ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 23 ottobre 2017

Quale è stato il risultato della Riforma?

Processo alle intenzioni



Qualche lettore mi ha chiesto di esprimere un parere sulle recenti dichiarazioni fatte da Mons. Nunzio Galantino durante il Convegno, organizzato dalla Pontificia Università Lateranense in occasione del quinto centenario della Riforma, dal titolo Passione per Dio (18-19 ottobre 2017). Nel suo intervento introduttivo alla III sessione del Convegno (“La spiritualità della Riforma nell’agire ecclesiale”), il Segretario della CEI avrebbe sostenuto (dico “avrebbe” perché non ho trovato in rete il testo dell’intervento, ma solo alcuni reports) che “la Riforma avviata da Martin Lutero 500 anni fa è stata un evento dello Spirito Santo”. Tale affermazione ha comprensibilmente provocato in molti una levata di scudi. Se devo essere sincero, non mi meraviglia piú di tanto: essa è espressione di in una tendenza oggi assai diffusa nella Chiesa. Per cui non mi sento di dare addosso a Mons. Galantino: egli si fa solo portavoce di un sentire molto piú vasto.


Mi sembra del tutto inutile ripetere qui quanto è stato già detto da altri; né ho alcuna voglia di impegnarmi in una dissertazione teologica per dimostrare che Lutero era un eretico, non solo perché queste non sono cose da trattarsi in un blog, ma soprattutto perché nessuno mi ha costituito giudice dell’ortodossia o dell’eresia di chicchessia. A me basta sapere che Lutero è stato condannato dalla Chiesa come eretico. E io mi fido della Chiesa. Anche di quella di cinquecento anni fa. Per me Lutero non è né un demonio né un santo; è solo un povero peccatore, bisognoso — come tutti — della misericordia di Dio. Preferisco perciò buttar giú qualche pensiero cosí come viene, senza alcuna pretesa di sistematicità ed esaustività, secondo lo stile proprio di questo blog.

Come giustamente faceva notare giorni fa Stefano Fontana sulla Nuova Bussola Quotidiana, oggi va di moda affermare che «le intenzioni di Lutero erano buone ed ispirate dallo Spirito Santo, mentre poi le cose presero una strada diversa, complici anche le chiusure della Chiesa cattolica». Secondo me, questo è un processo alle intenzioni, a cui non siamo abilitati. È un processo alle intenzioni sia quando si pretende di giudicare benevolmente le intenzioni di Lutero, sia quando ci si permette di giudicare negativamente le intenzioni della Chiesa cattolica. In questo caso dovremmo veramente chiederci: “Chi siamo noi per giudicare?”.

Sarà forse una mia deformazione professionale, ma penso che l’unico atteggiamento legittimo, in questo come in tanti altri casi, sia quello dello storico: lo storico non è chiamato a esprimere giudizi di valore, ma giudizi storici; non è autorizzato a giudicare le intenzioni delle persone, ma a considerare i fatti nella loro oggettività e a collegarli fra loro secondo rapporti di causa ed effetto. Ritengo che questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento anche nei confronti della Riforma.

Che la Chiesa del Cinquecento (come quella dei nostri giorni, del resto) avesse bisogno di riforma, è un dato di fatto. Che Lutero e gli altri riformatori abbiano realmente riformato la Chiesa, è un’affermazione sulla quale è legittimo sollevare qualche dubbio. Quale è stato il risultato della Riforma? La divisione della Chiesa. E questa può essere considerata una vera riforma della Chiesa? Non direi. Personalmente trovo molto piú “riformatori” gli innumerevoli santi che hanno affollato la Chiesa del Cinquecento, non solo dopo il Concilio di Trento, ma anche e soprattutto prima della e contemporaneamente alla Riforma protestante, i rappresentanti cioè di quel fenomeno ancora non sufficientemente valorizzato che è la “Riforma cattolica”.

A questo proposito, vorrei riportare qui il giudizio espresso dal Card. Joseph Ratzinger il 28 maggio 1997, durante la celebrazione del centenario della canonizzazione di Sant’Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), uno dei maggiori esponenti della suddetta Riforma cattolica:
Devo dire che la figura di questo Santo mi è cara perché è una delle grandi personalità della Riforma cattolica del Cinquecento, impegnato nel rinnovamento della vita cristiana in un’epoca di profonda crisi nel campo della fede e dei costumi. La sua vita coincide con un periodo turbolento nel quale Lutero, a suo modo, tentò di riformare la Chiesa: tentativo che, come ben sappiamo, finí nella tragedia della divisione della cristianità. Nei problemi del suo tempo e della sua vita personale, Lutero aveva scoperto la figura di San Paolo e, con l’intenzione di seguire il messaggio dell’Apostolo, cominciò il suo cammino. Purtroppo mise in contrasto San Paolo con la Chiesa gerarchica, la legge contro il Vangelo e cosí, anche riscoprendolo, lo sciolse dalla totalità della vita della Chiesa, dal messaggio della Sacra Scrittura.
Anche Antonio Maria Zaccaria scoprí San Paolo, volle seguire il suo dinamismo evangelico e lo vide nella totalità del messaggio divino, nella comunità della Santa Chiesa. Mi sembra che Sant’Antonio Maria Zaccaria sia un uomo e un Santo di grande attualità, una figura ecumenica e missionaria, che ci invita a mostrare e a vivere il messaggio paolino nella Chiesa stessa; fa vedere ai nostri fratelli separati che San Paolo ha il suo posto vero nella Chiesa cattolica e non è necessario mettere in contrasto il suo messaggio con la Chiesa gerarchica, ma che esiste nella Chiesa cattolica tutto lo spazio per la libertà evangelica, per il dinamismo missionario, per la gioia del Vangelo. La Chiesa cattolica non è solo Chiesa della legge, ma deve anche mostrarsi concretamente come Chiesa del Vangelo e della sua gioia per aprire le strade dell’unità.
Anche sulla diffusione e il “successo” della Riforma luterana sarebbe opportuno pronunciarsi come storici piú che come apologeti o agiografi. Durante il suo intervento, Mons. Galantino avrebbe citato un testo di Lutero, nel quale il Riformatore afferma:
Io mi sono schierato contro tutti i papisti, mi sono costituito opposizione implacabile del Papa e delle indulgenze. Ma io non ho fatto appello alla forza, alla persecuzione, alla ribellione. Io non ho fatto altro che diffondere, predicare, inculcare la parola di Dio: altro non ho fatto. Di modo che quando io dormivo e quando bevevo la birra a Wittenberg la parola di Dio ha operato di cotali cose che il papato è caduto, come nessun principe e nessun imperatore avrebbero potuto farlo cadere. Nulla io feci: la parola di Dio ha determinato il successo della mia predicazione.
Beh, personalmente anche su questa visione avrei qualche dubbio da esprimere. Non so se il successo della Riforma vada davvero attribuito alla parola di Dio o non piuttosto ai príncipi tedeschi che vi aderirono per motivi piú politico-economici che religiosi (portandosi dietro i rispettivi sudditi, secondo il principio, che sarebbe stato poi formulato nella pace di Augusta, Cuius regio, eius religio).

Essendo infine interessato, oltre che alla storia, anche alla filosofia, non posso ignorare l’influsso che le dottrine luterane hanno esercitato sul successivo sviluppo della storia del pensiero. Ebbene, le conseguenze intellettuali della Riforma sono state devastanti non solo per la fede cattolica, ma anche per la stessa filosofia. Per quanto quelle dottrine affondino le loro radici nella scolastica decadente del tardo medioevo, non c’è dubbio che possiamo rinvenire in esse le origini del soggettivismo e del relativismo moderno.

Mi pare perciò un tantino azzardato sostenere che la Riforma è stata un “evento dello Spirito Santo”. Piuttosto che avventurarsi in spericolate rivisitazioni, preferirei, da parte cattolica, un atteggiamento, certo, di grande rispetto verso i fratelli separati, ma allo stesso tempo di estrema chiarezza sulle differenze che tuttora ci dividono. Dichiarare, come qualcuno ha fatto recentemente, che ormai fra noi e i luterani non esistono praticamente piú differenze può significare solo due cose: o che loro sono tornati cattolici — il che non risulta — o che i cattolici sono diventati nel frattempo protestanti. Cosa che, almeno per alcuni, appare piú verosimile.
Q
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Cinquant'anni di ecumenismo


Nel 1971 il grande Cardinale Giuseppe Siri auspicò che si facesse un “bilancio” sull'ecumenismo. Oggi, a decenni di distanza, sento che è arrivato il momento di tirare le somme e vedere quali sono stati i risultati raggiunti. Delle centinaia di Chiese e Comunità Ecclesiali acattoliche presenti nel mondo negli anni sessanta, quante di esse hanno deciso di entrare nella Chiesa Cattolica fondata da Gesù Cristo? La somma è molto semplice da fare, non c'è bisogno di usare la calcolatrice: zero!

I numeri non sono né tradizionalisti né modernisti, sono dati di fatto di cui prendere atto. Il bilancio di cinquant'anni di dialogo ecumenico è tutt'altro che entusiasmante, non ci sono stati i frutti sperati, evidentemente qualcosa deve essere andato storto. 

Non dico che tutto ciò che è stato fatto in ambito ecumenico sia sbagliato, e che tutti coloro che si sono cimentati in questo campo abbiano commesso qualche colpa grave, però bisogna riconoscere che, generalmente parlando, sono stati compiuti anche molti errori. Per esempio, durante un'omelia un giovane sacerdote ha raccontato con rammarico un triste fatto avvenuto quando lui era studente universitario, quando un prete organizzò in una chiesa un incontro ecumenico coi protestanti, ma per non urtare la sensibilità dei seguaci di Lutero, il prete tolse il Santissimo Sacramento dal tabernacolo e lo “nascose” in sacrestia. L'allora studente universitario si domandò come si potesse ottenere l'unità dei cristiani in quel modo, cioè mettendo da parte Gesù Cristo. È chiaro che questi metodi ecumenici sono fallimentari.

Sia chiaro, io desidero ardentemente che gli acattolici si convertano ed entrino a far parte della Chiesa Cattolica, che è il Corpo Mistico di Cristo, tuttavia non penso che ciò possa avvenire coi metodi usati da coloro che hanno il prurito delle novità. Bisogna usare i metodi efficaci che usavano San Pietro Canisio e tanti altri zelanti cattolici. Non è con le ambiguità, le mezze verità e l'occultamento dei dogmi che si ottiene l'unità dei cristiani. 

Ma c'è un'altra triste considerazione da fare. Fino agli anni sessanta avvenivano spesso dalle conversioni dal protestantesimo al cattolicesimo, mentre oggi non solo le conversioni sono diminuite drasticamente, ma addirittura molti cattolici stanno passando nelle file delle nuove sette (soprattutto in Sud America). In un vecchio libro dei primi anni sessanta ho letto dei dati che fanno riflettere, ad esempio in Svizzera nell'arco di un secolo i cattolici erano passati da circa il 33% della popolazione totale al 45,5% del 1960 (mentre oggi sono calati al 38,6%). In Inghilterra i cattolici aumentavano di oltre 100.000 fedeli all'anno, ed era in corso una lenta e costante ricolonizzazione cattolica. Lo stesso trend si registrava in Germania e nei Paesi Bassi. In quest'ultimo Stato i cattolici erano arrivati al 42% della popolazione, mentre oggi la percentuale è crollata al 29%.  Nel 1962 i cattolici negli Stati Uniti d'America erano quasi 43 milioni, in aumento di circa 800.000 fedeli rispetto all'anno precedente. Dal 1952 al 1962 l'incremento era stato superiore al 40%. Ma il dato più eloquente è il calo della percentuale dei cattolici sulla popolazione mondiale, passata dal 18,7% dei primi anni sessanta all'attuale 17,3%.

“Contra factum non valet argumentum”, contro l'evidenza dei fatti i teologi modernisti non possono accampare scuse, bisogna riconoscere gli sbagli fatti e correggere la rotta. Dobbiamo tornare al “vero ecumenismo”, cioè all'apostolato concreto dei santi, i quali portavano anime a Dio, finiamola col falso ecumenismo delle chiacchiere e dei dialoghi inconcludenti.
http://cordialiter.blogspot.it/2017/10/cinquantanni-di-ecumenismo.html

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