ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 18 febbraio 2017

Cos’è il Papulismo


Due papi, due università, due climi diversi. Con una sensazione

    La visita di papa Francesco all’Università Roma Tre, in un clima di festa e di grande affetto verso il pontefice, mi ha fatto tornare alla memoria un episodio ben diverso.
Come qualcuno ricorderà, nel gennaio 2008 papa Benedetto XVI venne invitato a tenere un discorso all’Università La Sapienza di Roma. La visita, prevista per il giorno 17, fu però annullata due giorni prima. Era stato il rettore di allora, Renato Guarini, a invitare il papa per l’inaugurazione dell’anno accademico, naturalmente dopo aver interpellato il senato accademico, che si disse felice di ricevere il vescovo di Roma, come era già successo con Paolo VI nel 1964 e con Giovanni Paolo II a Roma Tre nel 2002.
Alcuni docenti però manifestarono la loro opposizione, prima con un intervento, pubblicato dal «Manifesto», del professor Marcello Cini, poi con una lettera firmata da una settantina di professori della facoltà di Fisica (per la precisione, sessantasette docenti, su un totale di 4500) e sottoscritta in seguito da altri settecento docenti italiani e stranieri di vari atenei.
Il caso deflagrò quando, il 10 gennaio, la lettera fu rilanciata dal quotidiano «La Repubblica». Fu così che, in un clima di polemiche, Benedetto XVI comunicò a malincuore la sua decisione di rinunciare alla visita, per non alimentare un fuoco che minacciava di avere serie conseguenze.  Alla vigilia dell’evento ci furono infatti manifestazioni studentesche contrarie all’invito, culminate con l’occupazione della sede del senato accademico e del rettorato.
Chi scrive visse quei giorni da cronista, intervistando i giovani e i professori contrari all’arrivo del papa, a incominciare da Cini (poi scomparso nel 2012 a ottantanove anni), che andai a trovare nella sua casa. Mi fu così possibile toccare con mano la miscela di pregiudizio, furore ideologico e, spiace dirlo, ignoranza che portò alla contestazione e all’annullamento della visita.
Per sbarrare l’ingresso a Ratzinger venne fatta, fra l’altro, una lettura distorta della lectio tenuta da Benedetto XVI nel 2006 all’Università di Ratisbona su «Fede, ragione e università»  (il famoso discorso nel quale il papa affrontò anche il problema del rapporto della religione islamica con la violenza) e si manipolò un discorso tenuto alla Sapienza dal cardinale Ratzinger nel 1990.
La vicenda, rievocata ora in un libro («Sapienza e libertà. Come e perché papa Ratzinger non parlò all’Università di Roma», scritto dal giornalista Pier Luigi De Lauro ed edito da Donzelli), fu molto triste da ogni punto di vista. Di fatto al vescovo di Roma fu impedito di parlare nell’università più grande e più importante della sua diocesi, un ateneo fondato, fra l’altro, proprio da un pontefice: Bonifacio VIII. Anche se il rettore, e gliene va dato atto, volle poi che il discorso del papa fosse letto nel corso della cerimonia, si trattò di un’occasione persa, una sconfitta per tutti.
In quella brutta storia ebbero un ruolo decisivo i mass media. Furono loro in gran parte a fomentare gli studenti e amplificare il caso. Il primo ad ammetterlo è Gianluca Senatore, allora rappresentante degli studenti. La chiusura di Cini e degli altri suoi colleghi, spiega oggi Senatore, non nacque in realtà dalla preoccupazione di difendere la laicità dell’istituzione universitaria, ma dalla paura di fare i conti con un papa teologo che metteva seriamente in crisi la pretesa di dominio delle scienze naturali ed empiriche sulla conoscenza.
Lo stesso Senatore rivela che all’epoca non aveva letto nulla di Ratzinger, ma in seguito cercò di approfondirne la conoscenza, scoprendo insospettabili punti di contatto tra le preoccupazioni del papa e quelle dello stesso professor Cini, per esempio a proposito delle terribili derive assunte dalla scienza e della tecnica nel corso dell’ultimo mezzo secolo.
Purtroppo, dice Senatore, vinse l’intolleranza, ma quella storia almeno un effetto positivo lo ebbe: lo studente di allora, incominciando a leggere Ratzinger, arrivò alla conclusione, confermata oggi, che il papa tedesco ha rappresentato uno dei momenti più alti della tradizione culturale della Chiesa cattolica.
Ma che cosa avrebbe detto Ratzinger se avesse avuto la possibilità di parlare? Raramente si ricorda che il papa aveva preparato un testo tanto umile nella forma quanto di alto livello nei contenuti, un contributo che almeno per sommi capi merita di essere ricordato, sia per dimostrare quanto fossero infondati i timori dei contestatori sia per ricordare la finezza di quel pontefice.
Il discorso si apriva così: «È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della Sapienza – Università di Roma in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere».
La Chiesa, sottolineava il papa, ha sempre guardato «con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni».
Poi Ratzinger, riaffermando l’assoluta autonomia dell’università e chiedendosi che cosa possa dire un papa rivolgendosi a un ateneo statale che opera nella sua diocesi, allargava il discorso ponendosi due questioni di fondo: «Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: qual è la natura e la missione dell’università?».
Alla prima domanda Benedetto XVI rispondeva che certamente il papa «non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà». Al di là del suo ministero pastorale, è comunque suo compito, precisava,  «mantenere desta la sensibilità per la verità» e «invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio». E qui Benedetto XVI non temeva di rivendicare il «patrimonio di sapienza» di cui la comunità dei credenti è depositaria in quanto  custode  di «un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche che risulta importante per l’intera umanità».
Insomma, spiegava Benedetto XVI concedendosi una punta di provocazione, «la sapienza delle grandi tradizioni religiose è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee».
Quanto alla seconda domanda, la risposta preparata dal papa suonava così: «Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. […]. L’uomo vuole conoscere, vuole verità. […] Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: qual è quel bene che ci rende veri?».
Come si può ben vedere, da parte di Benedetto XVI nessuna invasione di campo, nessuna supponenza. Al contrario, il contributo profondo di un uomo, un docente, un teologo, sincero nel proporre il proprio punto di vista (con la questione della verità in primo piano), schietto nel chiedere di meditare sul fatto che verità significa di più che sapere e trasparente nell’interrogarsi su alcune grandi questioni che, dopo tutto, riguardano tutti, credenti e non credenti, e toccano da vicino soprattutto chi opera in un santuario del sapere quale è un’università.
Ma a quell’uomo, a quel docente, a quel teologo, a quel papa, con un atto di inaudita prevaricazione giacobina, fu sbarrata la strada.
Ora, il fatto che un altro papa, Francesco, sia stato invitato da un altro ateneo romano, l’Università Roma Tre, e non solo abbia potuto intervenire ma sia stato accolto con grande simpatia ed entusiasmo,  non può che far piacere a tutte le persone che amano il confronto libero delle idee.
Resta però un certo retrogusto amaro se si pensa che Francesco, rispondendo alle domande di alcuni studenti, non ha toccato nemmeno uno dei grandi temi riguardanti la verità e il rapporto tra ragione e fede. Francesco in effetti, più che da papa, più che da vescovo, più che da religioso, ha scelto di parlare da sociologo e da economista. Ha affrontato le questioni legate alla disoccupazione giovanile, alle migrazioni, alla globalizzazione. Ha chiesto, anche con accenti accorati, di cercare l’unità salvaguardando le differenze e non l’uniformità. Questioni importanti, sia chiaro. Ma colpisce il fatto che mai una volta ha nominato Dio o la fede.
È pur vero che nel testo scritto e poi non letto, perché il papa ha preferito rispondere ai giovani improvvisando, c’è un passaggio molto bello, nel quale Bergoglio con umiltà ma anche con efficacia dice così: «Mi professo cristiano e la trascendenza alla quale mi apro e guardo ha un nome: Gesù. Sono convinto che il suo Vangelo è una forza di vero rinnovamento personale e sociale. Parlando così non vi propongo illusioni o teorie filosofiche o ideologiche, neppure voglio fare proselitismo. Vi parlo di una Persona che mi è venuta incontro, quando avevo più o meno la vostra età, mi ha aperto orizzonti e mi ha cambiato la vita». Altrettanto vero è che il discorso scritto, sebbene non pronunciato, resta agli atti. Tuttavia, nel confronto diretto con gli studenti, e di conseguenza in tutte le cronache della giornata, i riferimenti alla trascendenza e alla fede in Gesù sono spariti.
Sarebbe folle pensare che il papa si sia autocensurato. Sicuramente, scegliendo di mettere da parte il discorso preparato a tavolino, ha semplicemente voluto farsi più vicino ai giovani e dimostrare meglio, con maggiore intensità emotiva, la sua partecipazione ai loro problemi, alle loro preoccupazioni. D’altra parte sono convinto che docenti e studenti di Roma Tre lo avrebbero applaudito anche nel caso in cui Francesco avesse fatto riferimento all’esperienza religiosa.
Tuttavia, osservando gli elogi e la simpatia riservati a Francesco e ripensando al divieto posto a Benedetto XVI nel 2008, è difficile sottrarsi all’impressione che l’uomo di fede, perfino quando è il papa in persona, sia oggi più apprezzato nel dibattito pubblico quando non affronta la questione di Dio e della verità. Quando, cioè, non è troppo papa e non troppo cattolico.
Aldo Maria Valli

UNA CONTRO LECTIO MAGISTRALIS

    L'islam non è il terrorismo: all'università Roma Tre un discorso che cancella quello di Ratzinger all'università di Ratisbona e sui giovani e la disoccupazione il botto finale che giustifica i terroristi nati in Europa e arruolatisi nell'Isis i video




Papa Bergoglio:"L'islam non è il terrorismo?". All'università Roma Tre un discorso che cancella quello di Papa Ratzinger all'università di Ratisbona. Sui giovani e la disoccupazione: il botto finale che giustifica i terroristi nati in Europa e arruolatisi nell'Isis che danno un "senso alla loro vita".



All'università Roma Tre davanti agli studenti dell'ateneo il fine teologo e illuminato storico papa Francesco, effettua un'incredibile Lectio Magistralis e si supera parlando di terrorismo internazionale, immigrati di seconda generazione - in versione "terrorista" - e disoccupazione giovanile. Oltre al solito mea culpa per lo sfruttamento coloniale: complesso che deve coattivamente attanagliare in aeternum la vecchia Europa, (in effetti l'americano Cristoforo Colombo meriterebbe una retroattiva scomunica), ha con un tratto di penna cancellato lo storico discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona, dove l'anziano, ma vivente "Papa emerito" con ardimento affermò: "la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità che vale per tutti, cristiani e musulmani, credenti e non credenti. Se manca questa fiducia nella ragione, tra persone di fede diversa quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità – e Dio stesso, che è verità – diventano semplici funzioni della violenza".

Ma tornando su quella che sembra proprio una "contro" Lectio Magistralis, sui migranti il Papa sud-americano ha dimostrato di avere le idee più chiare del suo illustre predecessore, sentenziando: "Le migrazioni non sono un pericolo. L’Europa è stata fatta di invasioni, migrazioni ed è stata fatta artigianalmente, così. Le migrazioni non sono un pericolo sono una sfida per crescere", aggiungendo: "È importante il problema dei migranti pensarlo bene oggi che c’è un fenomeno così forte: pensiamo ad Africa e Medio Oriente rispetto all’Europa. Dirlo non è far politica di parte: c’è la guerra e fuggono dalla guerra, c’è la fame e fuggono dalla fame. Ma quale sarebbe la soluzione ideale? Che non ci siano fame e guerra. Che ci sia la pace e che si facciano investimenti in quei posti perchè si abbiano risorse per lavorare e guadagnarsi la vita. Ma attenzione: c’è una cultura che li fa soffrire, è il fatto di essere gente sfruttata. Noi in generale andiamo là per sfruttarli. Un premier africano mi ha detto l’anno scorso che il suo primo impegno è la riforestazione del paese perchè le multinazionali erano andate lì e sfruttato. Non sfruttare Non facciamo i potenti che vanno a sfruttare. Hanno fame perchè non hanno lavoro e non hanno lavoro perchè siamo andati a sfruttarli. Per questo partono, diventano migranti", continuando, "anche qui sono sfruttati dagli sfruttatori dei barconi, da quel che ha fatto del Mediterraneo un cimitero: il ’mare nostrum’ oggi è un cimitero. Pensiamo a questo quando siamo da soli, come se fosse una preghiera".

Bergoglio ha parlato ancora del terrorismo e degli attentati che hanno insanguinato l'Europa: "I ragazzi che hanno fatto la strage a Zaventem erano belgi: nati in Belgio, immigrati di seconda generazione, ghettizzati non integrati". E sui giovani e il dramma della disoccupazione al terrorismo: "Quando c’è liquidità nell’economia non c’è lavoro concreto. Nella nostra cara Europa: come si può pensare che i paesi sviluppati abbiano una disoccupazione giovanile così forte? Non dirò i paesi ma sì le cifre: 40 per cento, 47 per cento, un altro il 50 altro lìvicino quasi il 60. Questa liquidità dell’economia toglie la concretezza del lavoro e la cultura del lavoro, perchè non si può lavorare. I giovani non sanno cosa fare e io, giovane senza lavoro, ho l’amarezza nel cuore: dove mi porta? Alle addizioni che hanno una radice, o mi porta al suicidio? Lo dicono quelli che sanno le vere statistiche dei suicidi, che non si pubblicano. Le vere statistiche non si pubblicano. Oppure vado dall’altra parte e mi arruolo in un esercito terroristico. Almeno ho qualcosa da fare, dò senso alla mia vita".

Parole pesanti come macigni, soprattutto perché pronunciate da colui che è il capo dei Cattolici e che troppo spesso ha dimenticato che in questi ultimi anni, quasi un milione di Cristiani - sue pecorelle in custodia - sono "spariti", probabilmente gran parte trucidati dai terroristi, che proprio Bergoglio vuole oggi giustificare. La confusione continua a regnare sovrana oltre Tevere, e poi Padre Santo il "senso da dare alla vita", per i giovani è cristianamente parlando tutt'altra cosa.

Il video 

Papa Francesco all’Università di Roma Tre (Il video integrale)

Papa: migrazioni non sono un pericolo, ma sfida per crescere



In redazione il 18 Febbraio 2017

LA CONTRO-LECTIO MAGISTRALIS DI BERGOGLIO
E LA GIUSTIFICAZIONE DEI TERRORISTI "EUROPEI"?

 http://www.aldomariavalli.it/2017/02/17/due-papi-due-universita-due-climi-diversi-con-una-sensazione/

Cos’è il Papulismo

Applaudito dagli studenti, il Papa dice che suicidi e terrorismo sono causati dalla disoccupazione

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