ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 2 maggio 2016

"Chi vuole alzare i muri si situa al di fuori del Cristianesimo"?

Prendiamo atto della realtà

Polonia cancella bandiera UECredo che sia giunta l’ora di porci seriamente la domanda fondamentale dei nostri giorni:
come mai la Russia, ma ancor più la Polonia, l’Ungheria, ora anche l’Austria, tra poco la Croazia, pensano e agiscono in un modo (anti-immigrazionismo, difesa della nazionalità, del popolo, delle tradizioni, rifiuto dell’omosessualismo, e ora, almeno in Polonia, perfino della vita) che contrasta pienamente con tutto il resto dell’Europa e dell’Occidente, mentre Francia, Spagna, Inghilterra, Germania e, ovviamente (prima nella fila degli idioti), Italia, agiscono esattamente in maniera opposta?
Ovvero: come mai gli europei orientali e mitteleuropei hanno ancora princìpi tendenzialmente sani e possiamo dire legati ai principi cristiani naturali, mentre gli europei occidentali sono morti nell’anima e quindi votati al suicidio?
Ma la vera domanda è un’altra: in riferimento all’immigrazionismo in particolare, come mai il mondo cattolico di questi Paesi si schiera massiccio in difesa delle scelte politiche dei loro governi mentre il mondo cattolico dei Paesi dell’Europa occidentale si schiera massiccio in difesa delle scelte dei loro governi? Ovvero: come mai il mondo cattolico si schiera sempre con chi comanda e mai con chi ha ragione? E solo se chi comanda ha ragione allora casualmente si schiera con chi ha ragione. Come mai?
Ma v’è ancora un’ultima domanda: ora la Polonia fa un passo ulteriore, che dovrebbe vedere tutti i cattolici, clero in primis, felici e contenti: difende la vita contro l’abortismo. L’aborto è condannato da tutta la Chiesa (o quasi) e soprattutto dal suo Magistero infallibile come omicidio. Tutto il pontificato di Giovanni Paolo II è stato impostato sulla condanna dell’aborto. Benedetto XVI ha fatto altrettanto, anche se con minor vigore. Perfino l’attuale non osa porre in dubbio questo tema.
Eppure… non ho sentito nessuno, ma proprio nessuno, elogiare, difendere, appoggiare, la Polonia, né nelle gerarchie, né nei media cattolici (sempre attentissimi agli eventi di rottura…), né nel cosiddetto “laicato impegnato”.
Dove siete finiti tutti quanti, ora che c’è un governo che difende la vita contro tutto e contro tutti?
Non riesco a capire…
Una cosa la capisco, però: noi siamo morti, loro sono ancora vivi. Hanno certo i loro difetti (alcolismo, tracce non ancora scomparse di comunismo, brutalità, ecc.), ma la verità è che la speranza ormai viene da est, e questo è un vero e proprio ribaltamento di tutta la storia europea e occidentale. Mi riferisco all’aborto, ma anche alla difesa degli europei, delle loro terre, donne, culture, radici, libertà, etnie, civiltà. Così come alla difesa della famiglia e della sessualità naturale.
Tante volte noi europei occidentali abbiamo difeso gli europei orientali dai mali che venivano da oriente. Ora tocca a loro difenderci dai mali che vengono dall’intestino dell’Occidente (e pure dall’Oriente…).
Prendiamone atto: per quanto si voglia criticare il mondo ex comunista, per quanto si voglia vedere di quel mondo solo i lati negativi, la verità è che la nostra società è radicalmente peggiore. Soprattutto, senza speranza umana.
Oggi, siamo tutti polacchi. Je suis polonais.
BY  · 2 MAGGIO 2016

Austria, la Chiesa rifiuta di concedere il proprio terreno per il muro anti-migranti

Al confine tra Austria ed Ungheria un vescovo ha negato al governo l'utilizzo del terreno (di proprietà della diocesi) per costruire il muro anti-migranti: "anche la Sacra Famiglia era una famiglia di profughi"



C'è un ostacolo alla costruzione del muro di confine anti-profughi voluto dall'Austria.
Il vescovo Ägidius Zsifkovics con la polizia austriaca







Un ostacolo imponente e in parte inatteso: quello rappresentato dalla Chiesa cattolica.
Che nella regione del Burgenland, alla frontiera tra Austria e Ungheria, ha opposto un secco "no" alla decisione del governo di innalzare l'ennesimo tratto di recinzione di confine per contenere la pressione dei migranti che arrivano dalla rotta balcanica.
Il vescovo locale, monsignor Ägidius Zsifkovics, ha negato il permesso della diocesi alla costruzione del muro su alcuni tratti di terreno di proprietà della curia. Il tratto di confine interessato è quello tra i comuni di Heiligenbrunn Moschendorf, nel distretto di Gussing, dove molti degli appezzamenti necessari all'installazione di pali e filo spinato appartengono a privati.
Il titolare della Diocesi, però, non ha voluto sentire ragioni e nonostante il progetto di costruzione proceda spedito, resta fermo sulle proprie posizioni: nel XXI secolo è impossibile, sostiene, avallare la costruzione di una barriere che umilia chi è costretto ad attraversarla di nascosto.
Monsignor Zsifkovics, tra l'altro, ha ricordato la propria infanzia a ridosso della Cortina di ferro che divideva il blocco sovietico da quello occidentale - immagine ancora molto viva nella sua memoria.
"Anche la Famiglia di Gesù è stata famiglia di profughi - ha dichiarato alla stampa locale - Chi non riesce a comprenderlo non è cristiano."
Una posizione perfettamente allineata a quella espressa da Papa Francesco, che in più occasioni ha ribadito che "chi vuole alzare i muri si situa al di fuori del Cristianesimo".

PADRE SAMIR KHALIL SAMIR: «ACCOGLIENZA VIGILE. L’INTEGRAZIONE RICHIEDE REGOLE DI FERRO»

Padre Samir Khalil Samir: «Accoglienza vigile. L’integrazione richiede regole di ferro»

«L’Italia potrebbe riuscire là dove Francia e Belgio hanno fallito». Gli attentati di novembre a Parigi e di marzo a Bruxelles hanno spazzato via in un attimo tante belle parole e teorie su islam e integrazione. Nelle periferiche banlieue parigine, così come nel centrale quartiere di Molenbeek, ci si chiede ormai dove si è sbagliato e come permettere allo Stato di recuperare situazioni sfuggite al suo controllo. «Questo non è il caso dell’Italia», dichiara a Tempi Samir Khalil Samir, gesuita nato in Egitto, vissuto in Libano, grande islamologo e docente all’Université Saint Joseph di Beirut e al Pontificio istituto orientale di Roma.
Il nostro paese, infatti, non si trova nella situazione di chi deve tappare il buco con una pezza, ma di chi si può ancora permettere di evitare che si apra il buco. E le premesse ambientali per riuscirci, spiega Samir, sono buone: «Intanto l’Italia non ha avuto una colonia islamica. C’è stata la Libia, ma è durata poco. Quindi non è un paese visto con inimicizia. In più, i musulmani italiani non provengono in modo prevalente dallo stesso paese, come gli algerini francesi o i marocchini belgi, e questo aiuta a impedire che si chiudano in gruppi e movimenti separati dal resto della società». Gli italiani, poi, «sono accoglienti di carattere, più umani, e questo facilita l’integrazione. La cultura mediterranea è più vicina per alcuni aspetti a molti paesi musulmani. E per quanto ci possano essere moschee e imam radicalizzati anche qui, sono in numero di gran lunga inferiore rispetto agli altri paesi».
Il terreno, dunque, è fertile per impedire la ghettizzazione e la radicalizzazione di centinaia di giovani che finiscono per ingrossare le fila dello Stato islamico. Ma buona volontà e predisposizioni naturali e culturali non bastano. Per un’integrazione reale servono innanzitutto regole chiare: «Mi ricordo che in viale Jenner a Milano il venerdì i musulmani bloccavano la circolazione per pregare, come si fa in tanti paesi musulmani», continua il padre gesuita. «Questo può avvenire una o due volte all’anno, in casi eccezionali, chiedendo il permesso alla polizia. Ma non ci si può impossessare della strada tutti i venerdì, per di più senza chiedere il permesso. Chi arriva in Italia da un altro paese deve rispettare le regole». È quindi necessario che «chi arriva qui impari la lingua, anche le donne. Nella tradizione musulmana tendono a stare in casa e a parlare solo la lingua di origine, ma bisogna aiutarle. Negli Stati Uniti ad esempio non ti accettano come immigrato se non hai imparato prima l’inglese».
Il comportamento sociale
Queste regole, che possono sembrare un ostacolo all’accoglienza, sono in verità «un modo per aiutare l’immigrato, non per andare contro di lui. Un musulmano deve sapere che in Italia non può trattare sua moglie come farebbe in Arabia Saudita. Non può tenere le figlie rinchiuse e i figli mandarli liberamente in giro. Se non assume questi aspetti della nuova cultura, un immigrato non potrà integrarsi e di conseguenza non sarà mai felice. Le regole servono soprattutto a lui».
Poche settimane fa una scuola svizzera del cantone Basilea Campagna ha autorizzato due musulmani, contro la tradizione locale, a non stringere la mano all’insegnante donna, perché la religione lo proibirebbe. «Questo è esattamente l’esempio che non dobbiamo seguire», continua l’islamologo. «La stretta di mano a scuola è un’usanza in quel cantone svizzero e per viverci tutti devono adeguarsi a quella cultura, nella misura in cui non vìola la persona umana, ovviamente. Se questo non succede, né i musulmani né gli svizzeri potranno essere felici. E allora è meglio che tornino a vivere nel loro paese di origine. Anche perché fino a vent’anni fa la mano alle donne i musulmani la potevano dare, prima che arrivasse l’islam desertico radicale dall’Arabia Saudita».
La distinzione tra religione e comportamento sociale è fondamentale: «È vero che a livello di fede non si può imporre niente, ma a livello socio-culturale invece si possono fare imposizioni. L’Europa non ha preso coscienza di quanti conflitti nascono quando si rifiuta l’integrazione socio-culturale. Certe cose vanno insegnate fin dall’infanzia».
L’Italia è ancora in tempo per seguire questa strada virtuosa. Ma ci sono accorgimenti che deve prendere: «La libertà di culto va garantita a tutti, nessuno escluso», mette subito in chiaro padre Samir. «Ma questo non significa ad esempio che sia lo Stato a dover costruire le moschee. Tocca ai musulmani del posto farlo e senza farsi finanziare dall’estero: perché chi paga comanda. Come in Norvegia e Austria, sono i fedeli locali a dover raccogliere i fondi dentro il paese per costruirla e loro ne sono responsabili».
Altre precauzioni sono dettate dalla realtà dell’islam, che «include tutto: non c’è distinzione tra religione, politica, società e cultura. E le moschee sono il luogo naturale attraverso cui l’islam radicale, per mezzo dei discorsi degli imam, penetra nel mondo musulmano. Non è una teoria, è un fatto, è successo ovunque nel mondo. Bisogna controllare le moschee». Come? «La preghiera ovviamente deve essere fatta in arabo, perché è obbligatorio. Ma un conto è il rito, un conto è il discorso dell’imam, che ha una parte spirituale e una socio-politica. Il discorso dell’imam deve per forza essere fatto in italiano, così che possa esserci un controllo. Anche questo va nell’interesse dei musulmani stessi, che così sono aiutati a capire la lingua che si parla nel paese in cui vivono».
Controllare prediche e biblioteche
C’è una terza cosa a cui prestare attenzione. «Da trent’anni quasi tutte le moschee hanno anche una libreria con testi arabi e islamici. Chi conosce l’arabo ed è andato a controllare, ha scoperto che molti testi sono di autori radicali, pieni di contenuti aggressivi. Bisogna avere la possibilità di entrare nelle librerie e verificare». Così però non si alimenta la cultura di sospetto verso tutti i musulmani? No, insiste il docente, «è il contrario: così lo Stato viene in aiuto dei musulmani, evitando che gente estranea, con scopi diversi, si infiltri nelle comunità e le radicalizzi. L’aiuto del resto è necessario: tutti i musulmani condannano l’Isis, eppure migliaia di giovani lo raggiungono. Perché? Perché attraverso molte moschee si fa propaganda per convincere i cuori che quello dell’Isis sarebbe il vero islam».
È solo seguendo regole precise che l’integrazione potrà avere successo. Ma cosa significa questa parola che viene così spesso abusata nel discorso pubblico? Il docente gesuita ha un’idea molto chiara: «Chi arriva in Italia deve vivere da italiano. Quando un immigrato impara e assimila la cultura italiana, avrà una marcia in più perché disporrà anche della propria cultura di origine. Ne avrà due e questo è un vantaggio rispetto agli abitanti indigeni».
L’integrazione allora non è una diminuzione: «Chi arriva in Italia deve comportarsi da italiano, ma potrà accrescere la nuova cultura con elementi della sua, sempre che non siano in opposizione ovviamente. Questa è l’integrazione vera: un arricchimento». 
http://www.iltimone.org/34623,News.html

Distruzione di un vero ospedale in Siria. A qualcuno interessa vedere un video?

Distruzione di un vero ospedale in Siria. A qualcuno interessa vedere un video?


Continuano a dilagare su Tv e giornali le accuse a senso unico contro l’aviazione siriana e russa che avrebbero distrutto l’ospedale Al Quds ad Aleppo con molti morti fra i quali “l’ultimo pediatra rimasto”. Come al solito non si dà spazio a ipotesi diverse e alle smentite secche da parte dei “colpevoli”. Né si sa ancora se l’ospedale fosse nascosto e non segnalato (come nel caso di febbraio). 
Riportiamo a tal riguardo una testimonianza proveniente da Aleppo; è di Nabil Antaki, medico, dei Fratelli Maristi, intervistato telefonicamente, il 1 maggio 2016,  dalla giornalista Silvia Cattori.

“Da tre giorni i media accusano il «regime di Assad» di aver bombardato e distrutto un ospedale sostenuto da Medici senza frontiere. Non c’è mai stato un ospedale di MSF ad Aleppo, nell’Est di Aleppo, dove avrebbe operato “l’ultimo pediatra rimasto in città”. Eppure abbiamo ancora molti pediatri qui in città. L’ospedale Al Quds menzionato non è sulla lista degli ospedali siriani realizzata prima della guerra dal ministero della Salute. Dunque, se esiste, è venuto dopo.

Questo mostra bene che, per i media, conta solo questa sacca occupata dai ribelli, e che i tre quarti della città amministrati dallo Stato siriano, dove ci sono ancora diversi pediatri, non contano. Per quanto riguarda gli ultimi avvenimenti, constato che i media main stream continuano a mentire per omissione. Fin dall’inizio della guerra ad Aleppo, 4 anni fa, non riferiscono i fatti nel loro insieme.
“Qui ad Aleppo siamo disgustati dalla loro mancanza di imparzialità e oggettività. Parlano solo delle sofferenze e delle perdite di vite umane nella zona Est della città, controllata da Al Nusra, un gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda, che si continua a definire «ribelle», un modo per rendersi rispettabile. E restano muti sulle perdite e le sofferenze sopportate quotidianamente nei nostri quartieri occidentali, a causa dei tiri di mortaio da parte dei terroristi. E non parlano dell’embargo e delle interruzioni totali di acqua ed elettricità che i terroristici ci infliggono.
“Non hanno detto nulla dei bombardamenti continui e delle carneficine che si verificano da una settimana nella parte Ovest della città dove nessun quartiere è stato risparmiato e dove ogni giorno ci sono decine di morti. Queste omissioni sono tanto più rivoltanti se si considera che questi quartieri rappresentano il 75% della superficie di Aleppo e contano 1,5 milioni di abitanti, contro i 300.000 nella parte occupata dai terroristi.
“Quest’informazione monca fa credere che i gruppi terroristi che ci attaccano siano le vittime. Peggio ancora, i media hanno sviato il nostro appello «Salvare Aleppo» lasciando credere che esso esigesse la fine delle ostilità da parte delle «forze di Assad». E’ falso. Del resto, non ci sono «forze di Assad»: ci sono le forze dell’esercito regolare siriano che difendono le Stato siriano.
“I media tradizionali avrebbero potuto almeno avere la decenza di parlare delle stragi provocate dai terroristi. E’ successo anche ieri, venerdì 29, quando uno dei loro tiri ha colpito una moschea all’ora della preghiera.”
Troverà spazio questa testimonianza sui media main stream? Crediamo di no. Come nessuno spazio ha trovato la distruzione dell’ospedale di Aleppo “Al Kindi”, il più grande Centro oncologico del Medio Oriente, fatto saltare in aria dai “ribelli” con due camion bomba. Nessuna notizia, nonostante questo video prodotto proprio dai “ribelli” che riprende l’attentato. 



Redazione di Sibialiria
(questo articolo viene pubblicato contemporaneamente su “L’Antiplomatico”)

Fra Ibrahim al-Sabbagh, parroco di Aleppo: "Durante la messa di ieri sono piovuti tanti missili. Perché nessuno lo scrive?".

Fra Ibrahim al-Sabbagh, parroco di Aleppo: Durante la messa di ieri sono piovuti tanti missili. Perché nessuno lo scrive?.


"Azizieh e Ram sono quartieri sotto il controllo del Governo di Assad. Forse è per questo che non si sono viste tante paginate sui giornali. In pratica, chi muore lì se lo merita, o pressappoco"



di Fulvio Scaglione*

Fra Ibrahim al-Sabbagh, francescano, da tre anni parroco ad Aleppo, ieri ha mandato questo messaggio a una sua conoscente italiana. Lo riporto pari pari:

"Carissimi, durante la S. Messa vespertina sono caduti tanti missili in tutta Aleppo, diversi nella zona di Azizieh e di Ram. Ad Azizieh, con tanta fatica, con una chiesa affollatissima per il primo maggio, inizio del mese mariano, siamo riusciti a continuare la S. Messa fino alla fine. Mentre a Ram, anche lì si stava celebrando la S. Messa, padre Bassam con i fedeli al sentire un missile cadere molto vicino sono dovuti scendere nel sotterraneo e per ora rimangono lì al riparo. Non sappiamo i danni causati su Ram, colpita quattro volte, ma si parla di decine di morti e di tantissimi feriti che si aggiungono ai morti e feriti dei giorni precedenti". Azizieh e Ram sono quartieri sotto il controllo del Governo di Assad. Forse è per questo che non si sono viste tante paginate sui giornali. In pratica, chi muore lì se lo merita, o pressappoco. (nella foto: padre Ibrahim visita i quartieri colpiti).

*Vicedirettore di Famiglia Cristiana. Pubblichiamo un suo post Facebook del 2 maggio

Bancarotta, l’Europa lotta per salvare i terroristi ad Aleppo

Ziad Fadil, Syrian perspective, 1/5/2016XKTwjBXFin dall’inizio del conflitto nel marzo 2011, l’occidente e i suoi mille scimmieschi burattini come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, erano intenzionati ad occupare una delle principali città della Siria per insediarvi un potere concorrente nel Paese sfidando l’autorità centrale di Damasco. Idealmente, il premio più grasso sarebbe stata la capitale. Quando ciò non è accaduto e sembrava un compito troppo scoraggiante, l’attenzione è caduta su l’enorme capitale industriale nel nord, Aleppo, che almeno per 2 anni ha resistito agli sforzi dei cannibali terroristici di entrare. Aleppo, come Damasco e come la maggior parte della Siria, del resto, è un poliedrico e demograficamente variegato insieme di minoranze nella popolazione a maggioranza sunnita. E i sunniti di Aleppo non sono noti per militanza o fondamentalismo. Al contrario, Aleppo rimane un importante centro in Siria del ramo Sufi dell’Islam sunnita, un ramo noto per la spiritualità e il pacifismo. Damasco non poteva essere spezzata per i noti motivi, qui a SyrPer, avendo a che fare con il fronte sionista. L’Esercito arabo siriano è stato addestrato a combattere nel sud e sul Golan, dove si prevede che tutte le guerre inizino e finiscano. Così, l’EAS ha concentratogli sforzi a sigillare il confine con la Giordania per evitare le manovre dell’esercito sionista da Sud e sul Golan, che la Siria è intenta a recuperare dagli artigli dei ratti sionisti che ora occupano la Palestina araba (Siria meridionale). I continui assalti alla capitale non hanno portato a nulla, se non al bombardamento occasionale dei tranquilli quartieri misti di Jaramana e Adra. In ultima analisi, i terroristi di Jaysh al-Islam poterono infestare il Ghuta orientale da cui sono ora in lenta ma inesorabilmente cacciata. Altre aree nel Qalamun sono state poi ripulite. Ma Aleppo, apparentemente sicura, era vulnerabile solo se i sauditi potevano appoggiarsi ad Erdoghan abbastanza per aprirvi un nuovo fronte, un fronte su cui l’esercito siriano non era concentrato. Si è sempre dato per scontato che l’unico innesco del conflitto siriano-turco fosse la questione curda; risolta anni prima quando Abdullah Ocalan fu esiliato in Grecia e, quindi, in Africa. (Fu catturato da un’unità per operazioni speciali turca in Africa orientale e rispedito in Turchia dove sconta l’ergastolo ad Imrali).
I sauditi trovarono orecchie attente ad Ankara, quelle di Recep Tayyip Erdoghan al potere. Gli Stati Uniti svolsero un ruolo nell’apertura delle porte dalla Turchia alla Siria nella fase iniziale, per armare i terroristi ora radunati numerosi in aree come Hatay, Gaziantep e Adana. Lasciamo perdere il coinvolgimento di Hillary Clinton nell’inviare armi libiche in Turchia per armare gli assassini anti-Baath attraverso i crimini di Christopher Stephens, l’ambasciatore dichiarato omosessuale degli Stati Uniti in Libia e agente della CIA (proprio come Robert Ford). L’episodio di Bengasi perseguiterà Clinton abbastanza presto, ma era alla finestra per quanto succedeva nei tentativi di Stati Uniti e NATO di scalzare un presidente siriano molto popolare. Erdoghan è un membro dei Fratelli musulmani e non ne ha mancata una. Era ricettivo. Erdoghan aveva anche altri motivi. Aleppo era un importante snodo per i sultani ottomani che governavano dalla Sublime Porta d’Istanbul. Chiunque abbia mai vissuto Aleppo, come l’autore, non può capire le sostanziali influenze turco-armene su tutto, dai modi di dire alla cucina degli abitanti. Erdoghan vide le aperture saudite e statunitensi come invito all’espansione; una giustificazione della chimera del rinnovato impero con lui come sultano (o forse califfo) redivivo. Per quanto assurdo possa sembrare, le nazioni non necessariamente si comportano seguendo esclusivamente gli interessi. Vi è l’elemento della fragilità e della credulità umane. Vi è la psicosi che affondò Hitler in Russia e che affonda Erdoghan oggi in Siria. C’è voluto molto tempo all’Esercito arabo siriano per rispondere alla sfida tattica spostando le sue priorità da sud a nord. Ma, con l’aiuto russo e iraniano, il passo verso la battaglia nazionale è diventato una realtà cui assistiamo oggi ad Aleppo.
Aleppo è la penultima meta del governo. Una volta liberata completamente, parlare di “soluzioni politiche” o “governi di transizione” sembrerà banale, perfino senza senso. Gli Stati Uniti e i loro alleati lo sanno, motivo per cui sono esplose le attività diplomatiche per frenare l’EAS e la sua rinnovata Aeronautica. Cercano disperatamente di fermare l’assalto che, si prevede, comporterà la disfatta totale dei ratti su tutta Aleppo nelle prossime settimane. La Lega araba, ispirata dallo Stato-scarafaggio del Qatar, guida una riunione di emergenza totalmente concentrata su Aleppo. Il Qatar, attraverso la sua macchina della menzogna propagandistica al-Jazeera, dilaga la retorica che accusa il governo di Damasco di “crimini di guerra” e simili. Inutile dire che nessuno presta molta attenzione all’orrida prostituta rotta a tutto che è al-Jazeera. Questa la tecnica: cercano d’istigare il furore nel pubblico per giustificare un intervento diretto militare che è mancato perché l’amministrazione russa ha chiarito nettamente che alcuna “pressione sarà fatta alla Siria mentre combatte il terrorismo“. Questo è l’incubo del Qatar. Con un membro del Consiglio di sicurezza che ostacola il tentativo di salvare gli ultimi ratti di al-Qaida ad Aleppo, la muta di ratti che domina il Qatar deve fare i conti, ora, con il fatto che ha perso più di 100 miliardi di dollari in riserve per sostenere la guerra maniacale contro il popolo della Siria. I sauditi sono in una posizione ancor meno invidiabile. Hanno perso il loro rapporto privilegiato con Washington. Hanno iniziato dei passi per la pace nello Yemen nella speranza di salvarsi la faccia con il ritorno negoziato del loro factotum immensamente impopolare, al-Hadi, al potere. Le recenti dichiarazioni del leader huthi indicano che i colloqui non vanno da nessuna parte, nonostante la sciocchezza del Quwayt nel menzionare l’imminente “storico accordo”. Infatti, la macchina combattente Ansarullah ha appena liberato la base militare di al-Amaliqa con un arsenale da Creso di armi da utilizzare per eliminare i sauditi. I sauditi sono in un torrente senza pagaie, per così dire. E la loro leadership è senza timone ed è ingenua. Vediamo la lenta discesa della Casa dei Saud nel pozzo nero della dissoluzione.
Ieri e oggi l’Esercito arabo siriano è avanzato più in profondità nel quartiere di al-Rashidin liberando 8 edifici ed eliminando 4 cecchini. I terroristi erano quasi tutti membri di al-Qaida e affrontano un terribile destino mentre il nostro esercito li pesta continuamente presso Dhahiyat al-Assad. SyrPer ha ricevuto segnalazioni precise di profonde carenze di munizioni e acqua tra i ratti in questo settore. Siamo sicuri che cadrà abbastanza presto perché le chiacchiere tra ratti indicano un completo crollo morale con dichiarate espressioni sull’assenza di fiducia nei capi. Non ci sono più linee di rifornimento.tdac612_1000px-Rif_Aleppo2.svg_
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

3 commenti:

  1. Esproprio ci vuole, nel supremo interesse della nazione austriaca, di cui quei preti non fanno parte, evidentemente. Speriamo che gli austriaci non si facciano intimidire d questi preti traditori delle radici cristiane d'europa, oltre che di NSGC !

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    1. Il suo commento mi fa pensare che l'esproprio bisognerebbe farlo direttamente in Vaticano!

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  2. Grazie di aver inserito la foto dell'episcopo che ha una splendida faccia LGBT e forse proprio per questo si oppone al muro. Non v'è dubbio che sia uno dei tanti "consacrati" (si fa per dire...) alla moda montinian-bugnina, ovvero forse neanche consacrato validamente..
    Per quanto riguarda i ratti inviati da Usraele in Siria,barbuti decapitatori e torturatori, c'è da augurarsi che vengano definitivamente eliminati con ogni mezzo come si conviene con i ratti che infestano il mondo. Peccato sia più difficile eliminare i foraggiatori. Ma chissà, Il Signore che non paga mai di sabato ma quando decide Lui,forse ha in serbo per il popolo siriano e tutti noi che amiamo la verità, delle punizioni esemplari ed indimenticabili per quegli asserviti a Satana ! Basta solo avere lo stesso sangue freddo e pazienza di Putin e della Russia che giustamente lo segue ed approva.

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