ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 22 gennaio 2018

La punta dell’iceberg

«Pranzi in chiesa? Sono una ferita del senso religioso»


«Viviamo in un mondo tutto uguale, dove c’è un appiattimento, dove si promuove solo la positività dell’uguale. In questo modo la vita si impoverisce, anche la vita di fede. Il sacro è proprio l’opposto del “tutto uguale”, perché il sacro è separazione, è altro. Ecco, viviamo proprio “L’espulsione dell’Altro“, come recita il titolo di uno scritto del filosofo coreano Bjung-Chul Han». A parlare così è padre Michael John Zielinski, abate del monastero di Lendinara (RO), autore di molti volumi sulla liturgia e per molti anni al servizio della Congregazione per il Culto Divino. Con padre Zielinski parliamo della crescente tendenza a usare in modo improprio le chiese, come testimoniata dall’inchiesta della Nuova BQ #salviamolechiese, un fenomeno che va ben oltre l’esistenza di singoli casi di abuso. Anzi questi ultimi sono proprio la punta dell’iceberg.

Padre Zielinski, recentemente il liturgista David Fagerberg, in una conferenza affermava che la liturgia è fortemente collegata al servizio dei poveri, ma a condizione che permanga liturgia, altro, sacro.
Esattamente. La religione non è nata dall’esigenza di assicurare la solidarietà sociale, come anche le cattedrali non sono state edificate per incentivare il turismo. Ma è in questa direzione che, purtroppo, stiamo andando. C’è una posizione della Chiesa cattolica riguardo al sacro, che non si ferma ad un approccio fenomenologico e che non si adegua alle correnti delle mode contemporanee. È il Credo della Chiesa che determina la nostra posizione.
Partiamo proprio da qui. Cos’è una chiesa? Cosa significa dedicare un luogo a Dio?
La storia della Chiesa presenta molti aspetti a riguardo, ma tutti questi aspetti convergono nel ritenere la chiesa un luogo sacro, un luogo a parte, un luogo che protegge. Nelle chiese si dava anche asilo, si incontravano i propri futuri consorti, si concludevano affari, ma perché tutto questo? Perché era ritenuta una terra franca, sacra, altra, separata, una terra dove l’ascolto e l’attenzione erano al centro di tutto. Credo che questo sia oggi quanto di più necessario: ritrovare luoghi diversi, di quella diversità data dal sacro. Nella storia delle religioni ci sono due aspetti che sono come delle costanti: la spiritualità e il sacro. Non sono mai assenti. Perché il sacro non è mai assente nelle religioni? Perché la religione (da religioreligare) è ciò che mette in connessione l’uomo con Dio e lo spazio sacro è ciò che lega la terra al Cielo, mette insieme, ricompone. Perciò è un luogo estremamente necessario in un mondo caotico, rumoroso. Lo spazio è una categoria dell’esperienza umana, che permette alla persona di vivere nel mondo. In tutte le ricerche fenomenologiche, il luogo sacro è un posto che mi permette di vivere nel mondo.
Cosa intende dire esattamente?
È dal luogo sacro che io mi ricompongo, mi ritrovo, ritrovo la mia identità. E così, uscendo da questo spazio sacro, particolare, io esco nel mondo, un mondo che è molto diverso, scomposto, dove regna l’anomia, cioè la mancanza di norme. Lì vado come persona ricomposta, reintegrata, agendo nel mondo alla luce dell’esperienza avuta nel luogo sacro.
Questa ricomposizione, questo ordine nasce però dall’esperienza dello spazio realmente sacro e del tempo realmente sacro, dove viene custodito il primato di Dio.
Esattamente. Questo vale nell’esperienza religiosa in generale, e ancora più specificamente nell’ambito cristiano. È in quello spazio che io sono stato rigenerato (il Battesimo), lì rimedio le rotture, le deviazioni (la Riconciliazione); lì celebriamo il Mistero e manteniamo il Mistero vivo, l’Eucaristia, la carne di Cristo, la carne della Chiesa. Tempo sacro e spazio sacro hanno a che fare con l’ordine, dare un ordine.
Dove non ci sono leggi che proteggono, che conducono, che educano in questa grande esperienza che è la vita, dove non c’è un temenos (luogo sacro, recintato, riservato al culto, n.d.a.] che protegge, allora l’uomo si perde, si disgrega. Dove non c’è un ordo, dove non ci sono leggi non c’è libertà. L’ordine non è il contrario della libertà ma è ciò che custodisce la libertà.
È il senso dell’ordo liturgico, delle rubriche.
Sì. Ho trovato una cosa interessante. Nell’Istrumentum Laboris del Sinodo sull’Eucaristia del 2005, i Vescovi ed i laici che hanno partecipato danno voce allo scarso senso del sacro. Vengono segnalati diversi atti che attentano al senso del sacro: la trascuratezza nell’uso degli ornamenti liturgici; la mancanza di decenza nel modo di vestire; la somiglianza dei canti usati in chiesa con quelli profani; il tacito consenso ad eliminare alcuni gesti liturgici, perché ritenuti troppo tradizionali, come, per es., la genuflessione; una distribuzione impropria della Comunione sulla mano, priva di un’adeguata catechesi; atteggiamenti poco riverenti prima, durante e dopo la celebrazione, anche da parte dei celebranti; la scadente qualità architettonica e stilistica degli edifici e delle suppellettili sacri; casi di sincretismo, dovuti ad una inculturazione avventata delle forme liturgiche, mescolate ad elementi di altre religioni. Questi aspetti sono stati sollevati. Papa Benedetto ha nutrito una grande speranza di riforma, insistendo sulla ars celebrandi e su quanto espresso in Sacramentum Caritatis. La Chiesa di Roma non ha mancato nel richiamare tutti questi aspetti. Il problema grosso è nella ricezione da Roma alle Diocesi, dove i vescovi hanno educato liturgicamente poco o per nulla il popolo di Dio.
La Nuova BQ in questo periodo stanno arrivando tantissime testimonianze di uso delle chiese a volte inimmaginabile. In questi casi la certezza di una sanzione non è forse importante, come sostegno all’educazione?
Capisco benissimo, ma a volte è proprio chi dovrebbe dare sanzioni a dover essere corretto. Io sono convinto, sulla base di quanto ho visto negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, che dove c’è una bella liturgia la gente va e fa anche chilometri. In Italia siamo stati viziati: si cade dal letto e si è in parrocchia… Perciò penso che più che sanzioni, bisognerebbe promuovere una bella liturgia; il monachesimo, in particolare, dovrebbe riscoprire la sua vocazione alla liturgia e ritrovarsi. Basti pensare a Solesmes, dove sono passate migliaia di persone, anche non cristiane. Simon Weil, per esempio, andava a partecipare al Triduo Sacro a Solesmes.
C’è però anche un dovere di protezione del popolo…
Certamente. La serietà di un vescovo, come pastore, si vede anche in questo. Se vedo che il gregge è nutrito malamente ed educato altrettanto malamente in ciò che dovrebbe essere il centro della sua vita, devo intervenire. Il Vaticano II ha messo in chiaro che la liturgia è fonte e culmine della vita cristiana (lo si ripete tante volte…); allora, noi dobbiamo misurare tutta la nostra fatica pastorale su questo. Il punto centrale è la liturgia: è da lì che parte tutto ed è lì che troviamo la misura del ben operare, è la liturgia che detta la road-map. La liturgia misura la nostra azione ed anche la nostra interiorità.
Recentemente stanno diventando una moda i pranzi in chiesa. Lei crede che rispettino la finalità del luogo sacro?
Il problema non è tanto dare da mangiare, ma bisogna capire che un atto, specie nella nostra società, genera un modo di fare, in un mondo dove ormai ognuno è diventato legge a se stesso. Questo avviene anche all’interno della Chiesa stessa, dove molti ritengono che le norme liturgiche siano opinabili. Questo contesto richiede ancora più serietà e attenzione verso le normative liturgiche. Ora, lo spazio sacro qualifica le attività: la chiesa è stata costruita per la liturgia. Ci sono altri luoghi per altri scopi. Se non si rispetta la finalità del luogo sacro, si rischia di ferire la sensibilità dei cristiani, ma anche dei non cristiani. Ricordo di aver portato dei rappresentanti indiani a visitare la basilica di san Miniato, dove il pavimento è pieno di lapidi di morti; è stata un’impresa far camminare questi indiani dentro la basilica, perché per loro si tratta di spiriti viventi! Figuriamoci farli mangiare lì dentro! Se si apre il discorso ad un livello interreligioso, bisogna capire che a volte ci sono persone che vivono più attentamente la sacralità del luogo di molti cattolici in Occidente. Il senso del religioso, del sacro, anche dei non cattolici, può essere ferito con queste attività. Bisognerebbe chiedersi: quando portiamo queste persone a mangiare dentro una basilica, che cosa passa veramente nella loro mente, nel loro cuore, quando ci vedono così dozzinali, indifferenti, incapaci di qualificare un luogo? La differenza tra i luoghi esiste e quindi deve cambiare anche l’atteggiamento.
C’è chi sostiene che Dio non fa questione di spazio: se si può pregare fuori dalle chiese, perché non mangiare dentro le chiese?
Se Dio non fa differenza di spazio, allora perché si è scomodato di far nasce a Betlemme suo Figlio, e poi farlo andare a Nazareth? Se non fa differenza di spazio e di tempo, perché è apparso in un certo momento e in un certo luogo? Cos’è che ha reso propizio un tempo e un luogo? La nostra attesa, la nostra azione? Niente affatto: è Dio che ha reso propizio quel tempo e reso giusto quel luogo. Quello a cui stiamo assistendo è il grido di un uomo che ha perso il senso delle cose e non ha più direzione. Quanto di vero c’è dietro a queste iniziative e quanto di ideologico? Dovremmo fermarci un po’ tutti e riflettere.
Con i pranzi in chiesa nutriamo nel corpo, ma nel contempo priviamo le persone del senso di Dio e della sacralità.
Appunto. La chiesa è il luogo più santo, dove celebriamo i Divini Misteri di Cristo. Anche se con il gesto di mangiare con i poveri in chiesa si volesse mandare un messaggio politico e sociale, ciò sarebbe comunque fuori luogo. E poi cosa rimane di questa esperienza? Vogliamo continuare a fare gesti eclatanti? Continuiamo, ma è una forma di esibizionismo che rischia di far diventare la Chiesa come un outlet di servizi sociali e promuovere l’idea che la chiesa è edificata per incentivare il turismo. Non voglio giudicare nessuno, ma bisogna capire che queste iniziative rischiano di creare uno scandalo. C’è un istinto naturale nell’uomo religioso che muove l’uomo verso la cura e l’attenzione del luogo sacro, del tempo sacro, dell’azione sacra, perché tutto questo aiuta ad entrare nel Mistero e a supportare questo Mistero tremendo. L’uomo deve custodire il Mistero, perché il Mistero lo custodisca. Se perdiamo questo, perdiamo l’anima. Per questo dico che certe azioni rischiano veramente di creare scandalo.
Dal punto di vista del segno, alcuni hanno giustificato questi pranzi in chiesa come segno della carità che scaturisce dall’altare. In realtà, non si tratta della negazione del segno liturgico? Quest’ultimo infatti prende una realtà profana e la consacra e da quel momento essa è riservata per il culto, per Dio (consacrare significa questo). Qui invece avviene il contrario: prendiamo una realtà sacra, l’Eucaristia e diciamo che il suo senso viene espresso meglio da un gesto profano.
Entrare nello spazio sacro, attraverso la porta, significa entrare in un altro mondo, in un altro tempo, dove si riceve la visione, dove si prende sempre più coscienza della propria dignità. La nostra vita in Dio dipende da questo momento, dal vivere questo spazio, dal comprendere che la nostra vita non dipende dalla bistecca o dalla salsiccia, ma da un altro cibo. Dobbiamo cibarci di altro. Qui stiamo sovrapponendo segni su segni, simboli su simboli e il risultato è un modo diverso di pensare i sacramenti ed un modo diverso di rapportarci con Dio. Tutta questa ansia pastorale sovrappone la pastorale alla teologia e alla liturgia e così si perde tutto il senso soprannaturale della vita.
Vorrei invitare tutti a rileggere anzitutto l’esortazione Sacramentum Caritatis, che è un testo straordinario. Sarebbe un peccato non ritornare su questa XI assemblea dei Vescovi. Ed anche il libro del card. Raymond L. Burke, Divino amore incarnato. La Santa Eucaristia sacramento di Carità, un libro che ho letto con grande apertura di cuore, dove si parla dell’attenzione e della cura, anche dal punto di vista legale.

UNA PETIZIONE MONDIALE AI VESCOVI: CHIEDIAMO GLI INGINOCCHIATOI PER I FEDELI CHE VOGLIANO COMUNICARSI IN GINOCCHIO.


Oggi vogliamo rilanciare un’iniziativa che ci sembra legittima e anche auspicabile, in un momento in cui il senso del sacro viene continuamente eroso, anche all’interno della Chiesa, da altre istanze e priorità, spesso legate a mode passeggere. Ci rifacciamo a una lettera che l’ex Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, e ora arcivescovo di Valencia, il card. Canizares, ha indirizzato ai suoi sacerdoti a gennaio, che potete trovare sulla Nuova Bussola Quotidiana. Fra l’altro l’arcivescovo scriveva, riferendosi a una lettera pastorale di qualche tempo fa: “In questa stessa lettera ricordavo come darsi la pace e comunicarsi. Vi confesso che ci sono volte che sto male vedendo come si avvicinano alcuni, senza nessun raccoglimento e devozione, senza nessun gesto di adorazione, come si prende un biscotto o qualche cosa di simile. Insisto in quello che dicevo nella lettera citata sull’Eucarestia: ci si può comunicare direttamente in bocca, o con la mano per poi portarsi il corpo di Cristo alla bocca. Però devo aggiungere che la forma più consona con il mistero del Corpo di Cristo che si riceve è comunicarsi in ginocchio, e in bocca. Non sono retrogrado in questo, ma segnalo solo ciò che si accorda alla comunione”.
 E proprio in questi giorni è partita una richiesta, rivolta a tutti i vescovi cattolici, e a cui naturalmente è possibile aderire firmando. Ecco il testo:
Destinatario: Vescovi della Chiesa Cattolica
 Chiediamo gli inginocchiatoi per i fedeli che desiderano ricevere Gesù-Eucarestia in ginocchio; petizione promossa dal Comitato Uniti a Gesù Eucaristia per le Mani Santissime di Maria.
Sulla ricezione della Comunione sulla mano. Per comprendere l’importanza della modalità con cui ricevere la Santa Comunione, occorre partire da una breve riflessione sul significato della Messa, durante la quale il pane e il vino divengono il Corpo e il Sangue di Cristo. Il documento del Concilio Vaticano II Sacrosanctum Concilium afferma due cose centrali: messa come sacrificio e Presenza reale. Per giunta, la formulazione del Catechismo della Chiesa cattolica, sotto la regia di Ratzinger, ha ribadito tali connotazioni cattoliche a riguardo dell’Eucaristia. E proprio il pontefice che concluse il Concilio, Paolo VI, si sentì spinto persino a pubblicare un’Enciclica nella quale ribadì sia il carattere sacrificale della messa sia la legittima validità dell’adorazione dell’Eucaristia da parte dei fedeli fuori dalla messa.
Nel frattempo alle Conferenze nazionali veniva data facoltà di indulto per ricevere l’Eucaristia nelle mani,le balaustre e gli inginocchiatoi venivano eliminati, i tabernacoli venivano decentrati, nonostante il Catechismo (ancora nel 1992) ribadiva che il tabernacolo fosse situato “in un luogo particolarmente degno della chiesa, costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento”(n.1379). Circa la questione relativa alla ricezione eucaristica, bisogna anzitutto ricordare che nei documenti conciliari – anche in presenza di affermazioni avanzate a riguardo delle più significative novità proposte nella liturgia – mai si parla della comunione in mano. Eppure si fa passare per tema conciliare quanto il Concilio non si è preoccupato di trattare. In realtà la ricezione della Santa Eucaristia in mano rimane solo un indulto della Sede Apostolica. Quando i vescovi italiani (con soli due voti in più) approvarono la comunione nelle mani, vi fu chi, come il Presidente della Conferenza Episcopale, evidentemente contrario e preoccupato, fece inserire la raccomandazione a tutti, in particolare ai bambini e agli adolescenti, della pulizia delle mani. Invece di impedire l’abuso, ci si preoccupava di arginare già in partenza l’ovvia profanazione. Proprio questa generazione di fanciulli cattolici anni ’80-‘90 è quella che (a parte la controtendenza dei gruppi di preghiera legati alla Tradizione o alle apparizioni di Medjugorje) registra una certa disinvoltura a riguardo del culto eucaristico e dell’adorazione, non avendo la percezione di Chi si riceve. Il documento in questione – Istruzione Sulla comunione eucaristica – è quello del maggio 1989, seguito dal decreto della Conferenza Episcopale Italiana che la contiene, datato 19 luglio 1989 ed entrato in vigore il 3 dicembre dello stesso anno, prima domenica di Avvento.
Il testo dell’Istruzione sulla Comunione eucaristica circa la modalità di questo ulteriore modo di ricevere l’ostia consacrata spiega: “particolarmente appropriato appare oggi l’uso di accedere processionalmente all’altare ricevendo in piedi, con un gesto di riverenza, le specie eucaristiche, professando con l’Amen la fede nella presenza sacramentale di Cristo”. Dunque, dicevamo che si tratta di un indulto. Attraverso l’Istruzione Memoriale Domini promulgata dalla S. Congregazione per il culto Divino il 29 maggio 1969, la Santa Sede ha lasciato alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di richiedere la facoltà di introdurre l’uso di ricevere la Comunione sulla mano.Possibilità non obbligo! Eppure non è una questione irrilevante, perché riguarda nientemeno che la Presenza reale di Gesù. Non è un retaggio, dunque, dei tradizionalisti, bensì è l’affare centrale di tutta la Chiesa che, prima ancora che preoccuparsi dell’ambiente e dell’ecologia, o della questione immigratoria, dovrebbe custodire e proteggere il Signore eucaristico con quell’amore e quella fedeltà che ebbe san Giuseppe nel proteggere Gesù Bambino. Nell’Eucaristia, infatti, per amore delle anime, Gesù si rende vulnerabile come quando era un piccolo infante, raggiunto dall’odio omicida di Erode.
Questo aspetto è stato configurato da mons. Schneider come ius Christi, cioè il diritto di Cristo. Ancora di recente, commentando questa intuizione di Schneider, il Card. Burke, grato di tale intuito, affermava: “ricordandoci l’umiltà totale dell’amore di Cristo che si dona a noi nella piccola Ostia, fragile per natura, Mons. Schneider richiama la nostra attenzione sul grave obbligo di proteggere ed adorare Nostro Signore. Infatti, nella santa Comunione, Egli, a motivo del Suo amore incessante e incommensurabile per l’uomo, si fa il più piccolo, il più debole, il più delicato fra noi. Gli occhi della Fede riconoscono la Presenza Reale nei frammenti, anche nei più piccoli, della santa Ostia, e ci conducono, così, all’Adorazione amorosa”. Come insegnava san Tommaso d’Aquino, Gesù è realmente presente tanto nell’intero quanto nel minimo frammento del pane consacrato. Il grande teologo domenicano affermava che l’Eucaristia è sacra e perciò può essere toccata solo dalle mani consacrate; perciò egli faceva riferimento all’uso di ricevere la Comunione solo sulla lingua, tanto che la distribuzione del Corpo del Signore apparteneva al solo sacerdote ordinato. Ciò per diversi motivi, tra i quali l’Angelico cita anche il rispetto verso il sacramento, che “non viene toccato da nessuna cosa che non sia consacrata: e quindi sono consacrati il corporale, il calice e così pure le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento.
A nessun altro quindi è permesso toccarlo fuori di caso di necessità: se per esempio stesse per cadere per terra, o in altre contingenze simili” . Un esperimento condotto negli Stati Uniti, ha dimostrato che, ponendo la comunione in mano, diversi frammenti, difficilmente scorgibili ad occhio nudo, rimangono prima impressi nella palma della mano, quindi cascano a terra. Inoltre, accanto al rischio di profanazione continua, si presenta anche il problema delle “messe nere” e dei circoli satanisti che, quasi meravigliati di questa consuetudine, possono più facilmente prelevare l’ostia e condurla via. Di recente, diverse isolate ma significative voci si sono alzate, nella Chiesa, per indurre a riflettere sui danni e i rischi della comunione nelle mani. In particolare merita una menzione il lavoro pluriennale del già citato mons. Schneider, Vescovo Ausiliare di Astana che, in alcuni opuscoli tradotti in varie lingue, con coraggio ha denunciato i grandi rischi della comunione in mano. Così anche Benedetto XVI, per quanto si sia espresso a favore dei due usi (in ginocchio e in mano) ha tuttavia voluto dare risalto all’uso di riceverla in ginocchio nelle celebrazioni pontificie. Ancora di recente, il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino (dunque il numero uno della liturgia cattolica!) a Milano è tornato sul tema con parole inequivocabili a riguardo dei rischi della comunione in mano. In Italia merita una menzione don Giorgio Maffei che si è battuto a lungo per questo tema. Diversi gli appelli, caduti nel vuoto, che egli con autentico afflato sacerdotale, rivolgeva ai confratelli, quando per esempio,in uno dei suoi diversi contributi sul tema, scriveva: “con l’uso della Comunione sulla mano, i frammenti rimangono sulla mano del fedele, che di solito non ci guarda nemmeno, non ci bada o non se ne accorge, finendo poi per terra dove vengono calpestati, spazzati via, profanati. Ciò è ben noto. I sacerdoti tutti lo sanno molto bene, perché come si è detto, ne hanno quotidiana esperienza.
Anche i sacerdoti giovani, che vengono istruiti a dare la Comunione sulla mano e non fanno uso del piattello, conoscono ugualmente questo particolare delle Ostie di perdere i frammenti, talora anche senza essere toccate. I fedeli hanno di ciò minore esperienza e sono meno colpevoli dei sacerdoti”. Il noto sacerdote tradizionalista aveva anche auspicato almeno il ripristino del piattello, argomento per il quale subirà umiliazioni e offese come di un prete fuori dai tempi e dai veri problemi. Eppure don Maffei riteneva che l’uso del piattello potesse ridurre notevolmente il rischio concreto della caduta di frammenti durante la comunione. In qualche occasione, non senza ragione, il prete bolognese paventava persino il rischio della scomunica per quanti permettevano la profanazione dei frammenti con l’uso della comunione nelle mani perché, diceva, il peccato commesso contro Dio e il suo Cristo è foriero di scomunica, e quale peccato più grave vi può essere che quello di oltraggiare le specie eucaristiche? Tra i mistici, ricordiamo la testimonianza dell’austriaca Maria Simma, che aveva un rapporto esclusivo con le anime del Purgatorio, la quale ebbe rivelato che tutti i Pastori della Chiesa che avevano approvato la Comunione in mano, se fossero morti in grazia di Dio, sarebbero comunque rimasti in Purgatorio fino al giorno in cui la Chiesa non avesse tolto tale indulto.
Si può pensare allora che questa novità, non proveniente dal Concilio, almeno non direttamente, trovi la sua origine nella regia che, infiltratasi nei ranghi di riguardo delle Conferenze episcopali nazionali, soprattutto nordeuropee, si è imposta. Intanto, veniva presa a prestito la ragione di un ritorno alle origini della fede, che nascondeva però il bisogno di delegittimare la controriforma tridentina. Proverò a spiegarmi meglio. Tutti i circoli che hanno richiesto la comunione nelle mani erano schierati in modo radicale nel progressismo teologico, di matrice modernista. In realtà, lo slogan di un auspicato ritorno alle fonti patristiche (per quanto suggestivo e meritorio), da quelle parti voleva dire il discredito della grande stagione del Concilio di Trento. E questo perché? Perché il discredito del grande spirito tridentino consentiva la riabilitazione di Lutero. Questa è una considerazione del teologo Ratzinger all’indomani del Concilio. E, dunque, in ogni caso, la riforma liturgica si orientava unilateralmente, in direzione della stagione patristica, ma come rifiuto latente della stagione tridentina. Come a dire che i primi cinque secoli sì, sono normativi, il resto non ci riguarda. Questa netta e inesistente contrapposizione, per quanto latente, accompagnava purtroppo la riforma liturgica manomessa dai modernisti. Si faceva valere la prassi in uso nei primi secoli del cristianesimo, attestata abbondantemente nei Padri, quella cioè di ricevere l’Eucaristia nelle mani.
Nelle prime comunità cristiane era normale ricevere il corpo di Cristo direttamente sulle mani; al riguardo vi sono numerose testimonianze, sia nell’area orientale, sia in quella occidentale: molti Padri della Chiesa (Tertulliano, Cipriano, Cirillo di Gerusalemme, Basilio, Teodoro di Mopsuestia), diversi canoni giuridici sanciti durante sinodi e concili (il Sinodo di Costantinopoli del 629; i Sinodi delle Gallie tra VI e VII secolo; il Concilio di Auxerre avvenuto tra il 561 e il 605), fino alle testimonianze dell’VIII secolo di san Beda il Venerabile e san Giovanni Damasceno: tutti attestano la medesima diffusa tradizione. E ciò era senz’altro utile riconoscerlo. Ma a questo punto ci si domandava che fine facesse invece, in termini di legittimazione teologica e liturgica, il passo ulteriore compiuto dalla fede ecclesiale. Quando nel medioevo alcune correnti teologiche misero in discussione la modalità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento – arrivando alcuni a definirlo come un segno vuoto che richiama solo lontanamente la realtà sostanziale del Signore presente in mezzo a noi – la reazione della comunità ecclesiale fu di sottolineare maggiormente la venerazione e l’adorazione per le Specie Eucaristiche fino ad introdurre il nuovo rito di ricevere la Comunione direttamente sulla bocca ed in ginocchio proprio per sottolinearne la grandezza della presenza reale del corpo di Cristo. Se non si interverrà adeguatamente c’è il rischio concreto che l’Eucaristia venga del tutto profanata.
Aggiungiamo, umilmente, che anche da un punto di vista igienico è molto meglio se l’ostia viene toccata solo dal sacerdote, e non passa per mani che magari non hanno avuto la possibilità di lavarsi prima della messa. Chi, come il sottoscritto, si sposta in bicicletta, o chi si sposta in moto maneggia catene e lucchetti, che non sono certo il massimo dell’igiene...comunque ripetiamo qui il link.
MARCO TOSATTI

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