ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 26 marzo 2016

L’ultima goccia di sangue

                

                   “CROCIFISSO... MA TRIONFATORE”


Al giorno d’oggi, che lo si creda o meno, ci sono ancora ragazzi e giovani che rimangono incantati a contemplare il Crocifisso. Questa contemplazione li esorta a farsi santi. Oggi, nonostante tutto, nonostante l’apostasia, l’esaltazione del piacere sfrenato e le ideologie più folli, non si sa come, nascono piccoli, grandi capolavori di anime. Da chi nascono se non da Lui, da Gesù sulla croce? “Davvero il Figlio di Dio” – Sperduto nelle tenebre, appeso a due terribili pali, Gesù appare come uno straccio sanguinante, immobile. A guardarLo così sembra l’immagine della disfatta totale, irreparabile. Con l’ultimo respiro, invece, Gesù ha sconfitto la morte: grazie a Lui, la partita è vinta.
Ora, dal fondo dell’abisso, inizia una ripresa che sarà travolgente ascensione all’aperto di una luce senza tramonto. Con Gesù ci sono tutti i giusti che esultano all’annuncio della vittoria, e anelano all’ingresso del regno di Dio. La natura è inconsolabile per l’immane infinito delitto, e si manifesta così il forte linguaggio delle rupi che si spaccano con l’oscuro dominio dei morti che risorgono. Il velo del tempio, lacerandosi, grida il definitivo superamento della Legge antica dell’Ebraismo (Mt 27,45-54). Il Calvario su cui Gesù muore trafitto è il secondo Sinai, dove Lui bandisce ai secoli venturi il suo nuovo insuperabile patto dell’amore e della misericordia che, chiedendo conversione, redime e salva. Parenti e amici di Gesù allibiscono, assistono da lontano alla scena della sua agonia e della sua morte, del Sole che si spegne e delle tenebre che scendono a mezzogiorno, del terremoto che sconvolge la terra. I soldati, il centurione e la folla accorsa per rendere più amara la sua condanna sono invasi dallo spavento: solo ora si ricredono, si picchiano il petto, si allontanano riconoscendo che Gesù è il Giusto, il Figlio di Dio. Roma, dominatrice del mondo, con i suoi Cesari e le sue invincibili legioni, nel centurione che ha capeggiato il plotone di esecuzione già riconosce nel Profeta di Nazareth, il Figlio dell’Altissimo Iddio! Roma è già vinta: già prona di idoli, ora comincia ad alzarsi nella libertà di Colui che è anche il suo Redentore. Gesù non vede né ode più nulla e si è composto nella rigidità della morte prima dei suoi compagni di supplizio. Ma il suo Cadavere è ancora lo strumento di una volontà, strumento del suo indomabile amore: dal petto trapassato dalla lancia Gesù fa scaturire l’ultima goccia di sangue, estrema testimonianza di una dedizione e di un dono che ha superato tutti i confini. Non Gli hanno spezzato le gambe, perché integro doveva spirare, come l’Agnello pasquale di cui, dopo millenni, ora svela il mistero. L’Agnello pasquale è soltanto Gesù! Pur essendo già morto, Lo hanno trafitto: con il suo ultimo atto, la miserabile giustizia umana ha come, per così dire, tentato di superarsi, perdendosi – con la lancia della sua inumana inclemenza – nell’abisso del suo Cuore divino, rimasto così aperto quale unico rifugio di un mondo terribilmente ingiusto e tuttavia, per suo dono, ancora fiducioso nel suo sublime perdono: purché si apra a Lui. Silenzio inquietante – Mentre le tenebre diradano sul Calvario, la sera scende sulle membra ormai rigide di Gesù. Soltanto Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, i discepoli di Gesù, ma nascosti, si fanno avanti sul colle dell’infamia per i consueti uffici di pietà verso il suo cadavere. Rianimati dagli ultimi spaventosi eventi, l’uno chiede a Pilato di deporre Gesù dalla croce, avendo acquistato bende e un lenzuolo pregiato e nuovo, una “Sindone”, mettendo così a disposizione dell’illustrissimo incomparabile Rabbi di Nazareth il suo sepolcro scavato nella roccia; l’altro, invece, offre i profumi per la sepoltura (Mt. 27,57-61). Giuseppe non aveva acconsentito alla sua condanna, ma non aveva osato professarsi suo discepolo. Nicodemo aveva creduto nella sua missione messianica, ma aveva preferito andare da Lui di notte, temendo il biasimo e le rappresaglie dei mascalzoni del sinedrio. Il primo era “giusto”, il secondo retto – alla loro maniera – ma entrambi erano rimasti preda della paura: nessuno aveva capito in fondo Gesù, sino al suo Cuore verginale, fino all’intimo del suo essere. Non rigenerati dallo Spirito, erano ancora lontani dal Regno e non avevano ancora colto la strabiliante Verità della Nuova Alleanza. Ora, però, le tenebre dell’agonia del Maestro li hanno rischiarati; il sussulto della terra li ha scossi dentro. Hanno compreso come Dio possa aver amato gli uomini, anche i più reietti, tanto da sacrificare Gesù, il suo Figlio unigenito, affinché chiunque creda in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv. 3,16-21). Hanno capito che il Padre non ha mandato Gesù per giudicare il mondo, ma per redimerLo; e che Gesù, come già il serpente di bronzo levato da Mosé nel deserto, doveva essere crocifisso, affinché tutti, fidando nella virtù del suo Sangue, fossero salvi. Ecco quanto si nasconde sotto le parvenze della disfatta di Gesù: la sua morte è un mistero che ora essi – come quelli che verranno nei secoli a venire – adorano ed esaltano fino a sfidare per Lui ogni rischio, fosse pure la “scomunica” del sinedrio e del governatore romano, sempre ai ferri corti, ma coalizzati contro il Profeta che hanno messo in croce. I pavidi ammiratori di ieri sono i ferventi e generosi amici dell’ora apparentemente più tragica, perché è l’ora del suo estremo fallimento. Schiodano Gesù dalla croce, Lo depongono tra le braccia di Maria Santissima, sua Madre, e di Giovanni, l’apostolo prediletto; momenti indescrivibili: la Mamma non Lo riconosce più, tanto Gesù è sfigurato dalle iene che si sono scatenate su di Lui. Lo cospargono di aromi, Lo avvolgono nella Sindone, fatta di un tessuto pregiato con cui si confezionano soltanto le vesti del sommo sacerdote e il velo del tempio. Giuseppe d’Arimatea offre la sua tomba. E là Gesù rimane gelido, inerte, ma ora inquieta i capi del sinedrio più delle tremende invettive che, solo pochi giorni prima, Lui lanciava contro la loro pervicacia. Costoro mandano il loro picchetto di armati a far la guardia al suo sepolcro; l’unico sepolcro – quello di Gesù di Nazareth – ad essere stato guardato a vista da sentinelle in armi e tuttavia tremebonde. Si può far la guardia a un Morto, senza pensare che Egli abbia incredibili energie di vita? Il Vivente – Gesù è morto, ma ancora vive – più minaccioso che mai, terribile – nell’odio e nei timori dei suoi implacabili nemici. Ricordano che “quell’impostore” (Mt. 27,63) aveva predetto che sarebbe risorto, e non possono tollerare che i suoi discepoli, portandone via la salma, potessero diffondere l’ultima e la peggiore di tutte le menzogne. (Mt.27,64) Il sepolcro è sigillato, i soldati vi montano la guardia. Ma, state attenti, marmittoni! Ora succederà l’Avvenimento unico più sconvolgente della storia e anche voi, vostro malgrado, ne sarete testimoni. Il terzo giorno il
sepolcro è aperto, vuoto. Gli amici del Crocifisso, ora risorto, sono sconcertati. I sinedriti corrompono i custodi per propalare la diceria che il suo cadavere è stato rubato e portato via. Ma che guardie siete, se ve lo siete fatto scappare? Voi siete i primi che l’avete visto uscire vivo dal sepolcro, ma con una tangente siete disposti a negarlo. E’ l’ultimo oltraggio alla memoria di Gesù, l’ultimo insulto a una Verità che, sfolgorando, li acceca. Quanti imbrogli, quante violenze, quanti soldi saranno pagati nella storia, affinché Gesù, il Crocifisso e il Risorto, non sia mai predicato! Gesù realmente vive: si presenta, conversa con i suoi, siede a mensa, fa sentire nell’abbraccio e nel bacio il tepore vivo delle sue carni. Un Angelo ricorda alle donne che Gesù tutto ha predetto: era necessario che Lui fosse condannato e crocifisso per compiere il sacrificio dell’adorazione al Padre e di espiazione delle colpe dell’intera umanità. Ai discepoli di Emmaus Gesù spiega il senso delle profezie contenute nelle antiche Scritture, indica il filo della storia d’Israele, dimostra che Lui, il Cristo, doveva morire, che solo immolandosi come l’Agnello avrebbe potuto far passare gli uomini diventati suoi fratelli dalla morte alla vita vera. La Passione di Gesù, dunque, è radice di gloria, non motivo di vergogna; la sua morte è causa meritoria di risurrezione, non ragione di scandalo. Le sue cicatrici restano delineate e indelebili, nel suo Corpo glorioso, abbaglianti di tutta la luce della sua prodigiosa incorruzione, segni della battaglia vinta, titoli della sua conquista inarrestabile dell’umanità. Ed è solo per questo che il Figlio di Dio è stato esaltato con una dignità che eccelle sopra ogni altra, per cui al suo Nome glorioso si curvano il cielo e la terra e persino l’inferno, riconoscendo che Lui è il Signore per la gloria del Padre. Il Vivente, davvero e per sempre è il Vivente che introduce alla vita vera, è Lui solo. Gesù, continua a darmi la mano. Prendimi tra le Tue braccia e sul Tuo cuore, e io verrò con Te e ti porterò degli amici. Trionfa, oh Gesù!

di fra Candido di Gesù
http://www.presenzadivina.it/272.pdf

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