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giovedì 21 settembre 2017

Non a caso

Omoeresia, Gesuiti Usa allo sbando e con Martin



                                                           James Martin

Il gesuita americano James Martin, autore del libro “Building a Bridge”, e noto per le sue posizioni a favore dei gruppi LGBT ha visto annullati alcuni incontri pubblici che avrebbe dovuto tenere negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in istituzioni ecclesiastiche, a causa dell’ondata di reazioni negative che semplici cattolici hanno manifestato. Nei giorni scorsi ha ricevuto la solidarietà della Compagnia in America: “Tutti i libri di padre Martin – scrive un comunicato – sono scritti con il pieno consenso dei suoi superiori religiosi e in conformità con le linee guida di pubblicazione della Chiesa cattolica”. È opportuno ricordare che oltre al libro, sono stati criticati alcuni atteggiamenti pubblici del gesuita, fra cui gli auguri agli amici LGBT per un felice Gay pride; una manifestazione che certamente non riceve l’approvazione della Chiesa, e in cui spesso la Chiesa, e le sue figure religiose principali, come Gesù e la Madonna, sono fatte oggetto di vilipendio.



E d’altronde Martin è stato criticato, e con motivazioni serie, da parte del mondo cattolico; fra cui il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, che ha scritto un articolo sull Wall Street Journal, rimproverando al gesuita di non dire tutta la verità ai suoi interlocutori. Così come è scritto nel Catechismo, che fino a prova contraria è ancora il testo fondamentale di riferimento per i cattolici, tutti, dal più umile fedele fino al Pontefice regnante. In particolare, il Catechismo scrive : “L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni,  la Tradizione ha sempre dichiarato che ‘gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati’. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati”.

E continua così: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. Per concludere: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.

Non a caso il cardinale Sarah, richiamando i sacerdoti, e di conseguenza anche Martin, alla responsabilità della verità, per non perdere le anime a causa di una malintesa misericordia, ricorda che l’esperienza di uomini e donne che provano attrazione verso persone dello stesso sesso ma evitano di avere rapporti, in obbedienza al Vangelo. Esistono associazioni di omosessuali cristiani che si impegnano su questo cammino certamente non facile; ci viene in mente, per esempio, Courage. Scrive Sarah: “Questi uomini e donne testimoniano il potere della grazia, la nobiltà e la perseveranza del cuore umano, e la verità dell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità”. Continua: “Il loro esempio merita rispetto e attenzione, perché hanno molto da insegnare  a tutti noi su come migliorare l’accoglienza e accompagnare i nostri fratelli e sorelle in un’autentica carità pastorale”.

La protesta dei cattolici, che ha portato all’annullamento delle conferenze, è venuta grazie anche alla presa di posizione di alcuni siti, come Lifesitenews e Church Militant e del blog di un sacerdote molto noto, Father Z. È interessante notare come padre James Martin, trattando del problema su Twitter, ne parli come di “siti che trafficano in odio”, e afferma che “dobbiamo avere compassione anche per la gente che conduce questi siti odiosi”. Quella del cosiddetto “odio” è una delle categorie preferite dalla cultura omosessualista, oltre che dai Poteri forti, per cercare di ghettizzare, discriminare e mettere a tacere le voci contrarie alle loro tesi.

Resta da capire perché dei cattolici che protestano per delle posizioni che vanno chiaramente contro il loro testo fondamentale – il Catechismo – debbano essere portatori di odio; e perché in una Chiesa che parla tanto di Popolo di Dio, il Popolo di Dio piaccia solo se parla in un certo modo; quando protesta, vai col disprezzo.

Lo diciamo perché fra le reazioni ci è parsa significativa quella del vescovo di San Diego, Robert Walter McElroy, a capo della diocesi dal 3 marzo 2015. Una delle scelte del Pontefice per introdurre elementi di rottura nella maggioranza dei vescovi Usa. Secondo Mc Elroy “la castità non è la virtù centrale nella vita morale cristiana”; quindi anche la sodomia, perché no, è praticabile se “la nostra chiamata centrale è amare Dio nostro Signore con tutto il cuore e il vvino come noi stessi”. Mc Elroy critica la presunta campagna contro padre Martin “nata dall’omofobia, dalla distorsione della teologia morale fondamentale e da un velato attacco a papa Francesco e la sua campagna di non giudizialismo nella Chiesa”. E questo atteggiamento “è un cancro che penetra nella vita istituzionale della Chiesa”. Un cancro ricordare, e tenere conto, del catechismo? Sarà proprio così? Dio aiuti San Diego…

Marco Tosatti

 http://www.lanuovabq.it/it/omoeresia-gesuiti-usa-allo-sbando-e-con-martin
Uscire dalle macerie: una speranza chiamata Fatima


Simboli. Piccoli bambini attorcigliati tra le macerie che escono dopo ore di buio impolverati, ma vivi. Tra gli applausi, tra le lacrime. I bambini diventano simboli di un riscatto, messaggi di speranza mentre tutto crolla. E’ così in ogni terremoto ed è stato così anche in quello recente di Ischia con la storia del piccolo Ciro. E’ vero: per un bambino che viene recuperato e si salva, tanti invece non ce la fanno. Ma questo destino non va visto in senso egoistico, quello del mors tua vita mea, ma in una prospettiva diversa, l’unica accettabile: un mistero grande del quale il Signore della vita e della morte dispone. Bisogna entrarci in punta di piedi, con rispetto del dolore e con l’affidamento dei cuori semplici. Però bisogna anche saper guardare quelli che sono i segni che il Cielo, nella prova, ci invia.

Fatima è uno di questi segni. Si chiama così, perché la realtà non ha coincidenze, ma segni da scrutare con fede e parsimonia di emozioni. E’ lei, Fatima, il simbolo del crollo della scuola Enrique Rebsamen, sotto il cui peso sono morti 21 bambini. Nella catastrofica conta dei danni del sisma di Città del Messico, con quasi 250 morti e più di 30 palazzine crollate, ad un certo punto l’attenzione si è catalizzata lì, nel quartiere di Villa Coapa della megalopoli centroamericana. Anche il presidente Enrique Pena Nieto è accorso davanti a quello che rimaneva della scuola dove i soccorritori con i pugni alzati chiedevano silenzio.

Fatima era a scuola durante il crollo e con il suo telefono cellulare ha allertato i genitori: «Stiamo bene, ma abbiamo sete». Un messaggio nella bottiglia lanciato attraverso i social che il padre ha diffuso per portare l’attenzione sulla scuola. E Fatima con quel poco di batteria che le restava continuava a scrivere ai genitori e questi a parlare di lei alla nazione. In pochi minuti i social hanno iniziato a seguire la piccola intrappolata con i suoi compagni. Con l'apprensione tipica di questi momenti e di queste storie. "Cercate Fatima e con lei troverete il resto della compagnia superstite".

Dopo sei ore di ricerca e ormai nel buio della notte un fragoroso applauso ha accompagnato l’uscita di Sergio, Miriam, Diego e appunto di Fatima, che con i suoi messaggi ha tenuta viva la speranza e aiutato i geolocalizzatori a individuare lei e i pochi compagni rimasti in vita. Quel nome è ora un simbolo di riscatto, la speranza che anche nella devastazione più totale il Signore non abbandona il suo popolo. Tutti i giornali hanno parlato di lei, ma nessuno ha fatto caso che Fatima non è solo un nome. E’ un messaggio del Cielo che compie cento anni e che dice di non avere paura, è un invito a seguire Colei che nel buio del Golgota seppe far luce per l’umanità smarrita. Per farsi trovare dagli uomini. E ancor oggi illumina il cammino di quell'umanità che cerca una liberazione dopo essere rimasta intrappolata tra le macerie del suo peccato.

Andrea Zambrano



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