ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 13 gennaio 2018

Sarà la Madre di Dio e della Chiesa a guidarci

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Rivoluzione e controrivoluzione


Mi capita spesso di ricevere da lettori o parrocchiani virtuali, poi divenuti reali, interessanti stimoli e riflessioni. Ne sono molto grato, non solo a loro per averle condivise con me, ma anche a Colui che ha dotato i Suoi fedeli del sensus fidei e dell’unzione dello Spirito Santo (cf. 1 Gv 2, 20), doni particolarmente utili e preziosi in questi tempi di terribile confusione. Il Signore non ci farà mai mancare l’aiuto di cui abbiamo bisogno in questa prova apocalittica. Anche se non siamo campioni di penitenza e mortificazione, come gli antichi Padri del deserto, raccomando però ad ognuno di fare del suo meglio per rendersi più docile alla voce del Maestro interiore e per migliorare la propria condotta in modo tale da contristarlo il meno possibile: anche se siamo lontanissimi dal poterli eguagliare nell’ascesi, resistere a questa tribolazione senza precedenti – secondo le loro stesse profezie – può renderci più grandi di loro. Ma veniamo al punto.

Negli ambienti tradizionalisti si sente spesso parlare di rivoluzione e controrivoluzione come chiave di lettura della storia, almeno di quella moderna. Indubbiamente ci sono in questa visione elementi di verità, ma non mancano limiti e rischi. Anzitutto c’è il pericolo di ridurre il problema a un fatto ideologico, perdendo di vista quel perenne conflitto tra la luce e le tenebre che – pur senza diventare un principio manicheo – è testimoniato dal Vangelo di san Giovanni: Et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt (Gv 1, 5); san Paolo specifica che la nostra battaglia non è controcreature di sangue e di carne, ma contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti maligni (cf. Ef 6, 12). Una possibile conseguenza di tale riduzione è la divisione dell’umanità in due opposti schieramenti di immutabilmente buoni e insanabilmente cattivi con l’implicita convinzione di appartenere ai primi, mentre l’unica chance che sembra rimanere ai secondi è quella di accettare una conversione intesa come lavaggio del cervello.

Un’impostazione del genere rischia di precludere l’accesso alla grazia a chiunque lo desideri pur senza esser disposto a un indottrinamento forzato, mentre in chi pensa di possedere la dottrina può creare la presunzione di non aver bisogno d’altro, facendo così apparire superfluo ogni sforzo di correzione e santificazione personale, sostituito da una passione disordinata per le discussioni e le controversie. In realtà la vocazione cristiana, lungi dall’esaurirsi in una mera condanna dell’errore e dei vizi che ne derivano, è l’ingresso in un regime nuovo, quello della grazia, che esige la rinuncia a Satana, alle sue opere e alle sue seduzioni (espressa negli impegni battesimali), nonché una lotta quotidiana contro il peccato. La vita nuova, resa possibile dalla fede e dal Battesimo, deve poi manifestarsi in una personalità e una condotta trasfigurate che lascino trasparire i tratti del Salvatore e rafforzino la credibilità della professione di fede. Guai a dimenticare o nascondere l’immensa carica positiva e la potente attrazione contenute nel Vangelo!

La contrapposizione tra rivoluzione e controrivoluzione, oltretutto, rischia di trasporre nel pensiero cattolico quella, estremamente deformante e riduttiva, tra Riforma e Controriforma, che nei libri di storia viene spesso spacciata per un dato indiscutibile che fa apparire la Chiesa Cattolica come un’istituzione costitutivamente retriva, reazionaria, nemica della libertà e del progresso, quando invece essa opera per il vero bene e la vera liberazione dell’uomo, che richiedono però l’intervento della grazia e si compiranno al di là dell’orizzonte storico. Se poi si cerca di combattere la gnosi immanentistica, storicistica e relativistica che domina la cultura contemporanea soltanto con le idee e con una determinata prassi rituale, si può insensibilmente scivolare in un’altra gnosi di segno contrario. Non c’è autentico cristianesimo senza una trasformazione del cuore e della vita; la retta fede deve esprimersi in un retto vivere.

Un’insidia ancor più sottile è che, nell’accanirsi a combattere un fenomeno, si rischia di assorbirne inconsapevolmente mentalità e dinamiche. Anche chi milita con ardente zelo nel campo della controrivoluzione, in effetti, può avere di fatto una forma mentisrivoluzionaria, in base alla quale si pone al di sopra di ogni autorità legittima e giudica ogni cosa a partire dalle proprie opinioni elevate a dogmi, anche in ambiti in cui il Magistero non ha ancora emesso un giudizio definitivo. Ognuno si erge a dottore e finisce con l’escludere dal suo favore chiunque non concordi perfettamente con la sua personale visione, con l’inevitabile effetto di uno sbriciolamento senza fine del fronte. Un atteggiamento genuinamente cattolico riconosce quanto c’è di vero e di buono in ogni posizione che non sia totalmente erronea, ne mostra i limiti e le incongruenze, la corregge e completa con la pienezza della verità e del bene.

Il mio guardare a Oriente non si illude di trovare la panacea per tutti i mali, ma scaturisce da un abbozzo di teologia della storia e da un tentativo di comprensione geopolitica che non siano del tutto impermeabili all’unzione dello Spirito Santo accolta nella preghiera. Non ignoro di certo che, su diversi punti, gli ortodossi siano in disaccordo con noi, ma non sto pensando primariamente al ripristino della comunione ecclesiale, bensì alla necessità di essere liberati dalla dittatura massonica che opprime il mondo e, ormai, anche la Chiesa Cattolica. In Russia si può osservare un’intesa e collaborazione tra l’autorità civile e quella religiosa che, in quella forma e misura, non si vedeva forse dall’epoca di Costantino e che l’ha resa un provvidenziale baluardo contro l’opera satanica di distruzione della persona umana, della famiglia naturale, della società e della vita.

Non so né come né quando giungeremo al superamento dello scisma, ma ho l’intima convinzione che sarà la Madre di Dio e della Chiesa a guidarci verso di esso in modi imprevedibili. Il metodo seguito da san Giosafat, nel XVII secolo, in quel momento storico pareva l’unico praticabile, dopo il rifiuto dell’unione sancita a Firenze nel 1439: il rapitore di anime portò innumerevoli ortodossi alla Chiesa greco-cattolica e pagò il suo apostolato con il martirio. Quando l’accesso al transetto di destra della basilica vaticana non era ancora riservato alle confessioni, andavo a pregare davanti al suo corpo ogni volta che ci passavo. Oggi bisogna tuttavia prendere atto che il Patriarcato di Mosca, sebbene sorto nel 1589 per un’iniziativa politica di Ivan il Terribile (a discapito della sede di Kiev, culla del cristianesimo slavo orientale, allora sotto governo cattolico), è un interlocutore che non si può ignorare, vista la sua vitalità prodigiosa e considerato pure che, da diversi anni, propone a noi cattolici una collaborazione nell’ambito della difesa dell’ordine naturale.

I russi conoscono bene gli effetti delle rivoluzioni, ma i loro Pastori, lungi dal perdersi in sterili controversie, hanno ripreso il cammino riallacciandosi alle radici della loro tradizione, sia pure con un’acuta consapevolezza delle sfide attuali a livello locale e planetario. Anche se il patriarca Kirill ha sottolineato, in un importante discorso, di essere stato intronizzato proprio nel giorno della festa di san Marco di Efeso (l’unico metropolita orientale che si rifiutò di firmare i decreti di Firenze), interpretando il fatto come un’indicazione celeste della missione di difendere l’Ortodossia, credo che abbiamo qualcosa da imparare anche da loro, nonostante le divergenze dottrinali. Nell’intervista di Natale il presule ha ribadito con vigorosa lucidità che una società che equipara il male al bene non può sussistere a lungo ed è prossima alla dissoluzione. L’apocalisse, del resto, non è certo una sua invenzione, ma un dato biblico che va preso sul serio.

La litigiosa frammentazione dei tradizionalisti di casa nostra finisce col fare il gioco degli avversari, indebolendo lo schieramento e rendendolo praticamente inoffensivo. D’altro canto, un motivo di grande consolazione è il poter costatare come il Signore, per le vie più diverse, riporti a poco a poco sacerdoti e fedeli sulla via della Tradizione perenne, riscoperta nei modi più impensati e ritrovata, nel generale disorientamento postrivoluzionario, come la vera patria spirituale e un tesoro vitale che ci era stato sottratto. L’importante è non irrigidirsi in forme di fanatismo irragionevole, ma rimanere duttili all’azione discreta e sicura dello Spirito Santo. Tutte le rivoluzioni danno vita a regimi contro natura che forzano la realtà e violentano le menti, finché la realtà non riprende inesorabilmente il sopravvento e le persone ritrovano la libertà interiore di dire bianco ciò che è bianco e nero ciò che è nero. Nell’ultimo mezzo secolo questo è successo anche nella Chiesa, ma il sensus fidei finisce inevitabilmente col riaffiorare, visto che è un dono soprannaturale.

I rivoluzionari in clergyman intuiscono probabilmente di avere le ore contate e stanno tentando il tutto per tutto per realizzare la propria agenda, ma l’aggressività e intolleranza che li connota è sintomo di estrema debolezza: il loro è un potere basato soltanto sulle menzogne della propaganda e sull’appoggio del sistema massonico che oggi appare imbattibile, ma può dissolversi nel giro di pochissimo tempo. Non conosciamo certo i piani di Dio, ma possiamo presumere che, oltre alle prove, ci riservino grandi sorprese. Il nostro impegno principale, allora, non deve consistere tanto in un rabbioso contrasto alla rivoluzione, quanto in una gioiosa e pacifica riappropriazione di ciò che è nostro: è questo che fa più paura e porta più frutto. Siamo d’altronde innestati su un albero che non può seccare né essere abbattuto. Non praevalebunt!

Lux orta est iusto, et rectis corde laetitia (Sal 96, 11).

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