ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 giugno 2016

“Ti pare questo il modo di accogliere un povero diavolo?”

Brevi note su cinque testi di argomento vario, ma tutti direttamente legati all’attualità ecclesiale. O a quella dell’intera società in cui ci è dato di vivere.


ALDO MARIA VALLI: IL DIAVOLO IN PIAZZA SAN PIETRO E ALTRI RACCONTI

E’ da qualche tempo che Aldo Maria Valli, garbato vaticanista del TG1, offre parole stimolanti a chi non intende portare il cervello all’ammasso, anche ecclesialmente parlando. Naturalmente il Nostro, così agendo, è fatto oggetto delle deplorazioni ufficiali della virtuosa legione dei turiferari, che mal sopportano anche quella vena sottile di humour che gli è connaturata. E che si ritrova in un gioiellino - uscito qualche tempo fa presso Ancora – già promettente fin dal titolo: “Il diavolo in piazza San Pietro e altri racconti”. “A volte ho strane visioni. Hanno a che fare per lo più con il papa, la Santa Sede e tutto ciò che le ruota attorno (:..) una sorta di variopinto presepe vivente nel quale, in certi casi, mi sembra di notare presenze singolari, e confesso che fatico a distinguere tra realtà e fantasia”, scrive Valli nelle iniziali “Istruzioni per l’uso”.
Così istradato, il lettore non si stupirà di trovare già nel primo di quindici racconti, addirittura “il diavolo”.  Che è lì, ben vestito e appoggiato all’obelisco di piazza san Pietro, in gran lagna per alcune parole incise nel piedestallo: “Ecce Crux Domini. Fugite partes adversae”. Ma come… “Dov’è andato a finire lo spirito di misericordia di cui tanto parla il papa? (…) Ti pare questo il modo di accogliere un povero diavolo?”. Insomma …avrete già capito. Il “librino” (come lo chiama l’Autore) è scoppiettante e chi frequenta l’ambiente vi ritrova cardinali, preti, suore, turisti, poliziotti e gendarmi, venditori ambulanti, clochard, poveri veri o presunti, truffatori. In difficoltà, “quella volta che passò per via della Conciliazione”, perfino Gesù, tra guide per i musei vaticani, falsi paraplegici, quattro “bambini un po’ cenciosi che lo circondano con irruenza” e infine esclamano: “Andiamo via, è un povero barbone, non ha nemmeno un euro, meglio filare!”. Ce n’é anche per Pietro (“respinto”), per l’Arcangelo Gabriele (in gattabuia), la Sacra Famiglia (che però trova ospitalità presso le Suore di Madre Teresa). Il “Nazareno” poi va a Santa Marta per stringere un patto, ma…

GIULIA GALEOTTI: IL VELO

Giù il cappello, pardon il velo. La giovane storica Giulia Galeotti (la miglior discepola ne L’Osservatore Romano della ben nota Lucetta Scaraffia) ha voluto approfondire il significato di tale copricapo nelle tre grandi religioni monoteiste. E’ certo questo un tema tra quelli al centro del dibattito sociale in Occidente (ma anche in parte del mondo musulmano). Intitolato “Il velo” e edito dalle Dehoniane di Bologna, il saggio offre una girandola di informazioni, osservazioni, citazioni che permette a chi lo sfoglia di rendersi conto della complessità dell’argomento, con interpretazioni che divergono profondamente già all’interno di ognuna delle religioni analizzate. Si deve dire che l’Autrice non giunge a conclusioni perentorie, del tipo: velo sì o velo no (sebbene il cuore galeotto traspaia soprattutto nelle molte pagine dedicate al disvelamento postconciliare delle suore). E’ infatti realtà che sotto il velo si affacciano di volta in volta la rinascita dell’Islam, i rapporti di quest’ultimo con un Occidente secolarizzato, la concezione della donna, l’idea di cambiamento e di emancipazione. Si chiede Giulia Galeotti: “Davvero il velo è stato in passato ed è oggi solo la via per nascondere, rinchiudere, separare, celare nell’umiltà, segnare una sorta di proprietà o educare alla docilità? Non può, invece, essere anche espressione di valori positivi, manifestazione di una scelta consapevole dai molteplici significati che possono variare in relazione al tempo e allo spazio?” L’Autrice, per quanto riguarda l’ebraismo, ricorda ad esempio Rebecca che “si copre il volto con un velo (hinuma) incontrando il suo sposo Isacco”, ma anche che è “grazie al velo che il padre di Rachele e la sorella maggiore possono ingannare Giacobbe al momento delle nozze”. Molto ampia la parte che concerne il cristianesimo, in cui tra l’altro si rievocano e si interpretano anche le parole nette di Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Altrettanto ampia la riflessione sul velo nell’Islam, in cui troviamo Maometto e il Corano, la colonizzazione e il dibattito occidentale, in particolare attorno al caso francese. Un quarto capitolo è dedicato a Maria nelle tre religioni. Segue la conclusione, da cui riportiamo il brano che segue e che sottoponiamo all’attenzione critica dei lettori: “La vera differenza che oggi esiste tra velo femminile cristiano e velo femminile islamico è che nel tempo il velo cristiano si è emancipato sia simbolicamente che normativamente. Se, infatti, a seguito del Concilio, esso non è più obbligatorio né per le religiose né per le laiche, è perché ci si è avviati verso una religione fatta più che altro di simboli, di ricerca dell’essenziale. E perché, più in generale, anche nella Chiesa la condizione della donna sta lentamente cambiando. In parte dell’islam, invece, questo passaggio non si è ancora prodotto”.  

PETER VON MATT: LA SVIZZERA TRA ORIGINI E PROGRESSO

Ecco qui - per chi vuole conoscere un po’ più a fondo la Confederazione al di là dei soliti clichés – un saggio illuminante dello scrittore alemannico Peter von Matt, tradotto a cura di Gabriella de’ Grandi per i tipi di Armando Dadò Editore, Locarno. Nell’opera intitolata “La Svizzera tra origini e progresso” l’ Autore rievoca criticamente mezzo millennio di letteratura svizzera di lingua tedesca, con qualche accenno a romandi come Denis de Rougemont e a svizzero-italiani come Giovanni Orelli e Fleur Jaeggi (di origine mista, romano-milanese letterariamente parlando). Trenta i contributi di von Matt ospitati nel saggio, con il primo, tanto ampio quanto sostanzioso, relativo alla storia “dell’animo di una nazione”. Di per sé significativa dell’approccio dell’Autore al tema è la riproduzione in copertina di un famoso quadro dipinto nel 1873 – nove anni prima dell’apertura della linea ferroviaria del san Gottardo - da Rudolf  Keller per il più potente banchiere e imprenditore elvetico del tempo, Alfred Escher: vi si nota una diligenza del Gottardo, che sta scendendo impetuosamente su Airolo dai tornanti della Tremola e, nella sua corsa, si trova davanti un vitello che attraversa la strada. La mandria sembra spaventata ai bordi della strada. Il vitello, simbolo della Svizzera delle ‘origini’ e dell’idillio, ce la farà a scampare alla Svizzera del nuovo che avanza e in cui fra poco la stessa diligenza sarà sostituita dal treno? Del resto il tema dell’importanza del San Gottardo come elemento fondante dell’identità nazionale emerge ripetutamente nelle pagine di von Matt: la nuova trasversale ferroviaria alpina, inaugurata il primo giugno scorso, “è un’impresa tecnologica di punta”, in cui “tornano a fondersi origini e progressoscatenando ancora una volta sentimenti forti”. Lo si è riscontrato pure nello spettacolo assai controverso presentato durante la cerimonia inaugurale (una preghiera ecumenico-interreligiosa è stata invece relegata in un angolo della galleria inaccessibile al pubblico).
Tanti gli stimoli di riflessione nel libro di von Matt, introdotto da una pregevole prefazione di Alessandro Martini. Come quando l’Autore cita tra i fattori “decisivi” della Svizzera, “in contrapposizione all’immagine fantastic”, la manutenzione delle vie di comunicazione, la gestione dei trasporti oltre i valichi e sui laghi ai margini delle Alpi, l’emigrazione dei giovani in cerca di lavoro, il loro fallimento o il ritorno (…) A questa straordinaria mobilità l’immagine fantastica opponeva il principio di un immobilismo senza tempo che, come la tesi del caso particolare (NdR: la Svizzera come ‘Sonderfall’ della storia ), ha avuto efficacia duratura”. O quando von Matt – in un’allocuzione tenuta per la festa nazionale del Primo Agosto 2009 sul praticello ‘fondativo’ del Rűtli – rileva tra l’altro: “Il Rűtli rappresenta la volontà di coesione e coesistenza nella Confederazione. La galleria rappresenta il desiderio altrettanto forte di sciamare oltre i confini e di partecipare al gioco delle potenze europee (…) Se esiste, (la Svizzera) lo deve tanto alla volontà dell’Europa quanto alla propria. Alle grandi potenze risparmiò un conflitto cronico per i valichi alpini, che con sicuro istinto politico mantenne e mantiene ancora oggi al massimo livello tecnologico”. Un’ultima citazione che riguarda un tema assai delicato, identitario, sempre presente nel dibattito interno elvetico, molto anche nei rapporti tra svizzero-italiani e svizzero-tedeschi. Scrive von Matt: “La lingua madre degli svizzero-tedeschi è il tedesco. La lingua madre degli svizzero-tedeschi non è il dialetto alemannico né il tedesco svizzero, ma entrambi. La lingua madre degli svizzero-tedeschi è dunque il tedesco in due forme. E’ un dato di fatto che occorre ribadire per principio”. E qui se ne potrebbe discutere ancora per anni.

ROBERTO DE MATTEI: EUROPA CRISTIANA RISVEGLIATI

Presidente della Fondazione Lepanto, direttore della rivista “Radici Cristiane” e dell’agenzia d’informazione “Corrispondenza Romana”, lo storico Roberto de Mattei ha raccolto in un volumetto tre conferenze da lui tenute nel 1986 (Roma, Palazzo Pallavicini), nel 2001 (Roma, Palazzo della Cancelleria) e nel 2011 (St. Raphael e Roma, Residence di via Ripetta)  sulla reazione dell’Europa cristiana alla minaccia ottomana tra il XVI e il XVIII secolo. Stampati come “Quaderno della Fondazione Lepanto”, gli interventi di de Mattei non hanno perso d’attualità in un momento come il nostro, caratterizzato dalla presenza contemporanea di un Occidente secolarizzato e debole e di un Islam aggressivo sia nella versione ‘morbida’ (apparentemente inoffensiva) che in quella esplicitamente ‘terroristica’. Nelle tre conferenze ritorna l’evocazione della battaglia di Lepanto: “A chi, all’alba di quel 7 ottobre 1571, avesse potuto contemplare dall’alto – e qualcuno certamente contemplava – le acque che si specchiano davanti allo stretto che congiunge il golfo di Patrasso al golfo di Corinto, anticamente detto di Lepanto (dal nome di un’antica città fortificata che vi sorgeva) lo spettacolo sarebbe apparso impressionante. Una gigantesca flotta, la più numerosa mai schierata nel Mediterraneo, avanzava lentamente, con il vento di scirocco in poppa. Circa 270 galee e una quantità indescrivibile di legni minori formavano un semicerchio, una enorme e minacciosa mezzaluna (…) Al centro della mezzaluna che avanzava, sulla nave ammiraglia – chiamata la Sultana – sventolava uno stendardo verde, venuto dalla Mecca, che recava ricamato in oro per 28.900 volte il nome di Allah”. Ma, “di fronte all’Islam che dispiegava in mare tutta la sua potenza, veniva incontro una flotta inferiore in numero di navi, contro vento, con la forza esclusiva dei remi, schierata in formazione a croce. Sullo scafo bianco e rosso della sua ammiraglia, la Reale, garriva un vessillo di damasco azzurro, che recava impressa l’immagine del Crocifisso”.
Si sa come andò a finire. Così come sotto le mura di Vienna nel 1683, di Buda (1686), di Belgrado (1717). Grazie in buona parte alla gran tessitura diplomatica cristiana operata da papa Innocenzo XI e al valore militare di Eugenio di Savoia, l’ “abatino” nipote del cardinale Mazzarino ‘scartato’ da Luigi XIV.
Osservava tra l’altro de Mattei nel 2001, commentando quanto storicamente accaduto: “Ci si potrebbe chiedere se Pio V (NdR: il papa di Lepanto), piuttosto che promuovere e intraprendere la guerra non avrebbe fatto meglio a tendere la mano all’Islam, cercando con esso una coesistenza pacifica attraverso una politica di pace, di dialogo, di tolleranza. Oggi queste domande sorgono spontanee nella mente di chi, atterrito dagli scenari di distruzione del terrorismo e della guerra, ritiene che la guerra sia il male supremo, da non evocare persino nel nome. Lepanto, in questa prospettiva, diviene una memoria storica da rimuovere, un episodio e soprattutto uno spirito, perfino un nome, da dimenticare”. De Mattei non condivide quest’ultimo atteggiamento, anche perché – nota – “il terrorismo islamico è una variante strategica all’interno di un più ampio progetto di conquista che ha come fine l’islamizzazione della nostra società e come mezzi, più dolci ed efficaci del terrorismo, l’avanzata demografica e l’introduzione del diritto islamico nelle nostre leggi”.

Ai nostri giorni però il quadro è reso molto complicato da una realtà nuova, data dal fatto che “il nemico che ci minaccia prima che esterno è interno”. Spiega l’Autore: “Questo nemico è prima di tutto una mentalità, una disposizione psicologica, uno stato d’animo diffuso intorno a noi, negli stessi ambienti cattolici, se non soprattutto in essi. (…) Questo relativismo ci porta a non prendere partito, mai, a evitare lo scontro e la polemica, sempre. A rinunciare in una parola a testimoniare ciò che è vero, buono e giusto”. Certo non tutti saranno d’accordo con de Mattei. Ma le riflessioni che ci offre meritano in ogni caso di essere approfondite seriamente.

LORENZO BERTOCCHI E MATTEO MATZUZZI: LA FAMIGLIA CONTROVERSA

Edito da Castelvecchi, “La famiglia controversa” ricostruisce con diligenza quanto è successo nella Chiesa di Francesco nel periodo del doppio Sinodo dedicato al tema richiamato nel titolo. Il volume, agile nella forma, ben comprensibile nei contenuti, è aperto da una citazione di sostanza indubbia, a firma “Suor Lucia di Fatima”: “Lo scontro finale tra il Signore e il regno di Satana sarà sulla famiglia e sul matrimonio”, che la dice già lunga su quel che pensano della questione i due autori. E’ evidente che Lorenzo Bertocchi (“La Nuova Bussola Quotidiana” e “Il Timone”) e Matteo Matzuzzi (vaticanista de “Il Foglio “) sono giornalisti di parte; e tuttavia “La famiglia controversa” è un testo utile per chi, anche di opposta sponda (turiferari compresi), voglia riandare con serietà di dati a quanto successo in materia in Vaticano e nella Chiesa cattolica tra il 2013 ( documento della diocesi tedesca di Friburgo in Brisgovia sulla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati civilmente) e il 2016 (pubblicazione dell’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”).
I lettori di www.rossoporpora.org conoscono con dovizia di particolari quanto successo prima, dentro e tra i due Sinodi sulla famiglia. Risparmiamo loro dunque i pronunciamenti del cardinale Kasper e la controffensiva dei ‘conservatori’, le turbolenze del Sinodo 2014 e l’altrettanto agitato periodo intersinodale, le altre tensioni riscontrate nel Sinodo 2015 (caratterizzato dalla lettera al Papa di 13 cardinali preoccupati per la deriva ecclesiale e definiti dai turiferari più o meno sismografici con epiteti di una levità impareggiabile come “estremisti, lobbisti, cospiratori, nemici di Santa Marta”). Riprendiamo invece quanto Bertocchi e Matzuzzi osservano a proposito dell’Amoris laetitia: “Non si può dire che ‘Amoris laetitia’ abbia effettivamente rotto con la dottrina cattolica, ma pur non cambiando niente, cambia tutto. Secondo qualcuno questo nuovo approccio prende semplicemente atto di quanto già avviene in realtà e, in effetti, sembra proprio così. (…) Soprattutto dopo la rivoluzione sessuale degli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, la Chiesa cattolica è attraversata da una specie di scisma di fatto. Da una parte un’ufficialità, una lettera in cui la coerenza della dottrina viene garantita, dall’altra una prassi fatta di vita parrocchiale e di molti movimenti ecclesiali in cui, invece, si sperimentano nel concreto le tesi più liberali che sono sempre state respinte dal Magistero ufficiale”.Perciò – constatano gli Autori – “con ‘Amoris laetitia’ non cambia niente per cambiare tutto, nel senso che questa specie di scisma sommerso viene in un certo senso ufficialmente sancito, quasi benedetto da papa Francesco che vuole includere tutti”. E qui c’è materia di riflessione per tutti. 
CINQUE LIBRI: VALLI, VELO, SVIZZERA, LEPANTO, SINODO SULLA FAMIGLIA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 14 giugno 2016

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