesso l’errore di far sua l’idea moderna, sbagliata e fuorviante, che una autocrazia debba essere, necessariamente, anche arbitraria e tirannica, o, comunque, una istituzione dalla dubbia legittimità. Il potere autocratico medievale, per esempio, e non solo quello del papa, ma anche quello del sovrano, era bensì autocratico, ma non arbitrario, e tanto meno tirannico. Avremo occasione di tornare presto su questo concetto. Per intanto, resta la semplice verità che, anche per i cristiani d’oggi, al di sopra della democrazia, c’è pur sempre Dio…


Il Concilio Vaticano II partì con il piede sbagliato?

di Francesco Lamendola

2 commenti:

  1. Sto lamendola dev'esser proprio un allocco di proporzioni cosmiche!

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    Risposte
    1. Non sarei così ingeneroso..!
      Certamente non è critico su Roncalli come potrebbe (dovrebbe?) essere (ad es. se avesse letto il libro NichitaRoncalli) e come molta letteratura ha evidenziato.
      Non bisogna però nemmeno negare gli aspetti positivi, che ha evidenziato!
      Il bilancio totale, per me é molto negativo, ma vi erano residui (ingenui?) che pure non vanno negati.

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