ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 novembre 2017

La dittatura della misericordia verso il baratro


Conflitto di interessi. Io non lo chiamerei in altro modo. Un clamoroso, indecoroso conflitto di interessi che vede politica (di sinistra) e religione (progressista) andare a braccetto nel perseguimento di scopi che non hanno come scopo né il bonum commune nella cosa pubblica, né tantomeno la salus animarum nella neo-chiesa. 

Eterogenesi dei fini, certo. Ma in fondo, a ben vedere, il motore delle masse intermedie della burocrazia e del potere è sempre banalmente economico. Ad alti livelli non v’è dubbio che gli scopi siano deliberatamente perversi, e che i pochi che prestano il proprio contributo alla distruzione della società lo facciano con cognizione di causa e condividendo coi loro sodali mezzi iniqui per il conseguimento di fini diabolici. Ma sotto di loro, e al loro servizio, vi è una vasta categoria di persone che pensa solo a trarre un profitto personale immediato in termini economici, di carriera, di prestigio sociale, di visibilità mediatica, di approvazione da parte del mondo. E sotto questa pletora di cortigiani e burocrati, quella massa che ha rinunciato alle sue prerogative di populus per farsi trattare come vulgus, nel nome di una democrazia che non è mai stata così tirannica. Quel paternalismo che nel Sessantotto i sindacalisti rimproveravano allo Stato ed i preti conciliari criticavano nella Gerarchia è stato sostituito da una visione orwelliana, in cui chi comanda controlla il cittadino o il fedele, lo istruisce, lo obbliga a subire decisioni volte a renderlo schiavo.  

Ed è indicativo che proprio oggi si stigmatizzi la corruzione, allorché essa è talmente istituzionalizzata da non consentire umanamente alcun cambiamento di rotta. Una corruzione che non risparmia la neo-chiesa, ancilla Novi Ordinis, crocerossina del solidarismo d’accatto e predicatrice dell’ovvio. La religione modernista come ovvio dei popoli, come paladina della mediocrità eretta a sistema. 

Si potrebbe anche riconoscere alla setta conciliare una qualche credibilità - se non altro per demolirla in sede di un confronto dialettico - laddove essa davvero avesse a cuore le sorti dei poveri e dei diseredati ancorché in danno della fede e dei costumi; ma è ormai palese che la propaganda ideologica dei novatori è strumentale a tre piani perfettamente coerenti tra loro: ai vertici, la demolizione della vera Chiesa per l’instaurazione di una contro-chiesa che dia ratifica teologica e morale all’avvento dell’Anticristo; nei subalterni, l’interesse personale, anzitutto economico; nella base, il bisogno di sentirsi legittimata ed anzi elogiata nei propri più bassi istinti. 

Il conflitto d’interessi nei vertici è più precisamente alto tradimento, poiché chi ricopre cariche di governo in seno alla Gerarchia si prefigge finalità opposte a quelle per cui essa è stata istituita. Non la salvezza delle anime: né di quelle affidate alle cure dei Pastori, né tantomeno di quelle che, lontane dalla salvezza, dovrebbero essere evangelizzate e condotte nell’unico Ovile. Non la gloria di Dio, ch’è ormai considerato un imbarazzante orpello, da sfrondare di tutti quegli attributi divini che Lo rendono Signore, Re e Padre. Non la santificazione del popolo cristiano tramite i veicoli della Grazia, dal momento che i Sacramenti vengono presentati in una dimensione sociale e comunitaria che ne snatura l’essenza. Non la custodia della dottrina, giudicata soffocante sovrastruttura che limita la libertà dell’uomo. Non la difesa della morale, additata come gioco intollerabile che offende la dignità della persona. 

Questa rinuncia al perseguimento degli scopi istituzionali della Gerarchia non si manifesta come semplice ignavia, come indolente laissez faire nell’attesa degli eventi: lasciar crollare per incuria le mura di un fortilizio sarebbe già di per sé deplorevole, specialmente quando il nemico è alle porte e cinge d’assedio la cittadella della Chiesa.

Ma oggi caso assistiamo ad uno zelo indefesso nel farsi collaboratori attivi del nemico, nel proposi come sue quinte colonne in seno al corpo ecclesiale, nell’esser i primi ad abbatterne le difese, a spalancarne le porte, ad abbassarne i ponti levatoi per far entrare il nemico ad ultimare la distruzione. Nel paradosso, questi non troverà quasi più nulla di intatto da demolire, e scoprirà che ciò per cui detestava la Chiesa di Cristo è stato preventivamente cancellato dai traditori interni, dai suoi stessi Pastori, per preparare una degna accoglienza all’invasore. Dov’è la Chiesa che crede nella Presenza Reale, quando i suoi ministri profanano l’Eucaristia e la Messa? Sparita col Novus Ordo. Dov’è la Chiesa che si proclama unica arca di salvezza? Soppressa con la Dignitatis Humanae e con l’ecumenismo. Dov’è la Chiesa che scatenava i Santi della Controriforma contro gli eretici luterani? A far da valletta a Lutero e a chieder perdono per crimini mai commessi. Dov’è la coraggiosa protettrice del vincolo coniugale, del celibato del Clero e della castità? A prostituirsi coi sodomiti, a lisciar il pelo alle lobby glbt, a proclamare il gender e ad insegnare ai fanciulli come abortire. Dov’è la Santa Inquisizione, dove l’Indice dei Libri Proibiti che i ribelli d’ogni tempo consideravano come un oltraggio alla libertà di pensiero? Ufficialmente abolita l’una, soppresso l’altro, ma riesumati quando c’è da condannare un teologo cattolico o un chierico tradizionalista. 

Per un eretico che oggi volesse combattere l’odiata nemica papista, sarebbe arduo trovare anche solo un articolo di fede o un principio morale che non sia stato già depennato dalla furia devastatrice dei vertici e dallo zelo servile dei cortigiani. Più Luterani di Lutero, più Calvinisti di Calvino.

Il conflitto di interessi nella fascia intermedia è ancora più evidente e desolante. La quasi totalità dei Principi della Chiesa, dei Vescovi, dei Prelati e dell’intelligencija degli Ordini religiosi e degli Atenei ecclesiastici esprime il proprio entusiastico plauso all’opera di distruzione, al sistematico vandalismo di qualsiasi vestigio cattolico. In ambito dottrinale, questo idem sentire è dovuto ad un metodico lavaggio del cervello cui sono stati sottoposti tutti coloro che ora ricoprono cariche all’interno della neo-chiesa, ad iniziare dalla parrocchia, per proseguire in Seminario e concludere nell’Università pontificia. A questa riprogrammazione delle menti si è accompagnata una diffusa ignoranza, che garantisse da una parte l’incapacità di comprendere l’inganno conciliare, e che dall’altra prestasse le basi a quella presunzione che è cifra dell’insipiente in mala fede. Chi non è addentro alla formazione del Clero forse ignora che vi è un’altissima percentuale di leviti che ignora il latino, lingua in cui sono scritti tutti gli atti del Magistero, e che per accedere alle fonti deve ridursi alle traduzioni, ammesso che ve ne siano e che non siano state appositamente distorte o censurate; la conoscenza del greco viene relegata a corsi ridicoli, così come  quella dell’ebraico, sicché il chierico non è in grado di tradurre il Padre nostro dal testo originale e se si trova dinanzi una pagina di un Padre della Chiesa non sa non dico coglierne le sottigliezze lessicali, ma nemmeno comprenderne il senso generale.

In compenso avrà certamente un account Twitter e si sentirà parte del jet set conciliare ritwittando le banalità di padre Spadaro, le intemperanze di Bergoglio o le eresie di Grillo. E lo chiamano apostolato.

Presunzione ed ignoranza sono state erette a paradigma della formazione del Clero, perché fanno di esso un docile servo nelle mani del padrone, una marionetta nelle mani del burattinaio. Ignoranza estesa a tutte le discipline, peraltro intrise di errori ed eresie: filosofia, dogmatica, morale, patristica, esegesi biblica, liturgia, diritto canonico. Non si salva nulla, nella persuasione che tutto ciò che appartiene al passato - identificato genericamente con il terminus ante quem del Vaticano II - fa parte di un’altra religione, di un’altra chiesa, di un’altra storia che nulla ha in comune con la primavera conciliare. Esattamente come in politica non vi è nulla prima della Resistenza.

La base dell’ignoranza appiattisce le differenze, e relega le possibili divergenze nella discussione priva di argomenti e di logica propria dei discorsi da bar. Non a caso le dispute di natura filosofica o dottrinale che raramente sorgono in seno alla neo-chiesa non vanno oltre la petizione di principio, nell’assoluta incapacità di affrontare sistematicamente un argomento, vagliandone i pro e i contra. Ed in ogni caso, con gli ignoranti ed i presuntuosi è impossibile alcun dialogo, poiché essi ne falsano le premesse, lo sviluppo e le conclusioni. Ed anche se si riuscisse, in un titanico sforzo di pazienza e di abnegazione, ad affrontare una conversazione con costoro, ogni argomento verrebbe meno dinanzi all’affermazione che il processo innescato dal Concilio e portato a compimento da Bergoglio è irreversibile. Ancor più di frequente, essi si limitano a lanciare l’accusa apodittica di esser contro il Papa, e quindi contro il Concilio, e quindi non meritevoli della loro considerazione. Sempre per capire l’approccio pastorale di cui si riempiono la bocca.  

Il silenzio connivente di quella che potremmo definire la borghesia del Clero - sopra il quale vi è un’oligarchia iniqua e al di sotto una massa imbelle per vocazione o impotente per via delle circostanze - viene compensato con favori e privilegi, nella peggiore tradizione di corte. Favori e privilegi che consentono al Principe di legare a sé, in un vincolo di servitù non dichiarato ma pur sempre solido, anche chi non sarebbe intrinsecamente malvagio, ma che proprio in quanto imborghesito non è più in grado né degli slanci di eroismo propri del nobile, né nelle manifestazioni di sana protesta del popolo. 

L’imborghesimento del Clero risale a mio parere agli infausti anni del pontificato di Montini, emblema e paradigma della mentalità borghese liberale. Una borghesia che pensa al profitto, al particulare, usando le masse per il proprio tornaconto e pretendendo dalla legge e dalla religione una tutela del proprio intoccabile status sociale. Quel che all’epoca di Roncalli era ancora retaggio della società contadina, dopo la Seconda Guerra Mondiale è stato soppiantato da una classe che purtroppo ha molti elementi in comune con la mentalità protestante, non fosse che in ambito economico. E si tenga presente che nella Chiesa questo è avvenuto in ritardo rispetto al mondo secolare, dove il trionfo della borghesia è iniziato con la Rivoluzione Francese - anzi addirittura col Protestantesimo - ed è proseguito con il Risorgimento, per poi esser eletto a sistema con la Resistenza e infine con l’avvento della Repubblica e della sua madrina, la Democrazia Cristiana.

Il liberale laico dell’Ottocento mandava i figli a scuola dai preti, si sposava in chiesa, e in chiesa mandava la famiglia, i servi, i dipendenti: l’ordine sociale che la Chiesa inculcava allora era strumentale all’opera di svecchiamento, perché insegnava ai sudditi ad obbedire ai superiori, ai figli ad obbedire ai padri, agli allievi ad obbedire ai maestri, ai lavoratori ad obbedire ai padroni. Una macchina gerarchica in cui il liberale - libero dai vincoli morali della Religione, ma formalmente rispettoso dell’ordine costituito - poteva imporsi come superiore, padre, maestro e padrone e pretendere obbedienza. 

Analogo procédé si è avuto negli anni Sessanta in seno alla Chiesa, e per certi versi perdura ancora oggi. Il Vescovo liberale poté imporre ai sudditi la propria volontà dopo il Vaticano II, in nome di una struttura gerarchica che riconosceva ancora un principio d’autorità dinanzi al quale il dissenso comporta l’immediata punizione, il trasferimento, la condanna, la scomunica. Eterogenesi dei fini, dicevamo; ma l’aver mutato le finalità ultime non ha comportato una cancellazione immediata dell’efficacia coercitiva del vincolo di obbedienza, soprattutto quando esso non implica solo una violazione della norma positiva - come vale dinanzi alla legge dello Stato - ma anche un peccato contro l’unità della Chiesa, contro l’autorità del Romano Pontefice, contro Dio. E qui è evidente che solo pochi sono in grado di distinguere tra obbedienza e servilismo, proprio perché l’obbedienza è stat inculcata come un valore a sé stante, e non come un mezzo che può esser buono o cattivo a seconda del fine. Obœdientia et pax: il motto che per il mio omonimo Card. Baronio aveva un senso, con Roncalli ne acquisì uno opposto, ch’è ancor valido oggi. 

Ora, se si è potuta costituire nel corso dei decenni una Gerarchia composta quasi interamente da Prelatiimborghesiti, è normale che siano borghesi anche le loro ambizioni e i loro ideali: innanzi tutto, la carriera, il mantenimento del posto, il favore del potente, la complicità. Chi sotto Roncalli sfoggiava fruscianti mantelloni di seta nei corridoi del Vaticano, con la stessa prona obbedienza non esitò a gettare il saturnio nel Tevere, appena chiuso il Concilio, indossando il collare di celluloide e il Borsalino. Esperto annusatore dell’aria che tira, il chierico borghese sa quando mettersi in mostra e quando rimanere nell’ombra, quando parlare e quando tacere, quando congratularsi col potente e quando rendersi irreperibile perché sta per ascendere al suo posto un altro di diverso orientamento. Banderuole, insomma. Ma banderuole che, pur docili al vento della novità, non necessariamente hanno la cultura, l’intelligenza e la perspicacia che consentano loro di comprendere appieno le intenzioni del Principe. Anzi molto spesso non desiderano nemmeno conoscerle, limitandosi al ruolo subalterno di pedine su una scacchiera, contentandosi di esserci e di poter vivere indisturbati coltivando i propri vizi meschini. 

Non stupisce che il Concilio abbia potuto imporsi, potendo contare su una massa di Presuli istruiti ad obbedire indistintamente prima a Pio Duodecimo, e poi a dei gerarchi autoritari ed intolleranti. L’esempio dei ribelli, ad iniziare dal povero mons. Lefebvre, servì a dissuadere i molti, peraltro debitamente compensati per la fedeltà testimoniata e per l’aver privato tanti confratelli del loro appoggio. 

Va anche detto che la prudenza dei vertici ha saputo furbescamente dissimulare i propri scopi, intervenendo talvolta anche a punire le frange più estremiste di quel processo di modernizzazione del quale essi erano comunque i promotori. Lo stesso Montini, obtorto collo, dovette condannare alcuni teologi eretici e promulgare documenti magisteriali in linea con la Tradizione: all’epoca vi erano ancora personaggi di spicco in seno alla Chiesa che non si lasciavano né intimidire da minacce né irretire da favori. Ma l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica fu spesso volutamente ambiguo, direi quasidemocristiano. Parlando delle censure canoniche comminate a don Primo Mazzolari negli anni precedenti, Paolo VI disse:

Hanno detto che non abbiamo voluto bene a don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti. 

Ecco: il sacerdote fu punito non perché colpevole, ma perché aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli dietro. L’allora Arcivescovo di Milano, epitome della mentalità borghese, tacque quando il Sant’Uffizio mise all’Indice i libri di don Mazzolari, ma ufficiosamente lo invitò a predicare le Missioni a Milano e, una volta asceso al Soglio, cambiò atteggiamento chiamandolo profeta. Un comportamento meschino, mentre per coerenza egli avrebbe dovuto o difendere l’innocente accusato ingiustamente, o continuare a condannare il colpevole, anche e soprattutto quando altri suoi simili levavano orgogliosamente la testa. 

Lo stesso atteggiamento fu tenuto durante il Concilio, quando le manovre dei novatori rendevano troppo esplicite le loro intenzioni sovversive, e si rendeva necessaria una Nota prævia per glossare nientemeno che la Lumen Gentium, o lasciare qualche traccia di dogma cattolico nel Novus Ordo, per non farlo assomigliar troppo alla Cena luterana.

Anche Hans Küng fu condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, durante il Pontificato di Giovanni Paolo II, e non pare che alcuno dei suoi odierni sostenitori abbia protestato in Vaticano, a quei tempi. Ma a legger quello che l’eretico svizzero proclamava tre lustri or sono, si direbbe sia imminente una sua riabilitazione:

«[Giovanni Paolo II] elogia spesso e volentieri gli ecumenici, ma al tempo stesso ha pesantemente compromesso i rapporti con le Chiese ortodosse e con quelle riformiste ed evita il riconoscimento dei loro funzionari e dell’eucaristia. Il Papa avrebbe dovuto consentire - come suggerito in molti modi dalle commissioni di studio ecumeniche e come praticato direttamente da tanti parroci - le messe e la comunione eucaristica nelle Chiese non cattoliche e l’ospitalità eucaristica. […] Avrebbe potuto, ma non ha mai voluto». 

Non è chi non veda che l’attuale successore di Giovanni Paolo II si sta oggi muovendo nella direzione auspicata da Küng e che le condanne di ieri siano lette oggi come titoli di merito in quel di Santa Marta.

Obbedienza ieri, obbedienza oggi. In una provvisorietà che vanifica la Rivelazione, rendendola soggetta ad un continuo, estenuante discernimento che nei fatti mette l’intera Chiesa - dottrina, morale, liturgia, disciplina - nelle mani di un’autorità che, mentre si proclama disposta a rinunciare all’infallibilità per compiacere gli eretici, nei fatti la esercita solo per demolire e devastare la Sposa di Cristo. 

E i ribelli di ieri sono ufficialmente presentati come difensori della fede, e meritano di veder la propria effigie sui francobolli vaticani a celebrare come virtù eroiche quelle che ieri erano condannate come eresie e sciagure per la Chiesa. 

Sempre nell’ambito del conflitto d’interessi meriterebbe una approfondita trattazione l’indecorosa rete di complicità tra viziosi, che va sotto il nome di lobby gay. La presenza di ecclesiastici anche di alto livello notoriamente omosessuali non solo getta scandalo sulla Chiesa ch’essi hanno infeudato sin dall’epoca di Montini, ma priva di qualsiasi credibilità le perorazioni di tolleranza e di accoglienza verso gli omosessuali. Trovandosi in una posizione di ricattabilità, essi devono per forza schierarsi in favore del gender e di tutte le istanze delle più esagitate associazioni glbt. Riesce difficile credere che certi personaggi di spicco della Gerarchia potrebbero dall’oggi al domani difendere a spada tratta l’immutabile insegnamento della Chiesa riguardo ai gay, visto che essi per primi sono tra i più disinvolti fruitori della multiforme galassia uraniana. Gli scandali recenti dimostrano che questo sovvertimento morale, oltre ad accecare qualsiasi residuo anelito verso il bene, avvince in stretti lacci proprio coloro che dovrebbero esser casti e puri come Nostro Signore, costringendoli ad un asservimento non solo ai vizi più turpi, ma anche ai loro superiori, che li possono manovrare a proprio piacimento blandendoli o ricattandoli.   A questo punto è evidente che quell’accoglienza da essi auspicata non li vede disinteressati apostoli del libertinaggio, ch’essi vogliono depenalizzare per proprio miserabile tornaconto. Cicero pro domo sua, ancora una volta.

Se poi si va a metter il naso nelle questioni economiche, si scoprirà che i predicatori della povertà altrui - che si esplicita nello squallore calvinista delle chiese e nella fissazione monomaniacale per le periferie esistenziali - sanno applicare il discernimento soprattutto ai casi propri, sicché non paiono vivere esattamente come ci si aspetterebbe, né rinunciano allo stipendio, né devolvono i proventi dei diritti dei loro libri ai diseredati. Al contrario, li si vede sempre in giro a tener conferenze - sostanziosamente retribuite - con viaggi in prima classe, voli in business class, hotel di lusso all inclusive. E quando non sono in giro a pontificare, mandano a chiamare il pennivendolo di turno o il reporter accreditato alla Sala Stampa per farsi immortalare mentre pranzano in refettorio col Sedicente, magari assieme a qualche personalità in kippah.

Lo stesso Bergoglio riassume in sé i peggiori vizi di quella nomenklatura che vede nel culto della personalità, alimentato ai media, un instrumentum regni efficacissimo. E se il semplice può restare ammirato dall’umiltà con la quale egli porta seco la borsa mentre sale in aereo, chi ha assistito alla scena rimane sconcertato dal vedere che quella borsa era stata già imbarcata, e che Omissis se l’è fatta riportare giù per recitare la scenetta del papa umile dinanzi alle telecamere.

«Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt VI, 1).

Anche la scelta di vivere in un appartamento nella Domus Sanctæ Marthæ suona bassamente demagogica, oltreché molto più dispendiosa rispetto al rimanere senza clamori nell’Appartamento Papale. Ma è anche rivelatrice di quest’insofferenza tipica della mentalità piccolo-borghese, che si sente a proprio agio nella rassicurante mediocrità di una camera d’albergo, considerandola più confortevole delle opprimenti sale affrescate del Palazzo Apostolico. 

è da notare che molte associazioni di volontariato sedicenti cattoliche si spartiscono con le cooperative di sinistra la torta dei fondi che governo ed enti locali stanziano senza gara d’appalto e con procedura d’urgenza per dar ricetto alle vittime della tratta dei clandestini. Sarebbe interessante comprendere ad esempio perché si preferisca assumere parenti ed amici come consulenti ed operatori di assistenza sociale, mentre si guardi con sufficienza all’aiuto dei volontari, che non graverebbero sulle finanze né delle associazioni medesime, né dello Stato. Sarebbe opportuno quantificare l’entità delle somme erogate a Diocesi, Istituti caritativi e ONG facenti capo alle Conferenze Episcopali o comunque ad enti ecclesiastici, e verificare quale sia l’uso che di quei fondi è stato fatto. 

Infine, sempre per non perder di vista il conflitto d’interessi, ci si dovrebbe interrogare sulla equanimità e sulla indipendenza di giudizio che può avere chi, potendo beneficiare di entrate derivanti dall’assistenza agli immigrati, tace sul pericolo sociale che un’indiscriminata invasione di maomettani sta causando al nostro Paese e all’Europa intera. Suona difficile aspettarsi un’opposizione a questa invasione, da parte di chi ne trae un immediato vantaggio nel mostrarsi subalterno al potere ed assolutamente allineato alle sue direttive. E c’è da chiedersi se l’appoggio convinto a questa tratta di diseredati non sia motivato dall’opportunità di integrare la mancanza di fondi causati da speculazioni edilizie, da investimenti avventati e da una scandalosa gestione dei beni immobili di proprietà ecclesiastica. Senza menzionare le cause milionarie che hanno mandato in bancarotta non poche Diocesi di mezzo mondo. 

Le chiese sono deserte, le scuole cattoliche stanno sparendo, gli Ordini religiosi sono destinati all’estinzione, i seminari chiudono. Il che, lungi dal far trarre le debite conclusioni agli autori di questo sfacelo, li induce semplicemente a cambiar clientela, pur di tenere aperto il punto vendita e non dover licenziare i propri dipendenti, secondo una mentalità imprenditoriale. Così ci si rivolge al florido mercato della tratta dei profughi, ma anche al facile incontro ecumenico, in modo da mettere insieme cattolici ed eretici alla stessa funzione, come in questi anni si è fatto con i cattolici, raggruppando parrocchie preesistenti in unità pastorali. E dove di eretici interessati all’ospitalità eucaristica non ve ne fossero, si può sempre delegare l’amministrazione dei Sacramenti ai laici e alle diaconesse, a celebrazione della Messa ai viri probati o, in mancanza d’altro, ai ministri delle sette. Rimane da vedere per quale motivo un pastore dovrebbe privarsi delle offerte derivanti dal proprio gregge, per spartirle con il sacerdote della neo-chiesa: sarebbe una scelta che avvantaggerebbe solo la parte minoritaria. 

All’aspetto economico non sono indifferenti nemmeno i buoni sacerdoti che, per mille ragioni, si trovano ad essere allo stesso tempo membri della Chiesa Cattolica ma soggetti all’autorità della setta conciliare. Le legittime esigenze di sostentamento impediscono loro scelte che, se fossero autonomi e indipendenti, potrebbero compiere serenamente. Ma la stampa ci aggiorna quotidianamente delle ritorsioni esercitate nei loro confronti dalla Gerarchia. Il primo che parla, che scrive una lettera al Vescovo o - Dio non voglia! - al Sedicente, eccolo immediatamente redarguito, licenziato, trasferito, costretto a vivere a casa di un parente o in un ospizio di carità, magari gestito dagli stessi che l’hanno cacciato dalla parrocchia o dalla cattedra universitaria. Sempre mettendo le mani nel portafoglio, sempre toccando nei beni e nella reputazione le vittime della loro misericordia. 

Non stupisce che i Francescani dell’Immacolata, al di là delle questioni dottrinali, si siano sentiti ordinare dal Prefetto della Congregazione dei Religiosi di conferire il patrimonio dell’Ordine al Commissario, richiesta che un tribunale civile ha riconosciuto inconsistente ma che è indicativa delle mire economiche dei novatori. Gli scopi ultimi  dei vertici sono di natura ideologica, mentre i mezzi che muovono i subalterni sono di natura pecuniaria. 

I laici dovranno a questo punto riconsiderare se non sia opportuno - almeno per dare un chiaro segnale ai Pastori - sospendere ogni forma di contributo finanziario, destinandolo ai sacerdoti veramente bisognosi e meritevoli. D’altra parte, se non possiamo canonicamente deporre gli ecclesiastici eretici, possiamo quantomeno privarli del nostro aiuto economico. 


La guerra a questa setta che ha occupato la Chiesa dovrà quindi muoversi su due fronti: uno di natura dottrinale, che non lasci passar sotto silenzio alcuna frode della neo-chiesa; l’altro di natura morale, denunciando il turpe conflitto d’interessi che muove la dittatura della misericordia verso il baratro.

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