ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 27 giugno 2017

Il cristianesimo, senza la croce, è un inganno

Oblatus est, quia ipse voluit, et non aperuit os suum – E’ stato sacrificato, perché ha voluto



Che cosa c’è, al cuore del Vangelo? Che cosa c’è che dà tanto fastidio ai modernisti e ai cattolici progressisti? Qual è il punto che li infastidisce, che li manda  in furore, e contro il quale stanno dirigendo tutti i loro sforzi, al fine di rimuoverlo? Al centro del Vangelo c’è il sacrificio di Cristo, la sua offerta di Sé sulla croce: offerta che si rinnova ogni giorno, incessantemente, ogni volta che un sacerdote celebra la santa Messa e che un credente si accosta alla Comunione. Se si toglie quello, si toglie la base di tutto il resto: e il cristianesimo rimane come una delle tante dottrine di questo mondo, come una delle religioni, filosofie e ideologie che hanno preteso di cambiare il mondo, ma con gli strumenti del mondo. Solo nel cristianesimo c’è la nozione dell’amore di Dio che si spinge fino al limite estremo: quello di farsi uomo, di soffrire e di morire per mano degli uomini stessi, per riscattare i loro peccati e per rendere possibile il loro ritorno fra le braccia del Padre. Qualche altra religione, come l’induismo, si spinge fino all’idea di una discesa di Dio sulla terra (ma non di una vera incarnazione; non, cioè, dell’assunzione, accanto alla propria natura divina, della vera natura umana, con tutti i suoi limiti): ma nessuna giunge all’idea del sacrificio totale di Dio per amore degli uomini. Ebbene, è proprio questo che fa problema, è proprio questo che dà noia ai modernisti e ai cattolici progressisti: il sacrificio di Cristo, il fatto di essere debitori della propria salvezza a quel sacrificio. Primo, essi non vogliono riconoscersi così incapaci di trovare la via del bene, da aver bisogno che Dio stesso venga a farsi uno di loro; secondo, non vogliono sentirsi in debito con Dio per il sacrificio di Sé sulla croce, perché non amano esser debitori nei confronti di alcuno; terzo, non vogliono trarre la logica conseguenza di tutto ciò: ossia che la sola via verso la redenzione passa attraverso la croce, per tutti, ora e sempre.
Tutto questo, a quei signori, appare fastidiosamente limitante, quasi una umiliazione permanente; gonfi di superbia e di orgoglio luciferino, vogliono, vorrebbero, salvarsi da soli, al massimo con un dio che dice loro quel che si deve fare, dopo di che ritengono di poter proseguire da soli, con le loro forze. È per questo che vorrebbero ridurre il cristianesimo a una sorta di dottrina morale; il dio che sono disposti ad accettare, a riconoscere, è un dio che si comporta come un uomo e solo come un uomo: un maestro spirituale, un saggio, un profeta, insomma, uno che si mette al loro livello affinché essi, poi, facciano da soli. Anche tutte le chiacchiere della teologia negativa – che è, guarda caso, di origine protestante -, il rifiuto del “dio tappabuchi”, la decisione di fare “come se Dio non ci fosse” (etsi deus non daretur), hanno questa radice: ed è ben miope chi non vede in quel tipo di teologia, non già un progresso e un cristianesimo “adulto” e “maturo”, come tanto spesso si sente dire e si legge, ma una vera e propria degenerazione, una involuzione, una auto-distruzione: perché il cristianesimo, a quel punto, sarebbe l’equivalente del platonismo, o del buddismo, o della teosofia, o dell’antroposofia; una dottrina di salvezza fra le tante, nella quale il ruolo attivo è affidato all’uomo, è l’uomo che deve svolgerlo. E dio, se c’è, serve solo come guida, anzi, come vigile stradale: disciplina il traffico, fa dare la precedenza, ma poi ciascuno deve sbrigarsela da solo, beninteso dopo aver consultato la cartina stradale, o, come oggi si fa, con maggiore comodità, dopo aver inserito il navigatore o il pilota automatico.


Hanno anche elaborato, costoro, una contro-teologia, e le relative contro-pastorale e contro-liturgia, per ribadire che la cosa essenziale, nel cristianesimo, non è il Sacrificio di Cristo: sostengono che questa idea è di origine vetero-testamentaria (strano, proprio loro che parlano sempre delle radici giudaiche della nostra fede!), e, più precisamente, che riflette una concezione legalistica e contrattualistica della relazione fra l’uomo e Dio, come se Dio avesse bisogno, comunque, di un “risarcimento” per i peccati degli uomini, e questo risarcimento dovesse passare, per forza, attraverso un sacrificio cruento, per giunta di un innocente. I teologi della “svolta antropologica” ci vengono a dire che questa è un’idea vecchia, superata, anacronistica, della Redenzione, e che noi siamo già redenti, per il solo fatto della Incarnazione: sicché, a dirla tutta, non si capisce troppo bene – noi, almeno, non arriviamo a capirlo; sarà una nostra debolezza – che cosa, esattamente, Gesù sia venuto a fare sulla terra, nella sua duplice natura umana e divina. È venuto per redimerci, si dice: benissimo; ma come, esattamente? A sentir loro, mediante l’annuncio della Buona Novella: che siamo tutti figli di Dio, e che Dio ci attende a braccia aperte, qualunque cosa abbiamo fatto e qualunque peccato abbiamo commesso. Perfino senza bisogno di metanoia, di conversione, di pentimento, di ravvedimento, di desiderio d’espiazione; o quasi In poche parole, senza bisogno della croce.

Ed eccoci arrivati al punto. La croce di Gesù non è un incidente di percorso, dovuto a una serie di sfortunate circostanze, che avrebbero potuto anche non darsi. Anche se quei signori sembrano pensarla così (sebbene non lo dicano, è quanto si evince da tutti i loro discorsi relativi alla salvezza), la verità è che Gesù è venuto sulla terra per sconfiggere il peccato e la morte e per portare agli uomini la redenzione, cioè la vita eterna, riconciliati con Dio, ma passando attraverso la croce. Gesù è venuto per morire sulla croce: e ciò era nel progetto di Dio, fin dall’inizio. Che cosa dicono, invece, quei tali signori, pseudo teologi modernisti e progressisti? Ci par di sentirli: impossibile, Dio non si compiace della sofferenza; Dio ci ha creati per la felicità (il che è vero; ma bisogna vedere cosa s’intende per “felicità”); dunque, la croce di Gesù Cristo non è il passaggio essenziale della nostra redenzione, bensì una sorta di cornice, commovente, certo, una specie di suggello, che, tuttavia, avrebbe potuto anche non esserci. Gesù non è venuto per morire, né per essere tradito, insultato, sputacchiato, flagellato, coronato di spine, appeso alla croce e trafitto con un colpo di lancia, dicono, o penano, quei signori; Gesù è venuto per insegnare l’amore. Certo, per insegnare l’amore: ma come, visto che già aveva mandato numerosi profeti, e santi, e perfino i suoi angeli, e gli uomini non avevano voluto ascoltarli, anzi, sovente li avevano cacciati o perseguitati a morte? Si veda la parabola dei vignaioli omicidi. A Dio non restava che un ultimo, estremo tentativo: mandare suo Figlio. Mandarlo a soffrire sino in fondo, a prende su di sé tutto il male del mondo, tutti i peccati degli uomini, e poi, restando innocente e perfetto, offrire Sé stesso in sacrificio sulla croce, mediante la morte più dolorosa, più infamante, più disonorevole che esistesse in quel temo e in quel luogo. Non solo: era necessario che suo Figlio facesse tutto questo in completa umiltà, in totale obbedienza, e in dignitoso silenzio; senza protestare la propria innocenza, senza tentare in alcun modo di sottrarsi alle mani dei suoi persecutori, di sfuggire alla volontà omicida dei suoi carnefici. Bisognava che suo Figlio affrontasse questa prova conservando intatto l’amore di Dio e l’amore per gli uomini, in cui si riassume tutto il significato del Vangelo. Solo così sarebbe stato sconfitto definitivamente il demonio, il grande nemico che sin dall’inizio lo aveva insidiato, lo aveva tentato, aveva cerato di insinuare dei dubbi sulla sua missione redentrice.
Pertanto, ribadiamo il concetto: il cristianesimo, senza la croce, è un inganno; il Vangelo senza la croce, è una volgare mistificazione; e Gesù Cristo, senza il sacrificio di Sé, non è il Redentore che noi cattolici riconosciamo, adoriamo e ringraziamo con tutta la nostra anima. No: un tale Gesù Cristo, un Gesù Cristo che – come ha scritto il saggista ebreo-americano H. J. Schonfield “non voleva morire”, è un Gesù ad uso e consumo dei non cristiani, dei non cattolici, dei nemici e dei falsi amici della Chiesa e della fede cristiana e cattolica. Intendiamoci: non è che Gesù volesse morire per una sorta di ansia d’immolazione, per una forma d’inconscio masochismo. Esattamente come i martiri di ogni tempo e luogo (e ce ne sono anche oggi: come quei trentacinque egiziani copti che all’apostasia hanno preferito la morte per mano dei terroristi islamici), Gesù ha offerto al Padre la sua disponibilità totale per evangelizzare gli uomini, sapendo il prezzo che ciò avrebbe comportato. Pochi minuti prima di essere arrestato, ha pregato dicendo: Padre, se è possibile, passi da me questo calice; però sia fatta la tua volontà, non la mia. La croce è la conseguenza della umana inclinazione al male, fatale conseguenza del Peccato originale: anche per questo Gesù è il nuovo Adamo, come Maria è la nuova Eva. Nel loro stato attuale, gli esseri umani non solo erano lontani da Dio, erano anche suoi nemici: la rabbia, l’accanimento, l’odio che hanno riversato su Gesù, sono il segno di questa ferita. Ecco perché Gesù doveva non solo venir rifiutato, non solo essere deriso e disprezzato, ma attivamente, diabolicamente perseguitato, fino alla morte.
di Francesco Lamendola del 27-06-2017
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