ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 dicembre 2017

Il piatto di lenticchie

ETEROGENESI DEI FINI: LA NEO-CHIESA ANCELLA E SERVA DELL'ÉLITE MONDIALISTA



Cujus est imago haec, et superscriptio? Dicunt ei: Cæsaris.

Ormai si sta facendo sempre più evidente che la neo-chiesa non considera suo mandato né convertire alla fede nuovi adepti, né tantomeno conservare quelli che ha. Zelo apostolico e slancio missionario implicano la persuasione di una Verità oggettiva, necessaria all’eterna salvezza, che la setta progressista rifiuta con sdegno. E sull’altro versante, chiedere che i propri membri si attengano a questa Verità una volta che l’hanno conosciuta; o che siano allontanati dalla comunità laddove essi l’impugnino o l’alterino, richiede pari persuasione che sia necessaria una unità d’intenti orientati verso un unico fine soprannaturale. 

Il semplice stare insieme, il camminare insieme, l’iniziare processi non porta da nessuna parte, se non si sa dove si deve andare o, peggio, se non si ritiene importante l’avere una meta comune e mezzi condivisi che consentano di giungervi. Peggio ancora, se la meta che ci si prefigge è inconfessabile, perché perversa ed opposta a quella dichiarata. 

Se la Chiesa Cattolica è unica arca di salvezza eterna per le anime, dotata dal Suo Fondatore dei Sacramenti e di una Gerarchia che permettano ad esse di salvarsi, questo lo si deve solo al fatto che essa è effettivamente un’istituzione divina, ratificata da segni di credibilità e di credentità: segni cioè che rendono non solo possibile (credibile), ma anzi doveroso (credendum) il prestar fede all’autorità di Dio rivelante. 

La setta conciliare non rivendica né la propria origine divina, né la propria esclusività rispetto ad altre religioni, né la necessità di appartenere ad essa per conseguire la salvezza eterna, né in definitiva il bisogno di una salvezza per l’umanità. E questo perché essa, facendo propri gli errori del Modernismo, ritiene che non vi sia alcun Dio rivelante, ma al contrario che sia stata una non meglio identificata comunità primitiva a crearsi una sorta di legittimazioneex post, inventandosi Sacre Scritture, Gerarchia, dogmi, Sacramenti, riti. E questa operazione di colossale inganno, essa l’avrebbe perseguita perché sentiva nascere in sé un bisogno del sacro al quale doveva in qualche modo dar forma, legittimazione e struttura. Negando che vi sia un Dio rivelante trascendente, ma al contrario che il divino nasca in modo immanente come risposta ad un’esigenza intima, essa nega anche la realtà della Rivelazione e della Redenzione, la divina ispirazione delle Sacre Scritture, la possibilità di un intervento esterno della Provvidenza nelle vicende umane e la realtà dei miracoli, ad iniziare dalla Resurrezione di Gesù Cristo, al Quale la setta nega la natura divina. Insomma, una visione orizzontale che, se non facesse orrore perché vanifica e disprezza i frutti della Passione del Salvatore, susciterebbe compatimento e tristezza.

Riesce quindi difficile comprendere sulla base di quale argomentazione i Novatori osino pretendere quell’obbedienza e quell’ossequio che nei loro confronti non ha alcuna legittimazione superiore. Giacché, se quell’autorità scaturisce da una frode più o meno remota o da un mero accordo tra pari, essa si scredita da sé, si depone da sola, si sconfessa a priori. 

E se è d’onore piegare il ginocchio dinanzi alla suprema autorità del Romano Pontefice che si proclama Vicario di Cristo e Successore del Principe degli Apostoli, Capo visibile dell’unica Chiesa di Cristo, Maestro infallibile di quella Verità che il suo divino Fondatore ha voluto fosse indefettibilmente custodita e predicata a tutte le nazioni; per quale ragione si dovrebbe prestare pari obbedienza a chi afferma di esser a capo di una setta tra le tante, che si è inventata una propria dottrina col solo scopo di appagare un conato interiore, e che per secoli - a sentir costoro - avrebbe soggiogato i popoli, tenuto nell’ignoranza le masse, ricattato i potenti della terra, per poi mutar d’opinione cinquant’anni or sono e venirci a raccontare che chiunque, dall’idolatra al deicida, dal sodomita al concubinario, dall’eretico allo scismatico hanno aperte le porte di un Paradiso precluso solo ai figli della Chiesa preconciliare?  

L’incoerenza dei seguaci di questa setta risiede principalmente nel non avere l’onestà di proclamare apertis verbis di non esser la Chiesa Cattolica. Anzi essi ne hanno infeudato le istituzioni, le Curie, le chiese, gli Atenei, i Dicasteri, finanche la Sede del Beatissimo Pietro, usurpando onori di cui sono indegni, demolendone i riti, svendendone la dottrina, mandandone all’incanto i tesori e monopolizzando ogni posto di potere. Rendendosi complice del nemico, con una cortigianeria rivoltante, ed una smania di dar prova della propria subalternità a poteri che la Chiesa ha sempre condannato e combattuto senza tregua. 

Il Cattolico in buona fede crede di aver a che fare con la Chiesa di sempre, e pur con molte perplessità presta ossequio ai suoi rinnegati pastori. Il settario in mala fede sa che essa condivide con lui e scopi e mezzi, ma gode del prestigio sociale di cui diversamente non potrebbe beneficiare, e contribuisce con slancio all’opera di devastazione, se ne fa apostolo e ne tesse le lodi. Così in quella stessa entità si trovano Cattolici ed eretici, gli uni convinti di dover comunque servire la buona causa a prescindere dall’indegnità dei ministri, gli altri persuasi a turarsi il naso in seno a quel che ancora sopravvive dell’antico fastigio, pur di cooperare con i loro complici in mitria.

Va da sé che questa grande impostura, cui era possibile credere all’inizio, dovesse manifestarsi con sempre maggior evidenza col passare del tempo, ed in particolare con la drastica perdita di consenso della Gerarchia da parte del basso Clero e dei fedeli. L’inganno è giunto alla sua manifestazione in questi anni recenti, facendo sì che divenisse palese l’assoluto disinteresse verso le sorti dei fedeli, abbandonati a se stessi. Allo scollamento tra la base ed il vertice è corrisposta una corrispondenza d’amorosi sensi di quegli stessi vertici con quanti sino ad allora erano considerati nemici giurati della causa cristiana: promotori della laicità più sfrenata e di un anticlericalismo massonico, esponenti del radicalismo più estremista, sostenitori della teoria gender, dell’aborto e della regolamentazione delle nascite, paladini dell’ambientalismo, dell’immigrazione indiscriminata e del pacifismo irenista. E i cosiddetti poteri forti, ossia quelle élite finanziare e politiche che negli scorsi decenni avevano teorizzato la necessità di far cambiare dottrina alla Chiesa di Roma, e che durante il Pontificato di Benedetto XVI erano riuscite a provocarne l’abdicazione, dopo aver bloccato le transazioni bancarie della Santa Sede, escludendola dal circuito Swift. Significativamente, all’indomani delle dimissioni, il Vaticano era immediatamente reintegrato nel sistema bancario mondiale. 

La perdita di identità da parte della neo-chiesa in ambito religioso trova il proprio corrispondente con analoga perdita di identità da parte dei movimenti e partiti politici in ambito civile, dinanzi alMoloch istituzionale. Nessun partito osa fregiarsi di alcuna militanza ideologica, di alcun riferimento ideale, che non riguardi un immediato appagamento delle più basse esigenze delle masse, solitamente consultate tramite sondaggi d’opinione: sinistra e destra, liberalismo e socialismo, monarchia e repubblica sono additati come vecchi schemi, pur rimanendo nominalmente a definire gli schieramenti; ma né il Comunista crede più alla lotta di classe, né il Democristiano difende la dottrina sociale della Chiesa. Eppure, quand’è ora di ricandidarsi al Parlamento o nelle Amministrazioni locali, i rappresentanti dei vari partiti non esitano a fare appello al proprio elettorato, cimentandosi in quei capolavori d’ipocrisia che uniscono generici «valori non negoziabili» al «rispetto delle minoranze», la «difesa della famiglia» con i «diritti dei gay», la «tutela della piccola impresa» con «le nuove sfide del libero mercato», la «promozione della cultura del territorio» con l’«accoglienza dei profughi», l’«identità nazionale» con lo «jus soli». Esattamente le stesse cose che sentiamo dire da certe Eminenze e dallo stesso Bergoglio, quando mettono insieme «fedeltà alla dottrina» e «discernimento pastorale», «obbedienza ai Pastori» e «libertà dell’indagine teologica», «missionarietà» ed «ecumenismo». Insomma, le convergenze parallele tanto care ai democristiani ed ai montiniani degli anni Settanta. 

Anche qui, l’ipocrisia farisaica dei politici rivaleggia con quella della neo-chiesa, mentre l’elettore e il fedele si lasciano prendere in giro da personaggi che vogliono solo tenersi stretto quel poco potere che ancora è loro concesso: Prelati e amministratori della cosa pubblica possono contare su un’impunità che li mette al sicuro da qualsiasi contestazione, al punto che non è possibile chieder conto né al Vescovo o al teologo d’aver insegnato un’eresia, né al politico di aver tradito gli ideali per i quali è stato eletto. 

Ovviamente, dinanzi allo sfacelo morale della classe dirigente politica e religiosa, si coalizzano piccoli gruppi di dissenso che trovano espressione nei partiti cosiddetti xenofobi e nei movimentiintegralisti: entrambi, finché rimangono entità minoritarie, meritano al massimo scarsa considerazione e malcelato compatimento. Ma appena iniziano a raccogliere un consenso meno marginale, magari annoverando tra i propri sostenitori personaggi credibili e di un certo calibro, ecco scatenarsi contro di essi il meccanismo di delegittimazione tipico delle dittature, la disinformazione della stampa mainstream, quando non il braccio secolare di una Magistratura compiacente o di un Dicastero vaticano. Non importa che la denuncia parta da The Huffington Post o da Vatican Insider, né che la legge applicata sia quella civile o canonica, o nessuna delle due: tutti i mezzi sono buoni per cancellare senza pietà ogni possibilità di confronto, ogni critica alla mentalità imposta dall’altro. E meno male che queste si proclamano rispettivamente societàdemocratica e chiesa aperta al dialogo. 

Ora, è documentato che la disaffezione del cittadino e del fedele stanno aumentando, e con essa la separazione col mondo della politica e della religione. In entrambi i casi, il sostegno della base viene meno perché essa non si considera rappresentata né tutelata da chi la governa tanto in ambito civile quanto ecclesiastico. 

Questa disaffezione, lungi dal preoccupare politici e chierici, li conferma che i mezzi da loro impiegati in quest’opera di demolizione sistematica del corpo sociale hanno ottenuto i loro scopi. Poiché gli uni e gli altri vogliono imporre una tirannide che non ha alcuna legittimazione. Non ha una legittimazione divina, dal momento che con l’ideologia illuminista e la Rivoluzione Francese il concetto che l’autorità deriva da Dio è stato cancellato, per affermare che il potere trae origine dal consenso popolare. Anche in seno alla Chiesa, a partire dal Concilio e massimamente sotto questo infaustopontificato, l’esercizio dell’autorità dei Sacri Pastori si è dissolto nella parlamentarizzazione del governo, con la creazione di organismi intermedi e con l’affermazione che, anche nella compagine ecclesiale, sono le Conferenze Episcopali, i Consigli Presbiterali, i Consigli Pastorali e le commissioni a decidere in materia di fede, di morale, di liturgia. 

Ma anche il consenso popolare e la democrazia rappresentativa erano destinati ad esser abbandonati - o confinati a mera petizione di principio - per esser scalzati da una forma di governo impersonale che non è stato eletto da nessuno, ma che pretende di dettar legge ai Governi nazionali. Similmente, anche in ambito ecclesiastico la pretesa democratizzazione è quotidianamente sconfessata dalle manovre indecorose con cui Bergoglio interviene in maniera autoritaria in favore della propria fazione, che l’ha eletto per compiere all’interno della neo-chiesa ciò che la Commissione Europea sta facendo con gli Stati membri dell’Unione. L’esempio del recente Sinodo per la Famiglia e di Amoris Lætitia ne sono una prova chiarissima. Anche in materia di jus soli Bergoglio ha imposto d’autorità l’ideologia immigrazionista, giungendo a strumentalizzare le stesse Sacre Scritture, falsificandole impunemente, per dare una base dottrinale alle istanze dei poteri dei quali egli è espressione. Così - dopo aver negato la supremazia del potere spirituale della Chiesa su quello temporale degli Stati ed essersi fatti paladini della laicità condannata dal Sillabo - oggi assistiamo ad un capovolgimento dei ruoli, per cui la neo-chiesa si è fatta ancella e predicatrice dei principj del materialismo socialista, del liberismo economico e del solidarismo massonico. 

Già in passato gli eretici non avevano mancato di ricorrere all’appoggio dei potenti, il cui aiuto nell’opporsi all’autorità di Roma aveva loro consentito di appropriarsi dei suoi beni materiali, come avvenne col Luteranesimo e poi con lo scisma anglicano: in entrambi i casi, l’appoggio dei Principi all’eresia protestante ed a quella di Enrico VIII consentì di incamerare chiese, conventi, latifondi e tesori, acquistati a prezzo della salvezza di tante anime e del sangue di tanti Martiri. 

Il Concilio Vaticano II costituì gli Stati Generali della Chiesa di Roma, come con lungimiranza ebbero a denunciare i pochi profeti di sventura dei quali oggi vediamo avverarsi i tremendi presagj. Quello che allora doveva essere un momento di rinnovamento per la Chiesa, segnò invece la sua capitolazione dinanzi al laicismo, all’anticlericalismo, alla Massoneria, all’alta finanza giudaica, alle istanze di ribellione e sovversione del Comunismo, ai nemici di Cristo. Ed oggi Bergoglio, che siede sul Soglio di Pietro, appare come il πρόδρομος, il precursore di un potere inquietante che la Scrittura identifica in quello dell’Anticristo. 

Molti Cardinali e Prelati, moltissimi chierici e fedeli credettero che le istanze di novità avanzate dal Concilio rappresentassero forse un’esagerazione, che col tempo e con la prudenza di governo si sarebbe un giorno riusciti a ricondurre nel solco della Tradizione. Forse vi furono anche Papi che credettero necessario unosvecchiamento dell’antica e veneranda struttura dottrinale, disciplinare, morale e liturgica, e che per questo denunciarono gli eccessi dello spirito del postconcilio, ostinandosi a difendere il Concilio stesso, senza vederne la portata devastante. I pochi dissenzienti, derisi o condannati da una Gerarchia tanto aperta alle novità quanto implacabile nel punire chi ad esse si opponeva, finirono i loro giorni nel disprezzo o nel disinteresse della massa, abbagliata dal verbo dei Novatori. 

E quando, in nome di quel Concilio, la Messa cattolica fu sostituita da un rito informe che ammiccava ai Protestanti, si disse che esso era pur sempre lecito e valido, e che l’antica Messa era stata definitivamente abolita. Quando, in nome di quel Concilio, si sgozzarono polli e adorarono gli idoli sugli altari delle chiese di Assisi, in occasione di un infernale pantheon delle religioni presieduto nientemeno che dal Vicario di Cristo, si disse che così voleva lo Spirito Santo, e che l’ecumenismo era una conquista irrevocabile ed irreversibile cui si doveva aderire per obbedienza al Supremo Pastore. 

Oggi, in nome di quel Concilio, un intemperante presule argentino propaganda il libero esame applicato alla morale sessuale, legittima la sodomia, riceve in udienza coppie di concubinari e di transessuali, sbeffeggia Principi della Chiesa, oltraggia Prefetti di Dicasteri Romani, insulta Vescovi e sacerdoti, si prende gioco della fedeltà dei semplici, rimuove senza alcun appello chiunque gli si opponga o si permetta di criticarlo. E nel frattempo sostiene l’insensatezza del proselitismo, predica il rispetto per l’ambiente, si scaglia contro l’ipocrisia e la corruzione dei politici, afferma l’illegittimità della pena di morte, tuona contro le armi nucleari, intima ai governanti di accogliere indiscriminatamente orde di immigrati maomettani e celebra con arroganza il quinto centenario della Pseudoriforma luterana, apprestandosi ad ordinare le donne diacono, ad abolire il celibato sacerdotale e ad adulterare la Messa in chiave ecumenica, fino a privarla della sua stessa validità sacramentale.

Ci troviamo dinanzi all’apostasia di una chiesa che si dichiaraconciliare e che di cattolico non ha più nulla: non è cattolica nelle finalità, visto che rifiuta di essere apostolica e missionaria; non è cattolica nei mezzi che adopera, poiché non crede nella Grazia, profana i Sacramenti ammettendovi gli indegni, nega le verità rivelate e diffonde eresie; non è cattolica nemmeno in gran parte dei suoi ministri, dal momento che molti dei Prelati tacciono per pavidità e si rendono complici del tiranno, quando non predicano scandalosamente l’eresia e adorano gli idoli. 

La vera Chiesa di Cristo sussiste - mai quest’equivoca espressione conciliare fu più appropriata - nei pochi Pastori che ancora conservano qualche barlume di Fede; ma anche costoro, indottrinati alla scuola del Vaticano II, sono incapaci di discernere la radice infetta dell’errore in quell’esecranda assise, e si limitano a deplorare gli eccessi presenti, quasi non fossero strettamente connessi con quella. 


Ma si ricordino costoro: quando la Chiesa Cattolica risorgerà - poiché essendo il Corpo Mistico di Cristo essa è sì destinata alla Passione, ma anche alla Resurrezione - chi oggi ha taciuto per falsa prudenza, per pavidità o per connivenza sarà giudicato dalla Storia, di cui è Signore il Re dei Re. E se la condanna per i nemici di Cristo sarà inappellabile, non meno severo sarà il giudizio per i tiepidi che, potendo e dovendo levare la voce, hanno preferito attendere, inerti, l’intervento di Dio. Né sperino di poter salire sul carro trionfale della Chiesa, quando nel momento del Calvario non stavano sotto la Croce. Tra costoro non vorremmo che si dovessero annoverare anche molti chierici ed alcuni Prelati che in questi tempi di apostasia hanno barattato la primogenitura della Tradizione con il piatto di lenticchie del Summorum Pontificum. 

Copyright MMXVII - Cesare Baronio

Come la Chiesa finì

È disponibile da alcuni giorni il mio nuovo libro. Si intitola Come la Chiesa finì (casa editrice Liberilibri) e questa volta non è un saggio bensì un racconto distopico. Ambientato in un  futuro immaginario, descrive la progressiva trasformazione della Chiesa cattolica da baluardo della verità e della libertà a ente sempre più amico del mondo e disposto a scendere a compromessi pur di dialogare. Il dialogo, assieme all’accoglienza, diventa in effetti il vero obiettivo della nuova Chiesa, che però in questo modo, fatalmente, cade vittima dei nuovi padroni del mondo e si estingue. O, almeno, così sembra.
Qui vi propongo due capitoli:  Come fu che la Chiesa riabilitò Marcione  e  Come fu che la Chiesa giudicò opportuno non giudicare.
Come fu che la Chiesa riabilitò Marcione
Caro lettore, mi accingo a raccontarti come fu che la Chiesa decise di riabilitare Marcione, un protagonista del pensiero cristiano del II secolo dopo Cristo. Credo che per te si tratti di vicende davvero remotissime, per cui mi permetto una breve illustrazione riepilogativa.
Originario di Sinope, sul Mar Nero, e vissuto a Roma, dove morì attorno all’anno 160, Marcione fu vescovo e teologo, fondatore di una sua Chiesa nata da un’eresia. Egli infatti sosteneva che, vista la radicale diversità tra Antico Testamento e Nuovo Testamento, fra i due testi ci fosse un’insanabile contraddizione: il Dio dell’Antico Testamento non poteva essere lo stesso del Nuovo, il padre di Gesù. Colpito dalla straordinaria novità di Cristo, Marcione vide nell’Antico Testamento non la premessa dell’avvento di Gesù, ma un passato totalmente da superare. Non a caso scrisse un’opera intitolata Antitesi, che pare si aprisse con esclamazioni di gioia e di stupore per il Nuovo Testamento, che a suo giudizio non si poteva paragonare a nulla.
Chi ha studiato Marcione afferma che nella sua opera la parola più ricorrente fosse “nuovo”. La novità del Vangelo di Gesù gli apparve come qualcosa di sconvolgente e di talmente grande da giustificare una netta cesura con il passato: Cristo come il Dio nuovo, l’uomo nuovo, il portatore di un regno nuovo, di nuova dottrina, di nuove virtù. Da parte sua dunque ci fu un rifiuto dell’idea di continuità e di compimento. Non è vero, sostenne, che il piano salvifico è unico e che Gesù lo ha realizzato a partire da tutto ciò che la Bibbia narra fin dall’inizio dei tempi. Per Marcione dietro la rivelazione delle Scritture non c’è un unico Dio, ma ci sono due visioni opposte del divino: l’una appartenente all’Antico Testamento, l’altra al Nuovo. Il primo Dio, per così dire, fu il creatore, ma poi ce ne fu un secondo, superiore al primo perché misericordioso e salvatore.
Ecco che cosa rende il secondo Dio così nuovo: la sua misericordia, la sua bontà, il suo amore. Mentre il Dio dell’Antico Testamento è duro, perfino crudele e vendicativo, il Dio del Nuovo Testamento è un padre amorevole, disposto al perdono. Mentre il primo Dio guarda alla legge, il secondo guarda all’uomo. Abbiamo così un dualismo insanabile: da un lato la creazione, dall’altro la salvezza; da un lato la giustizia, dall’altro la misericordia.
Marcione ne era così convinto che arrivò a mutilare il Nuovo Testamento: siccome riteneva inaccettabili quelle parti che sostenevano un legame con l’Antico Testamento e che esaltavano l’umanità di Gesù (non degne di un Dio), semplicemente le eliminò, giudicandole non ispirate.
Ora è facile capire perché la Chiesa cattolica lo ritenne eretico. Tuttavia, molti secoli dopo, un papa decise di riabilitarlo, e il papa in questione fu Francesco XVII, il colombiano Gustavo Gonzalo Sergio Paulo Ángel Guzmán. Il quale, dopo aver chiesto il solito parere alla solita commissione di cardinali (questa volta furono quarantaquattro, il cosiddetto C 44), promulgò la Sic et simpliciter, nella quale, proprio sulla base della riabilitazione del pensiero marcioniano, stabilì quanto segue:
Dio non castiga nessuno, altrimenti sarebbe un violento e un crudele. Il Dio che castiga è un Dio pagano o al massimo è il Dio dell’Antico Testamento, ma non il Dio cristiano.
Dio dà a ogni creatura il permesso di peccare liberamente e la certezza dell’impunità. I peccati devono essere depenalizzati.
Il peccato originale non è un fatto storico, ma un mito. Pertanto Dio, a seguito di questo peccato, non ha castigato l’umanità e tale peccato non ha generato in essa una tendenza a peccare.
Al contrario, l’umanità è buona. Tutti tendono verso Dio e sono in grazia di Dio, anche gli atei. Nessuno va all’inferno, perché Dio perdona tutti.
I peccatori non devono essere puniti, ma al più commiserati (misericordismo).
Non esiste una legge morale oggettiva, immutabile e universale, ma ognuno è libero di seguire la propria coscienza.
I dogmi mutano a seconda delle umane esigenze.
Anche la legge morale è necessariamente mutevole.
Non ci dobbiamo mai difendere dal nemico o dall’oppressore con l’uso della forza: meglio lasciare che ci renda suoi schiavi.
Non esiste un uso giusto della forza. Dio non può volere l’uso della forza, sarebbe un Dio violento. Difendersi dall’aggressore è peccato, violenza e ingiustizia.
Tutte le vertenze si devono risolvere con il dialogo, anche se ci si trova in condizione di oggettiva sudditanza.
Cristo non è l’unico Salvatore dell’umanità, ma ci si può salvare anche appartenendo ad altre religioni.
Il cattolico non deve tentare di convertire al cattolicesimo i non-cattolici; questo è proselitismo, sempre riprovevole, e mancanza di rispetto per il diverso.
È da respingere fermamente l’idea che Cristo abbia compiuto un sacrificio espiatorio o riparatore, tale da aver dato al Padre un compenso per i nostri peccati. Dio perdona gratuitamente, senza bisogno di alcun sacrificio.
Quindi la celebrazione della messa è in larga misura idolatria e superstizione. Da tollerare solo a conforto dei fedeli meno responsabili e avvertiti.
Per eliminare le ingiustizie non sono necessarie la grazia divina o una fede religiosa: occorrono piuttosto la buona volontà e una buona politica mondiale.
Per essere virtuosi e salvarsi non è necessario appartenere alla Chiesa, ma basta essere onesti e appartenere al genere umano. Non esistono virtù soprannaturali, ma solo quelle naturali.
Puoi ben capire, caro lettore, che la Sic et simpliciter ebbe un impatto dirompente sulla fede, sulla dottrina e sulla vita stessa della Chiesa. Da quel momento l’avvicinamento allo spirito del mondo subì un’accelerazione senza precedenti.

Come fu che la Chiesa giudicò opportuno non giudicare
Caro lettore, ti voglio ora narrare di come la Chiesa arrivò a imporre ai fedeli di non giudicare, non esprimere valutazioni sulla realtà e sulle persone.
L’iniziativa fu di papa Francesco XVIII, un brasiliano, Neimar Marcelo David Thiago Firmino, che chiamò a raccolta i cardinali in un concistoro straordinario, per comunicare loro la grande decisione: «Basta con i giudizi sul mondo, basta con le parole critiche. Noi vogliamo essere in sintonia con il mondo, amichevoli verso tutti. Solo così potremo avere un dialogo con la cultura nella quale viviamo. Altrimenti saremo visti sempre come corpi estranei. Questa separazione deve finire!»
Papa Francesco XVIII aveva in animo di chiedere ai cardinali di redigere un apposito documento sul tema, così da poter disporre di una base sulla quale lavorare in vista di un’enciclica. I signori cardinali, di comune accordo, fecero però sapere al pontefice che si sarebbero presi un anno sabbatico, e così quella volta non ci fu alcuna commissione.
Papa Firmino tuttavia non si perse d’animo. Chiuso nel suo ufficio, trascorse l’estate impegnato nella scrittura, e a settembre ecco l’enciclica: la De gustibus, in cui la Chiesa prometteva che non avrebbe mai più espresso un solo giudizio sul mondo, perché fede vuol dire preghiera e non giudizio, fede vuol dire accoglienza e non frattura, fede vuol dire condivisione e non separazione.
Poiché un noto vaticanista uzbeko, nel suo blog, fece notare che parlare di accoglienza e condivisione era già, in ogni caso, un giudizio, e che dunque il papa si contraddiceva, il Vaticano emise una nota, tramite la sala stampa, nella quale sosteneva che ogni valutazione era la benvenuta: il papa esprimeva tutta la sua misericordia verso il vaticanista e pregava per lui. Dopo di che, di quel giornalista si perse ogni traccia.
La De gustibus venne accolta con grande entusiasmo dall’opinione pubblica. «Finalmente!» recitavano i titoli dei giornali progressisti. «Ecco la Chiesa che ci piace!», «Ecco la Chiesa dal volto umano!», «Grazie papa Firmino!».
I principali commentatori osservarono che con il documento papale si metteva fine per sempre all’epoca dell’Inquisizione e che d’ora innanzi il dialogo tra la cultura moderna e la Chiesa sarebbe stato molto più agevole, aprendo prospettive di grande crescita per tutti, all’insegna della disponibilità reciproca e della collaborazione.
I problemi da risolvere, secondo questi commentatori, erano numerosi, a partire dal raffreddamento globale (dopo la fase del riscaldamento, si era entrati in una di segno opposto) e dall’estinzione di alcune specie animali, per cui il contributo della Chiesa – come sottolinearono le associazioni ecologiche – sarebbe stato molto utile.
Quei pochi fedeli che, stupefatti e disorientati, ricordavano di aver letto da qualche parte che Gesù, pur essendo misericordioso, mai aveva rinunciato a esprimere un giudizio sulla realtà del suo tempo e sulle persone che incontrava, e sempre aveva esortato alla conversione del cuore per aderire a Dio, si sentirono ancora più soli e abbandonati di quanto già non fossero. Alcuni cercarono anche di reagire, riunendosi in gruppi e associazioni di resistenza. Il papa, prontamente, fece sapere che li salutava con tanto affetto e misericordia. Dopo di che, di quei gruppi si perse ogni traccia.
«Se manca un giudizio» si leggeva nell’enciclica «noi non abbiamo nulla da proporre al mondo, e questo è proprio ciò che vogliamo. Noi non dobbiamo proporre messaggi. La fede non è un giudizio, ma una via di consolazione. Noi non dobbiamo selezionare, decidendo che cosa è bene e che cosa è male. Il cristiano non seleziona, il cristiano accoglie. Occorre uscire da un’antica visione di sapore inequivocabilmente manicheo. La Chiesa è a disposizione di tutti e, non giudicando, tutti accoglie, così che ognuno possa trovare in essa una parola di accompagnamento, di adesione, di simpatia. L’uomo di fede non giudica. L’uomo di fede vive! Vive con gli altri, in mezzo agli altri! L’uomo di fede accompagna e sostiene».
Firmino suggerì ai teologi aggiornati di non soffermarsi sull’idea di salvezza. Era solito dire: «Si salva chi ama, non chi giudica. Il nostro parlare sia tutto indirizzato all’amore.» Idea che si collegava alla visione dialogante che egli aveva del rapporto con le altre fedi. «Il cattolico» spiegava «non può sostenere che la sua fede è la sola autentica. Questa è un’assurdità che impedirebbe ogni dialogo. Noi invece vogliamo dialogare, non respingere. Vogliamo costruire ponti, non muri».
In un famoso discorso rivolto all’Università del Mondo Unito, a Parigi, papa Firmino sostenne che la domanda circa la verità della religione doveva considerarsi superata. «Solo l’intollerante e l’ipocrita» spiegò «si pongono tale questione. Noi, che non giudichiamo, ci impegniamo a far sì che la nostra fede, nel desiderio di andare incontro a tutti, eviti di trasformarsi in cultura. Se lo facesse, inevitabilmente diventerebbe fede giudicante. La nostra sia invece fede accogliente!»
Quel giorno gli applausi scrosciarono a lungo e papa Firmino sentì di aver dato un contributo determinante alla svolta dialogante della Chiesa.
Ma non si fermò lì. Desideroso di rendere la Chiesa ancora più vicina al mondo, più misericordiosa e accogliente, il papa convocò ad Assisi tutte le religioni del mondo e propose ai fratelli e alle sorelle delle altre fedi di pregare per la pace. «Un nostro antico predecessore» disse «si rese già protagonista di un gesto simile a quello che noi oggi siamo chiamati a rinnovare. Ma in quel tempo lontano non fu possibile un’autentica preghiera comune. Ogni fede pregò per conto suo, così da evitare, si disse all’epoca, sovrapposizioni e confusioni. Invece noi oggi vogliamo che la nostra unità sia indiscutibile. Per questo preghiamo tutti insieme, tenendoci per mano, e preghiamo il nostro Dio unico. Nessuno abbia la pretesa di giustificare una presunta superiorità sull’altro. Le fedi o sono tutte uguali o non sono fedi! La vera preghiera è quella che avviene nell’unità visibile». Dopo di che si svolse il rito della richiesta di pace al Dio unico, secondo uno schema piuttosto elaborato messo a punto dall’ufficio liturgico vaticano in collaborazione con i responsabili di tutte le altre religioni.
La giornata fu memorabile e ancora oggi se ne parla come di un momento di autentico cambiamento. Quella volta, riferirono i commentatori, il cammino ecumenico e interreligioso fece un passo avanti davvero storico.
Aggiungo che ancora oggi ad Assisi si può ammirare un ologramma a ricordo di quella preghiera. Attivato su richiesta, rappresenta Dio così come ogni fedele lo vuole vedere, in modo tale, è spiegato in una targa lì accanto, da non offendere nessuno e rispettare tutti.

Narrano le cronache che un giorno, proprio ad Assisi, un fraticello, coperto soltanto dal saio francescano, si pose davanti all’ologramma e gridò: «Vattene Satana! Via di qui Signore del male!» Alcune guardie intervennero e lo accompagnarono nel locale Centro di Ripensamento, dove provvidero a riprogrammarlo. Pare che oggi sia uno dei più fervidi sostenitori del politeismo accogliente e che addirittura tenga conferenze sul tema «È quella cattolica la vera fede? Fine di una pretesa insensata».

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