ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 25 gennaio 2018

Vivere è giudicare

CHI SONO IO PER GIUDICARE?


Disse il falso papa Bergoglio: "Chi sono io per giudicare? Un uomo, e un cristiano, rispondiamo noi. E' una di quelle frasi che piacciono tanto al mondo, perché il mondo non vuol essere giudicato ma vivere non è forse giudicare 
di Francesco Lamendola  

 

Ma infine, chi sono io per giudicare?, disse il falso papa Bergoglio, nel corso di una di quelle interviste rilasciate alla stampa a bordo di un aereo che gli piacciono tanto: si vede che l’alta quota lo stimola allo sproloquio. Ed eravamo ancora agli inizi, mancava la ciliegina sulla torta della piena riabilitazione di Lutero, di ritorno dall’Armenia; e poi quella, assai coreografica, del matrimonio celebrato “al volo”, a 10.000 metri sulle Ande, utilissima anche per distrarre l’attenzione da altre cose più serie e un tantino imbarazzanti, come la faccenda del vescovo di Osorno, Barros, accusato d’aver coperto un caso di pedofilia ma da lui difeso a spada tratta, con poca misericordia per le vittime degli abusi (questo non lo diciamo noi, lo dice a chiare note il cardinale americano Sean O’Malley). La questione sulla quale il papa si diceva non abilitato a giudicare era quella della sodomia; la domanda precisa, da lui stesso formulata (a se stesso: perché questo è il suo stile: mica rispondere alle domande scomode degli altri; a quelle, non risponde proprio, specie se a farle sono degli eminenti cardinali) era: Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Eravamo alla fine di luglio del 2013, Bergoglio era stato eletto papa da qualche mese appena, e già cominciava a mettere in crisi le certezze dei fedeli, a seminare dubbi, a turbare le coscienze con il suo caratteristico stile sudamericano, un misto di disinvoltura fuori luogo e di sfrontata provocazione, e non nel senso buono della parola. Perché se la provocazione è “buona”, anche i frutti sono buoni, nel senso che aprono un percorso di riflessione, di ripensamento, di dialogo; ma le provocazioni di costui sono sempre di segno negativo, distruggono la verità e aprono delle ferite nelle coscienze, ma non sollecitano alcun ripensamento e non instaurano alcun dialogo: anche perché il dialogo, per lui, è un monologo, e a chi gli pone questioni che non sono di suo gradimento, semplicemente non risponde, oppure risponde indirettamente, sfogandosi ad insultarle con gli epiteti più vari e fantasiosi, ma ben poco cristiani e tutt’altro che misericordiosi, con i quali si potrebbe ormai compilare un cospicuo vocabolarietto degli insulti papali.

Quel chi sono per giudicare piacque moltissimo, naturalmente, oltre che a tutte le confraternite nazionali e internazionali dei sodomiti, alla cultura liberal e radical-chic, ai massoni, ai radicali, ai progressisti e agli anticattolici di ogni sfumatura e di ogni latitudine, Pannella e Bonino in testa; e piacque anche, molto, alla lobby gay del Vaticano e a tutti i cardinali, vescovi e teologi gay-fiendly, come il vescovo di Anversa, Johan Bonny, favorevole ad un riconoscimento formale della Chiesa alle unioni omosessuali, e al gesuita James Martin, talmente favorevole al mondo gay, da aver tracciato un bellissimo quadretto di accoglienza piena, festosa e costruttiva per tutti i gay nel seno della Chiesa, con il tocco finale di aver affermato che, se si sfogliassero i Santi del calendario, si scoprirebbe che non pochi di loro erano gay. Ed è piaciuta parecchio, quella uscita sotto forma di domanda e risposta a se medesimo, a tutti i cattolici di sinistra, ai cattolici aperti e adulti, dialoganti e maturi, capaci di chinarsi sui problemi reali nella loro complessità e concretezza, di accompagnare l’altro, di ascoltare senza giudicare (ovviamente), beninteso con la sola e comprensibile eccezione dei cattolici che Bergoglio definisce uccelli del malaugurio, signore e signora piagnisteo, bigotti, clericali, ottusi, seminatori di zizzania, traditori della fiducia, mummie da museo, uomini doppi, rancorosi e malati, eccetera, eccetera, vale a dire i soliti, immancabili, insopportabili tradizionalisti, coi quali è inutile dialogare ed è possibile, anzi, giusto e giustissimo, giudicare, perché si sa che razza di gentaglia sono e non meritano che si vada tanto per il sottile, quando si ha a che fare con loro. Del resto, pareva una domanda-risposta più che evidente: non è forse scritto nel Vangelo che non si deve giudicare, per non essere giudicati? E Gesù, non ha forse svergognato coloro i quali volevano lapidare la donna adultera, apostrofandoli con le parole: Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra? Mirabile, scaltra perfidia del falso papa Bergoglio: quando lancia le sue provocazioni distruttive, il cui unico scopo è confondere le menti e turbare le anime, incrinando la fede, ha sempre l’astuzia di servirsi di espressioni ambigue, che hanno, per un certo verso, una apparenza di plausibilità, anzi, perfino di evidenza, ma che, considerate bene in tutta la loro portata, si rivelano semplicemente devastanti. Di questo genere è la sua affermazione/provocazione: Dio non è cattolico. Di primo acchito, a sentirla, un cattolico ci resta male, poi si dice che, in fondo, è logico, Dio è Dio, non ha mica etichette; però gli resta un disagio, una sofferenza, un tormento interiore, e questa è la spia di una intenzione cattiva da parte di chi l’ha pronunciata. Infine, riflettendo con la calma, si capisce dove sta l’inganno: certo che Dio non è “cattolico”, nel senso che non frequenta il catechismo, non va alla santa Messa la domenica, non fa la Prima Comunione, eccetera, perché Dio è puro spirito e non ha nulla di antropomorfico; ma, considerando la cosa seriamente, si capisce che Dio è cattolico, eccome se lo è, nel senso che Dio è proprio quel Dio di cui ci ha parlato Gesù Cristo, il suo Figlio Unigenito, nonché Dio Lui stesso; sono parole di Gesù: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Quindi, non è affatto vero che Dio non è cattolico, se con ciò s’intende che Dio non è né cattolico, né protestante, né giudeo, né islamico, né buddista, né indù, perché Egli non è il Dio annunciato dai protestanti, dai giudei, dagli islamici, eccetera, ma è il Dio in cui credono i cattolici. Questo, un cattolico è tenuto a crederlo, altrimenti non sarebbe un cattolico, puramente e semplicemente; ed è tenuto a crederlo non per una forzatura esteriore, per una forma di bigottismo, ma perché, se crede in Gesù Cristo, crede anche alla verità delle cose che Lui ha insegnato: e la prima e più importante di tutte è stata proprio quella sopra citata: Chi ha visto me, ha visto il Padre. Non chi ha visto Mosè; non chi ha visto Maometto; non chi ha visto Buddha; e nemmeno chi ha dato retta a Lutero.
E ora vediamo perché la frase: Chi sono io per giudicare ha le apparenze di una frase perfettamente legittima e perfettamente cristiana, mentre non lo è affatto, anzi,  è la negazione del cristianesimo e anche, come diremo, la negazione di qualunque logica e senso comune. Tanto per cominciare, è una frase che scaturisce da una intenzione bassamente demagogica: è una di quelle frasi che piacciono tanto al mondo, perché il mondo  non vuol essere giudicato da nessuno, specialmente se razzola male e sa di razzolare male; ma piacciono un po’ meno a Dio, al quale solamente dovremmo sforzarci di piacere, perché introducono lasoggettività della coscienza, e quindi il principio del relativismo etico, là dove dovrebbe regnare solamente la legge divina, e, in questo caso, anche la legge naturale, essendo la sodomia un comportamento contro natura. In secondo luogo, Bergoglio sa benissimo, anche se finge di non saperlo, che la Chiesa, anche quella che, per lui, è brutta e cattiva, ossia la Chiesa di prima del Concilio – e stiamo parlando di millenovecento anni di storia; mentre la chiesa che a lui piace tanto, al punto di considerarla l’unica meritevole di quel nome, di anni ne ha cinquanta sì e no – non ha mai insegnato a giudicare le persone, bensì i fatti; e a condannare non già il peccatore, ma il peccato. Ora, i fatti sono i fatti; e qui – terza considerazione – c’è poco da menare il can per l’aia: giudicare è un’attività della mente assolutamente naturale, logica e necessaria, perché la nostra intera vita si basa, anche dal punto di vista pratico, su tutta una serie di giudizi che noi formuliamo riguardo alle cose. Vivere è giudicare, e così deve essere, altrimenti non potremmo vivere, dovremmo chiuderci in una bara e aspettare la morte, ma anche quello sarebbe dare un giudizio: giudicare che la vita non merita di essere vissuta. E non solo noi formuliamo continuamente dei giudizi; formuliamo anche dei pregiudizi (sì, proprio i tanto esecrati pregiudizi!), e ciò è del pari utile e necessario, e guai se non lo facessimo. Il pre-giudizio è un giudizio che precede l’esperienza diretta; dunque, a rigore, rifiutare di assumere la droga che un amico mi offre, è frutto di un pregiudizio, perché se non l’ho provata, come faccio a sapere che è una sostanza cattiva? E come faccio a sapere che non si deve entrare dentro la gabbia delle tigri o dei leoni, a meno di essere un domatore esperto, che conosce personalmente ciascuno di quegli animali? Nondimeno, un sano buon senso ci dice che tali pregiudizio sono assolutamente necessari: staremmo freschi, se per formulare un giudizio sulla droga noi dovessimo drogarci, oppure se dovessimo fare la prova di entrare nella gabbia delle belve feroci, per sapere che è preferibile non farlo. Bergoglio, queste cose, le sa benissimo, come chiunque altro, ma vuol fare il piacione, vuol fare il papa buono che non giudica, perché la nuova teologia alla Walter Kasper, alla quale lui si ispira – lui che, teologicamente parlando, possiede una cultura, e anche una sensibilità, che sono al disotto dello zero – ha decretato (si legga il suo libro Misericordia) che Dio non è né giudicante, né condannante. Tradotto: Walter Kasper ha deciso che non vi sarà alcun Giudizio delle anime, né individuale, né finale, e che l’inferno non esiste e non è mai esistito, perché Dio, essendo “buono”, non giudica e non condanna nessuno, ma accoglie tutti in paradiso (come se potesse esistere il paradiso, qualora non esistesse l’inferno). Quarta considerazione: Bergoglio sa benissimo che la morale cattolica non condanna il fatto di avere delle inclinazioni omosessuali, ma la pratica della sodomia. Quindi, la domanda non è se essere gay sia compatibile con la dottrina cattolica, ma se una persona con inclinazioni omosessuali – che sono intrinsecamente disordinate, perché contro natura; ma, di per sé, non sono peccaminose - si abbandoni a quelle inclinazioni, oppure no. Ma questo introdurrebbe un discorso politicamente scorretto, e Bergoglio non ha alcuna voglia di farlo; e cioè, per prima cosa, a domandarsi quante persone realmente siano omosessuali innate, e quante, invece, non lo siano diventate; e, in tal caso, se esse vogliano sottoporsi a dei percorsi terapeutici per tornare a vivere secondo natura la propria sessualità (si chiama terapia di conversione ed è una cosa perfettamente scientifica). Ma ciò scatenerebbe le ire del mondo LGBT, come si è visto nel caso di quel medico genovese che è stato preso di mira proprio perché offre sostegno a quelle persone omosessuali che desiderano uscire dalla loro condizione innaturale. Secondariamente, sarebbe necessario aprire un discorso sulla castità: una pratica, e un relativo concetto, che si sono letteralmente volatilizzati da quando la teologia morale è finita nelle mani di gente come Kasper, Bianchi e Grillo, o i loro equivalenti. E Bergoglio, ripetiamo, è un ambizioso narcisista che farebbe qualsiasi cosa pur di accrescere la propria popolarità, e non è disposto a lasciarsi scappare neppure uno starnuto, se ciò potesse compromettere i suoi indici di gradimento fra la gente, specie fra coloro i quali, pur essendo nominalmente cattolici, considerano il peccato una cosa normalissima e perciò di tutto hanno voglia, tranne che di sentirsi rimproverare la loro vita disordinata. 

Chi sono io per giudicare? Un uomo, e un cristiano

di Francesco Lamendola
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