ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 16 marzo 2016

Grilli cocchieri in orgasmo di gaucho

Lavanda dei piedi: il papa inaugura un uso e il prefetto lo ostacola apertamente 

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“I preti non sono tenuti a lavare i piedi alle donne il giovedì santo”: di per sé questa dichiarazione del Card. Sarah è formalmente corretta. Nello stile astratto e disincarnato con cui viene pensata la liturgia in alcuni ambienti della curia romana, di fronte alle difficoltà e alle novità, ci si rifugia facilmente nel formalismo e nella indifferenza della “norma”: di fronte alla domanda interessata di “rito antico”, si crea con disinvoltura un libero parallelismo, che genera solo confusione; di fronte alle forme del rito di pace, si ricorda semplicemente che il gesto non è obbligatorio, oltre a definire “abuso” ogni canto e ogni movimento durante il rito; di fronte alla “nuova rubrica” voluta da Francesco per la lavanda dei piedi, ci si limita a ricordare che non obbliga nessuno.

E’ questo il compito del Prefetto della congregazione del culto? Deve solo quieta non movere e mota quietare? O forse deve prendere l’iniziativa solo quando si tratta di proporre la introduzione dell’offertorio di Pio V nel messale di Paolo VI? Questo è il modo di applicare il Concilio?
Se all’epoca di Sacrosanctum Concilium avessimo avuto il Card. Sarah come incaricato di applicarlo, che cosa avrebbe fatto dei nn. 51-57 della Costituzione? Se la maggiore ricchezza biblica, l’omelia quotidiana, la preghiera dei fedeli, la lingua vernacolare, la concelebrazione e la comunione sotto le due specie fossero state giudicate semplicemente come “cose non necessarie” – secondo tradizione – allora avremmo avuto una “vera” riforma liturgica, in cui tutto sarebbe rimasto come prima. Perché, a guardarle bene, tutte queste riforme non potrebbero essere, in fondo in fondo, nient’altro che “abusi regolarizzati”?
Allora veniamo al punto-chiave: una cosa è “guardarsi dagli abusi” e altra cosa è “reimparare gli usi”. Su questa distinzione si può capire la linea profetica di Francesco e quella difensiva di Sarah: da un lato Francesco, per ottenere un uso “più pieno” del segno della lavanda dei piedi, può arrivare anche a commettere un abuso (come è avvenuto, tecnicamente, con la lavanda dei piedi in carcere, dall’aprile 2013 al gennaio 2016); per Sarah, invece, nell’intento di evitare ogni abuso, si può arrivare persino a negare l’uso.
E dobbiamo chiederci, allora: il Concilio Vaticano II che cosa voleva realizzare? la repressione degli abusi o la rinascita degli usi? In questo fraintendimento grave del Vaticano II, Sarah si colloca del tutto al di fuori della logica con cui Francesco intende procedere, riprendendo in pienezza la linea del Concilio. Egli punta sul rilancio di usi rinnovati, piuttosto che sulla lotta agli abusi vecchi e nuovi.
Ed è qui, io credo, che la dichiarazione di Sarah diventa un esplicito ostacolo alla logica voluta da Francesco: il fatto di recuperare la “pienezza di un segno” non può essere in alcun modo mediato dalla sua riduzione alla dimensione del “non necessario”. Non è così che si incentiva la liturgia, e questo è chiaro non solo per la “lavanda dei piedi”, ma anche per il “rito di pace” e ancor più per il parallelismo tra forme diverse del rito romano.
D’altra parte questa differenza appare anche dal confronto tra la lettera del papa, confermata anche dal testo del decreto, e la dichiarazione del Prefetto. Il papa non ha chiesto di “rimuovere un abuso”, ma di “esprimere pienamente il significato del gesto”: egli vuole infatti migliorarne le modalità di attuazione, affinché esprimano pienamente il significato del gesto compiuto da Gesù nel Cenacolo, il suo donarsi ‘fino alla fine’ per la salvezza del mondo, la sua carità senza confini”.
Da questa differenza tra preoccupazione solo per l’abuso e promozione pastorale  dell’uso discende tutto il resto. Ma decisiva, qui, non è tanto la differenza tra papa Francesco e il card. Sarah, bensì quella tra l’attuazione appassionata del Concilio Vaticano II e la insofferenza malcelata verso di esso. Ed è questa dichiarata insofferenza che, quando emerge apertamente in un Prefetto, non può essere affatto considerata come un nonnulla: di fronte a questa risentita indifferenza non si può restare indifferenti.
di Andrea GrilloPubblicato il 16 marzo 2016 nel blog: 

SI AVVICINA IL 19 MARZO, MEMORIA DI SAN GIUSEPPE: SARÀ LA FESTA DI «GENITORE 1» O DEI «DUE MAMMI»?

Si avvicina il 19 marzo, memoria di san Giuseppe: sarà la festa di «genitore 1» o dei «due mammi»?
Da figli (prima) a genitori (poi) chi non è passato dai pensierini e dalle letterine fatte sui banchi di scuola per la festa del papà e della mamma? Ebbene, a Milano, un asilo ha deciso di dare un colpo di spugna al tradizionale lavoretto per la ricorrenza che si celebrerà sabato prossimo 19 marzo. Nel giorno in cui si festeggia San Giuseppe e si ricorda l’amore e l’affetto per la figura paterna, i bambini dell’asilo comunale di via Toce, al quartiere Isola, non avranno così né una letterina, né un lavoretto dedicato all’amato papà.
La sfortunata decisione, diffusa da alcuni genitori e nonni dell’asilo, sarebbe stata assunta per non offendere le 'famiglie arcobaleno'. In realtà, si viene poi a scoprire più tardi, sarebbe una sola la 'famiglia' che avrebbe potuto trovarsi in imbarazzo sabato prossimo: quella di un bambino con due mamme. Per loro, che avrebbero certamente avuto qualche difficoltà ad indicare al proprio figlio a chi consegnare il pensierino preparato con tanto amore in classe, le insegnanti avrebbero infatti deciso di abolire la festa.

Contattata per telefono, la scuola non risponde e rimanda al Comune. C’è stupore sulla «notizia che è una non notizia» ma addirittura una «bufala», dicono dall’ufficio stampa o «solo una montatura», come conferma l’assessore all’Educazione del Comune di Milano, Francesco Cappelli rispondendo alle repliche in Consiglio comunale. Dalla città che ha abolito 'madre e padre' dai moduli per le iscrizioni scolastiche, sostituendolo con un più generico 'genitore 1 e genitore 2', per non discriminare le 'famiglie arcobaleno' - quelle cioè composte da due donne o da due uomini - il Comune getta acqua sul fuoco delle polemiche e bypassa la questione.
«La scelta di come festeggiare la festa del papà e della mamma è a discrezione delle educatrici di ogni scuola dell’infanzia, che organizzano la programmazione didattica ed educativa in base alla loro sensibilità e al gruppo classe dei bambini» dichiara l’amministrazione. Intanto la scuola ci ripensa e conferma: quest’anno il lavoretto in classe non sarà legato alla ricorrenza del 19 marzo, ma all’origine delle varie etnie. Ma fuori dall’asilo, i genitori non sembrano averla presa bene. «Non è la stessa cosa – dice un papà – non capisco perchè eliminare una consuetudine che si concretizzava con un gesto d’affetto e restava nel tempo».  

5 commenti:

  1. Ma non è stato il card. Sarah che ha varato la possibilità di lavare i piedini anche alle femminucce, firmando il decreto ? jane

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    1. Cos'altro poteva fare..E' passato un anno tra la richiesta del papa e la firma del decreto , già questo è indicativo. Oggi ribadisce che non c'è nessun obbligo.

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    2. E' vero, ma evidentemente cerca di correre ai ripari, per non perdere(speriamo) le poche possibilità che gli possono restare.. forse)

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  2. Poteva dire di no, visto che è una cosa sbagliata! Chiudere la stalla dopo che i buoi se ne sono andati non è un'ideona ! jane

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    1. Mi pare difficile, c'è comunque l'obbedienza anche per i cardinali. Di fronte a una richiesta secca e perentoria non credo che ci fossero altre possibilità, lo avrà fatto obtorto collo. Anche Ratzinger dovette dare l'assenso ad Assisi '86 pur non essendo affatto convinto. L'alternativa , nemmeno troppo velata è lo scisma

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