ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 10 marzo 2018

..e neanche loro..

Quando il cervello lascia il posto alla poltiglia, col compiacimento dell’interessato 


Più tempo passa, più ci tocca sentirne, di belle e di brutte, ma soprattutto di sceme.

Siamo in quella che un tempo era la tranquilla provincia italiana, retta e governata dal buon senso, dal rispetto per le cose semplici e da quello che fino a qualche anno fa si chiamava “timore di Dio”. Ebbene, da questa provincia non più normale, giunge notizia dell’organizzazione di una inconcepibile corbelleria, denominata “festival dell’eresia”.

[chi fosse curioso di leggere il programma, i nomi dei promotori, dei “protagonisti”, dei sostenitori e dei patrocinatori, vada sul sito dello stesso comune
http://www.comune.trivero.bi.it/on-line/Home/articolo53018466.html?largefontsize]

Di primo acchito, uno ha un sussulto, tanto è imprevista la notizia, ma poi sorride beffardo, dicendo a se stesso che dopo che è da un bel po’ di tempo che si inventano, si organizzano e si celebrano i festival più disparati, che più astrusi sono e più sono applauditi, finalmente un bel festival dell’eresia ci voleva, quasi a mettere i puntini sulle i: cos’è il ribollire nauseabondo del mondo moderno se non una sorta di rigurgito incontrollato di eresie?


Sì, è vero, si tratta soprattutto di cose storte e di brutture, ma come potrebbero prendere piede tali cose se prima l’uomo normale non avesse deciso di voltare le spalle a Dio?
Quindi “eresie”, sia nel senso di dileggio e deformazione della Fede, sia nel senso figurato: di incredibili corbellerie, profuse a piene mani da chi ha ormai rinunciato a fare uso di quella ragione concessa da Dio all’uomo, unico nel creato, proprio perché fatto a Sua immagine e somiglianza.

Ma torniamo alla provincia italiana.
Questa bella pensata è venuta in mente ad un buontempone in quel di Trivero, un piccolo paesello vicino alla cittadina di Biella, oggi capoluogo di provincia.
Trivero conta circa 6000 abitanti, ed è collocato a poco più di 700 metri di altitudine nelle Prealpi Biellesi, che fanno parte delle Alpi Pennine, nel Nord-Ovest del Piemonte.
Ci si chiede: cosa diavolo è saltato in mente a questi alpigiani di organizzare il “primo festival dell’eresia”? Saranno mica matti?

Sembrerebbe proprio di sì, ma, cerca… e trovi che lo stesso manifesto di presentazione ricorda che questo piccolo centro ebbe nel 1307 una qualche notorietà, quando sul vicino monte Rubello, detto di San Bernardo, si asserragliarono Fra’ Dolcino e i suoi, incalzati dalle truppe mandate dall’Inquisizione e fuggiti dalla vicina Valsesia che avevano occupata per farne il focolare della loro comunità eretica.




Quest'immagine, che è la stessa presentata nel manifesto sopra: mostra San Bernardo di Mentone che intercede per la vittoria della crociata del vescovo Rainero degli Avogadro di Pezzana contro l’eretico fra’ Dolcino sul Monte San Bernardo a Trivero, dove sorge l’omonimo santuario costruito per celebrare il trionfo della Fede.

Sul monte di San Bernardo, Dolcino e i suoi resistettero invano alle truppe del vescovo di Vercelli, Raniero degli Avogadro, che insieme ad altri armati del novarese, nella Settimana Santa del 1307, mise fine alla predicazione eretica del millenarista Fra’ Dolcino; che venne giustiziato il primo giugno, dopo aver assistito al rogo della sua compagna, Margherita da Trento, e del suo luogotenente, Longino da Bergamo.

Si comprende quindi come certe menti suggestionate da questo fatto medievale, abbiano potuto inventarsi una sorta di valentia locale da ricordare, tuttavia immeritatamente, poiché, vista l’esperienza devastante vissuta nel 1300 dalla gente del luogo, la stessa vicenda di Fra’ Dolcino fu lungi dall’entrare nella loro memoria storica, almeno fino a quando, nell’800, il massone avvocato Brofferio non ebbe la bella pensata, ovviamente interessata in chiave anticattolica, di costruirci su una sorta di leggenda, debitamente corredata di spiriti e anime prave vaganti, di grotte iniziatiche e di tesori nascosti da ricercare, sia metaforicamente, sia praticamente.
Insomma, sulla disgraziata vicenda del frate invasato, finì col costruirsi un’altra ottocentesca falsa epopea libertaria, colma di invenzioni e di favole pur di nuocere alla Chiesa cattolica.

Come si fa a guardare a questa moderna iniziativa piemontese senza andare col pensiero al massone Brofferio e ai suoi sodali di allora e di oggi… affatto scomparsi in Piemonte?

Ma ritorniamo ai giorni nostri, quando leggiamo sulla presentazione di questa bella pensata, patrocinata dalle attuali autorità locali, provinciali e regionali, un breve discorrere di un certo don Luigi Ciotti, prete ultramoderno che di professione fa il lottatore continuo contro quelle che lui ritiene siano le ingiustizie contro i deboli.

Ma prima di leggere ciò che scrive don Ciotti e di renderci conto di come egli veda le cose dal suo osservatorio personale, è meglio dare un’occhiata a questa sua foto con Papa Bergoglio, dove li si vede camminare e chiacchierare mano nella mano… forse questa foto spiega qualcosa!




Don Ciotti presenta, nientemeno, che una sorta di inno all’eresia, ovviamente vista in chiave ciottiana.



Secondo lui, l’eresia sarebbe una “scelta”. E’ vero, ma egli si dimentica di aggiungere che è una “scelta personale”, il che, lungi dal richiamare la scelta del bene rispetto al male, ricorda che la “scelta personale”, fondata sul libero arbitrio di cui Dio ha dotato l’uomo, può solo allinearsi ai Comandamenti di Dio e agli insegnamenti e ai precetti della Chiesa cattolica, che è la Chiesa di Dio;  ogni altra scelta discordante è un rifiuto di Dio.
Quindi, piano con le affermazioni che sembrano intelligenti e che sono invece fuorvianti.

E lo stesso Ciotti lo confessa quando afferma che l’eretico ama la ricerca della verità più che la verità. E lo confessa senza rendersene conto, poiché lascia intendere che “ricercare” la verità, scartando quindi quella offerta da Dio tramite la Sua Chiesa, sarebbe un merito; il che è falso, anche perché o uno la verità la conosce e quindi non ha bisogno di andarla a cercare o uno non la conosce e quindi invano si affannerà a cercarla, poiché anche quando la trovasse, non conoscendola, non la riconoscerebbe.
A questo serve la Chiesa cattolica: a offrire agli uomini la Verità di Dio. Altro che andarla a cercare!

Ma don Ciotti è pervicace nei suoi errori e si permette di affermare che l’eretico – che sarebbe un buono – è colui che non si accontenta “dei saperi di seconda mano”. Ora, sfortunatamente per lui, l’insegnamento e il sapere della Chiesa cattolica sono di ben più che di seconda mano, ma di ennesima mano, eppure sono i soli saperi e i soli insegnamenti veri che l’uomo deve far suoi perché insegnati direttamente da Dio. E come insegna Gesù Cristo stesso: “chi crederà sarà salvato, chi non crederà sarà condannato” (Cfr. Mc. 16, 16).
Quindi, niente eresie, niente ricerca della verità, ma solo adesione con l’intelletto e col cuore, con l’intelligenza e la volontà, a quanto insegnato da Dio tramite la Sua Chiesa.
Chi fa l’“eretico” sarà condannato.

E se l’eretico è “chi ha il coraggio di avere più coraggio”, come dice don Ciotti, è indubbio che oggi colui che ha più coraggio, lungi dal pretendere di fare l’eretico, è chi rifiuta i discorsi degli uomini – don Ciotti compreso – per darsi tutto agli insegnamenti di Dio, fossero anche di ennesima mano.

Se questa è la presentazione dell’iniziativa, non si può dire che sia una cosa intelligente.
Sia perché tra i chiamati “protagonisti” figurano personaggi presi qua e là, tra cui un falso ecclesiastico e un falso teologo di cui non facciamo i nomi per carità cristiana; sia perché gli stessi concetti vengono ripresi e ripetuti: “promuovere un festival che rappresenti un momento di riflessione sull’eresia, intesa come scelta e ricerca di verità, sia in campo religioso, sia…”; il che può significare solo una cosa: promuovere l’errore di contro alla Verità rivelata da Dio, in nome di un superomismo titanico che è lo stesso che ha portato il mondo allo stato miserando in cui si trova oggi e che mira ad andare oltre, fino alla devastazione totale dell’uomo, della famiglia e della società.

Dio permettendo!

di 
Belvecchio

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2401_Belvecchio_Cervello_in_poltiglia.html 
È ora di finirla con l’ossessione per il Diavolo… L’intervento del biblista Alberto Maggi




"Quella del diavolo è stata indubbiamente una trovata eccezionale, un alibi per le malefatte degli uomini...". Mentre si torna a parlare di esorcisti ed esorcismi, ilLibraio.it ospita la riflessione del biblista frate Alberto Maggi, secondo cui "hanno fatto e fanno più danni i cristiani con la loro ossessione del diavolo che quanti ne negavano la presenza..."

SE È SEMPRE TUTTA COLPA DEL DIAVOLO…

Quella del diavolo è stata indubbiamente una trovata eccezionale, un alibi per le malefatte degli uomini (“È il diavolo che mi ha tentato…”). Ma già nel II sec. a.C., l’autore del Libro del Siracide ammoniva che era inutile scaricare sul diavolo quelle che erano le proprie responsabilità (“Quando un empio maledice il satana, maledice se stesso”, Sir 21,27), e con ironia un grande Padre della Chiesa, Origene, affermava: “Sì che se non ci fosse il diavolo nessun uomo peccherebbe” (I Princìpi, III, 2,1).
Al successo della figura del diavolo ha indubbiamente contribuito in passato una puerile leggenda, sorta al di fuori della Bibbia, nel Libro dei segreti di Enoc, che mise salde radici nel cristianesimo dei primi secoli e ha alimentato credenze popolari: quella di Lucifero, il bellissimo angelo castigato da Dio per la sua superbia e trasformato nell’orrendo diavolo nemico dell’umanità.


Nella Bibbia ebraica con il termine satan, (avversario/nemico), tradotto in greco con diabolos, si indicano sia figure simboliche che persone concrete, come Davide, di cui i Filistei dicono “Non venga con noi in guerra, perché non diventi nostro avversario (ebr. satan) durante il combattimento” (1 Sam 29,4). Come figura simbolica, “il satana” svolge un ruolo importante nel Libro di Giobbe, dove non compare come nome proprio, ma sempre come una funzione, che era quella di sovrintendente al servizio di Dio per accusare al suo cospetto i peccatori. Il satana nel Libro di Giobbe non è un nemico di Dio, ma un suo solerte funzionario, un prezioso collaboratore che fa parte della corte divina e viene ricevuto insieme ai figli di Dio, e al quale il Signore si rivolge con grande amabilità (“Il Signore chiese al satana: Da dove vieni?”, Gb 1,7). E il satana insinua a Dio, che si vanta della fedeltà di Giobbe, che forse costui si comporta bene perché tutto gli va a gonfie vele, e ottiene il permesso di metterlo alla prova (Gb 1-2).
La funzione del satana, di accusare gli uomini dinanzi a Dio per poter infliggere loro il castigo divino, tramonta definitivamente con Gesù, che presenta un Dio diverso da quello della religione: non è vero che Dio premia i buoni e castiga i malvagi, ma a tutti offre incondizionatamente il suo amore, “perché egli è benevolo verso gli ingrati e malvagi” (Lc 6,35).  Per questo Gesù, come effetto della sua predicazione, può annunciare “Vedevo il satana cadere dal cielo come una folgore” (Lc 10,18). La funzione del satana, di accusatore degli uomini, viene meno con un Dio che non castiga ma che ama anche i peccatori, e il diavolo viene così espulso dalla corte divina (“È stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte”, Ap 12,10).



Anche nei vangeli il satana/diavolo ha un ruolo marginale e appare come personaggio in azione unicamente nell’episodio delle tentazioni del deserto (Mt 4,1-11). Gli evangelisti non intendono trattare dell’esistenza o meno del diavolo, ma offrire indicazioni per indicare chi è. Mentre Dio è l’Amore che si pone al servizio degli uomini per renderli liberi, il diavolo è figura del potere che li domina e li sottomette. Per Gesù sono i capi religiosi ad avere “per padre il diavolo” perché sacrificano gli uomini al proprio interesse, mascherato dietro la dottrina,  e sono come il loro padre menzogneri e omicidi (Gv 8,44). Gesù apostrofa come satana anche i due discepoli traditori: Pietro che vuole intralciare la sua missione (“Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo”, Mt 16,23) e Giuda, il ladro (“Eppure uno di voi è un diavolo! Parlava di Giuda”, Gv 6,70-71; 13,27).
Nel linguaggio comune diavoli e demòni sono due nomi per indicare la stessa realtà. Non così per gli autori sacri che distinguono sempre tra il satana/diavolo e i demòni. Questo ultimo termine nasce quando tra il III e il II sec. a.C. la Bibbia venne tradotta dalla lingua ebraica a quella greca. I traduttori, in una cultura teologicamente più evoluta, si imbatterono in residui della mitologia babilonese assorbita dagli ebrei nei due secoli nei quali Israele fece parte dell’impero persiano, e tradussero con “demòni” quegli esseri intermedi tra il divino e l’umano quali erano, tra gli altri, le sirene (metà donna e metà uccello) e i sàtiri (la rappresentazione iconografica del diavolo, essere metà capra e metà uomo, si rifà proprio ai sàtiri, in particolare alle raffigurazioni del dio Pan).
Le origini dei demòni venivano ricercate in un passo mitologico del Libro della Genesi: “C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo – quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi” (Gen 6,4).  Gli scritti apocrifi tra il III e il II sec. a.C. si servirono di questo brano per giustificare la nascita dei demòni, considerati il frutto di questa unione (Gd 5-6).


Al tempo di Gesù la credenza nei demòni era talmente fiorente che di notte era vietato salutare chicchessia per timore che potesse essere un demonio (Sanh. 44°), e tutto quel che aveva cause inspiegabili ed era sconosciuto all’uomo, dalla depressione all’epilessia, dal sonnambulismo all’ubriachezza, era ricondotto a un’azione demoniaca.
Nella Bibbia ebraica è completamente assente l’idea di persone possedute dal diavolo o dai demòni, e non si trova un solo caso di indemoniato. Ugualmente nel Nuovo Testamento non esistono casi di persone possedute dal diavolo, ma solo dai demòni, figure popolari adoperate dagli evangelisti per indicare dottrine o ideologie che, volontariamente accolte dagli uomini, li possiedono e rendono ostili all’insegnamento di Gesù. Nei loro confronti Gesù non compie alcun rituale esorcistico, ma li libera con la potenza della sua parola (“Che è mai questo? Un insegnamento nuovo dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono”, Mc 1,27.39).
È pertanto alquanto singolare vedere come la figura del diavolo, irrilevante nella Sacra Scrittura, abbia assunto nel corso del tempo dimensioni spropositate nella vita dei credenti, al punto che molti cristiani sembrano credere più nell’onnipresenza del tentatore che in quella del Salvatore. Hanno fatto e fanno più danni i cristiani con la loro ossessione del diavolo che quanti ne negavano la presenza, basti pensare per il passato alla mattanza di decine di migliaia di donne torturate e bruciate vive perché ritenute ree di commercio carnale con il diavolo e, per l’attualità, alle tante donne vittime di sedicenti esorcisti che, con il pretesto di liberarle dal demonio, le sottomettono a ogni forma di violenza psichica e fisica.

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vitaRoba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede)Parabole come pietreLa follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.
di Alberto Maggi | 01.03.2018

Papa Francesco e il rivoluzionario concetto di salvezza eterna

Nella sua ultima lettera apostolica "Placuit Deo" Bergoglio sostiene che la vita eterna è un bene a cui nessuno è escluso al di là della fede professataOrazio La Rocca

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"La salvezza eterna, dono che Dio riserva a tutti i cristiani, ma anche ai credenti di altre religioni, uomini e donne diversamente credenti, non cristiani". È il punto centrale dell'ultima Lettera apostolica, la “Placuit Deo” (Piacque a Dio) pubblicata da papa Francesco in cui è scritta a chiare note una “verità” evangelica destinata a far discutere e far sollevare le critiche degli oppositori del pontefice argentino dentro e fuori il Vaticano: la vita eterna è un bene Divino a cui “nessuno è escluso” al di là della fede professata.
Parole di istintivo buon senso, specialmente per quanti hanno a cuore il dialogo interreligioso e l'incontro delle fedi, ma che lette in un documento papale non possono non avere una carica a dir poco rivoluzionaria
Il documento – presentato nella Sala stampa della Santa Sede dal prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede , l'arcivescovo Luis Ladaria – è stato inviato dal Papa a tutti i vescovi del mondo per esortarli ad essere più attenti nel trasmettere il vero significato della tradizione cristiana in materia di “salvezza divina e vita eterna”, mettendo al centro della fede il “sacrificio di Cristo, figlio di Dio che, facendosi uomo, ha dato la sua vita per salvare l'umanità”.
Ma senza chiusure, aprendosi al mondo contemporaneo, attraverso “il dialogo, la condivisione, l'incontro con gli altri” e soprattutto il dialogo interreligioso, perchè “negli imprescrutabili disegni divini la via della salvezza si può trovare in tutti gli uomini di buona volontà”.
Una esortazione dotata di indubbio coraggio, destinata a far discutere e magari a far storcere i naso a quelle componenti ecclesiali – tra le quali campeggiano anche diversi cardinali – di stampo conservatore, più o meno contrarie all'opera di rinnovamento pastorale ed ecclesiale iniziata da Bergoglio che il prossimo 13 marzo festeggerà il quinto anniversario di pontificato.

La salvezza eterna

Ma ecco come il papa spiega il suo rivoluzionario concetto di “salvezza eterna aperta a tutti” nella Placuit Deo, partendo da quanto sullo stesso tema in passato hanno accennato due suoi predecessori, Pio XII e Benedetto XVI, ma con un linguaggio ancora più chiaro ed incisivo. “La consapevolezza della vita piena, la vita eterna, in cui Gesù Salvatore ci introduce – scrive, tra l'altro, Francesco - spinge i cristiani alla missione, per annunciare a tutti gli uomini la gioia e la luce del Vangelo. In questo sforzo” gli stessi cristiani “ saranno anche pronti a stabilire un dialogo sincero e costruttivo con i credenti di altre religioni, nella fiducia che Dio può condurre verso la salvezza in Cristo tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia...”.
Per Bergoglio “le recenti trasformazioni culturali” fanno sempre più fatica...di fronte al cristianesimo che proclama Gesù unico Salvatore di tutto l'uomo e dell'umanità intera". Difficoltà legate da una parte a forme di “individualismo che tende a vedere l'uomo come essere la cui realizzazione dipende dalle sole sue forze"; dall'altra, ad una "visione di una salvezza meramente interiore, la quale suscita magari una forte convinzione personale, oppure un intenso sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato". Due "deviazioni", avverte il papa "che assomigliano in taluni aspetti al pelagianesimo e allo gnosticismo, due antiche eresie dei primi secoli cristiani...".  

Vale a dire, un “neopelagianesimo per cui l'individuo, radicalmente autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere che egli dipende, nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri"; e "un certo neo-gnosticismo che presenta una salvezza meramente interiore, rinchiusa nel soggettivismo".
Il  cristiano, invece, ricorda il pontefice, è bene che non dimentichi mai che "la fede in Cristo ci insegna, rifiutando ogni pretesa di autorealizzazione, che la salvezza si può compiere pienamente solo se Dio stesso lo rende possibile, attirandoci verso di Sé” e che “la salvezza piena della persona non consiste nelle cose che l'uomo potrebbe ottenere da sé, come il possesso o il benessere materiale, la scienza o la tecnica, il potere o l'influsso sugli altri, la buona fama o l'autocompiacimento".
Inoltre "è necessario affermare che, secondo la fede biblica, l'origine del male non si trova nel mondo materiale e corporeo, sperimentato come un limite o come una prigione dalla quale dovremmo essere salvati". Al contrario, "la fede proclama che tutto il cosmo è buono, in quanto creato da Dio, e che il male che più danneggia l'uomo è quello che procede dal suo cuore". Da qui, l'esortazione papale a tutti i cristiani e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà a “rafforzare il dialogo e l'incontro, anche con fedeli di altre religioni perchè la grazia è un bene invisibile che si nasconde in tutti i cuori”.
  https://www.panorama.it/news/cronaca/papa-francesco-e-il-rivoluzionario-concetto-di-salvezza-eterna/

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