ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 9 settembre 2016

L'emerito lo declassa a diacono vestito di bianco..?



Ratzinger vede Francesco così: "È l'uomo della riforma pratica"


libro
"Ognuno ha il proprio carisma. Francesco è l’uomo della riforma pratica. È stato a lungo arcivescovo, conosce il mestiere, è stato superiore dei gesuiti e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo".
Questo è il profilo di papa Francesco tratteggiato dal suo predecessore, nel libro-intervista che uscirà domani, 9 ottobre, in un passaggio anticipato oggi dal "Corriere della Sera".
Ed ecco un primo commento, inviatoci da Antonio Caragliu, avvocato presso il foro di Trieste, studioso di filosofia del diritto e iscritto all'Unione dei giuristi cattolici.

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Caro Magister,
ovviamente bisognerà leggere per intero l'ultimo libro-intervista di Joseph Ratzinger. Trovo interessante però, nelle anticipazioni del medesimo pubblicate sul "Corriere della Sera", la caratterizzazione di Jorge Mario Bergoglio come papa della "riforma pratica".
Ratzinger confessa la propria mancanza di carisma decisionale ed organizzativo: "Sapevo che questo non è il mio punto di forza". E parallelamente lo riconosce invece a Bergoglio.
Come è nel suo stile, rispettoso dei ruoli, Ratzinger evita la contrapposizione col predecessore. Nello stesso momento, tuttavia, "caratterizzandolo", seppur implicitamente, lo focalizza nel ruolo di promotore di un cambiamento organizzativo, non dottrinale e forse neanche "pastorale", se non nei limiti di una presa empatica con le persone.
Il tutto mi pare in coerenza con quanto detto da Georg Gänswein nel suo controverso discorso dello scorso 20 maggio.
Sia chiaro: le considerazioni e i problemi riguardanti il papato emerito e la sua caratterizzazione, sollevati da canonisti e storici quali Geraldina BoniWalter BrandmüllerGiuseppe Sciacca, di cui ha ospitato gli interventi, sono reali e rilevanti.
Ma Gänswein si è pronunciato su un piano non giuridico, ma teologico e spirituale. La stessa sua caratterizzazione del papato di Ratzinger come "papato d'eccezione" è espressiva dell'intenzione di non darne una lettura giuridica, ovvero una lettura che ricerchi dei principi generali ed astratti applicabili in tutti i futuri casi di papato emerito.
La funzione contemplativa che Gänswein attribuisce a Ratzinger con l'immagine di un papato "allargato" per sua stessa natura non può interferire con il potere di papa Francesco, se non per vie sovrannaturali.
Ovviamente interferenza vi può essere quando il papa emerito non si limita a contemplare in silenzio ma parla in pubblico. E Ratzinger parla eccome.
Quindi non voglio dire che i problemi di definizione di un papato emerito da un punto di vista giuridico non siano rilevanti. Ma nel considerare il rapporto tra la riflessione giuridica e quanto detto da Gänswein bisogna tener conto della pretesa di eccezionalità del papato emerito di Ratzinger (che in quanto eccezionale non può costituire un precedente vincolante) e della natura della funzione contemplativa, la quale sfugge a una considerazione giuridica.
Ritornando da Gänswein al libro, anche Ratzinger parlando di Francesco e del suo papato si concentra sul suo potere di "governo", nel suo aspetto strettamente manageriale più che "pastorale".
Dal punto di vista dogmatico, silenzio.
Un caro saluto.
Antonio Caragliu

Ior, Bertone, pedofili, gay. Come giudica Ratzinger l’operato di Benedetto XVI



Un ragionamento sottile degno della mente di Ratzinger. Esposto in modo piano e umile, con una voce sommessa, quasi un vento leggero. Benedetto XVI confessa al suo biografo Peter Seewald, nel libro-testamento da questa mattina in distribuzione in edicola con Il Corriere della Sera, e in  libreria per i tipi di Garzanti (Ultime conversazioni), che l’attitudine di governo non è probabilmente il suo dono, ma che allo stesso tempo non sente e non giudica il suo pontificato un fallimento. Potrebbe sembrare ma non è una contraddizione. Tanto che afferma di aver deciso di lasciare il suo ministero, soltanto nel momento in cui i gravi problemi emersi in Vaticano e nella Chiesa (finanze, corruzione, Ior, pedofilia, lobby gay) erano stati da lui affrontati, e impostati organicamente, nella loro soluzione. Benedetto XVI,  insomma, rivendica a sé il fatto di aver preso tutta una serie di decisioni storiche, non solo quella della rinuncia.
È per questo che il Papa emerito vede nel suo successore, Papa Francesco, il realizzatore della “riforma pratica” su delle fondamenta profonde gettate negli otto anni da lui vissuti sul Soglio di Pietro. Benedetto lo ribadisce con forza: “Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non l’avrei nemmeno permesso. Se avessero provato a farlo non me ne sarei andato perché non bisogna lasciare quando si è sotto pressione. E non è nemmeno vero che ero deluso o cose simili. Anzi, grazie a Dio, ero nello stato d’animo pacifico di chi ha superato la difficoltà. Lo stato d’animo in cui si può passare tranquillamente il timone a chi viene dopo”. Di questa sottile e non appariscente capacità di governo Ratzinger offre molti esempi e non si sottrae nel libro-intervista a nessuna delle obiezioni più spinose. A cominciare dall’errore più grande che gli è stato da subito contestato, la scelta del cardinale Tarcisio Bertone come suo Segretario di Stato.
BERTONE FU UN ERRORE?
Seewald glielo chiede esplicitamente: perché non ha messo qualcun altro in una posizione così importante, visto che non era un diplomatico di carriera? Risponde Benedetto che non ne aveva nessun motivo, che Bertone è un pastore, che è esperto di diritto pubblico della Chiesa, quindi qualificato per intrattenere rapporti con gli Stati, che con lui si comprendeva, e si comprende tuttora, che i suoi critici hanno fatto di tutto perché le loro aspettative negative si potessero realizzare, e che anche Eugenio Pacelli da Segretario di Stato viaggiava molto. Benedetto nega poi che ci sia mai stata una riunione di cardinali capitanata dall’attuale arcivescovo di Vienna, Christoph Shoenborn, per chiederne la testa. È stato spesso al centro delle critiche e credo che molte di quelle rivolte a lui toccassero in realtà a me. Ci fidavamo l’uno dell’altro, ci capivamo, perciò stavo dalla sua parte. Ed è così anche adesso, quando vedo che continuano a rivolgergli ingiusti rimproveri. Tra l’altro, nel frattempo, ha ottenuto che le accuse diffamatorie fossero ritirate.
IL CASO PEDOFILI
Ratzinger ricorda che da Papa ha ridotto allo stato laicale oltre 400 preti colpevoli di abusi su minori e che da Prefetto della dottrina della Fede modificò, d’accordo con i vescovi americani, il diritto canonico [Co- dex Iuris Canonici, il codice normativo della Chiesa cattolica, ndr] che prevedeva solo la sospensione del prete coinvolto, che era completamente insufficiente dal punto di vista del diritto americano, poiché gli interessati restavano preti.
LA PROVVIDENZA E IL CASO VIGANO
Al caso Vatileaks1 sono legate anche le denunce per lo spreco di denaro e il clientelismo in Vaticano che l’arcivescovoCarlo Maria Viganò aveva prima sollevato e in seguito fatto pervenire anche a lui personalmente. Alla fine fu allontanato dal suo incarico. Benedetto nega che la sua nomina a Nunzio negli Stati Uniti fu un trasferimento punitivo. Riguardo alla gestione del Governatorato: “Viganò ha rimestato per bene le cose. In parte, ma solo in parte, probabilmente a ragione. Discussi dell’intera faccenda con Lajolo, il presidente. Mi disse che Viganò sicuramente aveva ragione su molti punti ma che aveva prodotto un clima di sospetto generalizzato. Avrebbero cercato di sanare la vicenda, ma Viganò non poteva rimanere. Quando morì all’improvviso il nostro nunzio negli Stati Uniti, una delle posizioni più importanti della diplomazia, di alto livello e autentico prestigio, ci siamo detti: questo è il momento, adesso può andarsene e ricominciare daccapo là. Sulla sua integrità e competenza non c’erano dubbi. Per me quello fu un segno della Provvidenza. Non si trattò di una punizione, assolutamente, perché non avremmo potuto offrirgli una posizione più elevata in quel momento”.
DOSSIER IOR
Ecco cosa risponde Ratzinger sullo Ior, la cosiddetta banca vaticana, l’Istituto per le opere di Religione: “Per me lo Ior è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo. Non sono operazioni che si portano a termine rapidamente perché è necessario impratichirsi. È stato importante aver allontanato la precedente dirigenza. Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione (…) Ho lavorato in silenzio sia sugli aspetti organizzativi sia su quelli legislativi. Penso che ora ci si possa riallacciare a questi sforzi e da lì proseguire”.
LA LOBBY GAY 
“Effettivamente mi fu indicato un gruppo, che nel frattempo abbiamo sciolto. Era, appunto, segnalato nel rapporto della commissione di tre cardinali che si poteva individuare un piccolo gruppo di quattro, forse cinque persone. L’abbiamo sciolto. Se ne formeranno altri? Non lo so. Comunque il Vaticano non pullula certo di casi simili”.
“Sottile è il Signore”: con queste parole Albert Einstein descriveva quel Dio che, secondo la Bibbia, Abramo incontrava non in un vento impetuoso, ma in un vento leggero.
Probabilmente, come quella di Diogene, la lanterna di Ratzinger illumina il cammino odierno della Chiesa. E come Diogene per Dante, Ratzinger “che porta il lume dietro, a se non giova, ma dopo sé , fa le persone dotte”.

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