ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 26 aprile 2017

Qui casca l’asino

Sinodo, i giovani che non devono esistere
Il documento preparatorio al prossimo Sinodo considera soltanto i giovani "lontani" per i quali la Chiesa deve cambiare linguaggio e modo di presentarsi. Totalmente assenti invece quelli che col linguaggio della Chiesa non hanno problemi, magari amano la messa in latino e la tradizione. L'intento è chiaro: questi giovani non devono esistere.
Si sta avviando la macchina del prossimo Sinodo sui giovani previsto nell’ottobre 2018 con il Documento preparatorio “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, presentato da una breve lettera di Papa Francesco in data 13 gennaio 2017 e concluso da un questionario in vista della successiva redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris.
I commenti e gli approfondimenti - non molti, perché il dibattito è ancora monopolizzato dal Sinodo trascorso e dall’Amoris Laetitia - si portano, come è normale, su quanto il documento dice, cioè su quello che c’è. E da questo punto di vista nulla da eccepire. Pur non tracciando «un’analisi completa della società e del mondo giovanile», si evidenziano delle difficoltà, ma soprattutto la positività dei giovani «che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita ... alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere».
Così come è valido e costruente il discorso che si snoda a partire da “Fede e vocazione” da far maturare attraverso “Il dono del discernimento” (riconoscere, interpretare, scegliere) e nel contesto della missione e dell’accompagnamento spirituale (l’ultima espressione è una moderna furbizia per evitare la “direzione spirituale”).
Ma se si passa a quanto il documento non dice, cioè a quello che non c’è, qui casca l’asino. Quale è infatti l’immagine di giovane che il documento ha presente e in funzione del quale si auspicano attenzioni e risposte dalla Chiesa? A parte i «giovani poveri, emarginati ed esclusi» verso i quali «ciascuna comunità è chiamata ad avere attenzione», i giovani sono quelli che parlano un’altra lingua: «Ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani si apre uno spazio difficile da colmare». E non si tratta solo di linguaggio: i giovani nutrono spesso «sfiducia (...) verso le istituzioni», compresa «la Chiesa nel suo aspetto istituzionale», che i giovani vorrebbero «più vicina alla gente». Ne segue che per la Chiesa «accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» (e non si tratta solo di orari!). Anzi, visto che i giovani sono questi, la stessa pastorale vocazionale è invitata ad «uscire (...) da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico».
Frase più, frase meno, tutto è girato e rigirato in queste categorie.

Ora, è vero che ci sono questi giovani
 e che in assoluto sono anche la schiacciante maggioranza, ma tra i giovani - quei pochi - che si rivolgono alla Chiesa sembrano essercene di molto, molto diversi. Sono giovani che non hanno difficoltà verso il linguaggio della Chiesa, anzi desiderano apprenderlo e vi trovano sicurezza; frequentano la Messa e alla comunione cercano di ricevere l’ostia in bocca e qualcuno, se glielo permettono, si inginocchia; dicono il Rosario e altri la coroncina della Divina Misericordia; se hanno rapporti prematrimoniali o anche solo se hanno praticato una masturbazione, vengono a confessarsi, ritenendo di non potersi accostare all’Eucaristia.


Se sono seminaristi sono attenti a presentarsi con un segno di riconoscimento che va dalla talare a un altro segno meno vistoso ma percepibile; non si scompongono se si cita loro il Denzinger o un discorso di Pio XII; non praticano la liturgia preconciliare ma prendono volentieri parte a una Messa in latino; hanno ripreso ad apprezzare l’adorazione eucaristica; non sono entusiasti di andare a sentire alcuni “mostri sacri” teologici e monastici del postconcilio invitati a parlare loro, ma ci vanno restando come in apnea (al riguardo ho in mente due nomi di mostri sacri e due eventi di questo tipo, ma mi autocensuro dal citarli con esattezza... devo pur vivere!).
E questi sono quelli “normali”. Ci sono poi i fans della Messa preconciliare, ci sono poi i lefevriani come frangia estrema. E chi vuole vada a cercarsi e si guardi il filmato “Sacerdoti per il terzo millennio” realizzato da un seminario lefevriano tedesco e doppiato in italiano quasi senza gregoriano di sottofondo e senza stucchevoli “voci da prete”: ci si sente allargare il cuore alla vista di tanta abbondanza e tanta gioiosa serietà, scelte rituali a parte sulle quali non mi fermo per non allungare.
Dunque a fronte di questi giovani non è il caso di inventare linguaggi nuovi, uscire dagli schemi, abbattere rigidità - ma ci sono veramente? - ecc.
E invece quale è l’opzione del nostro Documento? Il silenzio: questi giovani non ci sono. Ma siccome il fenomeno ha una sua diffusione e preoccupa con diversa intensità alcuni vescovi, rettori di seminari, superiori e formatori religiosi ecc., non si può pensare che si tratti di una dimenticanza dell’estensore. Per cui la vera scelta verso costoro non è: «Silenzio: non esistono»; ma: «Silenzio: Non devono esistere».
Il che pone un sinistro sospetto su quelle tante aperture all’ascolto e all’accoglienza della voce dello Spirito che risuona nei giovani: sì, purché la voce dello Spirito e financo le critiche e le contestazioni vadano in una precisa direzione... nella quale è possibile anche “hacer lio / fare casino”; in direzioni più tradizionali, no.
E non ci si limita al silenzio, ma spesso, di fronte ad una vocazione del genere, si lascia trasparire una sofferenza interiore tipo: “Aspettavamo una vocazione di centro sinistra o comunque progressista... invece sei arrivato tu... un animale così strano di fronte al giovane dei documenti... anche se, è vero, sei (iper)connesso... comunque sii il benvenuto... c’est la vie!”. Tralascio per ora che cosa succede o può succedere dopo, per non girare il ferro nella piaga.
Il discorso ha però una sua serietà con alcune piste di considerazioni che mi limito ad enunciare senza svilupparle:
- questi giovani per lo più non rifiutano il Vaticano II ma l’applicazione concreta che ne è venuta dopo e spesso non tanto a livello di documenti, ma di prassi;
- a differenza dei giovani del postconcilio cresciuti in un clima un poco più clericale ed ecclesiastico del dovuto e quindi ansiosi di declericalizzare e secolarizzare, questi giovani sono cresciuti in una società secolarizzata e cercano una esperienza cristiana forte;
- cercare sicurezze è un atteggiamento sano e non da immaturi;
- le conseguenze del peccato originale toccano tutti, dal Pontefice Romano in giù, per cui bisogna stare attenti a non attribuire tutti i difetti di questi giovani alla loro scelta di Chiesa, ma alla normale debolezza umana;
- e poi i frutti: chi li accoglie accettando veramente le loro istanze in quello che hanno di azione dello Spirito - chiaro che deve viverle lui per primo - potrà certo raddrizzare dei difetti, ma soprattutto sperimenterà la fecondità e la bellezza della vita cristiana tradizionale, che è moderna;
- chi li rifiuta dicendo (assicuro che la frase è stata detta) “Piuttosto di avere vocazioni così è meglio non averne”, rischia di essere esaudito dal Signore, ma a suo danno.
Minima e ulteriore conferma: in data 8 dicembre 2016 è uscita la nuova “Ratio fundamentalis” per la formazione dei seminaristi sino al sacerdozio e oltre con la formazione permanente. È un documento molto ben strutturato e si dicono cose sagge sul Catechismo della Chiesa cattolica, sulla filosofia, sul giusto uso dei media, sulla serietà degli studi, sulla preghiera ecc.
Quando però si fanno delle critiche o si mette in guardia contro qualcosa, si mette in guardia contro il clericalismo, i princìpi astratti, la sicurezza dottrinale e spirituale, le certezze precostituite, la cura ostentata dalla liturgia ecc. (cf nn. 33, 41-42; 120). Mai una volta la messa in guardia dal pericolo di deviare dalla sana e buona dottrina scegliendosi maestri a piacere. No, quelle erano preoccupazioni di san Paolo (1Tm 1,10; 4,6; Tt 1,9; 2,1.7; 2Tm 4,3) e di certi giovani di oggi, “gente a cui si fa notte innanzi sera” (Petrarca, Trionfo della Morte I,39). Oggi sulla dottrina e sulla buona liturgia possiamo rimanere tranquilli e non è il caso di segnalare pericoli e fomentare tendenze pericolose tra i seminaristi.
Ma non sarà invece che si scrivono queste cose e se ne tacciono altre solo perché “è di moda”? Una canzoncina del 1800 che si usava nelle missioni popolari per correggere i costumi ad un certo punto faceva: «E mode non più; / chi segue le mode / non segue Gesù». Nessun dubbio che allora riguardasse gli abiti femminili: che oggi per caso non riguardi anche i Documenti?
di Riccardo Barile26-04-2017

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