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sabato 12 marzo 2016

Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.. 1Cor. 10,12

Papa: tre anni; "cultura dell'incontro" al primo posto

Priorità papato abbattimento distanze confessionali e politiche



Il suo metodo lo ha nuovamente ben spiegato il 12 febbraio scorso, durante il volo che lo portava dall'Avana a Città del Messico, subito dopo lo storico incontro nella capitale cubana col patriarca Kirill, primo abbraccio della storia tra un capo della Chiesa di Roma e uno della Chiesa ortodossa russa. "L'unità si fa camminando - ricordò al gruppo dei giornalisti al seguito -. Una volta io ho detto che se l'unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, forse verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l'unità. L'unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando".

Per papa Francesco, nei suoi tre anni di pontificato, questa è stata sempre la priorità e questa è stata sempre la modalità che gli ha permesso di portare a casa risultati che i suoi predecessori hanno soltanto sognato, come appunto l'epocale riavvicinamento col Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie.
Prima di tutto l'incontro personale, la manifestazione concreta di vicinanza e di prossimità col gesto dell'abbraccio e della stretta di mano, la conversazione franca e amichevole a tu per tu con l'interlocutore: i segni di un ponte che viene gettato, di una distanza che viene colmata, tutto il resto - le convergenze su carta, le fasi attuative - verrà dopo. Un po' come il generale De Gaulle, e prima di lui Napoleone, secondo cui, una vola assunte le decisioni, "l'intendenza seguirà".
"Io mi sono sentito davanti a un fratello, e anche lui mi ha detto lo stesso - riferì ancora del colloquio con Kirill -. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese, per prima cosa; e in secondo luogo, sulla situazione del mondo, delle guerre, guerre che adesso rischiano di non essere tanto 'a pezzi', ma che coinvolgono tutto; e della situazione dell'Ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso...". Meno decisiva dell'incontro e del colloquio personale e fraterno, per Francesco, era invece la dichiarazione congiunta firmata in quell'occasione, su cui già prevedeva critiche e riserve: "ci saranno tante interpretazioni, tante", ventilò, ma quello per lui poco contava. L'importante è che ancora una volta, e con un esito così importante, la "cultura dell'incontro", il suo vero cavallo di battaglia, aveva vinto, aprendo la strada a sviluppi e percorsi che finora si potevano soltanto immaginare. E anche le commissioni teologiche, gli uffici diplomatici, le relazioni interconfessionali dovranno piegarsi alla nuova situazione.
Appunto, "l'intendenza seguirà".
Per Bergoglio funziona così in campo ecumenico (primo Papa in un tempio valdese, primo in una comunità pentecostale, in entrambe le situazioni a chiedere "perdono" per le passate persecuzioni, a novembre andrà in Svezia a celebrare i 500 anni della riforma di Lutero), in campo interreligioso (ha ricucito il doloroso strappo con l'università di Al-Azhar dopo il discorso ratzingeriano di Ratisbona, a breve sarà il primo Papa alla Grande Moschea di Roma, la maggiore dell'Occidente), in campo politico (quest'ultimo anno, oltre al disgelo promosso tra Usa e Cuba e ora anche la pacificazione in Colombia, ha visto i suoi grandi discorsi al Congresso a Washington e all'Onu a New York), in campo sociale dove la sua predicazione riveste sempre più un ruolo profetico, come per la "terza guerra mondiale a pezzi", per l'accento sull'emergenza globale delle migrazioni e contro la "cultura dello scarto", per l'allarme sui mutamenti climatici con la sua enciclica Laudato si', diventata uno dei testi-guida per la politica internazionale, lodata dai grandi del pianeta, come si è visto anche al vertice Onu sul clima a Parigi. Non è esagerato dire che non ci sia attualmente al mondo un leader morale autorevole e credibile al pari di Francesco.
Un Papa che nel suo Anno Santo straordinario ha distillato l'"imprinting" di una Chiesa votata come non mai all'etica esclusiva della misericordia: una Chiesa la cui missione primaria è la vicinanza ai bisognosi, agli esclusi, agli emarginati (è lungo l'elenco delle manifestazioni di vicinanza di papa Bergoglio, dai senzatetto ai carcerati, dai profughi accolti in Vaticano e nelle parrocchie ai malati, specie se bambini, dai disabili ai tossicodipendenti), e che lo stesso atteggiamento di comprensione, accoglienza e dialogo lo manifesta in tutte le questioni che riguardano l'attualità globale, i rapporti tra i popoli, la necessità di porre fine ai conflitti, il riscatto dei sofferenti, il sollievo per chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalle privazioni, dalla desertificazione. Proprio come nel messaggio di quel santo il cui mandato questo Papa porta scritto nel nome, Francesco, il santo dei poveri, della pace, della protezione del creato.  
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Mancuso: "Francesco, un grande profeta. Ma ha poco coraggio nel governo della Chiesa"

Intervista al teologo sui primi tre anni di Papa Bergoglio: "Il problema è che i gesti sono radicali ma non lo è altrettanto l'azione di riforma. Le perle del pontificato? L'impegno per i poveri, per la giustizia sociale, per l'ecologia. Ma ora temo l'effetto boomerang"
BOLOGNA - La semplice tunica bianca con cui si affaccia alla loggia di San Pietro. Quel saluto - "buonasera" - rivolto alla folla in piazza. La scelta del nome. La rinuncia all'appartamento nel Palazzo apostolico. In poche ore, tre anni fa, Francesco "travolge" il mondo con gesti che appaiono rivoluzionari. In tanti salutano il nuovo corso come un felice incontro tra la Chiesa e la modernità, nella scia del Concilio. Ma cosa è stato di quelle aspettative, tre anni dopo? Vito Mancuso - teologo vicino alle posizioni espresse nel cattolicesimo dal cardinale Carlo Maria Martini - fa un pausa prima di rispondere a questa domanda. "Non credo sia la modernità la chiave per interpretare il pontificato", dice scuotendo la testa. "Forse era più moderno Paolo VI, con la sua propensione a sentire l'inquietudine, la capacità di distinzione, i dubbi tipici della modernità. Francesco invece è molto più attento alla dimensione cristiana, nel senso profetico e radicale del termine". 
I gesti di papa Bergoglio sono rivoluzionari?
"Forse sì, ma nella misura in cui è rivoluzionario il Vangelo. Quei gesti ci hanno colpito per la loro genuinità, l'energia interiore, perché hanno il sapore del pane di casa. Ma il problema di questo pontificato è che alla radicalità dei gesti non corrisponde quella del governo. Il Papa non è chiamato necessariamente a essere un profeta ma è colui che deve governare la Chiesa cattolica, il suo primo legislatore. E la fortissima popolarità di Francesco, in particolare nel primo periodo, poteva consentirgli scelte di maggiore coraggio".

Partiamo da due Sinodi sulla famiglia: li considera un fallimento? 
"Parlare di fallimento è impossibile perché sono stati celebrati, hanno prodotto dei documenti. Ma non li considero un successo, perché siamo qui ad aspettare l'esortazione postsinodale che il Papa deve scrivere per capire come risolverà il nodo principale: quello dei sacramenti ai divorziati risposati".
La soluzione uscita dall'ultimo sinodo, che affida tutto alla scelta del confessore, le sembra inadeguata?
"L'orientamento del pontificato deve avere una precisa direzione, pur rispettando il discernimento del singolo pastore. Privilegiamo la cura pastorale della singola persona o la tradizione? Al momento non è chiaro".
Il Papa doveva procedere con una riforma 'motu proprio'?
"Penso di sì. Ma sono tanti i campi in cui poteva fare scelte di governo più nette. Quando è stato eletto, ci si aspettava che desse una bella ripulita alla struttura e invece ci sono ancora gli scandali, come hanno rivelato i libri di Nuzzi e Fittipaldi. Ci sono stati errori nella selezione di collaboratori, come Balda e Chaouqui. E poi non basta fare la scelta di Santa Marta fino a quando ci saranno cardinali in superattici lussuosissimi. Anche sulla questione della pedofilia, le grandi parole - tolleranza zero, vicinanza alle vittime - non hanno avuto sempre conseguenze canoniche. Per esempio non hanno portato alle dimissioni di prelati potenti e chiacchierati".
Il cardinale Pell dovrebbe essere costretto a dimettersi?
"Io faccio riferimento alle parole di Francesco: un vescovo che ha coperto, anche solo in parte, sacerdoti colpevoli di questi crimini orribili non può restare al suo posto. L'ha detto più volte. Infine c'è la questione sempre irrisolta delle donne nella Chiesa. Tutti i Papi esaltano il genio femminile. Ma nel mondo protestante hanno donne vescovo, o almeno pastore. Qui da noi non si arriva neppure a parlare di diaconato".
Quali sono state invece, finora, le 'perle' di questo pontificato?
"L'attenzione ai poveri, alla giustizia sociale, all'ecologia, la splendida enciclica Laudato si'. Francesco è uno dei pochi leader mondiali con una coerenza personale: vive in prima persona quello che dice, il suo messaggio è limpido. Va in Messico, alla frontiera, e fa arrabbiare alcuni politici americani, parla della salute del pianeta e si mette contro le multinazionali. Fa benissimo il profeta e questo lo aiuta a ottenere i grandi successi della diplomazia pontificia. Penso ai rapporti con le altre religioni, all'intervento sulla Siria del primo anno, all'operazione Cuba".
Chiudiamo con l'Italia. Per la Cei le unioni civili sono state un banco di prova importante. Il Papa che ruolo ha avuto?
"L'influenza di Francesco in parte c'è stata. L'impegno del mondo cattolico nel cosiddetto Family day mi è sembrato meno totalizzante che nel passato. Ma anche qui c'è una certa ambiguità: penso all'intervento di Bagnasco a favore del voto segreto in Senato, che è stato un po' un ricadere nelle tendenze ruiniane all'interferenza. Perché il presidente della Cei non è stato sostituito? Si vuole dare l'immagine di una Chiesa perennemente unita e concorde dietro il Papa, ma è solo retorica ecclesiastica. C'è una foto, l'ho twittata nei giorni scorsi. Mi sembra un emblema del suo isolamento.

E le nomine di nuovi vescovi?
"Questo è uno degli aspetti più positivi del pontificato almeno per chi come me condivide l'approccio di Martini, che parlò di una Chiesa cattolica rimasta indietro di duecento anni. Il criterio non è più verticistico. Vengono pescati, dal basso, quei pastori che hanno dimostrato grande vicinanza al popolo di Dio. Così è stato a Palermo, a Padova, a Trento e qui a Bologna dove Zuppi, che apre alla moschea, arriva dopo Biffi che più di altri tuonava contro i musulmani".
In futuro questo Papa sarà capace di sorprenderci ancora?
"Ottimismo della volontà, pessimismo della ragione. Io temo l'effetto boomerang. Ci è apparso come un Papa che avrebbe cambiato tutto, e invece è quasi tutto fermo. C'è stato un netto calo di fedeli alle udienze nel 2015, rispetto al 2014. E anche il Giubileo non sta andando come previsto. Nella Chiesa cattolica stanno aumentando di intensità due forze diametralmente opposte: gli innovatori, come me, e chi invece chiede di tornare alla 'sana tradizione'. Una caratteristica diffusa soprattutto tra i giovani sacerdoti. Il Papa sta al centro. Se non decide, rischia di passare come una bella meteora luminosa".

1 commento:

  1. Per una volta sono d'accordo con Vito Mancuso (solo nella conclusione): 'Ottimismo della volontà, pessimismo della ragione' è il motto che ben potrebbe riassumere la figura di papa Bergoglio.
    Articolando ulteriormente il pensiero: questo papa non solo nei fatti crea notevole sommovimento (effetto della sua volontà) ma lo teorizza anche. Ha spiegato più volte, in vari modi, che dove non c'è confusione e sommovimento ci si addormenta, non si è più aperti alle 'novità dello Spirito'.
    Che sarebbe come suggerire ai genitori, agli insegnanti, agli educatori che ai propri figli, ragazzi, studenti, va insegnato che - in una circostanza ben precisa - una volta si devono comportare così, la seconda volta cosà e la terza colà.
    Il tutto per il bergogliano principio morale che, se io adulto do un'indicazione precisa di comportamento di vita, i ragazzi 'si addormentano'.
    Marisa

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