ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 23 luglio 2016

Ventun Concilî vi sembran troppi?

DAL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II AD AMORIS LAETITIA. Lo stesso “Spirito del Concilio”.


                                                                       Ventun Concilî

Il Concilio Ecumenico Vaticano II si svolse dal 1962 al 1965 in quattro sessioni, sotto i pontificati di San Giovanni XXIII e del Beato Paolo VI.
Preparato da un clima di ricerca biblica, liturgica, dogmatica, pastorale, il Concilio si presentava come pastorale. Intento di San Giovanni XXIII era consegnare al mondo la stessa immutata dottrina, ma adattata ai tempi ed al linguaggio del mondo, ormai,mutati. Nel corso del Concilio tale scopo si mostrò sempre più difficile da raggiungere, non solo per il procedere complesso e problematico, dato da tesi, correnti, anche molto diverse tra loro, ma per la pressione mediatica, che lo stesso Concilio subì dall’esterno. Ciò non è novità, come ben fu spiegato dal Papa Emerito Benedetto XVI nel Discorso alla Curia Romana del giovedì 22 dicembre 2005 e nel Discorso ai Parroci ed al Clero Romano del 14 Febbraio 2013:
L’ultimo evento di quest’anno su cui vorrei soffermarmi in questa occasione è la celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant’anni fa.
Tale memoria suscita la domanda: Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l’altro: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …” (De Spiritu Sancto, XXX, 77; PG 32, 213 A; SCh 17bis, pag. 524). Emerge la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione.

Due ermeneutiche contrarie

I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente, ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare.
 

L’ermeneutica della discontinuità

Essa (l’ermeneutica della discontinuità) asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio…

L’ermeneutica della riforma

… All’ermeneutica della discontinuità si oppone l’ermeneutica della riforma, come l’hanno presentata dapprima Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso d’apertura del Concilio l’11 ottobre 1962, e, poi, Papa Paolo VI, nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio “vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti”, e continua: “Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige … È necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865).

Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, Beato Paolo VI
… Paolo VI, nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato ancora una specifica motivazione per cui un’ermeneutica della discontinuità potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull’uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell’antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l’uomo ed il mondo di oggi, dall’altra (ibid., pp. 1066 s.). La questione diventa ancora più chiara, se in luogo del termine generico di “mondo di oggi” ne scegliamo un altro più preciso: il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna ….
 Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi; essa prosegue “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8). Chi si era aspettato che con questo “sì” fondamentale all’età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l’“apertura verso il mondo” così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione storica è una minaccia per il cammino dell’uomo ….
Questi pericoli, con le nuove possibilità e con il nuovo potere dell’uomo sulla materia e su se stesso, non sono scomparsi, ma assumono invece nuove dimensioni: uno sguardo sulla storia attuale lo dimostra chiaramente. Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un “segno di contraddizione” (Lc 2,34) – non senza motivo Papa Giovanni Paolo II, ancora da Cardinale, aveva dato questo titolo agli Esercizi Spirituali predicati nel 1976 a Papa Paolo VI e alla Curia Romana. Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell’uomo….

La forza di San Giovanni Paolo II

In questo contesto di difficile relazione ed interpretazione tra i soggetti in campo ad extra: Chiesa e mondo moderno; e ad intra: Pastori, teologi e Popolo di Dio, San Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1978 manifestò uno slancio utopico, più volte ripreso in seguito, rivolgendosi all’umanità intera[1]: «Non abbiate paura!». Non abbiate paura di testimoniare il Cristo e di accogliere Cristo.
Giovanni Paolo II
Il santo Papa chiamava i Cattolici a raccolta, ad essere sé stessi nel mondo, senza appartenere al mondo. Nuovamente, in modo forte ed evidente, il Santo Padre sottolineava anche la dovuta diversità dal mondo.
Certa teologia e, soprattutto, pastorale sembrava aver abdicato a favore di criteri mondani nell’intento di essere vicina all’uomo, dimenticando le priorità di Dio in Cristo, secondo uno Spirito di Verità e fortezza.
Giovanni Paolo II richiamerà, più e più volte, i dettati del Concilio, richiedendo la più esatta esecuzione anche delle sue norme. Concentrati nella Chiesa, ma aperti all’uomo, più che al mondo, all’uomo considerato Via della Chiesa, come l’allora Papa si espresse nella Redemptor Hominis, nella Lettera alle Famiglie (Gratissimam Sane), nella Centesimus Annus.
Ne seguì una ipercritica nei confronti del passato, ritenuto tempo di non santità della Chiesa, fino a ritenere che tutto ciò che si era fatto prima fosse stato frutto del medioevo oscurantista, secondo l’errore illuminista, in seguito amplificato dalla filosofia e prassi marxista, fino ad oggi.
Lo stesso Beato Paolo VI, pur distingueva tra Santità oggettiva della Chiesa e Santità dei suoi membri: «La Chiesa dovrebbe essere santa, buona, dovrebbe essere come l’ha pensata ed ideata Cristo, e talora vediamo che non è degna di questo titolo»[2]. Come non cogliere che, scrivendo l’espressione la chiesa … non è degna di questo titolo, Paolo VI intendeva solo la sua dimensione umana, i singoli cristiani e gli aspetti umani variabili della sua istituzione? Ma pure, in parte del Popolo di Dio e dei Teologi, si intese che la Chiesa in sé stessa non fosse Santa, né Istituzione Divina. Era questa una deriva protestante, entrata prepotentemente all’interno della Santa Chiesa, vista come impedimento all’avvento del Regno di Dio, confuso con le richieste del mondo, ritenute, frettolosamente, segni dei tempi[3]. La santa Chiesa, nel suo Magistero, fu vista di ostacolo alla realizzazione dello “Spirito del Concilio”.

Derive in alcuni aspetti della teologia, della pastorale, della catechesi

In generale, a volte la stessa predicazione, altre volte l’insegnamento, le pubblicazioni teologiche, furono pronte ad accogliere qualunque contributo, pur che fosse nuovo, con la compiacente complicità di talune Case Editrici, che, guarda caso, poi, gradualmente, corressero il tiro editoriale durante i pontificati di San Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI, per sentirsi nuovamente autorizzate, di recente, e non si capisce perché, a riprendere quel critico orientamento.
Ma perché i lodatori –presunti- del Concilio, o, meglio, dello Spirito del Concilio, desiderosi di carità verso il mondo, si dimenticarono, di colpo, dei Santi della Chiesa, che, in ogni tempo, non vennero meno nemmeno nei periodi di massima corruzione della cristianità? Non riuscivano a distinguere tra Chiesa e cristianità?, così come intendono distinguere tra mondo ed umanità, umanità da soccorrere e che è degna di misericordia?
La delicata prospettiva di Paolo VI, che in quella, come in altre proposizioni, sembra mutare in soggettivo l’oggettivo, -al di là della retta intenzione del Santo Padre-, fu utilizzata per smantellare l’ancoraggio alla Tradizione con la scusa di superare il passato: gli scheletri della Chiesa. Fu la grande crisi delle vocazioni, la defezione di tanti sacerdoti, che si sentivano smarriti ed inutili in un mondo così diverso e ritenuto più umano della stessa Chiesa. Ci si dimenticava che non sono tanto i cristiani a fare santa la Chiesa, quanto la Chiesa a fare santi i cristiani attraverso i veicoli della grazia: i sacramenti, il ministero, le opere di carità, l’esercizio delle virtù cristiane.
Così si generò, viepiù, uno spirito di indipendenza, che diede luogo alla radicalità dei cambiamenti, causando una discontinuità con il passato. Ora vediamo gli effetti che lo spirito di indipendenza ha prodotto nell’unità della Chiesa.
Anche la catechesi, che rigidamente sostituì il termine catechismo, divenuto irripetibile, obliò numerose verità di fede: dai misteri della fede, ridotti alla figura del figlio nella sua umanità a discapito della divinità del Verbo, al misconoscimento della presenza reale di Cristo –non teorica, ma pratica- nell’eucaristia, non insegnando più gli atti di pietà, l’atteggiamento di riconoscimento della Sua presenza in corpo, sangue, anima e divinità. Tale fede, più che con le parole, si trasmette con i gesti di adorazione, anche fuori della messa, che non è più Santa Messa. Si è affermata una relativizzazione del sacramento eucaristico a vantaggio di una celebrazione, che rende presente Cristo, ma solo nei fratelli, per il motivo che Egli non può essere cosificato nel segno. Si è trascurata la formazione ascetica, perché legata alla volontà e non allo Spirito, che rende liberi … Su questo cito le parole di Mons. Livi:
« … Lutero immagina che il cristiano sia allo stesso tempo peccatore e giustificato («homo simul iustus et peccator»). Insomma, colui al quale sono imputati i meriti di Cristo – e che sarebbe quindi un “giusto” – non per questo è rinnovato dalla grazia santificante, non è un “homo novus”, ma è una “carogna” (il termine è dello stesso Lutero) avvolta dal manto immacolato dei meriti di Cristo; egli quindi, senza abbandonare il suo peccato, può essere un giustificato. In questa prospettiva non c’è più spazio per la dottrina spirituale cattolica che esige da ogni fedele l’impegno ascetico, in modo che, sostenuto dalle “grazie attuali”, egli abbia sempre la disponibilità alle rinunce e ai sacrifici, ossia a quella “lotta interiore” che serve a evitare il peccato o a emendarsene. La concezione di una radicale corruzione dell’uomo dopo il peccato originale ha portato Lutero alla teorizzazione di una salvezza “sola fide”, una “fede” la cui nozione – che ha oggi invaso il mondo cattolico – è falsa, perché non è la fede dogmatica, per cui è essenziale l’adesione ai contenuti della Rivelazione, ma la fede-fiduciale in cui quel che conta è l’aspetto per così dire “sentimentale”.  Quindi, dice Lutero, “pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente” (“pecca fortiter, sed crede fortius”), ovvero quanto più l’uomo continua a peccare tanto più dimostra la propria assoluta fiducia nei meriti di Cristo, che hanno il potere divino di salvare indipendentemente dal libero arbitrio del credente. Quel che è peggio è che, in questa concezione luterana della giustificazione, i mezzi stabiliti da Dio per concedere la sua grazia, che sono i Sacramenti di Cristo, vengono privati a uno a uno del loro significato propriamente teologico, e alla fine vengono del tutto aboliti, salvo (apparentemente) il Battesimo. Data la gravità di queste interpretazioni eretiche, disastrose per la salvezza delle anime secondo il progetto misericordioso di Dio, la Chiesa ha dovuto condannare come eretica la dottrina luterana sulla giustificazione, e lo ha fatto con precisi e inequivocabili “canoni” o “anatematismi” nel Concilio di Trento (Sessione VI, 13 gennaio 1547)»[4].
Questa deriva generalizzata, che Papa Benedetto identificava con la dittatura del relativismo, non era conseguenza deiDocumenti conciliari, ma di quelle correnti, in sé preziose per giungere ai testi finali del Concilio, ma che nella dimensione di continuo progresso e rinnovamento, portarono ad un malinteso intendere lo Spirito del Concilio, fino a negare sistematicamente il valore dei Documenti del Concilio stesso, il suo Magistero.
Certi interpreti dei Documenti, coloro che li presentavano al Popolo di Dio, spesso si fermavano alle correnti teologiche e pastorali che li avevano generati, senza poi ripartire dalla sintesi finale, dal punto di approdo dei Padri Conciliari, che sarebbe dovuto essere la nuova base dalla quale ripartire perché frutto dell’assistenza dello Spirito Santo.

Bisogno di un Catechismo della Chiesa Cattolica


Ricordo come in molti desideravamo che, quanto prima, la Santa Madre Chiesa pubblicasse un Catechismo della Chiesa Cattolica per dare una indicazione inequivocabile, dopo diversi sperimentali sforzi di redazione di catechismi nazionali, più esito di accurate ricerche psicologiche e sociologiche, che esposizione delle verità di fede adattate alle esigenze dei tempi.
Tali catechismi, in taluni aspetti, smarrivano la stessa integralità della dottrina (pensiamo al famoso Catechismo Olandese, ma non solo), tanto che, per esempio, per il Catechismo italiano degli adulti, del 1981, Signore da Chi andremo?, la CEI dovette aggiungere un’Appendice su alcune verità e, una volta pubblicato il Catechismo della Chiesa Cattolica, oggi di riferimento per tutti i Catechismi delle Conferenze Episcopali, il Catechismo per gli adulti fu completamente rifatto, integrandolo di molte parti del CCC, dando, così, vita al testo del 1995 dal titolo La Verità vi farà liberi. Più recentemente, Benedetto XVI pubblicò il Compendio, quale strumento prezioso ed agile.

Parrocchie e Catechismo

Nel frattempo, le parrocchie sembrano essersi disabituate all’uso dei catechismi, che, certo, non sono da utilizzarsi pedissequamente, ma nemmeno da non tenersi come riferimento da parte dei sacerdoti e dei catechisti. Conseguenza è che nel Popolo di Dio non solo non si conoscono più, o in modo assai impreciso, i due misteri principali della fede (diconsi due), ma è stato smarrito il senso della trascendenza della vita cristiana, la verità che l’uomo, e la natura a lui sottoposta, sono stati creati per la gloria di Dio, fine eterno dell’uomo. Da qui derivano tutte le parziali presentazioni del messaggio cristiano, ove il Mistero sacramentale non ha più spazio. Ove la celebrazione è divenuta un’autocelebrazione antropocentrica.
Ciò che era sperimentale è divenuto prassi in modo acritico. Ma, per fortuna, le foreste crescono senza far rumore e si sta assistendo ad una ripresa consapevole dei temi fondamentali della fede e della morale proprio da parte del Popolo di Dio e non solo dei suoi ministri.
Io stesso nella mia adolescenza soffrii drammaticamente questo relativo abbandono della pastorale dei sacramenti a favore di una pastorale sociale, -vista proprio come alternativa alla prima- che non rivelava assolutamente la misericordia di Dio per l’uomo, bensì l’indifferenza dell’uomo per Dio, -che dico, di molti cattolici per Dio-, la sua insignificanza in un mondo demitizzato – nel senso più deteriore del termine-. Si voleva una salvezza intramondana. Questo era uno degli esiti della commistione tra fede e teologia della liberazione, tra fede ed umanesimo marxista.
Si perse in modo quasi irreparabile la simbologia liturgica, nonostante la liturgia fosse stata riformata a partire da un ricchissimo rinnovamento liturgico, che era rinnovamento biblico, patristico e dogmatico insieme. Tale rinnovamento liturgico, senza l’adesione del cuore al cambiamento nella pratica dell’ascesi, non avrebbe potuto restare che parola morta.
Quanti sacerdoti si sentirono autorizzati a trasformare il presbiterio in un palcoscenico nel quale esibirsi, sempre, certo, con la finalità buona di avvicinare le persone, ma senza orientarle ad Oriente, a Cristo, nella sua trascendenza.
Mi rendo conto che tutte queste sono affermazioni, spunti, che richiederebbero ben altri approfondimenti, ma, proprio dalla vita dei santi, che nei secoli scorsi seppero originare movimenti di rinnovamento sociale a partire dalla vita interiore, sacramentale e di comunione (non solo sociale, e su ciò vedi il famoso libro dell’Abate Chautard, L’anima di ogni apostolato, San Paolo 2007 e 2015, oppure Ed. Luci dell’Est), si riesce a capire cosa sia rinnovamento nella Chiesa.

Lo Spirito del Concilio e Paolo VI

Tutto ciò, dcevamo, avvenne per un malinteso Spirito del Concilio, teso, non di rado nei luoghi della formazione teologica, a scomporre le diverse correnti teologiche che nei Documenti conciliari, che, per taluni, avevano trovato nella relazione finale solo formule di compromesso, e non conciliazione e sintesi. Così, proprio ciò che mai San Giovanni XXIII ed il Beato Paolo VI avrebbero voluto che nella Santa Chiesa fosse accaduto, invece accadde.
Paolo VI giunse a proferire tragiche parole:

«… che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio… Crediamo in qualche cosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del concilio ecumenico e per impedire che la chiesa scoppiasse nell’inno alla gioia per aver avuto in pienezza la coscienza di sé»[5].
«Mi è venuta l’idea di parlarvi di un tema strano, che però ricorre nella logica che stiamo un po’ svolgendo in queste udienze pastorali.
Di che parliamo? Parliamo dei bisogni della Chiesa. … Dice S. Paolo che dobbiamo lottare. Lo sapevamo; ma contro chi? …Noi non dobbiamo poi lottare contro le cose visibili, con la carne e il sangue, dice lui. … Dobbiamo lottare contro gli spiriti, gli spiriti che invadono l’atmosfera.
In altri termini, dobbiamo lottare contro il demonio. Non ci si pensa più … Abbiamo da lottare contro questo invisibile nemico che insidia la nostra vita e contro il quale dobbiamo difenderci.
Intanto, perché non se ne parla più? Non se ne parla più perché non c’è un’esperienza visibile. Quelle cose che non si vedono, si crede che non esistano. Invece col male noi lottiamo. Ma che cosa è il male? … Uno sta male; è che gli manca la salute. …
Qui le cose cambiano. … (il male) non è una deficienza. Abbiamo davanti un male efficiente; un male esistente, un male che è persona; un male che non possiamo qualificare una degradazione del bene; è una affermazione del male. E questo ci fa paura e dobbiamo avere paura.

Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico colui che si rifiuta di riconoscere esistente questa terribile realtà. È misteriosa e paurosa. E se uno dice: -Io non ci penso, -Tu non pensi col Vangelo. Perché? Ma perché il Vangelo è pieno, direi è popolato, dalla presenza del demonio. … Ecco allora l’importanza che assume l’avvertenza del male per la nostra corretta concezione cristiana del mondo, della vita, della salvezza. (Paolo VI passa in rassegna numerosi passi del Vangelo, in particolare, la triplice tentazione del deserto; parla del Battesimo). … Nella liturgia non trovate tutti i momenti nominato il demonio? Il battesimo: hanno accorciato gli esorcismi adesso, non so proprio se sia stata una cosa molto realistica e molto indovinata, però non è dimenticato.
Il battesimo è il primo atto della Provvidenza del Signore, con cui allontana questo nemico mortale, che è il nemico dell’uomo, Satana. Perché? Ma perché dalla caduta di Adamo, proprio all’origine, all’origine prima dell’uomo, è il protagonista, il demonio acquistò un certo impero sull’uomo da cui solo la redenzione di Cristo ci può liberare. E questa è storia che dura tuttora …
L’essere nati vuol dire essere nelle braccia del demonio piuttosto che nelle braccia di Dio. Il battesimo riscatta questa servitù e ci fa liberi e figli di Dio. Quindi (il demonio) è il nemico numero uno.…»[6]
Paolo VI giunse anche a scrivere, o, meglio, a far scrivere a Jacque Maritain il Credo del Popolo di Dio per custodirne la fede in modo integrale e integro.
Secondo un’intervista rivolta da “Petrus”, nel 2009, al cardinale Virgilio Noè, non so quanto attendibile, ma verosimile, per fumo di Satana Paolo VI avrebbe inteso:
«Ecco, Papa Montini per Satana intendeva classificare tutti quei sacerdoti o vescovi e Cardinali che non rendevano culto al Signore mal celebrando la Santa Messa a causa di una errata interpretazione e applicazione del Concilio Vaticano II. Parlò di fumo di Satana perché sosteneva che quei preti che della Santa Messa facevano paglia in nome della creatività, in realtà erano posseduti dalla vanagloria e dalla superbia del Maligno. Dunque, il fumo di Satana altro non era che la mentalità che voleva stravolgere i canoni tradizionali e liturgici della cerimonia Eucaristica”.

“Lui condannava le smanie di protagonismo e il delirio di onnipotenza che seguirono a livello liturgico il Concilio. La Messa è una cerimonia sacra, ripeteva spesso, tutto deve essere preparato e studiato adeguatamente rispettando i canoni, nessuno è ‘dominus’ della Messa. Spiacevolmente, in molti, dopo il Vaticano II, non lo hanno capito e Paolo VI ne soffrì ritenendo il fenomeno un attacco del demonio”»[7].

Una malattia pervicace

Questa malattia, che attanaglia la Chiesa da oltre cinquant’anni, non accenna a guarire, né mai forse lo farà. In ogni epoca la Chiesa ha avuto, infatti, i propri gravi casi interni e sempre il Signore le ha ridato nuove forze per superarli. Abbiamo fiducia che continuerà ad essere così, ma ciascuno deve mettervi la propria parte, anche i laici, i quali hanno il compito di custodire la fede non tanto trasformandosi in teologi, quanto proclamando e vivendo questa fede e, dunque, … anche misurandosi con quelle correnti teologiche, o, dubbie interpretazioni, che tentano, -volere o no-, di minare la fedeltà della Chiesa, mentre Essa è chiamata ad instaurare omnia in Christo.

Un male che ha colpito e colpisce la Chiesa ancora oggi è che, cosa estranea alla Tradizione della Chiesa, da molte parti si sia adottato, come testo di catechismo dell’intelligenza della fede, non il Catechismo, non il Magistero, del quale il Catechismo è parte integrante, ma la Sacra Scrittura. Si dimentica la mediazione tra Parola e atto di fede, tra fede e ragione.

Perché richiamarsi frequentemente al Magistero di Papa Benedetto?

Questo insistente richiamo al Magistero di Papa Benedetto non significa, nel modo più assoluto, misconoscere il servizio petrino esercitato da Papa Francesco!
Sempre, nel Magistero e nella sua interpretazioni, ci si richiama al Magistero precedente. Piuttosto è riconoscere come Papa Benedetto si collochi a cavallo di una fase della Chiesa e dell’apertura di una nuova e che il Suo insegnamento può fornire le chiavi ermeneutiche necessarie alla comprensione delle radici dello sviluppo della Chiesa oggi. La sua sintesi dottrinale e interpretativa sembra storicamente unica nella storia del Papato. Non se ne può prescindere. La storia, anzi Dio gliene renderanno merito.
Tra due epoche in un profetico abbraccio
Nel Magistero di Papa Benedetto si riflette a fondo sulle relazioni tra fede e ragione, tra Scrittura, Parola, Magistero, teologia. Tre sono le coordinate fondamentali del suo messaggio: L’enciclica Deus Caritas est, il Discorso alla Curia Romana del 22 settembre, sulla interpretazione del Vaticano II e la Prolusione di Ratisbona. Proprio a Ratisbona, Papa Benedetto presentò l’esigenza che tutti i genitori devono essere testimoni della fede. Chi sostiene che, nell’attuale contesto, il soggetto decide che cosa gli appare religiosamente sostenibile, così che la coscienza soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica, apre completamente le porte al relativismo e ad un’etica della situazione.

Discussione sull’esortazione post sinodale Amoris Laetitia

In questo ampio quadro, si colloca anche la discussione su Amoris Laetitia, che, non dimentichiamolo, non parla solo di divorziati e risposati, ma della Famiglia. Essa è documento non solo assai importante e complesso, ma fondamentale per l’impulso pastorale e missionario. Essa non vuole aprire al relativismo, né al soggettivismo, ma, anzi, ribadisce la continuità con il Magistero. Si noti che l’Esortazione, al Capitolo Quinto, nel n. 186, giunge a parlare di ricezione indegna dell’eucaristia, riferendosi a 1Cor 11,17-34 e all’Enciclica Deus Caritas est, 14 , cosa che sembrerebbe impossibile, a sentire taluni suoi commentatori, in un contesto di misericordia così rimarcato da Papa Francesco. Ma Papa Francesco fa molti distinguo. Eppure, anche non volendo modificare la dottrina, proprio grazie, ed a causa, di un contesto teologico-pastoral-culturale esterno all’Esortazione, Essa viene spesso agevolmente piegata, da chi volesse farlo, ad interpretazioni, che aprono al relativismo ed al “situazionismo”.

Chiedere chiarimenti al Papa si può?

Per questo, nella Chiesa, Pastori, Sacerdoti e Laici chiedono chiarimenti al Santo Padre e continueranno a chiederli, ma anche dando contributi chiarificatori, visto che ogni Diocesi è chiamata ad un proprio discernimento. Il Santo Padre ha scrittol’Amoris Laetitia dopo mesi concluso il Sinodo Ordinario, dopo che ne aveva indetto anche uno straordinario e dopo che tutti e due erano stati preceduti da un’ampia consultazione proprio dei laici, delle famiglie, oltre che, naturalmente, dei Pastori.
Fin dalle prime battute, coloro che si sono direttamente riferiti alla continuità del Magistero, senza trascurare, ovviamente, l’attenzione pastorale, interpretando l’Esortazione in base ai documenti in essa citati, secondo la consueta ermeneutica, sono stati accusati di essere contro Papa Francesco. E da chi? Da giornalisti, Sacerdoti e Pastori spesso, in passato, critici verso il magistero, che fosse di Paolo VI, -quanto dovette soffrire quel pontefice!-, o di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.
Ora, proprio coloro che a tutti i Papi sono stati fedeli, vengono, invece, accusati, da questi secondi, di essere contro il Papa.
Chi non vede come questa sia una strategia da vero e proprio scisma, benché mascherato?

I problemi della fede nella Chiesa

(Da un’intervista al Card Ratzinger)






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[1] Cf Giovanni Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Rizzoli 2007, 18.
[2] Osservatore Romano,  28 Febbraio 1972.
[3] Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX, Fede & Cultura, Verona 2009.
[4] Francesca Pannuti, Intervista a Mons. Livi del 20-07-2016 La giustificazione, Lutero, il Sinodo sulla famiglia.
[5] Amorth G., Nuovi racconti di un esorcista, Bologna, EDB, 9ª ed. , 2000, 57.
[6] Insegnamenti di Paolo VI, Poliglotta Vaticana, 1972, 169.
[7] Dal sito http://www.tuespetrus.it


Marcello Giuliano23 luglio 2016

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