ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 13 gennaio 2018

L'andamento del lato B

PAOLO VI: "LUCI E OMBRE"



Paolo VI: luci e ombre di un Papa presto Santo. L'importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani. Un curioso aneddoto. Non praevalebunt ! Paolo VI: la riforma protestante e le simpatie per il "comunista-satanista" Saul Alinski 
di Cinzia Palmacci  


Alla morte di Pio XII, nel 1958, si presentò un grande dilemma nella Chiesa.
Da una parte il lungo Pontificato di Pacelli era stato segnato dal prestigio indiscutibile di un pontefice che, più passavano gli anni, più concentrava potere nelle sue mani, anche perchè era cosciente delle tensioni che crescevano all'interno del mondo cattolico. Dall'altra parte la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi totalitarismi ed orrori, aveva aperto il dilemma non soltanto a nuove possibili distruzioni a livello mondiale, ma soprattutto alla necessità di un dialogo più aperto verso un mondo che voleva scardinare i valori tradizionali e perfino Dio. In questo scenario si rafforzarono alcuni quadri all'interno della Chiesa che credevano più importante l'apertura ad un dialogo con il mondo sacrificando la parte magisteriale dogmatica e dottrinale della Chiesa, mentre si fecero più pressanti quelle parti definite poi "conservatori" che ritenevano più importante invece mantenere ad ogni costo la purezza del dogma e della morale cattolica, nonostante il pericolo di naufragare con chi si sarebbe potuto invece salvare. Nascono così negli anni Quaranta e Cinquanta dei movimenti come quello della Nouvelle Théologie e dei sacerdoti operai che mantennero prima una posizione d'avanguardia tanto da essere tollerati dalla Chiesa, salvo poi, quando furono oggetto di condanna papale, agire più cautamente per non perdere un pò di tolleranza e agire così ugualmente efficacemente. 
Non è un segreto di oggi che molti all'epoca desideravano la morte di Pio XII che consideravano il maggior ostacolo alla vera riforma della Chiesa e non si può negare l'importante ruolo svolto dal cardinale Ottaviani, che si rivelò essere un vero e provvidenziale "angelo custode" per il Pontefice ma anche per la conservazione dottrinale della Chiesa contro la deriva "progressista-modernista". 

Il vero scontro fra l'ala conservatrice e progressista della Chiesa non avvenne con il Concilio Vaticano II come molti pensano, ma bensì nel Conclave del 1958, con il quale si pensò appunto ad eleggere un Pontefice "innovatore". L'uomo "chiave" dell'ala innovatrice era Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano dal 1954, tuttavia impossibile dall'essere eletto in quanto non era stato fatto cardinale poichè - ed anche qui non è un segreto - Pio XII gli negò la porpora per ragioni che ancora non sono state del tutto chiarite, ma che si possono individuare nel fatto che negli anni Cinquanta, monsignor Montini all'epoca sostituto della Segreteria di Stato, mantenne dei colloqui segreti con il Cremlino, senza che Pio XII ne fosse al corrente. Pio XII aveva mandato di nascosto, dall'altra parte della Cortina di ferro alcuni vescovi travestiti con l'intenzione di aiutare la Chiesa perseguitata nei Paesi dell'Est e questi avevano ricevuto l'incarico del Papa di fare alcune consacrazioni di altri Vescovi. Improvvisamente questi vescovi inviati dal Papa furono tutti arrestati da Mosca e fucilati o mandati nei Gulag della Siberia senza alcun processo e senza informare la Santa Sede.
Pio XII, appena che l'ebbe saputo, ne fu profondamente costernato e non si dava pace, non capiva che cosa fosse accaduto viste le mille precauzioni prese. Ma nel 1954, l'arcivescovo di Riga (Lettonia) comunicò personalmente a Pio XII una informazione importantissima ricevuta dal vescovo luterano di Uppsala (Svezia), che a sua volta l'aveva saputo direttamente dai servizi segreti occidentali. Insomma Pio XII venne a sapere che il KGB era stato informato della presenza dei vescovi clandestini niente meno che da "informazioni dalla Segreteria di Stato". Sembra che Pio XII pianse amaramente al solo pensiero di essere stato tradito dalla Segreteria più importante e senza perdersi d'animo aprì immediatamente un'indagine e qui scoprì i contatti avuti tra Montini e il governo dei "rossi" a sua insaputa, ossia "contatti non ufficiali". Fu qui che immediatamente e sotto l'apparenza di una promozione, predispose l'immediato trasferimento di Montini alla Sede ambrosiana.
C'è da chiedersi come mai Pio XII fu così "buono" con Montini.
Il fatto è che probabilmente Pio XII non aveva avuto le prove che cercava. Certo, aveva avuto la prova che Montini intratteneva "contatti non ufficiali" con l'oltre Cortina, ma non aveva avuto le prove dell'alto tradimento tanto da incolparlo della morte dei Vescovi inviati di nascosto dal Pontefice ma se Pio XII avesse avuto prove più sicure di certo avrebbe preso misure più drastiche delpromoveatur ut amoveaturDal canto suo e a onore del vero, Montini fu in un certo senso innocente della morte di quei vescovi, ma agì imprudentemente nel prendere la decisione di intrattenersi in colloqui non ufficiali alle spalle del Pontefice. Il vero colpevole fu un padre gesuita, Alighiero Tondi, alias "Cippico", per altro subordinato di Montini, che le guardie messe da Pio XII a vigilare la Segreteria, scoprirono in fragrante nell'atto di fotocopiare dei Documenti segreti, e così padre Tondi venne prima scomunicato e consegnato alla giustizia italiana che lo condannò a due anni di prigione, durante i quali si sposò con l'amante - con rito civile - Carmen Zanti, militante del Partito Comunista e obbediente tassativamente a Palmiro Togliatti. Lo sconcerto che però non tutti oggi si spiegano è quanto segue: il Tondi con la sua compagna trasmigrarono in Germania dell'Est dove lui divenne segretario del dittatore comunista Walter Ulbricht ed ottenne anche la cattedra di ateismo nell'Università Marxista-Leninista. Quando Paolo VI fu eletto, la coppia ritornò in Italia e Tondi venne preso come funzionario civile in Vaticano e la Zanti ricevette incarichi prestigiosi nel Partito Comunista italiano. Inoltre Paolo VI legalizzò quel matrimonio canonicamente nel 1965.
Ma non finisce qui. Quando la Zanti morì il funerale fu il pretesto di una grande manifestazione comunista e il Tondi, rimasto vedovo, chiese di essere riabilitato come sacerdote, concessione che gli venne data niente meno che da Giovanni Paolo II nel 1980 e non solo, gli venne anche conferito il titolo di monsignore con la carica di "prelato d'onore" e mantenne un importante posto nella curia romana. Questo epilogo è, per certi versi, molto incomprensibile dal momento che Paolo VI non giustificò mai attraverso uno scritto l'evoluzione di questa situazione, né il Tondi formulò mai le proprie scuse né richieste di perdono, né fece mai abiura dei suoi anni vissuti da professore presso la cattedra ateistica dell'Università Marxista. Si dice solo che rimasto vedovo "si ravvide", ma nulla di più su tutta la vicenda. Nel Conclave del 1963, si riaccese la rivalità fra Conservatori-tradizionalisti e progressisti-modernisti. Tuttavia a differenza dell'ala Conservatrice che non aveva chiaro un unico candidato, anche se proponevano Ildebrando Antoniutti appoggiato da Ottaviani, l'ala innovatrice era questa volta compatta verso Montini, unico candidato appoggiato per altro in una famosa riunione a Grottaferrata dai cardinali Frings e Lercaro che portarono a termine una fruttuosa campagna per Montini che infatti fu eletto Papa.Paolo VI fu un Papa molto complesso e contraddittorio, appare quasi impossibile tracciarne un unico verdetto. Era un uomo che pensando dieci cose, nove le ricambiava nell'attuazione, c'è per esempio l'incomprensibile ripensamento della tiara.
Quando Montini divenne Papa e l'arcidiocesi di Milano organizzò una sottoscrizione per donargli la tiara, pochi sanno che fu lo stesso Montini ad ordinarne la composizione.
Fu Montini a scegliere il disegno ispirandosi alla forma usata da Bonifacio VIII per l'Anno Santo del 1300. Ma come poi ben sappiamo dalla storia, appena egli ne fu incoronato, il 30 giugno del 1963, la diede in vendita per dare il ricavato ai poveri. Ancora oggi non si discute tanto sulla tiara in quanto ornamento, venduto per darne il ricavato ai poveri, nobile gesto, quanto il fatto di una arbitraria decisione nel voler eliminare il simbolo del potere per modificare l'immagine della Chiesa.
Il dubbio che Montini ha fatto scaturire è stato proprio quello di una immagine di Chiesa che per la prima volta cambiava non a seguire la Tradizione ma seguendo l'andamento del mondo.
Paolo VI inaugurò una immagine di Chiesa fondata sull'onda emotiva del momento e a seconda delle capacità comunicative del Pontefice eletto
. Paolo VI che sembrava il grande innovatore e il propugnatore delle cause dell'ala progressista, si arrestò tuttavia di fronte alle questioni etiche e morali difendendo la dottrina della Chiesa categoricamente fino a scrivere laHumanae Vitae e la Mysterium Fidae che salverà lo stesso Pontefice da ogni dubbio circa l'ortodossia della fede.

In questo modo Paolo VI si trovò completamente "solo", incompreso sia dall'ala progressista che lo aveva eletto, sia dall'ala conservatrice che temeva le sue idee innovatrici.
Incompreso o meno resta palese che Paolo VI agì spesse volte in modo contraddittorio, con uno stile tutto suo spesso autonomo come quando, appunto, agiva di nascosto alle spalle di Pio XII. 
I Papi che seguirono Paolo VI ebbero così  a che fare con una eredità gravosa: rendere credibile una immagine di Chiesa che da una parte si rifletteva in qualità di "amica del mondo" togliendole i fasti, il simbolo del potere temporale e spirituale che era la tiara e perfino la sedia gestatoria, e dall'altra ne condannava ancora una volta i vizi e i peccati. La capacità della Chiesa di essere credibile non partiva più dalla sua dottrina, ma dalla capacità del Pontefice nel renderla credibile.
Quanto questa rivoluzione sia stata giusta o meno, lo dirà la storia, certo è che la crisi della Chiesa comincia proprio da quando ne venne intaccata l'immagine a partire dalla Liturgia.
Quando Paolo VI morì, lasciava la Chiesa in una profonda divisione, il principio di autorità pericolosamente contestato ed offuscato, il Clero in piena crisi, le Gerarchie - non tutte ma un fortissimo numero - si comportavano in forma scismatica - un esempio eclatante è il caso olandese - Paolo VI trascorse in Olanda i suoi ultimi anni in profonda crisi tormentato dall’ambiguità di molte situazioni.

Paolo VI e la riforma protestante

Nel XVI secolo, i riformatori protestanti, nel loro nuovo culto cristiano, ristabilirono la Comunione sulla mano per affermare due loro eresie fondamentali: non esisteva affatto la cosiddetta ‘transustanziazione’ e il pane usato era pane comune. In altre parole, sostenevano che la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia fosse solo una superstizione papista ed il pane fosse solo semplice pane e chiunque lo potesse maneggiare. Inoltre, affermarono che il ministro della Comunione non fosse affatto Diverso, nella sua natura, dai laici. É invece insegnamento cattolico che il Sacramento dell’Ordine Sacro dona all’uomo un potere spirituale, sacramentale, imprime cioè un segno indelebile nella sua anima e lo rende sostanzialmente diverso dai laici. Al contrario, il ministro protestante è un uomo comune che guida gli inni, fa sermoni per sostenere le convinzioni dei credenti. Egli non può trasformare il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore, non può benedire, non può perdonare i peccati, non può, in una parola, fare niente che non possa fare un qualsiasi semplice laico. 
Egli, dunque, non è veicolo di grazia soprannaturale. Il ristabilimento protestante della Comunione nella mano fu un ‘semplice’ modo per manifestare il rifiuto di credere nella reale presenza di Cristo nell’Eucarestia, rifiuto del Sacerdozio Sacramentale, in breve il negare l’intero Cattolicesimo. Da quel momento in avanti, la Comunione sulla mano acquistò un significato chiaramente anticattolico. Era una pratica palesemente anticattolica, fondata sulla negazione della reale presenza di Cristo nell’Eucarestia e del Sacerdozio. Dopo il Concilio Vaticano II, in Olanda, alcuni preti cattolici di mentalità protestante cominciarono a dare la Comunione sulla mano, scimmiottando la pratica protestante. Ma alcuni Vescovi olandesi, anziché fare il loro dovere e condannare l’abuso, lo tollerarono e in tal modo permisero che l’abuso continuasse incontrollato. La pratica si diffuse dunque alla Germania, al Belgio, alla Francia. Ma se alcuni Vescovi parvero indifferenti a questo scandalo, gran parte del laicato di allora rimase oltraggiato. Fu l’indignazione di un grande numero di fedeli che spinse Papa Paolo VI a prendere l’iniziativa di sondare l’opinione dei Vescovi del mondo su questa questione ed essi votarono unicamente per mantenere la pratica tradizionale di ricevere la Santa Comunione sulla lingua. É anche doveroso notare che, a quell’epoca, l’abuso era limitato a pochi Paesi Europei, tanto che non era ancora iniziato negli Stati Uniti e in America Latina. Papa Paolo VI promulgò allora, il 28 maggio 1969, il documento ‘Memoriale Domini’ in cui affermava testualmente: ‘I Vescovi del mondo sono unanimemente contrari alla Comunione sulla mano. Deve essere osservato questo modo di distribuire la Comunione, ossia il sacerdote deve porre l’Ostia sulla lingua dei comunicandi. La Comunione sulla lingua non toglie dignità in nessun modo a chi si comunica. Ogni innovazione può portare all’irriverenza ed alla profanazione dell’Eucarestia, così come può intaccare gradualmente la dottrina corretta’. Il documento, inoltre, affermava: 
‘Il Supremo Pontefice giudica che il modo tradizionale ed antico di amministrare la Comunione ai fedeli non deve essere cambiato. La Sede Apostolica invita perciò fortemente i Vescovi, i preti ed il popolo ad osservare con zelo questa legge’. Ma poiché questa era l’epoca del compromesso, il documento pontificio conteneva il germe della sua stessa distruzione, poiché l’Istruzione continuò dicendo che, dove l’abuso si era già fortemente consolidato, poteva essere legalizzato con la maggioranza dei due terzi in un ballottaggio segreto della Conferenza Episcopale Nazionale (a patto che la Santa Sede confermasse la decisione). Ciò finì a vantaggio dei sostenitori della Comunione nella mano. E si deve sottolineare che l’Istruzione diceva dove l’abuso si è già consolidato. Naturalmente, il clero di mentalità protestante (compreso il nostro) concluse che, se questa ribellione poteva essere legalizzata in Olanda, poteva essere legalizzata ovunque. Si pensò che, ignorando il ‘Memoriale Domini’ e sfidando la legge liturgica della Chiesa, questa ribellione non solo sarebbe stata tollerata, ma alla fine legalizzata. Questo fu esattamente ciò che accadde, ed ecco perché abbiamo oggi la pratica della Comunione sulla mano. La Comunione sulla mano, quindi, non solo fu avviata nella disobbedienza, ma fu perpetuata con l’inganno. La propaganda, negli anni ’70, fu usata per proporre la Comunione sulla mano ad un popolo ingenuo, con una campagna di mezze verità che dava ai cattolici la falsa impressione che il Vaticano II avesse fornito una disposizione per l’abuso, quando, di fatto, non vi è accenno in proposito in nessuno dei documenti del Concilio. 
Inoltre, non venne detto ai fedeli che la pratica fu avviata da un clero di mentalità filoprotestante e filomassonica, in spregio alla Legge liturgica stabilita, ma la fecero suonare come una richiesta da parte del laicato; non chiarirono, gli assertori della Comunione nelle mani, che i Vescovi del mondo, quando fu sondata la loro opinione, votarono unanimemente contro questa pratica; non fecero riferimento al fatto che il permesso doveva essere solo una tolleranza dell’abuso, laddove si fosse già instaurato nel 1969, e che non vi era stato alcun una via libera perché la Comunione nelle mani si diffondesse ad altri Paesi come l’Italia e gli Stati Uniti d’America. Siamo ora arrivati al punto in cui la pratica dell’Ostia sulla mano è addirittura presentata come il modo migliore di ricevere l’Eucarestia, e anche la maggior parte dei nostri fanciulli cattolici è stata male istruita a ricevere la Prima Comunione. Ai fedeli si dice che è una pratica facoltativa e se a loro non piace, possono ricevere la Comunione sulla lingua. La tragedia è che se questo è facoltativo per il laicato, non lo è per il clero. I preti sono chiaramente istruiti ad amministrare la Comunione sulla mano, che a loro piaccia o no, a chiunque lo richieda, gettando così moltissimi preti in una agonizzante crisi di coscienza. É dunque evidente che nessun prete può essere legittimamente forzato ad amministrare la Comunione sulla mano; dobbiamo pregare affinché il maggior numero di sacerdoti abbia il coraggio di salvaguardare la riverenza dovuta a questo Sacramento e non venga intrappolato in una falsa ubbidienza che fa sì che essi collaborino alla perdita di sacralità di Cristo nell’Eucarestia. I preti devono trovare il coraggio di combattere questa nuova pratica che fa parte dell’occulta strategia di protestantizzazione del Cattolicesimo, ricordando che Papa Paolo VI, giustamente, predisse che la Comunione sulla mano avrebbe portato all’irriverenza e alla profanazione dell’Eucarestia e ad una graduale erosione della dottrina ortodossa. Questo abuso illegittimo si è così ben radicato come una tradizione locale, che anche Papa Giovanni Paolo II non ebbe successo a denunciare, nonostante un suo tentativo per frenare l’abuso. Nella sua Lettera ‘Dominae Cenae’ del 24 febbraio 1980, il Pontefice polacco riaffermò gli insegnamenti della Chiesa secondo cui toccare le Sacre Specie e amministrarle con le proprie mani è un privilegio dei consacrati. Ma, per un qualsivoglia motivo, questo documento di 28 anni fa non conteneva nessuna minaccia di sanzioni contro laici, sacerdoti o Vescovi che avessero ignorato la difesa dell’uso della Comunione sulla lingua come voleva il Papa. Una legge senza una pena non è una legge, bensì un suggerimento. Cosicché, il documento di Giovanni Paolo II fu accolto da diversi membri del clero dei Paesi dell’Occidente come un suggerimento non apprezzato e purtroppo trascurato.

Un curioso aneddoto

Forse pochi sanno che l’indulto a celebrare la Messa antica nel mondo anglosassone, lo ottennero grazie alla passione di Paolo VI per i “Racconti in giallo” della scrittrice Agatha Christie la quale aveva firmato la petizione patrocinata dalla Latin Mass Society. Paolo VI che all’inizio non voleva concedere l’indulto, quando vi lesse il nome prestigioso della scrittrice, non volle farle uno sgarbo e “firmò l’indulto inglese“. Non è una storiella come molti potrebbero pensare, purtroppo è un fatto veramente accaduto, un fatto associabile facilmente alla complessa figura di Paolo VI. Ancora oggi molti si chiedono il “perchè” fu così necessario a Paolo VI modificare la Sacra Liturgia, una domanda che non solo non ha mai chiarito il problema con un’unica risposta, ma che ha fatto scaturire migliaia di risposte e nessuna soluzione. Va subito detto ad onor del vero che le Riforme all’interno della Chiesa ci sono sempre state, ciò che dunque attira la nostra attenzione non è la riforma in sé, quanto la modifica vera e propria di una struttura bimillenaria che non si andava semplicemente riformando, bensì andava a modificare completamente tutto l’assetto liturgico. Non dimentichiamo come si espresse l’allora cardinale Ratzinger nella sua autobiografia, la mia vita: i ricordi (1927-1977) dove dice testualmente: che la drastica maniera di applicarla (la riforma) provocò molti danni alla Chiesa“. Tali Riforme che videro pieno assetto con il Concilio di Trento, in verità non cessarono mai di essere alimentate nel corso di questi ultimi secoli soprattutto a riguardo della Musica Sacra come sottolineò san Pio X il quale fu anche l’artefice della Riforma per la concessione dell’Eucarestia ai bambini, ma come ben vedremo un conto è la Riforma e il miglioramento della Messa, altra cosa è la creazione di una nuova struttura. Nel 1969, mediante la costituzione apostolica Missale Romanum, Paolo VI stabiliva il cosiddetto “Novus Ordo Missae” (NOM) il quale intendeva rimanere in linea con una stretta interpretazione della dottrina non andando a modificare quello tradizionale codificato da san Pio V mediante la Bolla “Quo primum tempore” del 1570, fedele interprete del Concilio di Trento, ma che di fatto, il NOM, finì per essere definito “ex novo” e non dunque semplicemente che poteva “coesistere” con l’antico Rito, ma che di fatto sarebbe entrato prima o poi in rotta di collisione era inevitabile. Non fu dunque l’intenzione dei Documenti del Concilio di voler creare una nuova Messa a discapito dell’antica, ma bensì il nucleo fondante l’ala progressista della Chiesa che si comportò come se il Rito antico fosse decaduto in prescrizione. In quel periodo il caos invase la Chiesa e i Seminari: sacerdoti e fedeli furono obbligati da una domenica all’altra ad abbandonare la Messa che avevano fino a quel momento celebrato ed ascoltato e chi si permise di rifiutare un simile stravolgimento venne immediatamente additato come ribelle “nemico del Concilio”. Famoso è il Breve Esame critico del Novus Ordo Missae” elaborato dai cardinali Ottaviani Bacci in una lettera che inviarono a Paolo VI, con l’aiuto di un importante gruppo di teologi romani. Nella Lettera si faceva presente che non si trattava solamente di una questione di “dilettantismo” – o pastrocchio se preferite – o di attaccamento al passato, quanto il problema assai più grave che il NOM andava dissociandosi e allontanandosi letteralmente dalla Dottrina Cattolica come venne per altro stabilita dalla XXII sessione del Concilio di Trento. Il problema reale risiedeva nell’ambiguità della messa riformata, suscettibile di più diverse interpretazioni tanto dal punto di vista cattolico quanto da quello protestante. E questo è dimostrabile dalle parole usate, in occasione del Concistoro Superiore della Chiesa della Confessione d’Asburgo, luterana – che riunita a Stasburgo disse: ”Oggi come oggi dovrebbe essere possibile per un protestante riconoscere nella celebrazione eucaristica cattolica, la Cena istituita dal Signore…”. Una affermazione del genere era ed è inaccettabile ed impensabile rispetto alla Messa di sempre della Chiesa Cattolica. Quelli che compresero meglio la situazione e la questione furono quei cattolici che per appartenere a paesi dove il protestantesimo era ben consolidato, avevano una certa familiarità con i suoi riti. In Germania e in Inghilterra per esempio, si sviluppò una sensibilità istintiva che spinse i fedeli a comprendere immediatamente i grandi cambiamenti portati dalla nuova messa. Uno studio effettuato dai dirigenti Protestanti subito dopo il 1969, riportò – con termini di elogio e soddisfazione – come il Novus Ordo Missae effettivamente somigliava così alla “Formula Missae” dell’eresiarca di Eisleben, e al servizio di comunione del “Book of common Prayer” eduardiano. C’è da dire che proprio grazie alla presenza di questi Cattolici in questi paesi forti dove il protestantesimo era ben diffuso e quasi o del tutto maggioritario, questi Cattolici non si persero d’animo e da subito avviarono delle iniziative per preservare l’antica Liturgia della Tradizione Cattolica. Quando nel 1964 cominciarono i primi drammatici cambiamenti, una dama norvegese, Borghild Krane, fondò l’associazione Una Voce“, che ben presto si estese in  tutto il mondo diventando una sorta di Federazione Internazionale. E’ importante sottolineare che tale Federazione è riconosciuta oggi dalla Santa Sede come un “interlocutore” importante per le questioni riguardanti la Messa. Essa ha da sempre ricevuto l’appoggio dell’allora cardinale Ratzinger ed è in collaborazione con l’Ecclesia Dei creata da Giovanni Paolo II. Tornando così alla Sacrosanctum Concilium, tale Costituzione del Concilio aveva nelle intenzioni il dare delle direttrici per riformare la Liturgia, ma in nessun modo esse implicavano la completa innovazione che poi avvenne. Ciò che non si comprende è come sia stato possibile che all’improvviso, nel 1969, Paolo VI diede forza ad un rito che seppur nella sostanza del Canone centrale della Consacrazione era il medesimo, di fatto esso appariva completamente non rinnovato ma nuovo e che nulla aveva a che fare con la dottrina stessa della Liturgia antica a cominciare dall’uso di certi termini, per poi finire con il dare all’assemblea la parte della protagonista alla nuova Messa. Queste non sono considerazioni faziose, ma le considerazione delle intenzioni dell’artefice “oscuro” della riforma, il futuro cardinale Annibale Bugnini, il quale scriveva nel 1967: La questione non è semplicemente quella di restaurare una valida opera maestra, ma, in molti casi, sarà necessario provvedere a nuove strutture per riti interi. E’ una questione di rinnovamento completo, quasi direi DI RIFONDAZIONE, e in certi casi si tratterà di una creazione nuova. Non stiamo lavorando per dei musei, vogliamo una liturgia viva per gli uomini del nostro tempo“. In verità, come è facilmente dimostrabile, Paolo VI non era di queste intenzioni, eppure lasciò fare e finì egli stesso per adeguarsi alle iniziative di Bugnini. Lo stesso cardinal Bugnini fu poi inviato in Iran dallo stesso Paolo VI quando venne scoperta la sua affiliazione alla massoneria. E qui si chiude il suo capitolo, ma oramai i danni erano stati fatti. E’ scandaloso apprendere che nel 1967 il Concilium che stava ancora lavorando, diede alla luce un formulario che chiamò “Missae normativa”, elaborato con la collaborazione di ben sei protestanti, e che fu portato ai vescovi per l’approvazione. Il bello è che i vescovi infatti non accettarono questo formulario e che anzi, scatenò come era giusto che fosse, molte reazioni contrarie che alla fine esso venne ritirato ma non gettato, bensì tenuto nel cassetto in attesa di “tempi migliori”. Con astuzia luciferina il testo venne ritoccato qua e là senza modificare la sostanza che aveva invece ottenuto la negazione dei Padri, e portato davanti a Paolo VI il quale, incredibilmente, lo approvò con il nome di“Novus Ordo Missae”. Era il trionfo dell’ala progressista-modernista. Di conseguenza nella Nuova Messa abbiamo il contributo dei protestanti che guarda il caso non credono nella Presenza Reale di Cristo nell’Eucarestia! La nascita di questa Riforma resterà inspiegabile ed incomprensibile nella storia della Chiesa ma i frutti di questa rivoluzione non si fecero attendere:continua su:

PAOLO VI: LUCI E OMBRE DI UN PAPA PRESTO SANTO

di Cinzia Palmacci



SOTTO LA DITTATURA DI SODOMA.

Tutta la solidarietà al medico di Savona che su denuncia  di un arci-gay sta per essere sottoposto a procedimento  disciplinare  dall’ordine  dei medici. La sua colpa: nel suo studio era postato questo:

Ma è meglio che riporti il testo dell’articolo della Adnkronos, che possiate assaporarne il tono odiosamente repressivo, da psicopolizia arrogante..
Titolo:
Terapia per guarire dall’omosessualità”, manifesto choc in studio medico”
svolgimento  dell’Adnkronos:
“Luca era gay ma un giorno accade qualcosa, rientra in se stesso e decide di intraprendere un percorso di conversione, su base psicologica e religiosa, che lo porta a riappropriarsi della sua mascolinità ed eterosessualità”. E’ quanto scritto nero su bianco  [nero su bianco, che scandalo!] su un manifesto affisso in uno studio medico di Savona e finito nel mirino dell’Arcigay locale. Un brano tratto dal volume di Luca Di Tolve ‘Ero gay’ accompagnato da una didascalia che suggerisce di rivolgersi alla comunità terapeutica di Brescia, Lot, per ‘guarire’ dall’omosessualità.
Omosessualità che, dopo il caso del paziente gay “bullizzato” da un medico dell’ospedale Cotugno di Napoli, viene ancora una volta interpretata come una patologia. “Su segnalazione di una cittadina che si riteneva offesa dal manifesto – spiega all’Adnkronos il presidente dell’Arcigay Savona Mirko Principato – mi sono recato nello studio medico per fare una verifica  [lo psico-poliziotto] e ho trovato affisso alla parete il testo abominevole che promuove la guarigione tramite terapie che avvengono nel bresciano”.
“Da qui la decisione di presentare un esposto all’Ordine dei Medici “affinché prendesse provvedimenti contro il medico” [“Subito! Immediatamente! Lo   ordina l’Arcy-pede! Il vostro padrone!]   Peccato, però, che dallo scorso 20 dicembre non ci sia stato alcun riscontro. “Per questo abbiamo deciso di denunciare la vicenda pubblicamente – aggiunge Principato – ci auguriamo che l’Ordine intervenga con delle sanzioni contro il medico e ribadisca che l’omosessualità non è una malattia prendendo provvedimenti disciplinari contro chi avalla la teoria della guarigione”.
“E’ un fatto gravissimo, una violenza su cui è urgente intervenire – gli fa eco il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni [interviene l’Inquisizione Nazionale: tremate medici!]  – si tratta di persone che tentano di convincere altre persone, clinicamente sane, di essere affette invece da una patologia, per poi lucrare sulla fantomatica ‘cura’”. “Questo è un raggiro che si compie sulla pelle delle persone più fragili, infierendo sulle loro insicurezze e costringendole a reprimere i propri istinti e i propri sentimenti – prosegue – Non c’è nulla di più grave di un medico che diagnostica ai pazienti malattie che non esistono”.
L’Ordine non fa alcuna discriminazione tra i pazienti“, riferisce all’Adnkronos il Presidente dell’Ordine dei Medici di Savona Luca Torti, garantendo che l’esposto presentato “verrà esaminato a breve dal Consiglio” che “deciderà se aprire o meno un procedimento disciplinare nei confronti del collega”.
12 gennaio 2018
Fin qui la notizia.
Ora, in un mondo normale, questo comportamento  dei sodomiti militanti sarebbe giudicato per quel che è: la arrogante violazione di alcune delle più  importanti libertà. Dalla libertà di stampa, di pensiero, d’opinione, alla libertà di un medico di proporre una cura – senza imporla.  Del resto loro lo sanno benissimo, di fare un sopruso e una violazione: ma puntano sul  potere di sopraffazione che han dato loro lo Stato e il governo, i “diritti”, la “società aperta” e l’ONU. In un mondo rovesciato, dove vige il loro totalitarismo,   costoro fanno violenza, si attivano in delazioni, esigono “punizioni”. Si aggiunga la particolare malvagità oscurantista di voler sopprimere anche la conoscenza di una possibile terapia per quegli omosessuali che soffrono la loro situazione.
Troppe volte si è ripetuto   – rischiando la galera-  che l’omosessualità è un  grave  disturbo, che provoca   profonda sofferenza  in chi ne è affetto. Tanto è vero che  questi soggetti tendono a suicidarsi 10 volte più dei normali:
http://www.academia.edu/28181008/Preventing_Suicide_Among_Gay_and_Bisexual_Men_New_Research_and_Perspectives
Anche i sodomiti che si sono “sposati” in nozze-gay  si suicidano tre volte più   degli sposati etero.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27168192
Sono soggetti il doppio a depressione con pensieri suicidari, rispetto ai normali ; il doppio soggetti ad alcolismo e tossicodipendenze e “sesso a  rischio”, ovviamente in relazione al loro “stile di vita”.  Non occorre dire che  un “gay” incorre nella vita  molte volte in qualcuna delle  infezioni sessuali, gonorrea, clamidia, sifilide, herpes simplex, papilloma;  tumori opportunistici  ano-rettali. E  ovviamente, l’AIDS, continuamente in crescita fra la comunità.
Soffrono con più frequenza di malattie cardiovascolari, cancro, incontinenza, disfunzione erettile, allergie e persino asma.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK64795/

Una vita di desolazione e solitudine

Ma soprattutto, soffrono di invincibile, tragica, squallida solitudine. E  tutto questo, ormai,  non è più – come credono i militanti – a causa dei “pregiudizi” e della “repressione”  che subiscono nella società.   Ormai, l’accettazione sociale delle coppie  omosessuali è diffusa; anche  i genitori li accettano; possono esibire la loro “preferenza”, andare alle loro feste, godere della massima libertà di vita. Eppure:
“un tempo il tipico carattere del maschio gay era la solitudine che veniva dal nascondersi. Ma oggi abbiamo milioni di maschi gay usciti allo scoperto, eppure sentono lo stesso isolamento”, dice Travis Salway   un ricercatore del Canadian Center for Disease Control  che da cinque anni  cerca di capire come prevenire l’altissimo tasso di suicidi. Ne parla a Michael Hobbes, un giornalista di Huffington Post, un gay di 34  anni; il quale ha l’intelligenza e la sensibilità di porre e sé stesso, ed agli altri  della comunità, la  domanda: come mai sono ancora così infelice, nonostante sia libero  e accettato?
Da leggere il suo ben documentato, dolorosamente sincero  articolo  sulla  “Epidemic of Gay Solitude”   tiotolo  “Together Alone”   –  “Soli anche insieme”:
http://highline.huffingtonpost.com/articles/en/gay-loneliness/
“Paul”, uno di quelli che  intervista, racconta quando fece “coming out” ,  a  17 anni, cercò  i primi amici nella comunità gay. “Non ho trovato un posto per me nella scena gay. Volevo innamorarmi come le coppie etero fanno al cinema.  Ma mi sono sentito trattato come un pezzo di carne. Ho avuto persino paura di percorrere quella strada dei gay”.
“Esci dalla casa di mamma  e approdi in un club gay dove i più sono sotto droga, e ti dici: è questa la mia comunità? E’ come la fottuta giungla là fuori”.
“Tu cresci   con tutta la solitudine addosso, poi arrivi a Castro o Chelsea a Booystown [quartieri con locali queer]   credendo che sarai finalmente accettato per quel che sei, e scopri  di colpo  che non è per la tua omosessualità che vieni rifiutato; ma per il tuo peso, la tua razza, il tuo reddito”.
L’ambiente “gay” è tutt’altro che   solidale: è spietato.   Nelle loro “feste” e  party e incontri, i gay si odiano, si offendono, si  vilipendono,  si dilaniano.
I maschi gay non sono davvero carini l’uno con l’altro”, conferma John, guida turistica di New York. “Nella cultura pop, le drag queen sono famose per far abbassare la cresta e deridere. Ma la cattiveria è quasi patologica. Tutti noi siamo stati profondamente a disagio, o abbiamo mentito a noi stesi, durante la nostra adolescenza. Ma non lo mostriamo agli altri. Così mostriamo agli altri gay quello che il mondo mostra a noi, ossia la malignità”.
“Una volta arrivo ad un appuntamento[per un incontro sessuale]  – ricorda Michael Hobbes, il giornalista – e immediatamente il tizio si alza, mi dice: “Sei più basso di quello che sembravi nella foto”, e se ne va. Alex,  un insegnante di ginnastica, si è sentito dire da un compagno: “Ignorerò la tua faccia se mi scopi  senza  il condom”. Martin, un inglese che vive a Portland,   aveva  messo su forse cinque chili,  e dal suo amante ha ricevuto un messaggio, a Natale: “Una volta eri sexy,  che schifo  sei adesso”. “Tutti quelli che  conosco hanno nella memoria volumi di ricordi di quelle cose cattive che altri gay hanno detto e fatto loro”.
E riflette: “Per altri gruppi  minoritari, vivere   in una comunità di gente come loro – fra negri per esempio o ebrei  – abbassa i livelli di ansia e depressione. Ci si sente vicini a persone che istintivamente ti capiscono. Per noi invece, l’effetto è l’opposto. Molti studi hanno dimostrato che vivere in un quartiere gay comporta più alti tassi di tossicodipendenza e sesso  rischio…anche  nelle relazioni romantiche sono meno soddisfacenti”.
“I maschi gay e  bisessuali confessano che la comunità gay è una grave fonte di  stress. La ragione è che la “discriminazione intra-gruppo” danneggia la loro psiche più che  essere rifiutati da membri della maggioranza. Non hai bisogno dell’approvazione di quelli. Ma  essere rifiutato e umiliato da altri omo è come perdere il solo modo di avere amici e di trovare amore. Essere messo da parte dalla tua gente ti fa più male.

I gay cercano maschilità. Ma cercare maschilità è in sé un tratto femminile…
Gli studi condotti dal professor John Pachankis, della Yale Public Health Institute, hanno trovato una “spiegazione” (se così si può dire) paradossale:  i sodomiti in gruppo si comportano malignamente gli uni con gli altri, perché sono tutti maschi; e vogliono sovrastare gli altri con l loro mascolinità. “Ciò spiega lo stigma contro gli effeminati nella comunità gay”.  Dunque gli omosessuali scherniscono e disprezzano le “femmine” tra loro? Nelle indagini, “i maschi gay dicono che vogliono  mettersi con uno   mascolino, e che vorrebbero agire in modo più maschile loro stessi”. E come mai?
Risposta:  “Forse è omofobia interiorizzata: i gay effeminati sono ancora trattati come “culi” [bottoms], il partner ricevente nel sesso anale”.

I gay  “maschi” scherniscono le “femmine”

Dunque: non in Italia dove l’Arcy-Gay garantisce la sanità, normalità psichica e felicità degli omo, ma nell’America super-liberata, gli omo “maschi”  insultano le “femmine”.  Non è poi così strano, dicono gli studi  condotti nel 2015: nel loro immaginario erotico,  sognano rapporti  un maschio-maschio, possibilmente irsuto- Ovviamente non ne trova poi tanti nell’ambiente (purtroppo i maschi villosi e rudi sono per lo più etero), da qui la continua insoddisfazione nei rapporti sessuali,   il disprezzo; e inoltre, per aumentare il proprio sex-appeal nell’ambiente, “ostentano maschilità”.  Lo confessa uno degli intervistati, “Martin”: “Quando ho fatto coming out, ero troppo magro e delicato, tanto che temevo che i “culi” potessero pensare che ero una  di loro. Per cui ho cominciato a fingere tutto quel mio comportamento iper-mascolino.   Ancor oggi quando ordino un drink abbasso di un’ottava  la mia voce”.
“Il senso di distanza dagli altri non andava via”, dice un altro, “così l’ho curato col sesso. Un sacco di sesso, la risorsa più abbondante nella comunità  gay. Ti convinci che  se fai sesso con qualcuno, hai un momento di intimità. Era una stampella.…a volte  con due o tre tizi alla volta. Appena chiudevo la porta sull’ultimo tipo,   pensavo:  questo non ha fatto centro, proverò con un altro”.
I gay femminili sono a rischio di suicidio ancora più alto degli altri, perché vengono  trattati con il disprezzo e  lo scherno più insultante, dopo il rapporto sessuale, dai “maschi”.

Una certa idea maschio. Virilità, sconosciuta. 
“Elder, il ricercatore di stress post-traumatico, in una indagine del 2015 ha scoperto che il 90 per cento di noi hanno detto che volevano un partner che fosse: alto, giovane, bianco, muscoloso e mascolino.  Per la maggior parte di noi che a  malapena adempiono ad uno di questi criteri, e non parliamo di tutti i cinque, le occasioni d’incontro via  social app forniscono solo il modo  più efficiente per sentirci brutti”, dice  il giornalista.  La malvagità e crudeltà con cui  i gay si rigettano l’un l’altro  mentre si “usano” è parte di un comportamento che essi credono “maschio” (si sa, i maschioni sono bruti); mentre ignorando tutto della virilità, non sanno che  nessun uomo al primo appuntamento con una donna  le direbbe mai: “Sei bassa,  ti credevo più alta”, e se ne va. Ignorano che la virilità  conosce la gentilezza, può permettersi di essere educata e cortese senza  avere il complesso di essere  vista come “effeminata”.
“Viviamo attraverso gli occhi degli altri”, dice Alan Down, psicologo, autore  Velvet Rage, un libro sulla “lotta dei gay contro la vergogna e la validazione sociale”: “Vogliamo avere uomo dopo uomo,  più muscoli, più “status” [fra gli altri sodomiti],  qualunque  cosa ci dia più conferma di noi stessi, sempre fuggevole e breve. Poi ci svegliamo a 40 anni, esausti, e ci chiediamo: è tutto qui?  Allora viene la depressione”:

Un inferno di  spietata sopraffazione

Che non è colpa della “società etero”, ma di come i gay vecchi sono trattati dai giovani gay: loro non hanno  remore politicamente corrette per annichilire   quelle che chiamano “vecchie checche”, che si tingono  e implorano un po’ di sesso”. Va via, brutto e rugoso, eccetera.
Il giornalista Hobbes ha l’onestà di concludere:  anni fa, “ci dicevamo: appena passa l’epidemia di AIDS, la nostra vita diventa normale. Poi: quando avremo il matrimonio, tutto si sistema. Ora: quando obbligheremo   gli altri a smettere  di giudicarci male, tutto andrà a posto.  Continuiamo ad aspettare il momento quando  sentiremo che non siamo diversi dall’altra gente. Ma il fatto è che siamo diversi. E’ ora di accettarlo”.
Consiglio di leggere l’intero lunghissimo articolo, per avere un’idea della infelicità e sofferenza dell’essere “allegro”.  La vita dei gay è  un inferno  patologico, un inferno che in gran parte  si procurano l’un l’altro schernendosi, giudicandosi e disprezzandosi, dominandosi  e dilaniandosi, senza un’ombra di pietà e di comprensione.  Ora, se qualcuno di loro decide di tentare di uscire da questo  inferno, l’Arci Gay poliziescamente sorveglia che ciò non avvenga, censura i manifestini che  la propongono, denuncia il medico che li ha affissi (e non ha “imposto” nulla, solo silenziosamente  proposto). Che dire di  questo atteggiamento?    Nell’aldilà, insegnavano i vecchi parroci,  le anime dannate che si scherniscono e deridono mentre urlano di dolore, non vogliono che si preghi per la loro salvezza; aumenta soltanto la loro sofferenza. Ma qui, dall’inferno si può uscire.  Solo che Arci non vuole.
(Chiudo con una notizia dalla Francia):

“L’omosessualità è un abominio”: la condanna di Christine Boutin  annullata in Cassazione”.

Christine Boutin è una politica di area democristiana.  Nell’aprile 2014,  in una intervista, disse che “l’omosessualità è un abominio”. Trascinata in giudizio da tre associazioni LGBT  che si sono costituite anche parte civile, è stata condannata una prima volta dal tribunale di Parigi, il 18 dicembre 2005, per “provocazione pubblica all’odio e alla violenza”. Lei ha fatto appello, ed è stata di nuovo condannata il 2 novembre 2016. Nuovo appello, i suoi persecutori l’hanno portata fino in Cassazione. A loro sorpresa, la Cassazione ha annullato  le condanne precedenti,  con la motivazione che “anche se le parole incriminate sono oltraggiose,  esse non contengo un  appello o una esortazione alla violenza”.
Ovviamente le associazioni persecutrici hanno “deplorato”  la sentenza di annullamento. Uno dei loro avvocati ha riconosciuto: se avessimo agito contro l’ingiuria, la Boutin sarebbe stata condannata, perché la Cassazione ha riconosciuto che chiamare   l’omosessualità “abominio”.   Ora sappiamo: se qualcuno osa dire di nuovo la stessa  cosa, sulla base dell’insegnamento della Cassazione noi perseguiremo per ingiuria”.
https://www.ouest-france.fr/societe/justice/l-homosexualite-une-abomination-la-condamnation-de-christine-boutin-annulee-en-cassation-5490011
https://www.maurizioblondet.it/la-dittatura-sodoma/ 

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