ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 luglio 2016

Miseri o inconsapevoli adoratori di Satana…

TEOLOGIA, SCIENZA E SAPIENZA
    La teologia è una scienza e una sapienza che mostra all’uomo il senso della vita. La cosa essenziale per il singolo è ciò che conferisce un significato superiore alla sua esistenza: nel caso dell’uomo è il legame con Dio
di Francesco Lamendola  
Prima di avventurarsi a discutere su cos’è la salute e cosa la malattia, bisogna capire cosa sia essenziale alla sopravvivenza e al benessere di un organismo. La salute, infatti, è sempre la salute di un organismo: non potremmo immaginare il concetto di “salute” riferito a un contesto non vivente, a meno di adoperare la parola in senso metaforico. La salute di un ambiente naturale, ad esempio, è pur sempre la salute di tutti gli organismi, vegetali e animali, viventi in quell’ambiente; se non ci sono organismi, è impossibile parlare di salute.
Ora, le società umane sono organismi veri e propri, né più né meno di un vecchio albero, di un cavallo, di un lichene. Per capire se siano sane o ammalate, e che cosa le faccia vivere sane, e che cosa ammalare, bisogna comprendere che cosa sia essenziale per la loro sopravvivenza e per il loro benessere.
Tutti gli organismi, infatti, tendono, per prima cosa, a sopravvivere; per seconda cosa, a prosperare, cioè a star bene e a riprodursi e diffondersi.
Per capire cosa sia essenziale ad una società, possiamo scegliere vari punti di partenza; a noi sembra che il più semplice sia quello di proseguire nella similitudine con gli organismi biologici e chiederci, pertanto, cosa sia essenziale alla vita e al benessere del singolo individuo: siamo certi che la stessa cosa risulterà essenziale anche alla società nel suo complesso. Ebbene, a noi sembra evidente che la cosa essenziale, per il singolo individuo, è ciò che conferisce un significato superiore alla sua esistenza. Nel caso dell’uomo, si tratta del legame con Dio: del riconoscimento della propria condizione creaturale da parte dell’uomo, e della lode e del ringraziamento dovuti nei confronti del Creatore.
Unito a Dio, l’uomo è la creatura più nobile dell’universo, quella fatta a immagine e somiglianza di Lui, e perciò chiamata a collaborare direttamente con il Suo progetto riguardo alla creazione: la somiglianza fra la creatura e il Creatore, infatti, consiste essenzialmente nell’attributo della libertà. L’uomo è posto davanti a una libera scelta: restare unito a Dio o distaccarsi da Lui. Restando unito a Dio, l’uomo è capace di compiere qualsiasi cosa; senza di Lui o contro di Lui, l’uomo è niente, un granello di sabbia spazzato dal vento, un flebile sospiro che la risacca del mare porta via con sé. Questo concetto è stato più volte ribadito da Gesù stesso: Io sono la vite, voi i tralci, il Padre mio è il vignaiolo; chi resta unito a me, e io in lui, quello porta molto frutto; senza di me, invece, voi non potete fare niente.
Dalla scelta per Dio o contro Dio dipende anche il destino soprannaturale dell’uomo: perché la vita terrena non finisce in se stessa, non si risolve nel nulla della morte, ma si prolunga, oltre la porta stretta della morte, nel mistero dell’eternità. La libertà dell’uomo non determina solo il suo destino terreno, ma anche quello ultraterreno. Se la vita fosse compresa soltanto fra il momento del concepimento e quello della morte, sarebbe una ben misera cosa: sarebbe una beffa per tutti gli esseri umani, e, per la maggior parte di loro, sarebbe anche una ingiustizia. I conti del male e del bene non si pareggiano per tutti in questa vita: il destino di Lazzaro e quello del ricco Epulone attendono il loro ultimo sigillo da un atto di giustizia che non è detto si manifesti già in questa vita. La conseguenza di questo concetto è che lo scopo della vita umana risiede anche nella ricerca della salvezza per la vita eterna: e quello che è vero per il singolo individuo, lo è anche per le società. Come per l’individuo, anche le società sono chiamate innanzitutto a servire e onorare Dio, nonché a procacciare agli uomini i mezzi per la salvezza eterna.
Ecco perché la teologia è stata giustamente onorata come la regina delle scienze, e posta quale coronamento dell’umano sapere; ed ecco perché, quando nacquero le prime università, la laurea in teologia fu vista ed onorata come il vertice dell’umano conoscere. La teologia è al vertice del sapere tanto nella Divina Commedia di Dante, quanto nella Summa di san Tommaso d’Aquino; è inscritta nelle pietre delle cattedrali, illustrata nelle loro sculture e nelle loro vetrate, è proclamata dall’alto delle loro guglie e dei loro pinnacoli. La teologia è la scienza del divino, illuminata dalla Rivelazione: è il punto d’intersezione fra quel che può fare l’intelligenza umana e il mistero di salvezza della fede, che apre gli occhi e la mente a una forma di sapere superiore a quella semplicemente umana. Per mezzo della teologia, l’uomo si innalza al di sopra di se stesso e ritrova il senso pieno e compiuto del proprio legame con Dio, che getta una luce meravigliosa su tutta la sua vita, sui suoi pensieri, sulle sue opere, e conferisce loro un più alto e nobile significato. L’uomo, infatti, non vive solo per se stesso, ma per conoscere, amare e servire Dio, sempre di più e sempre meglio; mentre una vita umana rivolta unicamente verso la soddisfazione di se stessa, degli umani appetiti e desideri, diverrebbe, inevitabilmente, una vita sub-umana, bestiale.
Va da sé che una teologia “laica”, “scientifica”, “antropocentrica”, è una contraddizione in termini: la teologia non potrà mai partire dall’uomo e non potrà mai mettere al centro l’uomo, tanto meno potrebbe prescindere dai dati della Rivelazione o accostarsi in maniera puramente oggettiva e “scientifica” alle Scritture e alla Tradizione, senza tradire se stessa. Purtroppo, questo è, invece, precisamente quel che è accaduto nell’ultimo mezzo secolo, a partire dal Concilio Vaticano II. Credendo di “aggiornare” il cristianesimo, di “modernizzare” la fede, di “ridurre” la distanza fra l’uomo e Dio (tutti concetti intrinsecamente erronei e blasfemi), dei cattivi teologhi e dei pessimi pastori non hanno fatto altro che svendere un sapere soprannaturale in cambio di un “sapere” puramente umano, ma senza avere neppure la franchezza di portare le cose sino in fondo, e conservando la mera finzione di una fedeltà a Dio che, nei fatti, era stata completamente tradita. Sarebbe stato più franco e leale proclamare, con Nietzsche, la morte di Dio e l’autosufficienza dell’uomo; si è preferito lasciar le cose a metà, conservando l’illusione del legame con Dio, e seminando la confusione nelle anime: quando è certo che, se l’uomo pretende di accostarsi a Dio da pari a pari, con criteri “oggettivi” e con mentalità scientifica, non troverà mai Dio, ma solo il riflesso della propria superbia e della propria presunzione. I “nuovi” teologi della cosiddetta svolta antropologica sono dei poveri untorelli, che non sanno essere grandi neppure nell’apostasia: sono piuttosto dei ribelli a metà, dei rivoluzionari timidi, degli apostati pieni di buone intenzioni e di cattiva coscienza.
Sta di fatto che il mondo moderno ha praticamente espulso la teologia dal palazzo nobile del conoscere, dove era stata, per secoli, nella posizione più eminente, rispettata, ammirata, regina delle scienze e, nello stesso tempo, ispiratrice dell’agire pratico degli uomini; oppure, se non l’ha espulsa – e non sapremmo dire quale delle due cose sia la peggiore – l’ha orribilmente contraffatta e sfigurata, a furia di “metodo critico”, di “smitizzazione”, di “aggiornamento scientifico” degli studi biblici, di sedicenti “ritorni” a un non meglio precisato Vangelo primitivo.
Scriveva il padre domenicano Raimondo Spiazzi (1918-202), teologo e mariologo, che fu stretto collaboratore di Pio XII, nel suo ampio saggio La Catechesi nel nostro tempo (Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1980, p. 11):
Secondo San Tommaso, la teologia è una scienza e una sapienza. Come SCIENZA deduce conclusioni da principi, sia nel campo speculativo che in quello pratico; come SAPIENZA illumina con la sua luce superiore e giudica ”ex alto”  le scienze inferiori e gli atti umani. Il suo processo razionale è valido anche se i principi  da cui deduce le conclusioni sono gli “articuli fidei”, ossia i dati della Rivelazione insegnati  ed eventualmente definiti come dogmi dalla Chiesa, ed esso si svolge “sub lumine fidei”: infatti si ha un vero e proprio sviluppo DI verità e DA verità. Lo steso si dica per il lavoro induttivo che è proprio della teologia positiva, dedita alla investigazione e alla esplicitazione dei dati rivelati, e allo studio delle loro fonti: è un lavoro razionale e scientifico, non è né una nuova rivelazione né una pura ripetizione materiale degli stessi dati.
San Tommaso aggiunge che in ragione dei diversi “oggetti materiali” (VERITÀ rivelate da spiegare e da sviluppare, ATTI UMANI da dirigere) la teologia è una scienza SPECULATIVA e PRATICA; e tuttavia ha una intrinseca UNITÀ per rapporto al suo “oggetto formale”, che è Dio rivelatore, alla cui luce esso tutto considera” [cfr. Summa Theologiae” I q. 1, a.a.2, 3, 4, 6].
La teologia, dunque, era il sale della conoscenza umana; ma se il sale perde il suo sapore, con che cosa glielo si renderà? Una volta che si sia trasformata la teologia in una caricatura e in uno scadente doppione della filologia, della filosofia, della storia e dell’antropologia comparata, a che cosa servirà mai un simile ibrido? Nossignori: la teologia è scienza e sapienza: scienza del divino e sapienza che viene da Dio; se la si vuole “aggiornare” e trasformare in una disciplina accademica come tutte le altre, la si distruggere, puramente e semplicemente. Quello che resta in mano non è più la teologia, ma cenere fredda di un sapere morto e mortifero. Mortifero, perché invece di dare la vita, conferma la vittoria della morte: considerando l’uomo da un punto di vista umano, essa tradisce la propria missione, che è quella di confermare la speranza cristiana nella vita eterna, e ribadisce la condanna della carne alla morte e alla putrefazione. Umanamente parlando, infatti, l’uomo non è altro che fango e cibo per vermi: ogni volta che se ne dimentica, l’uomo si mette sulla strada della follia e moltiplica immensamente le proprie scelleratezze e le proprie sofferenze, trascinando gli innocenti (a cominciare dai bambini) nelle conseguenze della sua malvagità. La storia del ventesimo secolo è una tragica conferma di questo fatto: basti pensare alle due guerre mondiali e ai genocidi, che hanno inflitto atroci sofferenze e, infine, la morte, a milioni di persone, moltissime delle quali innocenti, perché si trattava di bambini. Per trovare analoghi esempi di crudeltà e di sadismo, bisogna risalire indietro nel corso dei secoli, fino alle antiche civiltà, fino agli Assiri, che deportavano e sterminavano intere popolazioni, per imporre il proprio dominio mediante lo strumento del terrore. Con la notevole differenza che l’uomo antico era immerso in un orizzonte di disperazione (si confronti il dialogo fra il greco Diomede e il troiano Glauco, nel sesto libro dell’Iliade, dove le generazioni umane sono paragonate alle foglie degli alberi, destinate a cadere a terra, le une dopo le altre, incessantemente e insensatamente); mentre l’uomo moderno ha avuto il privilegio di conoscere la verità, di essere illuminato dalla Rivelazione, e non ha saputo farne buon uso, anzi, ha preferito rifiutarlo e disprezzarlo.
Come dice San Paolo, nella Epistola ai Romani (1, 20-23): Gli uomini non hanno perciò alcun motivo di scusa: hanno conosciuto Dio, poi si sono rifiutati di adorarlo e di ringraziarlo come Dio. Si sono smarriti in stupidi ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Essi, che pretendono di essere sapienti, sono impazziti: adorano immagini dl’uomo mortale, di uccelli, di quadrupedi e di rettili, invece di adorare il Dio glorioso e immortale.
E potremmo aggiungere, riguardo all’uomo moderno: hanno adorato dei vuoti feticci, la Ragione, il Progresso, la Scienza; oppure delle parole menzognere, Libertà, Fraternità, Uguaglianza; oppure, ancora, hanno adorato dei sostituti di Dio ancor più rozzi e obbrobriosi, quali il Piacere, il Potere, il Denaro; da ultimo, si son messi ad adorare se stessi e, in nome della loro onnipotenza, si sono abbandonati alle peggiori infamie, ma rivestendole sotto il mantello bugiardo dei “diritti”, della “civiltà” e perfino dell’”amore”. Due maschi pretendono di “sposarsi”, e di chiamare “matrimonio” la loro unione orripilante; poi hanno preteso di affittare l’utero di una donna, di comprare il bambino nato da lei mediante la fecondazione artificiale, e di portarselo a casa, in attesa di dargli un “fratellino”: il tutto per il loro piacere, per gratificare il loro ego, per ingannare le leggi della natura e capovolgere quelle degli uomini, proclamando una libertà che è la mostruosa caricatura della libertà vera, la quale non può essere altro che l’adesione alla volontà di Dio.
Di sconvolgente attualità il seguito della riflessione di San Paolo (Rom., 1, 28-32): E poiché si sono allontanati nei loro pensieri da Dio, Dio li ha abbandonati, li ha lasciati soli in balia della loro mente corrotta, ed essi hanno compiuto cose orribili. Sono ormai giunti al colmo di ogni specie di ingiustizie e di vergognosi desideri. Sono avidi, cattivi, invidiosi, assassini. Litigano e ingannano. Sono maligni, traditori, calunniatori, nemici di Dio, violenti, superbi, presuntuosi, inventori di mali, ribelli ai genitori. Sono disonesti e non mantengono le promesse. Sono senza pietà e incapaci di amare.  Eppure anno benissimo come Dio giudica quelli che commettono queste colpe: sono degni di morte. Tuttavia,  non solo continuano a commetterle, ma anche battono le mani a tutti quelli che si comportano come loro.
Sarebbe difficile descrivere in maniera più chiara ed efficace la condizione dell’uomo che, allontanatosi da Dio, rifiuta di adorarlo.
Eppure, questa è proprio la condizione dell’uomo moderno; e, per sincerarsene, è sufficiente accendere, a caso, in qualsiasi ora del giorno o in qualsiasi giorno, la radio o la televisione, oppure scorrere la cronaca dei giornali quotidiani.
Anche a questo, soprattutto a questo, serviva lo studio della teologia e il riconoscimento del suo valore supremo nell’ambito del sapere umano: a non smarrire il legame con il Creatore, e a non dimenticare quale sia il vero significato della vita.
L’uomo moderno, invece, ha ben altre scienze da studiare e coltivare, al posto della teologia: scienze diaboliche, come la bioingegneria, che gli consentono di manipolare la vita a suo piacere, come il dottor Frankenstein; e che, di follia in follia, lo stanno trascinando a trasformarsi in un misero, inconsapevole adoratore di Satana…

La teologia è una scienza e una sapienza che mostra all’uomo il senso della vita
di

Francesco Lamendola

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