ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 13 luglio 2016

Chiesa.2ω o.3.0?

Vaticano, promosso il vescovo che ha provato a fare il barbone


Città del Vaticano - Largo ai vescovi da strada. La Chiesa da tre anni in qua, pian piano, procedendo gradualmente, sta mutando volto. Man mano che nelle diocesi i vescovi se ne vanno in pensione raggiungendo il 75esimo anno, il Papa li sta sostituendo con candidati di rottura, pastori che si avvicinano al suo modo di agire per costruire l'ospedale da campo, decisamente più aperti alla gente, accoglienti verso gli emarginati, propensi ad un dialogo a 360 gradi capace di sbriciolare steccati culturali o ideologici. In sintesi più ardimentosi e meno conformisti.
L'ultima nomina che va in questa direzione riguarda il Canada, la città di Regina. A ricoprire la sede vacante è andato un giovane vescovo, Donald J. Bolen, noto per avere provato a vivere come un homeless per tre giorni, facendo la fila alle mense, chiedendo l'elemosina, dormendo in alloggi di fortuna, fraternizzando con gli altri senza tetto di Saskatoon, una cittadina canadese di 200 mila abitanti, dove le estati sono calde e gli inverni sono capaci di arrivare anche a meno 50 gradi. Bolen di quei giorni ha riportato una esperienza capace di cambiarlo. “Ho capito molte cose”.

Insomma l'identikit del vescovo 'modello' è il prete callejero, il prete da strada, colui che non ha paura a sporcarsi le mani, ad immergersi nella realtà circostante abbandonando, se occorre, le certezze della torre d'avorio. L'orientamento di Bergoglio era stato chiaro sin dall'inizio, anche in Italia, con la nomina di Galantino che da vescovo di Cassano allo Jonio si è ritrovato a fare il segretario della Cei. Catapultato dalla periferia al centro da un giorno all'altro. Uno che non si è mai fatto chiamare “eccellenza” ma solo don Nunzio e che ha sempre viaggiato in seconda classe o guidato la sua utilitaria un po' scassata. Poi è stata la volta dei nuovi arcivescovi di Bologna e Palermo. Altri due esempi illuminanti. Anche lì si è trattato di una sorpresa per il profilo dei prescelti. Il nuovo vescovo di Palermo, Corrado Lorefice, prima era uno sconosciuto parroco siciliano che ha scritto un libro sulla Chiesa dei poveri secondo il Concilio Vaticano II.

A Bologna, invece, Bergoglio ha nominato Matteo Zuppi, già vescovo ausiliare di Roma, con alle spalle una storia di impegno per i poveri e per la pace in Africa. La scorsa estate, invece, aveva mandato a Padova un parroco di Mantova, Claudio Cipolla, anche in questo caso andando a pescare fuori dalla regione ecclesiastica del Triveneto e dai nomi proposti. L'idea del Papa è di mescolare le carte, scoraggiare i carrierismi e le ambizioni di chi spera in uno scatto di posizione fino arrivare alla porpora. Insomma la Chiesa 3.0.  
di Franca Giansoldati 
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/vescovo_barbone_promosso-1853743.html

Vallini al campo rom: "fa vergogna al mondo. Si sentono abbandonati". Tutti in Vaticano 

Il cardinale vicario di Roma, in visita al campo rom di Castel Romano denuncia il degrado e invita le istituzioni a correre ai ripari, certo non si trattiene quando dice: "Provo una grande sofferenza nel vedere tante persone, genitori e soprattutto bambini, in una condizione di degrado inaccettabile. Ho visto però anche la volontà di riscatto e il loro desiderio di superare questa condizione. Si sentono abbandonati e lo sono. Quindi, dobbiamo prenderci carico di loro". Il vicario del Papa per la diocesi di Roma, dopo la visita compiuta nel pomeriggio di ieri al campo rom, raccontata dalla testata on line della diocesi di Roma, Romasette.it, scatena più di una riflessione, non fosse che i poveri a Roma crescono e non diminuiscono e sono praticamente ovunque e di qualunque etnia, età, colore di pelle e cittadinanza.
Vallini al campo rom: 'fa vergogna al mondo. Si sentono abbandonati'. Tutti in Vaticano
 La chiama "una situazione che fa vergogna al mondo, indegna di una città come Roma, neanche dopo la guerra ho visto una cosa simile", ma non si rende conto o forse fa finta, che qui lo Stato non aiuta neanche i lavoratori figurarsi chi ha una cultura nomade e non è mai davvero entrato nella struttura sociale della nazione che lo accoglie. Verrebbe da fare una proposta a sua Eminenza, con tanto rispetto ma anche tanta concretezza, perché la Chiesa deve concentrarsi sulle opere come dice il Papa e meno su parole, parole, parole. Vallini, se li prenda in Vaticano, gli dia dignità, rispetto, e aiuto perché qua purtroppo, al di là delle mura, non ce n'è più per nessuno.

"Il riscatto - sottolinea il vicario del Papa - parte dall'impegno di chi vive in questi campi, facendo in modo che non si trasformino in discariche, ma le istituzioni e i cittadini devono liberarsi dai preconcetti e dai pregiudizi. Sento il dovere di sollecitare le istituzioni a superare al più presto questa vergogna". Anche il Vaticano sarà un'istituzione che può aiutare in questo senso. 
http://www.intelligonews.it/articoli/13-luglio-2016/46160/castel-romano-vallini-al-campo-rom-situazione-che-fa-vergogna-al-mondo

Il caso Robert Sarah

Libertà e Persona13 luglio 2016
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Alcuni giorni orsono il cardinal Robert Sarah, nella sua veste di Prefetto della Congregazione del culto divino, aveva raccomandato il ritorno della celebrazione ad Orientem, come si è fatto per due millenni nella Chiesa e come fanno ancor oggi molti cristiani ortodossi nel mondo.
Il suo invito, e i suoi cenni ad una “riforma della riforma“, hanno determinato un immediato e pronto richiamo. Sarah è stato convocato dal papa e ripreso duramente (non ha la fortuna, si vede, di avere un cognome tedesco come Marx o Kasper…, cardinali cui tutto è permesso).
Pronta, prontissima, la smentita di padre Lombardi: il cardinal Sarah è stato malinterpretato, la “riforma della riforma” non è allo studio.

Dopo Lombardi, Tornielli, su Vatican Insider, con accenti molto duri:
“… Le parole di Sarah erano rimbalzate in tutto il mondo, trovando appoggi entusiastici nei siti e nei blog dei cosiddetti tradizionalisti, anche perché il cardinale aveva aggiunto di voler iniziare, d’accordo con il Papa, uno studio per arrivare a una«riforma della riforma» liturgica, per migliorare la sacralità del rito. Il giorno dopo la conferenza di Sarah, il cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, aveva scritto una lettera ai suoi sacerdoti invitandoli a non celebrare la messa rivolti a Est, come chiesto dal Prefetto del Culto divino, anche a motivo della legislazione vigente su questa materia. Nei giorni scorsi il cardinale Sarah è andato nuovamente in udienza da Francesco. E nel pomeriggio di lunedì 11 luglio padre Federico Lombardi ha rilasciato una dichiarazione evidentemente concordata con il Pontefice e con il cardinaleche smonta la valenza dell’invito di Sarah e boccia pure l’espressione «riforma della riforma», già a suo tempo abbandonata da Benedetto XVI…”.
Tornielli si trova nel difficile compito di dover bastonare il cardinal Sarah (vedi le parole in grassetto), e di dover nello stesso tempo delegittimare il succo delle sue dichiarazioni, spiegando che anche Benedetto XVI sarebbe stato contrario all’espressione “riforma della riforma” e quindi a quanto detto da Sarah.
Si tratta evidentemente di una menzogna: tutti coloro che hanno seguito Benedetto sanno bene quanto tenesse alla riforma della riforma, e quanto vedesse nella liturgia di oggi una causa essenziale dell’attuale secolarizzazione.
Come contributo alla storia vogliamo però riportare non uno dei tanti discorsi di Benedetto XVI sulla liturgia da riformare, in perfetto accordo con quanto detto da Sarah, ma un vecchio articolo dello stesso Tornielli, un tempo molto critico sulla cosidetta “nuova messa” post conciliare.
Correva l’anno 1992, e 30 Giorni titolava: La massoneria e l’applicazione della riforma liturgica; all’interno un brano dell’allora cardinal Ratzinger, intitolato significativamente Una messa degenerata in show, e, tramite la penna di Tornielli, un interessante dossier:
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http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/07/robert-sarah-ancora-un-cardinale-umiliato/#more-136600

Quelle parole talismaniche nei sinodi sulla famiglia


Nella Chiesa si è imposta una neolingua di stampo orwelliano. Il processo va avanti da tempo, ma negli ultimi anni ha avuto un’accelerazione impressionante. I due Sinodi sulla famiglia (del 2014 e 2015) lo hanno in qualche modo solidificato. Nel romanzo 1984, George Orwell spiega che la neolingua era la lingua ufficiale imposta dal Grande Fratello per sostituire la vecchia visione del mondo, le vecchie abitudini mentali e, soprattutto, per rendere impossibile ogni altra forma di pensiero che non fosse quella imposta dal Grande Fratello stesso e dal suo Partito unico, il Socing.
Ebbene, mutatis mutandis, sembra essere proprio quello che sta accadendo nella Chiesa. 
L’Associazione “Tradizione, Famiglia e Proprietà” (TFP) ha dato alle stampe un agile volumetto, Una rivoluzione pastorale. Sei parole talismaniche nel dibattito sinodale sulla famiglia”, scritto dallo studioso Guido Vignelli e con la prefazione di mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana (Kazakhstan). Il testo aiuta il lettore a orientarsi nel nuovo linguaggio utilizzato dai documenti ecclesiali usciti dai due Sinodi. Pur essendo stato ultimato prima della pubblicazione di Amoris laetitia, l’esortazione apostolica di Papa Francesco rientra a pieno titolo nella disamina fatta da Vignelli.
In sintesi, come nota l’autore, “questo linguaggio veicola una nuova pastorale che favorisce un cambiamento di mentalità e di sensibilità tale da insinuare una nuova teologia”. Non è una novità. Già san Pio X, nel 1907, affermava che “i modernisti involgono i loro errori in certe parole ambigue e in certe formule nebulose, allo scopo di prendere gli incauti nei loro lacci, ma tenendosi sempre aperta una via di scampo per non subire un’aperta condanna”. La tecnica – che Vignelli riassume in appendice – è quella del “trasbordo ideologico inavvertito”, concetto coniato dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira, fondatore della TFP. In pratica, il ricorso a parole cosiddette ‘talismaniche’ serve per trasbordare i fedeli da una posizione vera ad una falsa. Ed il passaggio è, per l’appunto, inavvertito, indolore. La tattica è di evitare l’affermazione di errori espliciti, ricorrendo piuttosto a “parole ambigue e scivolose che, pur avendo una origine cristiana, sono state sequestrate e strumentalizzate da una cultura anticristiana per diffonderle negli ambienti cattolici al fine d’inquinarli e disporli al cedimento e alla resa al nemico”. Insomma, si definiscono tali parole ‘talismaniche’ perché, “pur sembrando banali e innocue, nel linguaggio in cui vengono usate esse possono esercitare una pericolosa influenza che tende a manipolare la mentalità di chi le usa mediante una tecnica implicita di persuasione psicologica”.
Tra quelle più citate nel dibattito sinodale  e maggiormente in voga ai giorni nostri, Guido Vignelli ne ha individuate sei.
Inizia con il termine ‘pastorale’. Quante volte abbiamo sentito ripetere che la dottrina non cambia ma va invece adeguata la pastorale? Ebbene, la pastorale dovrebbe essere la modalità con cui i pastori della Chiesa guidano le anime verso la salvezza eterna. Se ne deduce che la prassi pastorale non può mai essere disgiunta dalla verità dottrinale: sono due facce della stessa medaglia. Da anni, però – e i Sinodi ne sono stati la prova -, si ricorre al termine pastorale per far sì che cambi la dottrina. Con la scusa dei tempi che cambiano e delle nuove esigenze e situazioni dei fedeli, si finisce per mettere in soffitta la legge di Dio e la Sacra Scrittura. E infatti si parla di “conversione pastorale” della Chiesa, in modo che “dogmatica, morale, diritto e liturgia si adeguino alle esigenze dell’uomo moderno”, e non il contrario, come invece dovrebbe essere.
C’è poi la parola ‘misericordia’. La Chiesa ne ha sempre parlato e l’ha sempre vissuta. In due millenni i preti hanno sempre confessato e assolto miliardi di fedeli. Eppure sembra sia una scoperta di qualche anno fa… Il problema è che oggi per misericordia si intende perdono a buon mercato: tutti si salvano e tutti sono perdonati, senza bisogno di alcun pentimento. Ma questo è un vero e proprio stravolgimento della verità. Anzi, una bestemmia che porta le anime alla dannazione.
Veniamo poi al termine ‘ascolto’. Si dice che la Chiesa deve porsi in ascolto, più che insegnare, arrivando persino a mettere in dubbio “certezze ritenute indiscutibili e sicurezze ritenute irrinunciabili”. Ne deriva che, “per la pastorale dell’ascolto, l’importante non è più che l’uomo sia in sintonia con la volontà divina, bensì solo l’essere sinceri, in pace con sé stessi e con gli altri; l’esserlo con Dio ne sarebbe un’automatica conseguenza”. In tal modo – lo abbiamo visto con i questionari somministrati in maniera assai discutibile prima dei Sinodi – la Chiesa si appiattisce sulla sociologia, pensando che la sua missione sia solo “fornire un vago servizio all’umanità”.
E cosa dire del ‘discernimento’? Tale parola indica lo strumento per analizzare le situazioni problematiche. Perciò, diventa vietato esprimere giudizi e chi non si adegua a questa nuova strategia pastorale viene severamente redarguito ed emarginato. Discernimento significa quindi ascoltare il diverso e valorizzare la sua diversità, perché bisogna tener conto della complessità delle situazioni. Ecco allora che “la complessità diventa un pretesto per eludere il problema ed evitarne la cura risolutiva ma spiacevole”. Nella pastorale di oggi evidentemente non c’è più spazio per il sacrificio e la croce. Si giunge così al concetto di famiglie e persone ‘ferite’: in tal modo “la situazione viene scusata o addirittura giustificata come se fosse insuperabile, mentre chi si ostina a rimproverarla viene accusato di mancare di misericordia”. Ciò che conta sono le “relazioni affettive di qualità”, ovvero quelle in cui ci si impegna a vivere “una unione autentica e stabile che comporti il reciproco aiuto materiale e morale”. Non c’è da stupirsi pertanto se non si usano più i termini ‘immorale’ o ‘irregolare’ per i conviventi more uxorio o per le coppie omosessuali: di fatto si passa dalla tolleranza del male alla sua piena accettazione. Il tutto in nome della dolcezza, del dialogo, della misericordia e dell’accompagnamento.
Già, ‘accompagnamento’ è un’altra parola talismanica. Non si tratta più di accompagnare il peccatore alla conversione, perché “ogni via, per quanto pericolosa, purché sia scelta liberamente dall’uomo, conduce comunque alla meta della salvezza”. Questo discorso vale pure per la società. Abbandonato l’obiettivo di costruire la civiltà cristiana, la Chiesa “deve accompagnare i processi culturali, seguirne l’evoluzione storica, incoraggiarne l’ammodernamento in senso pluralistico, senza pretendere d’imporle un modello storicamente sorpassato”. In buona sostanza, deve favorire un mondo non tanto scristianizzato, quanto piuttosto – e lo vediamo ogni giorno – anti-cristiano. Deve sposare dunque una strategia suicidaria.
Infine, l’ultimo termine preso in esame da Vignelli è ‘integrazione’. Molti sostengono che la comunione con la Chiesa e con Dio può essere solo parziale. Pertanto, occorre accogliere le diversità, abbattere mura, gettare ponti, superare le discriminazioni attraverso l’inclusione. Pretendendo però di integrare nella Chiesa quanti per ragioni oggettive non possono essere assimilabili, si favorisce la disintegrazione. Ovvero la dissoluzione: altra scelta suicida.
Ebbene, chi ama non vuole la morte dell’amato e non lo porterà certo ad uccidersi. Lo stesso vale per la Chiesa. Se i pastori preposti a guidarla e custodirla adottano rivoluzioni pastorali e dottrinali - ben celate dietro parole ambigue - volte a danneggiare il Corpo Mistico di Cristo, le possibilità sono due: o sono degli ingenui, e allora per ovvie ragioni dovrebbero essere privati di ogni incarico, oppure sono in mala fede e al servizio di qualcun altro (“non si possono servire due padroni”, dice Gesù nel Vangelo). Grazie a Dio, sappiamo però con certezza che “portae inferi non prevalebunt”!

di Federico Catani

Chi fosse interessato ad avere una copia del libro può scrivere a info@atfp.it o telefonare al numero 068-417603

1 commento:

  1. Sì cominciano a vedere le nomine conseguenti al nuovo corso bergogliano.

    Urge pertanto la ridefinizione del look da parte dei vescovi arrampichini: barba sfatta (almeno di 3 giorni), capello unto a coprire il collo, occhio arrossato, biancheria bucata e scarpe pluririsuolate, insomma tutto quanto possa farti percepire vicino alla gente, misericordioso e pronto a non stupirti di nulla.

    Ottima nel curriculum anche un'esperienza nei gironi infernali degli ultimi del mondo.

    Non è neppure un gran sacrificio, bastano tre giorni e potrai dire di essere un esperto in ultimita'.

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