ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 18 marzo 2016

La tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento è forte

NON PRAEVALEBUNT

    La tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento è forte dobbiamo mandar giù qualsiasi porcheria che la cultura modernista e progressista oggi imperante e dilagante fuori e dentro la Chiesa cattolica tenta di servirci a tavola 
di Francesco Lamendola


 Certo, la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento è forte; siamo tutti un po’ scoraggiati – tutti quelli, s’intende, che non sono di palato così buono da mandar giù qualsiasi porcheria che la cultura modernista e progressista oggi imperante e dilagante, fuori e dentro la Chiesa cattolica, tenti di servirci in tavola, con il massimo sussiego e con tanto di sorrisi accattivanti, e benché essa si mobiliti per colpevolizzare e ricattare moralmente chi esprime anche solo qualche timido dubbio o qualche sia pur flebile protesta.

Qualche giorno fa, la sezione giovanile del Partito Liberale svedese ha avanzato la proposta di togliere dal codice penale l’incesto e la necrofilia. Secondo i baldi giovanotti scandinavi, non c’è niente di male se un fratello e una sorella, che abbiano compiuto quindici anni, vanno a letto insieme; e meno ancora c’è qualcosa di male se il tal dei tali, morendo, lascia nelle sue volontà testamentarie l’autorizzazione all’utilizzo sessuale del proprio cadavere a qualcuno, così come altri autorizzano l’uso medico per la ricerca scientifica o l’espianto di organi.
Noi non ci stupiamo troppo: era logico che le cose prendessero questa piega. Una volta introdotto il riconoscimento delle unioni omosessuali, e, in molti Paesi d’Europa e negli Stati Uniti, il vero e proprio matrimonio omosessuale, il passo immediatamente successivo è stato – ed è già in atto – quello di “sdoganare” la pedofilia. Se c’è l’amore consensuale, why not? Un uomo di senssant’anni e una bambina di dodici: perché no? Se si amano, chi siamo noi per giudicarli, per condannarli; chi è lo stato per proibire qualcosa, anzi, per mettere il naso sotto le lenzuola?
Incesto e necrofilia dovevano essere, per forza di cose, il passo successivo; e così è stato. Questo è solo l’inizio. Poi verrà tutto il resto. Verrà il bestialismo (in Australia c’è già un tizio che ha chiesto e ottenuto di sposare il suo cane, anzi, la sua cagnetta: si chiama Joseph Guiso e  non è una leggenda metropolitana); verrà il sadismo, anche violento: oh, ma attenzione, purché consensuale! Perché no? Del resto, tutti sanno che laddove c’è un sadico, lì c’è anche un masochista: dunque, perché scandalizzarsi? C’è il piacere di far soffrire, e c’è il piacere di soffrire: dove sta il problema? Ciascuno ha i suoi piaceri; lasciamo che se li goda in santa pace.
Questa, del resto, è la quintessenza della “filosofia” gender. E così la spiegano, senza fare una piega, grandi filosofi, come Michela Marzano, dalle colonne di autorevolissime testate culturali, come Vanity Fair, o dal suo stesso blog. La profonda filosofa, deputata in quota al Partito democratico, che si dice cattolica di sinistra, dopo averci spiegato che i suoi quarantasei anni di vita, nonché l’attraversamento delle tenebre, le hanno insegnato che «la filosofia è soprattutto un modo per raccontare la finitezza e la gioia» (strano; a noi era sembrato di capire, anche da filosofi della modesta statura di un Platone, che la filosofia “racconta”, se proprio vogliamo dire così, l’infinito; e quanto alla filosofia della gioia, senz’altra specificazione, credevamo fosse meglio lasciarla ai Baci Perugina), sostiene l’assoluta equivalenza di tutti gli orientamenti sessuali, con la semplice constatazione che tali orientamenti esistono.
Nel fare la predica a monsignor Nunzio Galantino, cattolico decisamente progressista come lei su molti temi, ma, a quanto pare, ahimè, non abbastanza su quello della famiglia, anzi, a suo credere, decisamente troppo conservatore, la filosofa – nel suo blog - sentenzia:

Per difendere l’importanza delle famiglie e lottare contro le derive dell’individualismo egoistico – battaglia che condivido e cerco anch’io di portare avanti – forse sarebbe opportuno confrontarsi maggiormente con la realtà. Esistono famiglie monoparentali. Esistono famiglie omosessuali. Esistono famiglie con figli con figli e senza figli. Ognuno cerca di convivere con le difficoltà dell’esistenza come può. Non perché tutto si equivalga o si voglia giustificare tutto. Solo perché capita che ci sia sofferenza nelle famiglie tradizionali, così come capita che non ce ne sia. Capita che i figli arrivino subito e senza problemi. Ma capita anche che i figli non arrivino mai., nonostante il grande desiderio di averli. Non pensa che sia arrivato il momento anche per la Chiesa di ammetterlo?

Insomma, la benedizione dell’esistente: tutto ciò che esiste, va bene; e non c’è altro da fare che accettarlo di buon grado. Esistono famiglie eterosessuali ed esistono famiglie omosessuali: dov’è il problema? Chi può dire che le une siano “giuste” e le altre “sbagliate”? Giammai: un vero filosofo, nonché un cattolico di sinistra, non può farlo assolutamente. Ciascuno tira avanti come può, ciascuno lotta contro le difficoltà della vita. C’è qualcuno che non può avere figli: e allora, perché non dovrebbe farsi aiutare dalla tecnica? Senza distinzione fra coppie eterosessuali e omosessuali, naturalmente. Il desiderio rende lecito tutto: ma per carità, non chiamatelo egoismo. Quindi, avanti con la fecondazione eterologa. Certo che avere figli è una “difficoltà”, per due donne lesbiche o, a maggior ragione, per due uomini gay. Ma che importa? Le difficoltà si possono superare, l’importante è non avere pregiudizi. La sofferenza si equivale sempre. Poveri omosessuali infelici, ai quali la natura matrigna impedisce di aver dei figli tutti loro: questa sì che è una gran sofferenza. Perché mettere il becco se lottano contro la sofferenza e cercano di avere dei figli in qualche altra maniera? Quanto alle coppie formate da uomo e donna, perché fare come i nostri nonni, che andavano in pellegrinaggio a chiedere per grazia di avere un figlio alla Madonna, o a qualche santo, e facevano un voto? E che, se proprio non gli veniva, si rassegnavano, e adottavano dei bambini, o si prendevano cura dei nipoti, o si dedicavano ad attività socialmente utili, specialmente nell’ambito dell’infanzia, così da soddisfare, almeno in parte, il loro desiderio di essere genitori, ma senza fare di quel desiderio una ossessione? Eh, ma lo sappiamo bene, noi che siamo cristiani maturi e progrediti: i nostri nonni erano ancora dei cristiani dominati dalla religione della paura, direbbe padre Ermes Ronchi, il servita che tiene gli esercizi spirituali della Pasqua alla Curia romana, papa compreso. Noi, oggi, siamo ben più evoluti di loro; non abbiamo più simili fisime; e affermiamo coraggiosamente, insieme a Michela Marzano, che «l’amore è tutto» (è il suo slogan preferito e lo ribadisce continuamente), pertanto se c’è l’amore, allora non manca più nulla, e nessun’alta considerazione deve sopravvenire a guastar la festa.
Dunque: se una cosa esiste, bisogna riconoscerla; bisogna prenderne atto. Ci sono gli eterosessuali e ci sono gli omosessuali; ci sono le famiglie formate da uomo e donna, e ci sono le famiglie “arcobaleno”: dove sta il problema? La filosofia, come tutti sanno, consiste nel constatare che le cose ci sono e che vano “riconosciute” per come ci appaiono. Ma chi lo sa se tutti gli omosessuali sono proprio così felici di esserlo? E chi può dire che una cosa è buona per il fatto di essere vissuta come tale? In uno dei dialoghi di Platone, il «Gorgia», Socrate, a un certo punto (lo diciamo con tutto il rispetto del caso), a un interlocutore arrogante della scuola dei sofisti, obietta che, se la bontà di una cosa dipende dalla soddisfazione di un piacere personale, allora ne consegue che, per uno scabbioso, che ha l’impulso di grattarsi la pelle, la felicità, per costui, dovrebbe consistere nel fatto di potersi grattare continuamente e liberamente. O no?
La dottoressa Chiara Atzori, che non pretende di essere chiamata filosofa e che, quando viene invitata a parlare in qualche sala, spesso viene censurata, apostrofata, insultata, non di rado proprio da quei cattolici di sinistra che si spellano le mani ad applaudire la Marzano, mette il dito appunto su questo aspetto della cosa: che non è vero affatto che l’essere in un modo equivalga alla felicità, né soggettivamente, né oggettivamente. Di fatto, vi sono non poche persone con tendenze omosessuali che vivono con sofferenza e  disagio la propria condizione, e vorrebbero cambiarla. E non è vero che il loro disagio dipende unicamente dall’atteggiamento discriminatorio della “società”: anche se l’omofobia non esistesse, anche se sparisse l’ultimo omofobo dalla faccia della Terra, ancora vi sarebbero persone con tendenze omosessuali insoddisfatte del proprio modo di essere, che sentono in sé una disarmonia e che vorrebbero porvi rimedio. Nel corso di una intervista a La nuova Bussola Quotidiana, alla domanda sul perché gli attivisti Lgbt ce l’abbiano tanto con lei, ha risposto:

Forse perché rompo un falso consenso secondo cui l’orientamento omosessuale è sempre per definizione bello, buono e felice, secondo cui esistono solo gay allegri e militanti e non anche persone incerte e a disagio. Questo falso consenso oggi cerca di esercitare un’egemonia su tutta la cultura. Mi sono sempre appassionata all’egemonia per una ragione di famiglia: Antonio Gramsci, il teorico comunista italiano del’egemonia, era un mio pro pro-zio. Ma mi consenta di dire che perfino Gramsci era più democratico e tollerante delle lobby Lgbt di oggi.

Ma provate a spiegarlo a tutti quei cattolici progressisti, a tutti quei vescovi e teologi e filosofi (dei miei stivali) che neppure si pongono il problema, anzi, che mai lo ammetterebbero, e che partono in quarta dando per scontato proprio ciò che andrebbe, semmai, verificato: che essere omosessuali è una cosa meravigliosa, e che tutti gli omosessuali sono fieri e felici di esserlo, e che si sentono perfettamente realizzati nelle loro tendenze più profonde, nonché in pace e a in armonia come se stessi in quanto persone, semplicemente come persone?
Il vescovo di Orano, in Algeria, Jean Paul Vesco, dichiara alla stampa che la Chiesa, per evitare di escludere il prossimo, deve smetterla di dire cosa sia giusto e cosa sbagliato; che il Catechismo non deve più definire il comportamento omosessuale un “disordine oggettivo”, come sinora ha fatto, perché di vero amore si tratta; che la Chiesa deve riconoscere e benedire le unioni omosessuali; che l’astinenza non è un modello proponibile ad alcuno. Vesco è anche un fervente fautore della comunione ai divorziati che si sono risposati, argomento sul quale ha scritto un libro dal titolo che è tutto un programma, e che oggi presenta anche in chiave omosessuale: «Ogni vero amore è indissolubile». Dove vada a finire il sacramento del matrimonio, in questa prospettiva, tutta laica e naturalista, non si sa.
Ma c’è di più, e di meglio. Un altro prete, don Aristide Fumagalli, teologo morale e insegnante presso il Seminario diocesano di Venegono (Varese), interpellato dal quotidiano «L’Avvenire» sul libro di un magistrato cattolico omosessuale, Eduardo Savarese, «Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma», ha espresso un parere sostanzialmente favorevole: è ora che la Chiesa parli di queste cose, l’omosessualità è un orientamento naturale. Perfettamente in linea con la Marzano; e questo mentre alla dottoressa Chiara Atzori viene impedito di tenere degli incontri privati con i genitori di una scuola cattolica di Torino, per le indignate proteste degli attivisti Lgbt.
E non è finita. A Trento, l’Associazione Diaconia della Fede di Villa S. Ignazio, all’insegna della “spiritualità delle frontiere”, tiene un incontro sul tema: «Omosessuali cristiani: quale accoglienza nella comunità cristiana?», sotto la guida di un gesuita, padre Pino Piva. Nella locandina, la fotografia di due mani maschili, decisamente villose, che si uniscono, intrecciando teneramente le dita nel tipico gesto degli innamorati. La frase stampata in calce alla locandina: «La Chiesa rifiuta di considerare la persona puramente come un eterosessuale o un omosessuale e sottolinea che ognuno ha la stessa identità fondamentale: essere creatura, e, per grazia, figlio di Dio, erede della vita eterna», risulta pienamente contraddetta dal titolo dell’incontro, che non parla di persone con tendenze omosessuali, e neppure di persone omosessuali, ma di omosessuali cristiani, punto e basta: e pazienza per l’ossimoro.
La responsabilità di questi pastori i quali, mossi da sacro zelo per il “dialogo”, seminano ogni giorno nuovi elementi di ambiguità, di confusione, o che diffondono dei veri e propri messaggi sbagliati, in totale contrasto con l’etica cristiana e con il Vangelo, è immensa; il danno che stanno producendo, in termini di relativismo etico e di stravolgimento dei contenuti dottrinali della Rivelazione cristiana, è incalcolabile. Qualcuno aveva detto che sarebbe meglio, per i seminatori di scandalo ai piccoli e ai semplici, che venisse legata loro una macina da mulino al collo, e che poi venissero gettati nel mare. Non ricordiamo bene chi lo abbia detto; è stato tanto, tanto tempo fa, e solo questo fatto – il contesto primitivo in cui furono pronunciate quelle parole – può rende ragione della loro inusitata, barbarica severità. Noi cristiani del terzo millennio siamo molto più aperti, comprensivi e tolleranti. Noi cristiani del giorno d’oggi, siamo più maturi e autenticamente cristiani di chi disse quelle parole cupe, minacciose. Noi, come la filosofa Michela Marzano, abbiamo capito come stanno realmente le cose e siamo migliori, perché vogliamo raccontare la finitezza e la gioia...




Non praevalebunt

di

Francesco Lamendola

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