ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 18 maggio 2017

Apericena


I forni di Assad

IL MATTATOIO
Il Dipartimento di Stato americano ha comunicato al mondo la notizia sconvolgente che Assad ha costruito forni crematori per eliminare ogni traccia delle esecuzioni di massa che sta conducendo contro gli oppositori.
In una conferenza stampa il 15 maggio scorso, Stuart Jones, vice-Segretario per gli Affari del Vicino Oriente, ha dichiarato che: “a partire dal 2013 il regime siriano ha installato un forno crematorio all’interno della prigione di Saydnaya. Lo scopo è eliminare le prove e nascondere l’entità della omicidi di massa che avvengono nel carcere stesso”.

Il carcere di Saydnaya è venuto alla ribalta della cronaca nel Febbraio scorso, quando Amnesty International ha pubblicato un report di 40 pagine intitolato: “Il mattatoio umano. Stermini di massa nella prigione siriana di Saydnaya”.
Il documento è un atto di accusa senza riserve dei crimini che il regime di Assad avrebbe commesso all’interno della prigione militare a 30 km a nord di Damasco, dove dal 2011 “migliaia di persone sono state giustiziate extragiudizialmente in massacri di massa effettuati di notte e nel massimo segreto”.


Secondo il report, attualmente la prigione ospiterebbe tra i 20.000 e i 30.000 detenuti, nella stragrande maggioranza oppositori al regime, sia militari che civili.
Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty, dal 2011 le esecuzioni nel carcere di Saydnaya hanno raggiunto il livello di vere “impiccagioni di massa”: Amnesty International stima che “tra 5.000 e 13.000 persone” sono state “giustiziate senza processo”.

Secondo la ricostruzione del report, la procedura è una vera e propria catena di montaggio dell’orrore. I detenuti vengono condannati in un processo farsa della durata media di due minuti in una stazione di polizia di Damasco, portati a Saydnaya in attesa della esecuzione e infine impiccati in un seminterrato dell’edificio bianco dopo essere stati picchiati o torturati.

Amnesty non ha informazioni dirette di condanne a morte dopo il 2015 ma poiché le detenzioni nel carcere continuano “non c’è ragione di credere che tali esecuzioni extragiudiziali si siano fermate”.

saydDUBBI SUL REPORT DI AMNESTY
Il rapporto di Amnesty presenta un numero considerevole di incongruenze. Ai fini di questo articolo ne analizziamo un paio:

I TESTIMONI: Amnesty dichiara di aver raccolto le testimonianze di 85 persone; di cui, 31 ex detenuti, 4 guardie carcerarie che lavoravano nella prigione, 3 ex giudici siriani, 3 medici dell’ospedale militare di Tishreen, 4 avvocati, 17 esperti di diritto carcerario internazionali e siriani, 22 parenti di persone ancora detenute nel carcere.

Poiché Amnesty International non ha accesso alle zone della Siria sotto la giurisdizione governativa, “la maggior parte di queste interviste sono state fatte nel sud della Turchia”; altre effettuate “per telefono o attraverso strumenti remoti”.

Gli intervistati attualmente risiedono in Siria (ma non si specifica se nei territori governativi o in quelli sotto i ribelli o sotto l’Isis), in Libano, in Giordania, in alcuni paesi Europei e negli Stati Uniti.
Ovviamente tutti i testimoni, oppositori del regime siriano, sono anonimi per motivi di sicurezza loro e quella dei loro parenti rimasti in Siria.

I testimoni sono stati rintracciati attraverso tre Ong delle quali, almeno due, appartengono all’universo di organizzazioni civili finanziate direttamente o indirettamente da governi occidentali o ostili ad Assad:
1) il Syria Justice and Accountability Centre, organizzazione fondata in Turchia e con sede a Washington
2) la Rete Siriana per i Diritti Umani (SNHR), fondata in Gran Bretagna, per molti legata ai Servizi britannici e parte del World Federalist Movement – Institute for Global Policy, finanziato da diversi governi occidentali e da fondazioni private come la Open Society di Soros e la Ford Foundation.
Insomma, non certo soggetti neutrali e imparziali nel giudizio.

NUMERO VITTIME: una stima tra “5.000 e 13.000″ rappresenta un delta del 150% e sarebbe inattendibile per qualsiasi inchiesta internazionale.
I numeri di Amnesty si basano solo su ricordi di testimoni oculari che dichiarano cose tipo: “di solito venivano eseguite tra le 7 e le 20 condanne ogni 10-15 giorni”, oppure “nei seguenti 11 mesi, 20 e 50 esecuzioni una volta la settimana” (p. 17).

Degli 85 testimoni, solamente 2 descrivono un’impiccagione ma non è specificato se per visione diretta o per sentito dire (pp. 25-26). Nessuno degli altri ha mai assistito alle uccisioni in serie che avvenivano nel carcere.

Ovviamente non esistono registri, né liste, né alcun altro tipo di prova che possa suffragare questi dati. A tal punto che le conclusioni di Amnesty si basano su un ragionamento tipo: “se questi sono i dati, le cifre sono queste”, una cosa che per qualsiasi tribunale internazionale sarebbe carta straccia.

Amnesty dichiara di conoscere i nomi di 36 condannati a morte sui 5000-13000; meno dell’1% nel caso della cifra minore dei morti.
A questi vanno aggiunte altre 375 persone che sono morte dal 2011 al 2016 a seguito delle torture subite nel carcere. I loro nomi sono comunicati dai loro compagni di cella sopravvissuti. Ma nello stesso report Amnesty confessa che “è impossibile stabilire il numero esatto dei morti di Saydnaya” (p. 40).

Dal momento della sua uscita, il report è stato enfatizzato sui media occidentali senza alcuna analisi critica, con l’evidente scopo, funzionale alla propaganda occidentale, di alimentare le posizioni più ostili nei confronti del regime di Assad: dai media Usa, a quelli europei, da Al Jazeera, ai giornali italiani  è stata data per scontata la cifra maggiore dei morti (il top lo ha raggiunto l’Ansa che è persino riuscita a superare Amnesty International, dichiarando “oltre 13.000 persone giustiziate”.

CONDANNE A MORTE IN SIRIA
Il report ha molte altri aspetti dubbi (per esempio le analisi dei meccanismi giudiziari che sembrano incoerenti col sistema legislativo siriano) ma c’è un aspetto di tipo storico che invece forse conviene sottolineare: prima dello scoppio della guerra civile, la Siria era uno dei paesi col minor numero di condanne a morte nel mondo. Secondo una ricerca proprio di Amnesty International, nel periodo 2007-2012 le esecuzioni capitali in Siria sono state 34 contro le migliaia in Cina, le oltre 1500 in Iran, le 400 in Arabia Saudita e le 220 negli Usa. In pratica il criminale regime di Assad ha condannato a morte lo stesso numero di persone condannate a morte in Giappone e un sesto di quelle giustiziate nella più grande democrazia del mondo.

È plausibile che con lo scoppio della guerra civile, la brutalità del conflitto e l’introduzione di leggi speciali, i meccanismi repressivi del regime siano aumentati ma è difficile, con i dati a disposizione, riuscire realisticamente a disegnare un quadro come quello descritto a Saydnaya.

downloadE I FORNI?
Nessuno degli 85 testimoni ascoltati da Amnesty International ha mai parlato o accennato alla possibile esistenza di strutture di cremazione all’interno del carcereCome è possibile?
Anzi, al contrario, due dei funzionari hanno specificato che i corpi dei condannati, dopo il loro riconoscimento nell’Ospedale militare di Tishreen, venivano seppelliti in fosse comuni in due cimiteri a nord di Damasco . Amnesty documenta persino le foto satellitari dei cimiteri, dove, ovviamente nulla dimostra l’esistenza di queste presunte fosse comuni tanto che Amnesty afferma nel suo report che non “è in grado di verificare queste dichiarazioni” (p. 28).

Ma quindi da dove sono uscite fuori le dichiarazioni del Dipartimento di Stato? Come è possibile che una prova così lampante dei crimini di Assad non sia presente nel report di Amnesty?

D’altro canto le prove portate dal Dipartimento di Stato (e anche qui prese dai media internazionali come oro colato) si riducono a: foto satellitari (non di satelliti militari) di un edificio della prigione che presenterebbe dal 2013 canne fumarie, strutture di ventilazione HVAC e prese d’aria “coerenti con un crematorio”. Ma in realtà coerenti anche con un grande locale caldaia.
E se, come dichiarano gli americani, il crematorio è operativo dal 2013, come è possibile che nessuno nel carcere né fuori se ne sia accorto o ne abbia sentito parlare visto che le testimonianze raccolte nel report di Amnesty riguardano il periodo 2011-2015?

Ian Grant (@Gjoene), analista militare olandese esperto di questioni siriane, ha dimostrato inoltre che le bocche di ventilazione che secondo gli americani il regime ha costruito dall’agosto 2013 per smaltire il cumulo di cadaveri prodotti, erano già presenti prima e quindi quel locale è sempre esistito; e allora a cosa si riferiscono le foto mostrate dal Dipartimento di Stato?

IL BRAND “HITLER”
Ci sono due possibilità: che le dichiarazioni del Dipartimento di Stato siano false (o meglio imprecise) o che sia falso il report di Amnesty (o meglio impreciso).
In realtà c’è una terza ipotesi, la più probabile: che siano falsi (o meglio imprecisi) tutti e due.

L’obiettivo? Trasmettere nell’opinione pubblica occidentale l’immagine di Assad come nuovo Hitler (così come lo sono stati prima di lui Milosevic, Saddam e Gheddafi); perché Hitler è il brand necessario per giustificare ogni guerra umanitaria. 
E cosa c’è di più orribile per la memoria dell’Occidente di un forno crematorio
? E puntuale, prima ancora di qualsiasi verifica è arrivata la mobilitazione morale della coscienza civile che abita nei media mainstream.
Dopo il bombardamento chimico a Khan Shaykun dell’aprile scorso, il forno crematorio di Assad sembra l’ultima trovata hollywoodiana dei registi caos globale.

Rimane l’amarezza di vedere la libera informazione democratica incapace da anni di porre un minimo dubbio alle certezze che i signori della guerra mondiale permanente impongono sotto l’ipocrisia delle loro ragioni umanitarie.

Su Twitter: @GiampaoloRossi

Con Trump tra le zanne dello Stato Profondo, SIRIA STRAZIATA, SQUARTATA, VENDUTA, DIFFAMATA


Festival di fake news. E di risate omeriche, non fosse per l’esercito di intruppati che ogni fake news se la bevono con il gusto dell’apericena. E se ne sentono confortati nel loro imbecille convincimento di stare dalla parte dei buoni e giusti, cosa che gli caccia nell’angolo più remoto del cervello la sgradevole sensazione, incorporata nell’ultima cellula cerebrale non contaminata, che, forse forse, i buoni e giusti sono una spaventosa manica di mascalzoni.

Auschwitz a Damasco. E le tappe per arrivarci.
Per la prima bufala e, per imperizia, disinvoltura, carattere circense, probabilmente quella destinata a maggiore diffusione e successo, il “forno crematorio di Assad” scoperto dal Dipartimento di Stato, c’è stata l’oculata preparazione della dependance di quel Ministero, Amnesty International, con il liscia e busso al presidente Siriano dell’indimenticabile impiccagione, dal 2014 al 2016, di un numero tra 3000 e 13mila detenuti, nella prigione di Saydnaya, fuori Damasco. C’è voluta tutta la buona disposizione al servaggio decerebrato del  “milieu” che sostiene il nostro regime-gangster, come tutta l’improntitudine dei giornaloni e delle televisionone Usa, redatti a distanza da Tel Aviv, nell’approfittare del coma non vigile  del pubblico americano, per accreditare una bambocciata di tale carenza di professionalità. Infatti, un po’ per quell’onirico vagolare tra una cifra minima e una massima di strozzati da Assad, un po’ per le solite fonti abborracciate dell’organo umanitario facilitatore delle guerre imperiali, fonti perlopiù esterne, tutte anonime e del tipo “sentito dire – passa parola”, il rapporto bomba di questi militanti delle cause Regeni-Del Grande, ebbe lo scoppio limitato e la risonanza breve di un petardo.

L’ex-capa kazara di Amnesty e di HRW

Un precedente preludio, tanto più schifoso quanto più grottesco, programmato per arrivare poi al forno crematorio, con il suo valore aggiunto dell’odore di carne bruciata da olocausto hitlerista, erano state le foto dell’anonimo Cesar, presunto fotografo di regime, cui il regime, evidentemente consapevole del proprio tornaconto, aveva consentito di fotografare migliaia di sue vittime torturate e mutilate e poi di portarsi via le foto per distribuirle a matrimoni e comunioni nei paesi civili. Nonostante i tentativi di molti scemi del villaggio mediatico di rianimare questa carogna di notizia, l’operazione fallì quando parecchi siriani riconobbero tra le foto i volti dei loro cari, soldati caduti in battaglia e regolarmente sepolti sotto i loro occhi.

La tragicomica vicenda del forno crematorio nella prigione siriana viaggia sulle ali spennate di alcune vecchie foto satellitari commerciali che mostrano il complesso carcerario e lavori strutturali attorno a un edificio. Cioè zero via zero, quanto a esistenza di crematori. Inventarli, si sa, produce effetti poderosi nel tempo. Pensate a cosa è arrivato un tecnico Usa, solo e sbertucciato nella schiera di esperti che si sono scompisciati in tutto il mondo, per dimostrare l’assunto: a un certo punto la neve sul tetto di un edificio si è sciolta. Ergo, sotto c’erano le fiamme. Mica una caldaia, mica una centrale di riscaldamento. No, un forno crematorio. E Mengele era stato visto passare di là.

I detenuti impiccati, i forni crematori dove li si bruciava al ritmo olimpionico di 50 al giorno, i ripetuti bombardamenti al gas nervino, gli ospedali pediatrici di Medici Senza Frontiere colpiti apposta e accanitamente, tutta una serie di formidabili scoperte regolarmente fatte alla vigilia di qualche scadenza, tipo, ora, l’incontro di Ginevra, o di qualche mossa pro-pace di Putin, o di qualche avanzata delle truppe patriottiche, sono trasparenti tentativi di arrivare a un tale grado di indignazione di massa, da consentire all’Idra a tre teste, Usa (cum Nato) – UE - Israele (cum lobby),  l’ennesimo staticidio

E Trump? Spaccone, incompetente, bislacco, imprevedibile, forse anche un po’ fuori di testa (niente rispetto a predecessori e rivali). Ma il dato centrale è che coloro che non hanno accettato l’esito delle, per loro, democratiche elezioni presidenziali e ne vogliono rovesciare il vincitore, Donald Trump lo tengono per le palle. Così, mentre si apprestava a condividere con i russi una sistemazione della Siria, catastrofica per i siriani,  ma di relativa soddisfazione per le maggiori parti in causa, gli hanno schiaffato tra i piedi il forno crematorio e ne hanno silenziato gli scambi con Putin e con Lavrov con le urla scomposte del solito pendaglio da forca israeliano, Il ministro Yoav Galan: “Giustiziano la gente, effettuano attacchi chimici sul popolo, bruciano cadaveri come 70 anni fa… è nientemeno che un genocidio… la linea rossa è superata, è arrivato il momento di assassinare Assad”. L’uomo, membro rumoroso ma consapevole di una conventicola che dell’assassinio ha fatto la propria ragione di vita, salivava mentre lo diceva. E un pensierino lo faceva anche sul Consigliere di Trump per la sicurezza nazionale, McMaster, che, in due infami occasioni, si era rifiutato di riconoscere al territorio rivendicato da Israele il Muro del Pianto.
Lo Stato profondo Usa

E’ la guerra  di Hillary, neocon, Cia, Sion
Fatto fuori da Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Michael Flynn, per contatti con l’ambasciatore russo assolutamente legittimi, ora la tenaglia si chiude sul presidente stesso. L’accusa da impeachment è di aver rivelato al ministro degli esteri e all’ambasciatore russi segreti dell’ intelligence. La manina è sempre quella israeliana. Da lì sarebbe venuto l’avvertimento che l’Isis stava preparando attentati al tablet sugli aerei. Dal momento che tra i primissimi burattinai di Isis ci sono gli israeliani in combutta con i neocon americani , la minaccia era assolutamente credibile. Ed era non solo legittimo, ma doveroso, per il presidente Usa comunicare la cosa al suo partner russo. E’ o non è sancito da due titolari della Casa Bianca in successione, e fin dall’epifania del mercenariato imperiale in Siria e Iraq, che il terrorismo andava combattuto assieme?

E allora cosa andavano cercando gli organi telescritti nelle centrali del Mossad e integrati dalla Cia, Washington Post e New York Times, quando accusavanoTrump di aver spifferato al “nemico” segreti di Stato? Seccati perché un progettino di quelli all’israeliana era stato sventato? O piuttosto, o anche, all’affannosa ricerca del pretesto finale per abbattere Trump e andare avanti con l’assassinio di Assad, l’annientamento della Siria, la Grande Israele, la guerra all’Iran, alla Russia, alla Cina, alla galassia?


Ultranazi all’assalto delle istituzioni
Chi, a forza di scaricare i suoi lanciafiamme su Trump, non conserva neanche un po’ di brace da lanciare su agevolatori e battistrada mediatici di Rothschild e del relativo complesso predatore e necrogeno di classe, dal New York Times al “manifesto”, si deve inevitabilmente considerare complice di una manovra eversiva che punta al sovvertimento degli ultimi rimasugli delle istituzioni statunitensi. Siamo all’alto tradimento di una cosca di felloni impegnati alla definitiva realizzazione del piano neocon per il Nuovo Secolo Americano (PNAC) o, meglio, talmudista-statunitense. L’abbattimento di Trump, attraverso impeachment, o soluzione più drastica, qualunque giudizio si dia dello strampalato personaggio, introduce alla dittatura mondiale e a qualcosa di molto simile alla fine del mondo.

Siria per Putin e tutti noi: hic Rhodus, hic salta
Il reiterato sforzo, da parte dei massimi stragisti della storia, di attribuire ad Assad – impunito e irriducibile difensore del suo popolo e, dunque dell’umanità tutta - carneficine di ogni tipo serve, nella congiuntura, anche come arma di distrazione di massa dagli ininterrotti eccidi operati dagli Usa e dalla loro coalizione aerea sui civili di Siria e Iraq. Non c’è giorno che donne, bambini, uomini di questi due paesi non vengano massacrati da bombe che poi si dicono dirette su concentramenti di jihadisti. A Mosul, Deir Ezzor, Raqqa, in tutte le aree dove si svolgono combattimenti veri o presunti, piovono bombe sui civili e sulle rimanenti infrastrutture che gli consentono la sopravvivenza. Spesso, come a Deir Ezzor, il bersaglio è lo stesso l’esercito arabo siriano quando va mettendo in difficoltà le bande terroriste di obbedienza USraeliana.

Perché, dichiarando all’universo mondo di voler combattere quel  terrorismo islamico che ferisce lo stesso Occidente di cui gli Usa si dicono vindici e difensori, poi gli spianano la strada svuotando di popolazioni, ovviamente non complici, i territori che quel terrorismo occupa e impedendone la liberazione da parte dell’esercito legittimo? Saperlo non è difficile. Questa guerra non è guidata dal “comander in chief” Trump. Trump, sapendo di aver i rottweiler dello Stato Profondo, Cia, FBI, neocon, i clintoniani, le grandi multinazionali, pezzi di Pentagono, alle calcagna, ogni tanto gli butta un boccone. Tipo l’attacco missilistico alla base aerea siriana di Al Shayat, in buona misura inefficaci e fuori bersaglio. Per poi – anatema ! - tentare di riprendere il vecchio filo del dialogo con i russi.

Questa guerra è condotta e diretta dallo Stato Profondo che punta allo scontro diretto e globale. Ne campa. Ne campano i suoi caveau. Dalla strage di civili, un po’ affidati ai mercenari, un po’ alle proprie bombe, si aspetta lo spopolamento della Siria. Sia per eliminazione fisica, sia per quella fuga per la quale jihadisti e bombe sono il push factor e le navi delle Ong, Soros e suoi militanti umanitari, accoglitori universali,  il pull factor. In questo, in qualche modo, siriani ed europei, specie quelli del Sud, sono uniti dalla comune sorte di vittime, per vari gradi, dello stesso mostro.

Di fronte a tutto questo, fidandosi di chi non si dovrebbero mai fidare, i russi si sono inventati le quattro aree di de-escalation, di riduzione del danno per così dire. Una è quella di Idlib, dove sono e resteranno i turchi. Le altre sono enclavi di varie formazioni terroriste e dei relativi sponsor esterni a Damasco: Homs, Deraa, Quneitra. Il Kurdistan che passa da un pezzettino di Siria a un pezzettone grosso, perlopiù arabo prima della pulizia etnica curdo-americana, è ufficialmente riconosciuto. Come quello iracheno, raddoppiatosi nelle more. Gli iracheni si stanno riprendendo Mosul. Probabilmente in cambio accetteranno un Kurdistan indipendente su gran parte di terre e petrolio arabi. Sembra che ai siriani sia consentito di avanzare verso est a riprendersi almeno Deir Ezzor, da anni assediata. A Raqqa regnerà un proconsole curdo degli Usa, magari un farabutto narcos come Massud Barzani, di cui le nostre “sinistre” diranno che è Che Guevara. Forse nei due paesi-martiri si morirà di meno.

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