ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 25 marzo 2016

La nostra ora?

SCHIAFFO AI "CRISTIANI ESTINTI"

        L'oltraggio perpetrato a tutto il mondo cristiano con gli attentati di Bruxelles: tra genocidi e suicidi multiculturali il Cristianesimo si è forse estinto? Con il nostro 11 settembre "europeo" nasce ufficialmente l'Eurabia 
di Andrea Cometti  




La mia personale impressione è che gli europei (o forse solo i suoi inadeguati governanti), non si sono ancora resi conto della portata storica degli attentati di Bruxelles: manca solo l’articolo della compianta Oriana Fallaci a sancirne l'importanza, ma è il nostro vero “11 Settembre europeo".
Che la capitale dell’Unione Europea fosse una città a prevalenza islamica, lo si sa da molto, troppo tempo, come ormai lo sono tutte le città dell’intera Europa: il processo di trasformazione e sostituzione etnico-religiosa è quasi completato, all’appello manca solo la Turchia prossima all’’entrata nell’Ue con i suoi 80 milioni di islamici e poi possiamo usare tranquillamente  e a pieno titolo il famigerato termine di “Eurabia”.
Ora, ci si chiederà delle radici cristiane dell’Europa, (o giudaico-cristiane fate voi), ma il treno è stato già abbondantemente perso nel 2002 con il loro mancato riconoscimento nella inesistente Costituzione europea, al tempo di Valerie Gisgard d’Estaing, il disegno di islamizzare l’Europa appare palese in quegli anni e nessuno da allora ha fatto nulla, portandoci dritti all’odierna “Babele multiculturale”, all’odierno inevitabile disastro.
E chiaro, che chi di questo fallimento ne è stato artefice e promotore, mai se ne accollerà la paternità: la vittoria, si sa, ha tanti padri, ma “la sconfitta è sempre orfana”. Il risultato incontrovertibile è che questa governance Europea (ma con la testa pensante negli Usa) ci ha portato la guerra in casa, e non una semplice guerra, bensì una guerra di religione (la peggiore possibile), con la stessa tipologia guarda caso che si sta combattendo da 60 anni in Israele e Medio-Oriente.
Parigi come Beirut, Bruxelles come Gerusalemme insomma? Certo che sì, e non per i morti e le stragi reciproche in stil "israelo-palestinese", ma perchè basta leggersi bene la storia, (quella vera) per determinare e capire interessi e strategie più o meno “Top secret”.
Quello che però manca tristemente all’appello è il mondo Cristiano: dov’è, esiste ancora, si può ancora parlare di Europa cristiana?
La risposta negativa e definitiva è arrivata con lo schiaffo di Bruxelles il 22 Marzo scorso, dove nella settimana santa della maggior festa Cristiana “La Santa Pasqua della Resurrezione” il terrorismo islamico ha dimostrato che il Cristianesimo neanche lo considera meritorio di rispetto nelle sue sacre festività, come se proprio non esistesse. Al solito l’Islam moderato tace, e sotto sotto si compiace e non è un segreto: l’Europa è già terra loro, è già conquistata grazie al “ventre delle loro donne” e alle compiacenti sinistre “laiche” e catto-comuniste europee.
Se Voltaire ha fallito, anche la Sacra Romana Chiesa ha fatto karakiri permettendo questa indiscriminata islamizzazione dell’Europa, sorda agli appelli dei cardinali alla Giacomo Biffi, delle Fallaci o dei Magdi Cristiano Allam, incurante che oggi mancano circa 1.000.000 (un milione) di confratelli Cristiani, decapitati, torturati e uccisi barbaramente da fanatici islamici: il segretario Usa John Kerry ha appena fatto ammenda e "preventiva" penitenza al riguardo.
La cruda realtà è che oggi i Cristiani, sono stati annientati e spazzati via dal Medio-Oriente e ormai dalla loro stessa "Casa europea", un suicidio multiculturale assistito con benedizione papale annessa: i Cristiani non esistono proprio, ricacciati nel silenzio delle loro catacombe. Per loro, essendo  estinti l’appellativo “Genocidio” non può essere usato figuriamoci a rispettarne la Pasqua della . . . Resurrezione.

SCHIAFFO AI CRISTIANI "ESTINTI"

Editoriale dAndrea Cometti

Andrea Cometti
Direttore editoriale 

In redazione il 25 Marzo 2016

 http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8297:buona-pasqua-insanguinata&catid=51:editoriali&Itemid=74

Bruxelles, oblio del fariseismo, Via Crucis e
Resurrezione 
L'importanza di imparare a camminare tra il grano e la
zizzania
Bisogna guardare il volto di Cristo morente. Tutto ciò
trasmette il messaggio senza tempo: l’uomo è fatto
per vivere con Cristo, eternamente 
di Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo di Catanzaro
Bertolone vescovo
 Bruxelles e il percorso della Via Crucis                                                         
Catanzaro, Bruxelles – di Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo di Catanzaro – Dopo i fatti di Bruxelles che senso ha andare dietro ad un crocifisso? possiamo parlare ancora di Pasqua  di Resurrezione? Il percorso della via Crucis ed il triduo pasquale  esprimono, devozione, gesti, liturgia e recano con sé una forza incredibile sul piano della spiritualità e della costitutiva trascendenza dell’essere umano. Da esse si sprigiona un fascino magnetico che coinvolge ed interpella le coscienze, anche di chi è distante (o tale  si ritiene), dalla fede. Questa predisposizione spirituale  raggiunge il suo culmine nella processione del venerdì santo, che attraverso la rappresentazione della salita al Calvario del Cristo condannato alla crocifissione  si fa metafora del cammino individuale di ognuno di noi.
È in questo interrogarsi, nella ricerca del sé nascosto tra le pieghe dell’anima, che la processione del venerdì santo dice ad ogni uomo che il silenzio è un’esperienza di purificazione, di profondo discernimento e perciò bisogna guardare il volto di Cristo morente. Tutto ciò trasmette il messaggio senza tempo: l’uomo è fatto per vivere con Cristo eternamente.
 L'oblio dell'Europa senza il Dio di Gesù Cristo                                            
Ma tornando ai fatti di Bruxelles  non posso non  ripetere  che “il sonno della ragione genera mostri” e le cui azioni non hanno né il profumo dell’uomo, né tantomeno il profumo di Dio. Il mondo e l’Europa sono tanto poveri da non  riconoscere  l’oblio di Dio come “mancanza”. Per questo si deve parlare di Pasqua di Resurrezione anche in questi giorni tristi e in queste ore difficili, bagnate una volta ancora dal sangue: il dramma d’amore di Cristo ci dà la certezza che il male non avrà mai il sopravvento sul bene. Nel cuore della vecchia Europea e nel Belgio, simbolica capitale dell’indefinita Unione Europea, come nel resto del mondo, si combattono guerre dimenticate ma non per questo meno sanguinose. La Pasqua parla da sé: il figlio di Dio che sceglie la croce per la salvezza degli uomini è la dimostrazione evidente della follia della croce espressa dalla fede  al contrario di chi, invece, sceglie la via della distruzione e della morte per imporre, farneticando, il predominio del proprio “unico” dio.
 "Non pregate come i farisei!"                                                                          
Cari amici, abbiamo bisogno di riscoprire le nostre radici cristiane e di ravvivare la  fede con i suoi valori eterni seguendo lo stile di  Cristo Crocifisso: “Non pregate come i farisei… Non fate come loro… Non così tra voi… Nessuno ha mai parlato come quell’uomo…”. E, ancora: pesate la portata dell’offerta di quella vedova, imitate l’atteggiamento umile di quel pubblicano al tempio, pensate al modo di farsi prossimo del  samaritano, non giudicate secondo le apparenze,… Sì, la vita cristiana,  alla sequela del Signore Gesù è una questione di stile che ci dà il ritratto del cristiano.
 Imparare a camminare tra il grano e la zizzania                                         
Per seguire le tracce di Cristo si dovrà camminare tra il grano e la zizzania, dovremo imparare a distinguerli cominciando da quei loro semi che germogliano nel nostro cuore; si dovrà guardare il cuore dell’altro e le sue ferite, fino a scorgere persino  dentro l’omicida  l’uomo che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio, connotati che permangono indelebili nonostante il male e il peccato. È follia pensare di fronteggiare le mafie, i corrotti, i violenti con la forza disarmata del Vangelo?Forse, ma di quella stessa follia che chiede di amare i nemici e di pregare per i persecutori, di odiare il male, ma amare le persone, anche quelle che sembrano aver smarrito la loro appartenenza all’umanità. Solo così la presenza dei cristiani nella compagine umana si rivelerà sale e luce; solo così pace e giustizia si abbracceranno, solo così vedremo germogliare nel campo del mondo arcobaleni in cieli nuovi e terra nuova, dove l’uomo non sarà più lupo all’uomo.
 Coraggio non temere!                                                                                        
Cari amici  ecco che cosa significa essere  discepoli di Cristo, cristiani  coerenti, credibili. Dobbiamo formare i nostri giovani non al buonismo, né al catastrofismo,  ma a guardare la vita con l’occhio di Dio crocifisso e risorto, ad essere veri ad avere un’identità cristiana  genuina e autentica. Se così non sarà " il cristianesimo se ne va e con esso,  se ne va tutta la nostra cultura e, forse, come ha scritto qualcuno,  "si dovranno attraversare molti secoli di barbarie".  Certamente abbiamo il dovere non solo di curare la nostra identità, ma  di custodirla nei suoi tratti fondamentali e nella visione della vita e del mondo.  Allora, nonostante il buio del tempo presente,  ha senso parlare della Croce e della  risurrezione di Cristo che ci ricordano che ai discepoli di Gesù Cristo è dato per grazia di offrire un luogo all’utopia del bene che vince il male, in sé come nell’altro. E quel luogo può essere non al di là del mare, ma vicinissimo a noi, sulla nostra bocca e nel nostro cuore. Viviamo nel mezzo di un passaggio epocale: abbiamo il compito di costruire il mondo che verrà. Coraggio, non temere!” è la parola del Signore per l’oggi di ciascuno di noi.
Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo di Catanzaro (Copyright © 2016 Qui Europa)
Partecipa al dibattito – infounicz.europa@gmail.com

Bruxelles, oblio del fariseismo, Via Crucis e Resurrezione


Gli attentati a Bruxelles non devono scoraggiare né spaventare i romani. In particolare, i giovani devono continuare a frequentare i luoghi di sempre – biblioteche, parrocchie, piazze – con lo spirito di sempre, specie in questi giorni nell’imminenza della Pasqua.
Intervistato da RadioGiovaniArcobaleno, cui ha rivolto gli auguri per la Pasqua, il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, ha ricordato che, in circostanze come quella attuale “la prudenza è necessaria a tutti, giovani e non giovani, perché nessuno conosce le intenzioni” dei terroristi.
La situazione che viviamo, comunque, non deve costringere la popolazione ad allontanarsi “dalle abitudini, dagli impegni e dal lavoro” quotidiani, anzi, deve spingere a “guardare con queste vicende con spirito di speranza e di ottimismo”, ha aggiunto il porporato.
“Celebrare la Pasqua in questo contesto – ha proseguito – vuol dire riscoprirne il vero senso. Gesù è venuto a dare all’uomo il suo valore autentico di uomo, che si libera dal male, dalle ingiustizie, dalle violenze, dal sangue e portarlo nella sfera della resurrezione che vuol dire cambiare la vita con la forza dello spirito che è dono di Cristo risorto, per essere capaci di giustizia, di solidarietà, di bene, di impegno”.
Non si tratta, dunque, di “tirare i remi in barca” ma di “cogliere questo segno del tempo per un impegno maggiore a favore di tutti”, ha quindi concluso il cardinale Vallini. [L.M.]
https://it.zenit.org/articles/vallini-guardare-ai-fatti-di-bruxelles-con-speranza-e-ottimismo/

Tremate! Satana è arrivato al Quirinale...

In Arte Belzebù. Tutti i peccati d’Arte Contemporanea

Satana al Quirinale. Che fosse già in Vaticano lo si sapeva da tempo. L’evento “In ARTE BELZEBU’ – Peccati d’Arte Contemporanea” avrà luogo nel Complesso Monumentale dei Dioscuri al Quirinale il 14 Aprile 2016. Diabolus ex machina della mostra è il noto Emilio Sturla Furnò e la gallerista Giovanna Gazzolo di Gall’Art Roma in collaborazione con l’AssociazionePresidio Italia.
Ecco dunque che il Signore del Male entra in maniera riconosciuta nel campo artistico d’oggi con oltre 50 opere esposte di Camilla Ancilotto, Sonia Ceccotti, Gianluigi Contesini, Eugenia F. di Napoli, Margherita Lipinska, Ekaterina Malakhova, Costantin Migliorini, Alik Assatrian, Ewa Kuzniar, Paola Romano. Ovviamente il Diavolo ama la pubblicità e la “vanità è il suo peccato preferito” ma continua a prediligere l’azione silente, non vista e proprio quando si espone – come in questo caso – vuol dire che ormai il suo gioco è fatto.  A un occhio attento non sfuggirà come gli artisti presenti siano non soltanto italiani ma dall’Est europeo, dal Sud America e da Paesi Arabi, perché Lucifero è sempre “democraticamente ecumenico”.
Il collocare una mostra su Satana in uno dei palazzi regali del Papa durante il Rinascimento la dice lunga sugli intenti controiniziatici dell’evento; infatti da sempre i demoni corrono dove il Sacro non esiste più. 
Constantin Migliorini - Attesa" (Olio su tela - 100x120 cm)
Constantin Migliorini – Attesa” (Olio su tela – 100×120 cm)
A tal punto è ormai giunta l’attività demonica, non soltanto a Roma ma nel mondo, da non stupircene più, rendendo sempre più attuale Baudelaire che diceva “il miglior inganno del Diavolo è farci credere di non esistere” e se molti sono i “luoghi satanici” da secoli deputati proprio nell’Urbe, essi oggi sono ancor di più, dislocati tra locali e un uso diffuso delle droghe più devastanti come, purtroppo, testimoniano i più tristi e recenti fatti di cronaca. Questa è la vera, omicida, Arte del Diavolo.

http://ilgiornaleoff.ilgiornale.it/2016/03/21/in-arte-belzebu-tutti-i-peccati-darte-contemporanea/ 

Guarda la versione ingrandita di Pistoia: musulmani pregano in chiesa. Vescovo contro parroci
Pistoia: musulmani pregano in chiesa.
 Vescovo contro parroci
Pistoia: musulmani pregano in chiesa. Vescovo contro parroci
PISTOIA – Due parroci della provincia di Pistoia, insieme ad un’associazione che si occupa di accoglienza, stanno organizzando l’ospitalità di 18 profughi in tre parrocchie della zona per rispondere all’appello di Papa Francesco. Per i rifugiati di fede musulmana la possibilità di pregare in spazi a loro destinati o, come nella parrocchia di Vicofaro, all’interno della stessa chiesa che, spiega il parroco, don Massimo Biancalani, “è moderna ed è stata progettata proprio per offrire ampi spazi anche per occasioni di socialità”.
Contro don Alessandro Carmignani e don Biancalani e l’associazione Virgilio-Città futura è intervenuta però l’autorità ecclesiale nella persona del vescovo di Pistoia, Fausto Tardelli. Il quale non nega il valore e il merito del tentativo di integrare i profughi ma che non condivide affatto l’uso della chiesa per le preghiere di altre confessioni religiose. “La confusione non aiuta l’accoglienza” è il suo ammonimento. Luoghi di preghiera per musulmani nella parrocchia. Dopo aver superato le difficoltà burocratiche di accredito per poter accogliere i profughi, i due sacerdoti si sono messi al lavoro per allestire i luoghi dove i rifugiati saranno ospitati. Compreso il luogo di preghiera, che in due delle tre parrocchie pistoiesi che collaborano al progetto saranno spazi adiacenti alla chiesa mentre a Vicofaro (Pistoia) potrà essere l’area interna. “Chi vorrà potrà pregare dentro la chiesa, dalla parte dell’ingresso a nord – conferma don Biancalani -, chi non se la sentirà potrà farlo in un altro spazio. Che problema c’è? Non avrebbe senso, se vogliamo fare vera accoglienza e integrazione, farli pregare in uno scantinato”. Il no del vescovo Tardelli. “In merito a quanto vediamo scritto sui giornali o riferito da vari mezzi di comunicazione, si precisa che la doverosa, necessaria e rispettosa accoglienza delle persone che professano altri culti e religioni non si fa offrendo spazi per la preghiera all’interno delle chiese destinate alla liturgia e all’incontro della comunità cristiana. Per quella si possono trovare benissimo altri spazi e altri luoghi ben più adatti e più rispettosi anche di chi ha un’altra fede”. E’ quanto si legge in una nota del vescovo di Pistoia Fausto Tardelli, dopo l’annuncio di alcuni parroci della Diocesi pistoiese di destinare spazi all’interno delle loro chiese per la preghiera dei immigranti di fede musulmana. “I motivi sono tanti e talmente ovvi che non è necessario nemmeno richiamarli – prosegue il vescovo -. I sacerdoti coinvolti in questa vicenda hanno ribadito che il loro pensiero e la loro volontà di apertura agli immigrati sono stati travisati, dal momento che non è assolutamente loro intenzione creare situazioni di confusione che non aiutano certo l’accoglienza”. “Sono per altro ben consapevoli – conclude il vescovo Tardelli – della necessità di agire in questo campo con grande attenzione e rispetto sia di chi viene che della popolazione residente al fine di realizzare una vera integrazione sociale”.

http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/pistoia-musulmani-pregano-in-chiesa-vescovo-contro-parroci-2418398/?

Prima che tu metta quella bandiera... il terrorismo-coloniale del Belgio in Congo e quei 10 milioni di morti dimenticati

Prima che tu metta quella bandiera... il terrorismo-coloniale del Belgio in Congo e quei 10 milioni di morti dimenticati


26 marzo 2005 – Benedetto Bellesi (direttore di Missioni Consolata)
«Di fronte alla spaventosa ferita causata dal commercio che, nell’interno dell’Africa, fa più di 100 mila vittime all’anno, i cittadini dei paesi civilizzati devono accordarsi per guarirla… per aprire alla civilizzazione la sola parte del globo, in cui essa non è ancora penetrata». Così disse re Leopoldo ii del Belgio davanti ai delegati della Conferenza geografica da lui promossa a Bruxelles nel 1876.

Ma in un’altra occasione non nascose le sue mire imperialiste sul Congo: «La storia insegna che le colonie sono utili…

Diamoci da fare per averne una anche noi… Guardiamo dove ci sono terre non occupate, popoli da civilizzare e guidare allo sviluppo, assicurandoci al tempo stesso nuove fonti di guadagno, impiego per le nostre classi medie, un po’ di azione per il nostro esercito e per tutto il Belgio l’opportunità di provare al mondo che anch’esso è un popolo imperiale, capace di governare e illuminare gli altri». Parole chiare; la storia fu peggiore.
STANLEY: IL BATTISTRADA
Verso la metà del 1800, l’Africa fu portata di nuovo alla ribalta europea dagli esploratori che vi si addentrarono per curiosità scientifica, scopi umanitari e missionari. I loro resoconti rivelarono pure le ingenti risorse naturali di cui era ricco il continente, scatenando tra le potenze europee, grandi e piccole, la corsa all’Africa.

Ne è un esempio il giornalista Henry Morton Stanley che, per conto del New York Herald e del londinese Daily Telegraph, tra il 1874 e 1877, diresse la prima spedizione africana da est a ovest, da Zanzibar all’Atlantico, discendendo tutto il corso del fiume Zaire. Così scrisse sul Daily Telegraph: «Vi posso provare che la potenza che possiederà il Congo potrà assorbire in se stessa il commercio di tutto il suo enorme bacino. Il fiume è e sarà la grande autostrada per i traffici dell’Africa occidentale».

Era proprio quello che cercava re Leopoldo II per realizzare le sue ambizioni coloniali. Per aggirare il governo belga, che non mostrava interesse né aveva risorse economiche e militari per un’avventura imperialista, nel 1876 il sovrano fondò l’Associazione internazionale dell’Africa (poi Associazione internazionale del Congo); nel 1878 prese Stanley al suo servizio e lo inviò nella regione congolese per stipulare contratti commerciali e diplomatici con le popolazioni dislocate nel bacino del fiume Zaire, ribattezzato Congo.

In pochi anni l’agente Stanley firmò oltre 400 trattati di commercio o protettorato con i capi locali; con il sostegno dello schiavista arabo Tippu Tip fondò diversi empori, tra cui Stanleyville (oggi Kisangani) e Léopoldville (Kinshasa) e avviò lo sfruttamento sistematico del paese.

L’esempio di Leopoldo fu imitato dal cancelliere Bismarck, che si precipitò a procurare un posto al sole per la Germania. Ma la comparsa sulla scena di due nuove potenze coloniali, provocò le reazioni della Francia, Gran Bretagna e Portogallo, i cui interessi nella regione risalivano a un periodo molto anteriore.

Per appianare le divergenze, fu convocata la Conferenza dell’Africa Occidentale, meglio conosciuta come Conferenza di Berlino, in cui parteciparono quasi tutti i paesi europei, più Turchia e Stati Uniti. Dal novembre 1884 al febbraio 1885, l’Africa fu spartita in zone di influenza, con confini che resistono a tutt’oggi. Le rivalità tra le varie potenze favorirono le mire di Leopoldo, sostenute dal Bismarck e l’antico regno del Congo fu diviso in tre parti: al Portogallo toccò l’Angola e Cabinda; alla Francia la fetta a nord del fiume Zaire; al monarca belga le terre esplorate da Stanley, cioè tutto il bacino del grande fiume e zone circostanti. Nasceva il Libero stato del Congo che il parlamento belga riconobbe come proprietà «esclusiva» di Leopoldo II, senza gravami sui contribuenti belgi.

Non pago dell’immenso territorio, grande come l’Europa (Russia esclusa), re Leopoldo, con pretesti più o meno «scientifici», organizzò spedizioni per impadronirsi, a nord, delle regioni del Sudan orientale e, a sud, delle province del Kasai e Baluba: quasi 2,5 milioni di chilometri quadrati.
L’ORRORE DEL CAUCCIÙ
NEL REGNO DI LEOPOLDO
«Nella maggioranza dei casi, l’indigeno deve compiere ogni due settimane un viaggio di un giorno o anche più per raggiungere nella foresta un luogo con una quantità sufficiente di alberi della gomma. Qui conduce una misera esistenza.

Deve costruirsi un riparo temporaneo che non può sostituire la sua capanna; non ha il suo cibo abituale, è esposto alle intemperie del clima tropicale e agli attacchi di bestie feroci. Deve poi portare il prodotto raccolto all’agenzia dell’amministrazione (o della compagnia); solo allora può tornare al suo villaggio, dove rimane appena due o tre giorni, prima che gli venga assegnato un nuovo compito. Di conseguenza la maggior parte del suo tempo è occupata nella raccolta del caucciù». Così si legge nella relazione della commissione d’inchiesta del 1906.

Ogni villaggio doveva consegnare all’amministrazione 5 pecore o maiali, o 50 galline, 125 carichi di manioca, 60 kg di caucciù, 15 di granturco o arachidi e 15 di patate dolci. L’intero villaggio doveva lavorare un giorno su quattro alle opere pubbliche.L’adempimento degli obblighi veniva assicurato da guardie africane reclutate in altre regioni, o da agenti prezzolati dello stesso villaggio. Con l’incoraggiamento dell’amministrazione, guardie e agenti perpetravano atti di inaudita ferocia: portavano via donne e beni; al minimo segno di resistenza mutilavano i malcapitati o li uccidevano.Spesso le compagnie organizzavano contro i villaggi spedizioni punitive nel corso delle quali – secondo il rapporto della commissione – uomini, donne e bambini venivano uccisi senza pietà. Con tali metodi le compagnie concessionarie e lo stesso Leopoldo intascarono decine di milioni.Con le rendite provenienti dal Congo, Leopoldo assicurò a ogni membro della numerosa famiglia reale un reddito annuo fra i 75 mila e i 150 mila franchi; acquistò in Belgio e in Francia vaste proprietà terriere per un valore di 30 milioni di franchi… Effettuò spese enormi per corrompere la stampa, creando un apposito ufficio che mascherasse i suoi crimini.

Il Libero stato del Congo non fu mai né libero né uno stato, ma un privato dominio che il monarca gestì senza alcun controllo, neppure da parte del governo belga.

Tutta la terra non coltivata fu dichiarata proprietà dello stato (cioè del re), che aveva il monopolio assoluto sulle sue risorse di valore immediato (avorio e caucciù) e sui minerali del sottosuolo, il cui sfruttamento fu concesso a varie compagnie, con accordi di affitto per 99 anni.

La scoperta del processo di vulcanizzazione della gomma e il suo impiego industriale fecero di quella colonia uno dei più grandi serbatoi mondiali di questo prodotto fondamentale per l’industrializzazione dell’Occidente. Ma occorreva mano d’opera per raccoglierlo e trasportarlo fino al mare.

Il problema fu subito risolto: tutti gli africani (ironicamente chiamati «cittadini») furono obbligati a raccogliere il caucciù senza alcun compenso e ogni villaggio doveva consegnare agli emissari del re-proprietario una certa quota del prezioso prodotto vegetale: chi si rifiutava, o consegnava quantità minori di quelle richieste, era punito duramente, fino alla mutilazione: a chi non produceva la quota di caucciù veniva tagliata una mano o un piede; alle donne le mammelle. Contro i ribelli si ricorreva all’assassinio, a spedizioni punitive, distruzioni di villaggi, presa in ostaggio delle donne.

A fare il lavoro sporco erano circa 2.000 agenti bianchi, disseminati nei punti più importanti del paese: molti di essi erano malfamati in patria e malpagati in Congo. Ogni agente comandava un certo numero di nativi armati (capitani), presi da etnie diverse e dislocati nei singoli villaggi, per assicurare che la gente facesse il proprio dovere. Se la quota era inferiore a quella stabilita, anche i «capitani» subivano fustigazioni o mutilazioni. Era il metodo del terrore, tanto efficace quanto diabolico.

In 23 anni di esistenza, nel libero stato del Congo morirono circa 10 milioni di persone, direttamente per la repressione o indirettamente per epidemie o fame, dovuta alla distruzione punitiva dei raccolti. Fu un vero genocidio, in cui perì quasi metà della popolazione congolese, stimata a circa 20-25 milioni di abitanti nel 1880.
A ciò si aggiunga la caduta del tasso di natalità: un missionario giunto in Congo nel 1910 fu stupito dall’assenza quasi totale di bambini tra i 7 e i 14 anni, nati cioè tra il 1896 e il1903, periodo in cui la raccolta di caucciù raggiunse il suo apice.

OLOCAUSTO IGNORATO
Come mai l’opinione pubblica non fermò in tempo tali atrocità? Perché, ancora oggi, esse rimangono quasi sconosciute?

A nessuno viene in mente che i massacri avvenuti in questi anni nella regione dei Grandi Laghi hanno radici negli orrori del colonialismo?

Leopoldo diceva di non essere responsabile davanti a nessuno per ciò che i suoi agenti facevano in Congo. In Belgio, il parlamento e l’opinione pubblica in generale consideravano l’intera impresa imperialistica come un affare sporco del sovrano e non ne volevano sapere. Alle altre potenze coloniali il monarca diceva di guardare in casa propria: agli americani rinfacciava lo sterminio dei pellerossa, ai tedeschi l’eliminazione degli herero in Namibia; agli inglesi gli orrori della guerra anglo-boera; ai francesi gli stessi suoi metodi (lavoro forzato, ostaggi, distruzione di villaggi) praticati nell’Africa Equatoriale.

Quando le notizie delle atrocità commesse in nome di Leopoldo cominciarono a diffondersi attraverso i missionari, si scosse anche l’opinione pubblica, prima quella mondiale, poi anche quella belga.
Il nero americano George Washington Williams, partito per il Congo nel 1890 e constatata l’entità del martirio inflitto ai congolesi, scrisse una lettera a Leopoldo, rinfacciandogli che i servizi pubblici efficenti da lui sbandierati erano un’impostura: non vi erano né scuole né ospedali, ma solo qualche capanna «neppur degna di ospitare un cavallo».
Un libro sul genocidio dimenticato

I missionari, che erano stati per lungo tempo testimoni impotenti, trovarono un megafono per le loro testimonianze soprattutto in Edmond Morel: scoperti i loschi traffici nascosti dietro il commercio del caucciù, si buttò anima e corpo nella lotta contro i «nuovi negrieri».

Di fronte alla crescente ostilità dell’opinione pubblica e sotto la pressione di Inghilterra, Francia e Germania, nel 1906 Leopoldo II fu costretto a nominare una commissione d’inchiesta per indagare sulla gestione del suo stato e discolparsi dalle accuse. Recatasi sul posto, la commissione fu sconvolta da quanto aveva constatato e rivelò al mondo le atrocità del regime coloniale (vedi riquadro). Leopoldo usò tutti i mezzi per conservare la sua proprietà personale, fino a sborsare ingenti somme per confondere l’opinione pubblica, ma alla fine non gli restò altra scelta che cedere il suo possedimento al Belgio.

Era l’agosto del 1908. Per otto giorni consecutivi, Leopoldo bruciò la maggior parte degli archivi della sua colonia personale, prima di consegnarla ufficialmente al Belgio. «Regalerò ai belgi il mio Congo, ma non avranno diritto a sapere ciò che vi ho fatto» disse. E oltre agli archivi ridotti in cenere, ridusse drasticamente al silenzio i testimoni diretti.
Fu così che una parte importante della storia della dominazione di Leopoldo II sul Congo e di coloro che vi si opposero è «sparita» dalla memoria degli europei, più rapidamente e più completamente del ricordo degli altri stermini di massa che hanno accompagnato la colonizzazione dell’Africa.PATERNALISMO TRIONFANTE
Nel 1908 il parlamento del Belgio votò l’annessione del Congo, denominato Congo Belga. Il governo accettò volentieri il passaggio di proprietà: l’anno prima vi era stato scoperto il primo diamante (vedi riquadro).

Per guarire le ferite del periodo leopoldino, furono ripensati obiettivi e metodi della politica coloniale: fu abolito il lavoro forzato, soppressi i monopoli sui prodotti agricoli, limitata l’espropriazione delle terre appartenenti alle comunità, fu redatto un Codice del lavoro per gli addetti allo sfruttamento delle miniere.

Vennero rinegoziate le vecchie concessioni e varie compagnie ricondotte sotto stretti controlli amministrativi. Ma poiché intere regioni del Congo continuarono a essere dominate dalle grandi imprese finanziarie e minerarie (Unilever, Société Générale du Belgique, Union Minière du Haut Katanga…), i metodi di gestione e sfruttamento non si differenziarono molto da quelli leopoldini.

Dal 1919 in poi, la produzione agricola (olio di palma, caffè, gomma) delle compagnie e degli indigeni, lo sviluppo delle miniere di rame del Katanga e la scoperta dei diamanti assicurarono una bilancia commerciale favorevole alla colonia: ciò permise di attuare miglioramenti sociali in settori come istruzione, sanità, abitazione.

Erano, però, provvedimenti del tutto paternalistici: servivano a formare aiutanti più sani e adeguati nello sfruttamento del paese. Fino al 1950, per esempio, l’istruzione superiore era quasi inesistente: nel 1953 c’era una scuola secondaria ogni 870 scuole elementari.

Al paternalismo si univa un bel pizzico di razzismo. Una legge dell’amministrazione leopoldina del 1898 obbligava bianchi e neri a risiedere in zone diverse della città; solo nel 1926 un’ordinanza stabilì che gli amministratori territoriali potevano concedere eccezioni (forse per maggiore comodità della servitù indigena).

Inoltre, ai congolesi era proibito l’uso di alcolici e di circolare nelle ore notturne (divieto in vigore fino al 1959); non avevano accesso alla partecipazione nel governo generale e nell’amministrazione delle 5 province in cui era divisa la colonia. Solo a livello locale i capi tribali potevano esercitare una certa autorità e democrazia.

Soldati e poliziotti non venivano addestrati per accedere a posti di responsabilità (almeno fino al 1957), ma servirono ottimamente come carne da macello nelle due guerre mondiali. Durante la prima guerra mondiale le truppe congolesi combatterono con gli alleati in Africa, strappando ai tedeschi la colonia del Rwanda-Urundi, che la Società delle Nazioni affidò in mandato al Belgio (1919).
VERSO L’INDIPENDENZA
Nel corso della seconda guerra mondiale venne potenziata l’attività industriale ed estrattiva, soprattutto dell’uranio, utilizzato nella fabbricazione delle prime bombe atomiche. Nell’esperienza bellica il Congo acquistò anche una maggiore coscienza del proprio ruolo e la crescita delle istanze anticolonialiste nei paesi asiatici e africani determinò la comparsa di movimenti indipendentisti, che in un primo momento il Belgio tentò di contrastare con la concessione di alcune riforme, in particolare nel settore agricolo e dell’insegnamento.

Di fronte alle crescenti rivendicazioni indipendentiste, nel 1955 Baldovino i lanciò la proposta di una comunità belga-congolese; ma l’opinione pubblica del Belgio continuava a disinteressarsi alla colonia, vista come un affare che non riguardava la gente per bene e che era meglio lasciare alle cure del Ministero delle colonie, delle missioni cattoliche e di poche importanti società di Bruxelles.

Intanto, dalle scuole cattoliche, era uscita una nuova classe, detta degli «evoluti», che si confrontò con la cultura occidentale assorbendola. Nel 1957 fu permessa la formazione di partiti e, alla fine dell’anno, la popolazione nera partecipò per la prima volta all’elezione dei consigli cittadini: i suoi rappresentanti ottennero la maggioranza dei seggi.

Tra i numerosi movimenti tribali, solo il Movimento nazionale congolese (Mnc), guidato da Patrice Lumumba, riuscì a coagulare gli interessi nazionali, contrastando le tendenze secessioniste e inalberando la bandiera dell’indipendenza.

Dopo gli scontri sanguinosi avvenuti a Léopoldville nel 1959, durante una manifestazione nazionalista, re Baldovino cercò di calmare gli animi, promettendo una rapida indipendenza. Ma i coloni bianchi risposero con una nuova ondata di terrore.

Quello stesso anno, il governo belga e i rappresentanti congolesi s’incontrarono a Bruxelles, per stabilire le modalità della concessione dell’indipendenza. Ma tra i leader politici congolesi non vi era identità di vedute: mentre il Mnc di Lumumba sosteneva la costituzione di uno stato unitario, al di là delle differenze etniche e regionali, l’Abako (Associazione dei bakongo) e il Conakat (Confederazione delle associazioni katanghesi) sostenevano la creazione di una confederazione.
Le elezioni del maggio 1960 diedero la maggioranza al Mnc: Lumumba assunse la guida del governo, cedendo la presidenza a Joseph Kasavubu, leader dell’Abako. La Repubblica indipendente del Congo fu proclamata il 30 giugno del 1960.
Note:Leopoldo II del Belgio, ovvero l’orrore in Congo

Fonte: Missioni Consolata, “Le mani sul Congo”, numero monografico ottobre/novembre 2004
(ripreso nel novembre 2015 da operaicontro.it)

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