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giovedì 14 luglio 2016

Intenzioni malintenzionate

Commento all'intenzione di preghiera di papa Bergoglio
per il mese di luglio 2016




L’intenzione di preghiera universale è: Perché vengano rispettati i popoli indigeni, minacciati nella loro identità e perfino nella loro stessa esistenza.

L’intenzione per l’evangelizzazione è: 
Perché la Chiesa in America Latina e nei Caraibi, mediante la sua missione continentale, annunci con rinnovato slancio ed entusiasmo il Vangelo.

Queste intenzioni proposte da Francesco per pregare nel mese di luglio meritano un breve commento.

Riflettendo sulla preghiera, ci viene in mente quello che narrano i Vangeli sulle numerose volte che Gesù pregò e specialmente sul mandato che ci ha dato di pregare le sette petizioni del Padre Nostro, la preghiera per eccellenza; perché pregare significa pregare come Gesù e secondo quanto Egli ci ha insegnato.

Ma, naturalmente, oltre a queste sette petizioni primarie se ne possono supplicare molte altre, fino a settanta volte sette… Ora il “rispetto per i popoli indigeni” è un’intenzione di preghiera che, venendo dalla cattedra di Pietro, sembra un po’ fuori posto, diciamo troppo artificiosa e pericolosamente equivoca.

Dopo la Sua Resurrezione, il Signore ha comandato agli Apostoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. 28, 19). Avrebbe potuto anche comandare che si valorizzassero e si salvassero le culture locali con il loro vasto seguito di eccentricità anti-evangeliche che esse comportano. Ma non ci ha dato questa consegna. Al contrario, ci ha detto che da coloro che non avrebbero accettano il Vangelo bisognava allontanarsi scuotendo la polvere dai propri calzari…

Grazie all’evangelizzazione, l’identità e la stessa esistenza di molti popoli immersi nel paganesimo, nella barbarie e perfino nei culti diabolici, sono stati ferite a morte con la “spada della Parola” e al stesso tempo sono state rigenerate con enorme beneficio per le anime e i corpi delle “vittime”. E’ la storia delle nazioni americane grazie ai missionari provenienti dalla Spagna e dal Portogallo.

Questa intenzione del Pontefice è anche volutamente ambigua, in quanto origina teorie e pratiche anti-cattoliche, in cui sono impegnati molti pseudo-missionari che distorcono e tradiscono gli insegnamenti della Chiesa, compresi quelli del concilio Vaticano II che usano come copertura per propagare l’errore.

Se i “semi del Verbo” - splendida espressione di San Giustino e dei Padri della Chiesa, ripresa e valorizzata dal Concilio in molti dei suoi documenti -, sono presenti in tutti i popoli, per quanto possano trovarsi scompostamente seguiti, si tratta proprio di innaffiarli, regolarli, coltivarli, potarli, dare ad essi l’opportunità di poter portare alla luce Gesù Cristo, il Verbo di Dio.

Idolatrare il seme senza curarlo e lasciando soffocare il Verbo impedendo che fiorisca, è quello che pretende una certa missionologia che, con questa intenzione di preghiera universale, Francesco finisce proprio con l’incoraggiante. E’ ovvio.

L’identità di un popolo vale nella misura in cui viene gestita e fa germogliare in sé l’ideale del Regno di Dio. Non abbiamo forse un solo gregge e un solo pastore? O staremmo lavorando per una religione relativistica ed eclettica del tipo di quella che predicano i teologi della liberazione?

La detta intenzione universale è illustrata con un video: “Il video del Papa - Rispetto per i popoli indigeni”, nel quale non appare alcun segno distintivo della religione cattolica. In cambio, i protagonisti indossano abiti, collane, fasce, ornamenti, penne, anelli, pipe… Lo stesso Francesco appare – com’è già normale in questa serie di video - senza che sia in vista la sua strana croce pettorale, che si usa normalmente sulla talare bianca, e senza una croce sul muro o un’immagine della Vergine sul tavolo. Niente. Sembra tutto preparato in un laboratorio di marketing anti-cristiano.

La giovane indigena che appare davanti al microfono con l’aria compunta, è in realtà una mediocre attrice truccata da uno studio televisivo; alcune delle immagini dei cosiddetti popoli originari sono scioccanti per la barbarie o la sensualità che esprimono. Francesco chiede rispetto per le loro forme di vita e per le loro tradizioni minacciate, presentandoci come modello delle figure aberranti e di dubbia autenticità.

Rispettare quali tradizioni? L’antropofagia, la poligamia, l’incesto, l’idolatria, il satanismo? Non lo dice, però sibillinamente lo insinua. Si direbbe che Bergoglio professi la credenza in una concezione immacolata di queste povere creature nei cui confronti la luce del Vangelo non ha ancora brillato in tutto il suo fulgore.

Mentre Francesco va smantellando la tradizione nei protocolli, nelle liturgie e nei costumi forgiati alla luce del Vangelo, vuole salvare indiscriminatamente tradizioni pagane che per il loro stesso dinamismo stanno morendo senza pena né gloria.

Perché si dovrebbe salvare una cultura o tradizione specifica? Sappiamo che la Chiesa è immortale, ma non confessiamo la credenza che lo siano o debbano esserlo anche i popoli indigeni. All’epoca di Noè, la sopravvivenza delle forme di vita dei popoli di allora non rientrava nelle intenzioni di Dio o del Suo profeta…

Tali salvagente che il vescovo di Roma lancia a questa povera gente, oltre ad essere anti-cristiani sono contraddittori, in quanto la sua politica di accogliere ad ogni costo e in maniera indiscriminata i rifugiati in Europa, comporta una rinuncia all'identità cristiana e occidentale dei paesi che sono a rischio di soccombere di fronte all’assalto della fanatica barbarie musulmana. Questo non solo sembra non importargli, ma lo incoraggia perfino, come abbiamo già detto in questo in altra parte di questo sito Denzinger-Bergoglio.

Nella Evangelii Gaudium, Francesco incoraggia gli Europei a non avere paura di perdere la propria cultura:

«I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i Paesi ad una generosa apertura, che invece di temere la distruzione dell’identità locale sia capace di creare nuove sintesi culturali.» (Esortazione Apostolica Evangelli Gaudium, del 23 novembre 2013, n. 210). 

Perché queste “nuove sintesi culturali” Francesco le vuole solo per i popoli cristiani europei?
I popoli indigeni sono una razza superiore che non può subire alcuna “sintesi culturale”?
O è che tali “sintesi culturali” servono a Francesco solo per eliminare i resti della civiltà cristiana occidentale?

Circa poi l’intenzione per l’evangelizzazione, Francesco concentra ancora la sua attenzione sull’America Latina, questa “fine del mondo” da dove si è imbarcato per arrivare a Roma. Naturalmente, in quelle latitudini è necessario un nuovo impulso per annunciare il Vangelo!
Ma è curioso che sia in America Latina sia nei Caraibi, dove esistono popolazioni indigene, alcuni missionari vogliono promuovere non esattamente la Buona Novella che è venuta dall’Europa cristiana, ma un esotico “vangelo” precolombiano.

Penserà forse Francesco che il cristianesimo ha minacciato l’identità e l’esistenza dei popoli del nuovo mondo? Molti dei suoi amici lo pensano.
C’è qualcosa di atavico e ricorrente in Francesco che lo induce a volgersi sempre alla sua provenienza amerinda del Rio de la Plata (nonostante abbia il sangue e il nome del vecchio piemontese), e che lo influenza  nel momento in cui pone le intenzioni per la Chiesa universale. E’ una sorta di blocco.

La vecchia Europa, tanto bisognosa di preghiere e da cui è venuta la fede per i popoli indigeni delle Americhe e dei Caraibi, non è degna, a quanto pare, delle preghiere del vescovo di Roma o dei fedeli del mondo.
Sarà perché l’Europa non ha seguito rigorosamente la consegna bergogliana di accogliere indiscriminatamente qualsivoglia rifugiato?
Sarà perché l’Unione Europea sta facendo acqua come una nave mal costruita?
Sarà perché, in base alle recenti elezioni e ai sondaggi, le destre si affermano e le sinistre sono in ristagno o in declino?
Qualcuno ha fatto capire che queste realtà feriscono il cuore di Francesco.
Certo è che l’Europa ha un bisogno urgente di preghiere, sia universali sia per l’evangelizzazione…

«Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza e di invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.» (Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 1014)

Queste parole espresse meno di due anni fa sono molto gravi, ma non sembrano preoccupare chi le ha pronunciate. Egli constata e poi parla d’altro; non prega e non lavora perché le cose siano diverse e chiede ai fedeli di fare altrettanto.

Altra dichiarazione sintomatica delle intenzioni bergogliane:
«Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia.» (Discorso in occasione del conferimento del Premio Carlo Magno, 6 maggio 2016)

I sogni di Francesco sono veri incubi. Nel suo sogno non entra la dimensione della fede, né la salvezza delle anime. Si tratta di un sogno rotariano, per non dire massonico.

Sulla missione presso gli indigeni, Pio XII parla un linguaggio molto diverso da quello di Francesco:
«Vi è un altro punto ancora che è Nostro vivo desiderio di presentare a tutti nella luce più chiara. È stata norma sapientissima, costantemente seguita dalla Chiesa, dalle origini ai nostri giorni, che l’Evangelo non dovesse distruggere né soffocare ciò che vi fosse di buono, di onesto e di bello nell’indole e nei costumi dei vari popoli che lo avevano abbracciato. La Chiesa nel condurre i popoli a una civiltà più elevata sotto l’influsso della religione cristiana, non si comporta come chi senza alcuna distinzione taglia, abbatte e distrugge una selva lussureggiante, ma piuttosto come chi innesta nuovi sani virgulti sui vecchi ceppi, affinché possano a loro tempo produrre e maturare frutti più squisiti e delicati.
«La natura umana, sebbene viziata dalla tara ereditaria del triste peccato di Adamo, conserva ancora un fondo naturalmente cristiano, che illuminato dalla luce divina e plasmato dalla grazia può essere elevato ad atti di virtù vera, e un giorno alla vita eterna.
«Perciò la Chiesa cattolica non disprezzò o rigettò completamente il pensiero pagano, ma piuttosto, dopo averlo purificato da ogni scoria di errore, lo completò e lo perfezionò con la sapienza cristiana. Così pure accolse benevolmente il progresso nel campo delle scienze e delle arti, che in alcuni luoghi raggiunse altezze veramente sublimi, e lo perfezionò diligentemente innalzandolo a fastigi di bellezza forse prima mai raggiunti. E neppure soppresse del tutto i costumi e le antiche istituzioni dei popoli, ma in qualche maniera li consacrò; le stesse feste pagane, trasformate nel significato e nel rito, piegò a celebrare le memorie dei martiri e i divini misteri. A questo riguardo molto egregiamente si esprime san Basilio: “Come i tintori preparano prima con cura ciò che si deve tingere, e poi lo colorano di porpora o di qualche altra tinta, nella stessa maniera anche noi, se vogliamo conservare per sempre indelebile la gloria dell’onestà, prima iniziati allo studio di queste dottrine profane, apprenderemo poi i segreti delle scienze sacre: e abituati a contemplare il sole riflesso nell’acqua, alzeremo in tal maniera lo sguardo al sole raggiante. ... Certamente, com’è essenziale per l’albero produrre frutti a suo tempo, e tuttavia anche le foglie che si muovono intorno ai rami gli offrono un qualche ornamento; così anche per l’anima il frutto essenziale è la verità, ma non si deve disprezzare la veste della dottrina profana che rassomiglia a quelle foglie che dànno al frutto ombra e aspetto piacevole. Perciò si dice che anche il grande Mosè, celeberrimo sopra tutti per la sua sapienza, si esercitò in tutte le scienze degli egiziani, prima d’innalzarsi alla contemplazione di “Colui che è”. Così pure anche nei tempi posteriori si dice che il saggio Daniele fosse istruito in Babilonia nella sapienza dei Caldei e poi si dedicasse allo studio delle scienze sacre». (Pio XII, Enciclica Evangelii Praecones, 2 giugno 1951, n. 12).


Pio XII punta alla conversione, salvaguardando i valori indigeni cristianizzati. Francesco punta alla persistenza del paganesimo senza ombra di rigenerazione. Ma ... se come direttrice egli non ha la luce della fede, non ci si può aspettare nulla di diverso da quello che propone. Si possono chiedere delle pere ad un olmo?

Nel continente asiatico, dove il cristianesimo arriva solo all’uno per cento, non sarebbe più opportuno pregare perché la fede di Gesù Cristo venga impiantata in quelle latitudini e vi produca dei frutti? Penseranno forse in Vaticano che l’Asia sia ben servita con la “ricchezza” che vi apportano così tante religioni e filosofie antiche come il buddismo, il maomettanesimo, l’induismo… l’ateismo, ecc.?

Dell’Africa meglio non parlarne… la sua situazione ha caratteristiche simili a quelle dell’America, aggravata dalla mancanza di radicamento che finora ha avuto lì il Vangelo, disgraziatamente. L’inculturazione non ha dato maggiori risultati, o è stata mal fatta ... in ogni caso! Di quante preghiere hanno bisogno questi popoli!

Per finire, diciamo: non sarebbe più consono ad un padre e un pastore chiedere preghiere per i poveri venezuelani, i cubani perseguitati, i siriani massacrati, i bambini abortiti o i matrimoni sfasciati? E invece sembra più politicamente corretto ricordare gli indios, ricordarli non per catechizzarli e battezzarli, ma per confermarli nel loro paganesimo ancestrale. Questo è consono ad un padre e un pastore?

Che ci riserva il futuro? Nei mesi successivi ci si chiederà di pregare per altre cose eccentriche come le foche in estinzione, il riscaldamento globale o contro la speculazione in borsa e l’economia di mercato?

Di fronte alle intenzioni per la quali il vescovo di Roma ci chiede di pregare, ci sembra che l’intenzione più urgente sia il pregare per lui…


Pubblicato sul sito latino-americano Denzinger-Bergoglio
condotto da sacerdoti latino-americani

L'immagine è nostra

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1603_Intenzioni_malintenzionate.html

1 commento:

  1. Quante parole per sto Gorgoglio. Ne basterebbero poi due: corte marziale.

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