ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 25 agosto 2016

Memento


Il terremoto e l'esistenza di Dio


di Alessio Calò

"Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi la terra tremare e le persone morire con una tale facilità?"

In effetti, quando accade un terremoto come quelli che sono accaduti in questi anni si ripresenta inesorabile la domanda di come essi possano succedere e di come Dio li abbia potuti permettere. L’esistenza del male è infatti un mistero insondabile, utilizzato da sempre come prova della non esistenza di Dio: si parte dalla delusione rispetto alle proprie idee (errate) circa l’Assoluto, fino ad arrivare alla ribellione, se non al rifiuto. La presenza del male può anche generare dei dubbi che, se affrontati correttamente dal punto di vista filosofico (e poi teologico), possono rappresentare un punto di ripartenza, nella vita (e nella fede).

Questo è il ragionamento che si fa spesso: se Dio è il Massimamente Perfetto, quindi buono, onnisciente ed onnipotente (in caso contrario non sarebbe Dio), come può essere compatibile con l’esistenza del male?

Una risposta che propende per l’incompatibilità, oltre alla negazione tout court di Dio (che è la risposta sommamente errata, risolvibile con un po' di sana metafisica), è il rifiuto di uno degli attributi di Dio sopra elencati (e quindi non avendo una chiara conoscenza di Lui): Egli potrebbe non essere buono, e presentarsi quindi o indifferente alla sorte degli uomini, oppure (peggio ancora) malvagio; ancora, Egli potrebbe non essere onnisciente, e quindi o non intelligente (una sorta di forza impersonale), oppure incapace di conoscere il futuro; infine, potrebbe non essere onnipotente, e in tal caso il mondo sfuggirebbe al Suo governo.

Resta infine la risposta positiva, quella della compatibilità: se un Dio buono, onnipotente od onnisciente detestasse il Male e potesse evitarlo, potrebbe avere ottime ragioni (a noi sconosciute) per permettere che esso esista, in quanto ad esempio evitare il male potrebbe impedire alle creature di raggiungere il loro Bene più grande. Continuando questo ultimo esempio, possiamo supporre che Dio lasci evolvere la natura secondo regole che di fatto permettono il male: se Egli ci ha creati come realtà materiali e ci rende partecipi delle sorti delle realtà corporee in un mondo che segue proprie leggi (fisiche, chimiche, ecc.), saranno inevitabili processi come nascite e morti, guarigioni e cancri. Dio riesce a trarre il bene perfino dalla vulnerabilità della libertà umana, non essendo possibile obbligare una persona ad essere buona.
Però a questo punto sorge l’ennesima provocazione dello scettico! Come possono conciliarsi l’onniscienza di Dio e l’attività autonoma delle creature, se Egli conosce il futuro? Semplicemente, Dio non esiste nel tempo ma è fuori dal tempo, avendolo creato: i Suoi piani vengono costruiti nel (Suo) presente, nel rispetto delle leggi di natura e del nostro libero arbitrio, per mezzo di cause seconde, diverse dal Suo intervento diretto. Il fatto divertente è che i Suoi piani si manifestano comunque, anche se, come si è visto sopra, l’uomo può comportarsi come gli pare.

Come ciliegina finale, nella filosofia tomista si può partire proprio dal male per provare l’esistenza di Dio (a patto di accettare i presupposti della sua metafisica): come scrive l’Aquinate nella Somma contro i Gentili, “il male non ci sarebbe, se non esistesse l’ordine del bene, la cui privazione costituisce il male. Ma codesto ordine non esisterebbe, se non esistesse Dio.
http://www.campariedemaistre.com/2016/08/il-terremoto-e-lesistenza-di-dio.html

Terremoto 2016 Centro Italia : "Signore, salvaci, siamo perduti"!

La scorsa notte, quando la forte scossa di terremoto sembrava non terminare mai,  avremmo desiderato essere come gli Apostoli   che in preda alla tempesta nel mezzo del mare di Galilea  si affidarono totalmente a Gesù: "Signore, salvaci, siamo perduti !"
Quando ci crediamo essere capaci di tutto: ecco arriva la mozione divina che ci fa capire che senza di Lui l'uomo "è come l'erba, come il fiore del campo" che in solo soffio di vento viene spazzato via.
Alla fine di questo giorno di sofferenza e di lutto anche noi vogliamo affidarci totalmente a Gesù, Via, Verità e Vita:"Maestro, maestro, siamo perduti!" affinchè Egli possa comandare alla natura e al terremoto di cessare di nuocere contro coloro che con animo semplice e puro confidano in Dio.
Preghiamo meditando con le parole di Sant'Alfonso Maria de' Liguori.  

Statutum est hominibus semel mori (Hebr 9,27)
 Da "Apparecchio alla morte"
 di Sant'Alfonso Maria de Liguori, 
Vescovo e Dottore della Chiesa.

La morte è certa. 
Ma oh Dio che ciò lo sanno già i cristiani, lo credono, lo vedono; e come poi tanti vivono talmente scordati della morte, come non avessero mai a morire! Se non vi fosse dopo questa vita né inferno né paradiso, potrebbero pensarci meno di quel che ora ci pensano? 
E perciò fanno la mala vita che fanno.

Fratello mio, se volete viver bene, procurate di vivere in questi giorni che vi restano, a vista della morte. "O mors, bonum est iudicium tuum" (Eccli 41,3). 
Oh come bene giudica le cose e dirige le sue azioni, chi le giudica e dirige a vista della morte! 
La memoria della morte fa perdere l'affetto a tutte le cose di questa terra. 
"Consideretur vitae terminus, et non erit in hoc mundo quid ametur", dice S. Lorenzo Giustiniani. "Omne quod in mundo est, concupiscentia carnis est, concupiscentia oculorum, et superbia vitae" (1 Io 2,16). 
Tutti i beni del mondo si riducono a' piaceri di senso, a robe e ad onori; ma ben disprezza tutto, chi pensa che tra poco ha da ridursi in cenere e ad esser posto sotto terra per pascolo di vermi.

Ed in fatti a vista della morte i Santi han disprezzati tutti i beni di questa terra. 
Perciò S. Carlo Borromeo si tenea nel tavolino un teschio di morto, per mirarlo continuamente. 
Il cardinal Baronio sull'anello teneasi scritto: "Memento mori". 
Il Ven. P. Giovenale Ancina vescovo di Saluzzo tenea scritto sopra un altro teschio di morto il motto: "Come tu sei, fui pur io: e com'io sono, sarai pur tu". 
Un altro santo Eremita dimandato in morte, perché stesse con tanta allegrezza, rispose: Io ho tenuto spesso avanti gli occhi la morte, e perciò ora ch'è giunta, non vedo cosa nuova.

Che pazzia sarebbe d'un viandante, se viaggiando pensasse a farsi grande in quel paese per dove passa, e non si curasse di ridursi poi a vivere miseramente in quello dove ha da stare in tutta la sua vita? E non è pazzo chi pensa a farsi felice in questo mondo, dove ha da stare pochi giorni, e si mette a rischio di farsi infelice nell'altro, dove avrà da vivere in eterno? 
Chi tiene una cosa aliena in prestito, poco ci pone affetto pensando che tra poco l'ha da restituire: i beni di questa terra tutti ci sono dati in prestito; è sciocchezza metterci affetto, dovendoli tra poco lasciare. La morte ci ha da spogliare di tutto. Tutti gli acquisti, e fortune di questo mondo vanno a terminare ad un'aperta di bocca, ad un funerale e ad una scesa in una fossa. 
La casa da voi fabbricata tra poco dovrete cederla ad altri; il sepolcro sarà l'abitazione del vostro corpo sin al giorno del giudizio, e di là dovrà poi passare al paradiso o all'inferno, dove già prima sarà andata l'anima.

[Tratto da "Apparecchio alla morte", di Sant'Alfonso Maria de Liguori]


Cordialiter
memento_mori
di Isacco Tacconi
Andare a coricarsi la sera, quando le luci si spengono una ad una come piccole candele nella notte cheta, e i bambini già dormono nei loro letti nella spensierata serenità di chi è certo del domani che verrà. E poi, nel cuore della notte, quando da poco è scoccata l’ora del Principe delle tenebre che per rovesciare l’ora della Crocifissione e Morte del Figlio di Dio, imita grottescamente l’opera della nostra Redenzione trasformandola nel tempo oscuro in cui si rivela il figlio dell’iniquità, lo avvertiamo, forte, improvviso, orribile e inarrestabile lo scuotimento degli abissi.
Le fondamenta della terra si squassano, i monti fondono come cera al semplice suono del vento divino che ha aperto in due il «lito rubro». In un attimo, quel sonno dell’umana superbia che ubriaca la coscienza si dissolve precipitandoci nel più tetro degli incubi: la terra si apre sotto i nostri piedi per inghiottirci. In fretta ci si alza, impotenti: cosa fare? Dove fuggire? Come evitare il colpo vibrante della falce che cala inesorabile sulle nostre flebili vite, le quali sembravano essere un granché e, invece, come erba secca alla sera è falciata e dissecca? Il terrore si impadronisce di ogni fibra del nostro corpo votato alla morte, ogni nostro sentire è un fremito interno che l’anima non può dominare, e ci accorgiamo che la nostra vita è veramente un soffio. “Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata, e quanto hai preparato di chi sarà?”. O uomo, non stupirti della tua miseria, ma riconosci il tuo vuoto nulla, poiché siamo ombre vaporose che appaiono e dispaiono: “homo natus de muliere, brevi vivens tempore, replétur multis misériis. Qui quasi flor egréditur et contéritur, et fugit velut humbra”.
La terra trema, la nostra casa diventa la nostra stessa prigione, non possiamo uscire, la vita che poc’anzi ci sembrava essere senza fine ora è appesa al filo impietoso delle laboriose moire; ci è sottratto il tempo e il luogo dove finire i nostri giorni. La morte non attende, quando è giunta l’ora essa non tarda e obbedisce alla divina giustizia che miete dove non ha seminato. Soltanto il nome di Colei che ferma il braccio infuocato dell’angelo castigatore è la nostra speranza. E d’un tratto una famiglia colta dallo spavento, si dispone ad affrontare l’infallibile giudicamento. Le ginocchia si piegano, i cuori si sciolgono, le dita scorrono sui grani mentre ancora le pareti ondeggiano e l’uomo è ricondotto a guardare il cielo, giacché la terra frana e non c’è dove potersi appigliare. Il firmamento, tale è, perché unica fermezza e stabilità che sovrasta il movimento della terra, sospesa nel vuoto spazio del cielo universo, mentre volge verso l’ultimo scioglimento in favilla, come attestarono il santo profeta Davide con la Cumana Sibilla.
“Ma Dio è buono e misericordioso”, qualcuno dirà, e non può volere la morte degli innocenti. Eppure la bontà e la misericordia risplendono nella giustizia, perché al di fuori della giustizia vige l’ingiustizia, come al di fuori del bene sussiste solo il male, e lontano dalla luce le tenebre. Possiamo noi sapere agli occhi di Dio chi è senza peccato, chi senza colpa? “Si iniquitàtes observàveris Domine, Domine, quis sustinébit?”. Nulla sfugge a Colui che tutto ha creato e tutto conserva nell’essere, che se solo distogliesse lo sguardo dal mondo esso collasserebbe come un buco nero per ritornare nel baratro del nulla da cui è uscito. Se Dio permette il male morale è per non togliere a noi la dignità di creature dotate di libero arbitrio. Ma quando Dio permette il male che proviene dalla morte e dalla distruzione è perché vuole ricondurre a sé i suoi figli smarriti e, nella verità della sua vacuità, fargli levare lo sguardo verso quae aeterna sunt. Come un padre che per ricondurre il proprio figlio sulla via del bene deve colpirlo duramente affinché si ravveda, perché, attraverso il castigo possa aver salva l’anima come sta scritto: «Lo stolto non si corregge con le parole» e ancora: «Percuoti tuo figlio con la verga e libererai la sua anima dalla morte».
Eppure, nonostante la devastazione, nonostante il terrore, nonostante la misericordia, più che le preghiere e i ringraziamenti per aver avuta risparmiata la vita, le mie orecchie hanno sentito nella notte levarsi al cielo bestemmie e imprecazioni contro Colui che li ha tratti in salvo. E in cuor mio penso che a causa di questi e altri peccati, ci aspettano castighi ben più gravi, perché quando il calice dell’ira divina traboccherà allora si farà ancora una volta buio su tutta la terra, e coloro che appartengono alle tenebre lo saranno per sempre e senz’appello, e coloro che attendevano la luce che era nel mondo, in eterno ne saranno inondati.
La Chiesa ci ha insegnato a pregare e scongiurare l’aiuto dei Santi, i nostri avvocati, i nostri «soccorritori» fra le macerie instabili di questa vita i quali ci gettano le funi della salvezza dal pozzo di morte dove sepolti giacciamo in attesa di rivedere la luce senza fine: a flagello terraemotus, libera nos Domine! Potessimo noi cantare con il profeta Daniele: “Il mio Dio mandò il suo angelo e chiuse le bocche dei leoni e non mi hanno fatto alcun male, perché la mia giustizia è stata riconosciuta dinanzi a lui”. Non infatti la morte corporale è il nostro nemico, essa è nostra sorella e ancella da la quale nullu homo vivente po’ skappare, che serve al Dio del cielo per condurci come dolorosa via alla Vita senza fine, quanto piuttosto la «morte seconda» che il morso del satanico leone ha il potere di estendere sugli uomini. Per questo alle litanie dei santi si aggiungono le suppliche: «a subitanea et improvisa morte» e «a morte perpetua, libera nos Domine!».
Come rivelò il nostro amato Redentore alla vergine senese, catarina di nome e di fatti: «Io sono Colui che è, tu sei quella che non è». Cosa abbiamo infatti noi che non abbiamo ricevuto, prima fra tutti la vita? E se l’abbiamo ricevuta, ergo non ci appartiene, perché mai viviamo come se non l’avessimo ricevuta e, ancor più, come se non dovessimo renderne strettissimo rendimento?
Vegliate dunque, o uomini, vegliate! Perché non conoscete né il giorno né l’ora. Il giorno del Signore viene, come un ladro nella notte. Preghiamo e procuriamo che l’angelo mietitore ci trovi con i fianchi cinti e gli abiti pronti quando ci presenterà alle nozze dell’Agnello, immolato perché degnamente potessimo mangiarne le soavi e salutari carni, cibo di salvezza, banchetto regale, lasciapassare del Regno dei cieli.
La terra tornerà a tremare, quando e dove non sappiamo; non ci è dato sapere se potremo ancora destarci al nuovo giorno per volgerci al cielo con parole di ringraziamento per confessare con rinnovato fervore «Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte». “Infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobrii.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui” (1Ts 5,2-10).
Santi Giuseppe, Michele e Benedetto proteggeteci ora e nell’ora della nostra morte. Fate che dovunque essa ci colga, nella pace del nostro letto o nel terrore della guerra, nella quiete del cielo stellato o sotto le macerie del terremoto, nella solitudine e nell’abbandono o fra i conforti dei nostri cari, sia essa per noi una “Buona Morte”.
http://www.radiospada.org/2016/08/lora-del-terremoto-come-un-ladro-nella-notte/

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