ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 10 marzo 2018

“Lei non sa in che guaio si è messo”

  • INFOVATICANA

Il Vaticano in guerra contro un sito "scomodo"

Chiudere la bocca a un giornalista non allineato. La Segreteria di Stato della Santa Sede ingaggia un blasonato studio legale vicino alle ideologie Lgbt per mettere il bavaglio al giornalista spagnolo Gabriel Ariza di Infovaticana. La scusa? "Il nome della testata crea concorrenza sleale". "E' una minaccia - dice lui - perché il Vaticano non è un'impresa che vende prodotti”.
Ariza con la sua famiglia a Roma dal Papa

“Lei non sa in che guaio si è messo. Le sguinzaglierò alle calcagna i migliori avvocati della città”. E’ la classica frase che il potente di turno utilizza per intimorire il giornalista dalla schiena dritta che non si vuole piegare a certe logiche. Un topos, che nel mondo del giornalismo capita spesso di vivere. Questa volta però vede protagonista la Segreteria di Stato Vaticana che ha deciso di dichiarare guerra a un sito di informazione considerato scomodo. Il sito è spagnolo e si chiama Infovaticana e da alcuni mesi a questa parte sta fronteggiando una costosa battaglia giudiziaria sull’utilizzo del logo e della testata che secondo il Vaticano viola le leggi sulla concorrenza.

Il suo fondatore è il giornalista Gabriel Ariza che rispedisce al mittente le accuse e la richiesta di chiudere il dominio, che per un giornale significa sostanzialmente tappare la bocca alla libertà di espressione. Ariza dice di non mostrare alcun timore, neppure tenuto conto che per la causa, il Vaticano si è affidato allo studio legale più quotato al mondo: lo statunitense Baker & McKenzie, multinazionale che solo dal nome mette paura e che da sette anni si aggiudica il gradino più alto del podio nella speciale classifica dei posti di lavoro più gay friendly. Nulla di strano, se non fosse che con tutti i legali che ci sono a Roma, il Vaticano ha scelto proprio questo. Ma la professionalità, com’è noto, si paga.
Questa la vicenda: fino a qualche tempo fa il portale Infovaticana metteva in testata le chiavi, simbolo del munus petrino, ma dopo le sollecitazioni dell’ufficio legale americano, Ariza ha deciso di sostituirle con un pennino di una stilografica. Curioso, perché a ben guardare sembra di scorgervi in realtà una stilizzazione della mitra, che però è anche un simbolo vescovile. Ma non basta.
Insegne a parte infatti, non è solo il logo che interessa al Vaticano, ma il nome stesso della testata. La quale si chiama Infovaticana proprio perché si occupa di informazione inerente a ciò che succede in Vaticano e cioè in senso lato nella Chiesa. Si occupa dunque di informazione religiosa, come tanti siti nel mondo, i quali non devono certo chiedere permesso alla Santa Sede per poter esercitare un loro diritto. Ma questa volta la Segreteria di Stato ha deciso di andare fino in fondo.
L’accusa, in un tripudio di carte bollate e diffide legali, è la seguente: chiamandosi Infovaticana, potrebbe indurre in errore il lettore a ritenere che si tratti di un sito ufficiale di informazione dell’istituzione vaticana. “Concorrenza sleale”, dunque, “competencia disleal”. Questo il cuore della corposa denuncia che lo studio legale ha presentato alle autorità spagnole.
La notizia è stata data in prima persona da Ariza ed è rimbalzata in poche ore anche in Italia, su blog e giornali. Il Messaggero ad esempio non esita a definire il portale di informazione “scomodo” in Vaticano, lasciando dunque intendere che siamo di fronte al classico “lei non sa chi sono io” citato in apertura di articolo. Non proprio un bel biglietto da visita per la Chiesa che ultimamente predica parresia (franchezza) e misericordia. 
Infatti, mentre Ariza resiste e si dice pronto ad andare avanti in quella che è una battaglia di libertà di espressione, arriva anche il vero motivo della richiesta di chiusura del sito: è una denuncia presentata dal cardinale arcivescovo metropolita di Madrid Carlos Osoro Sierra presso la nunziatura in cui si denuncia che il sito in realtà è spesso troppo critico. Insomma, non proprio la miglior strategia per chiudere la bocca: utilizzare una questione nominalistica, per giustificare la censura di un sito scomodo.
Roba da regalare ad Ariza il premio Pulizer d’ufficio. Ma si vede che le strategie d’Oltretevere seguono altre logiche.
Ariza con i suoi avvocati, nel frattempo, replica colpo su colpo e si dice per nulla intenzionato a cedere a quelle che sono in realtà minacce a tutti gli effetti. “Anzitutto – spiega il giornalista spagnolo alla Nuova BQ – perché il Vaticano vuole soltanto intimidirmi, loro sanno perfettamente che non hanno nessuna possibilità giuridica, ma utilizzano la minaccia. Io sono più che tranquillo”.
Ciò che poi depone a favore di Ariza è la sproporzione dei contendenti: da un lato l’Istituzione divina bimillenaria, il potere in attività più antico della storia dell’umanità e dall’altro un piccolo sito internet. C’è chi, nel commentare la notizia, non ha esitato a scomodare Davide e Golia, con la Chiesa nella parte del gigante “cattivo”.
Secondo il giornalista dunque “ci attaccano perché siamo scomodi alle gerarchie spagnole, che si fanno scudo così con gli uffici legali vaticani: abbiamo pubblicato la notizia che il cardinale arcivescovo di Madrid non possiede le quattro lauree che sul suo curriculum vanta (Filosofia, Teologia, Pedagogia e Matematica) e questo non ci viene perdonato. Così come non siamo graditi per aver denunciato l’affidamento da parte dei vescovi di un costoso servizio di catering al fratello del segretario generale della Conferenza Episcopale Spagnola”.
A causa di questo giornalismo d’assalto e che un tempo si sarebbe definito “non convenzionale”, Infovaticana si è attirata dunque gli strali di qualche signorotto di sagrestia e la cosa è arrivata Oltretevere. Almeno questa è la ricostruzione di una delle parti in causa.
L’altra invece fa parlare le carte bollate. Ma anche nel merito della richiesta, secondo i legali di Ariza, non ci sono ragioni: “Mi accusano di concorrenza sleale? Dunque la Chiesa si ritiene un’azienda come un’altra? Quali prodotti venderebbe?”. La linea difensiva di Ariza in sostanza scende sul terreno dello studio legale per contestare alla radice il concetto di concorrenza sleale per un’istituzione che esiste non per affermare i propri prodotti secondo logiche commerciali o produttive. La battaglia legale dunque verterà su questo aspetto. Anche in Spagna, come nelle moderne democrazie, le politiche di concorrenza sono regolamentate dal diritto e quando questa è sleale lo si deve evincere da precisi riscontri. Ma si tratta comunque sempre di un contesto economico e finanziario avulso dal “core business” della Chiesa che non è quello di fare profitti economici diffondendo il Vangelo di Cristo.
Tanto più che il dominio di Infovaticana è registrato correttamente all’autorità spagnola, Ariza ne è proprietario e, semmai, visto che si stanno utilizzando leve che appartengono al mondo economico, il Vaticano potrebbe piuttosto proporre un accordo economico comprando il dominio. Ipotesi questa che non sembra essere percorribile da nessuna delle parti. Anzitutto perché in questo senso passerebbe il concetto che il Vaticano ha comprato il silenzio di un giornalista non gradito e la cosa sarebbe per la Santa Sede un danno d’immagine, ma anche non conveniente per Ariza, che non ha nessuna intenzione di farsi mettere il bavaglio: “Io lavoro a Infovaticana nel tempo libero e utilizzando i miei risparmi – prosegue -. Un mio lavoro ce l’ho: sono direttore finanziario di una società che non ha a che fare con il Vaticano. In più sono avvocato”. Come a dire: il Vaticano avrà anche trovato lo studio legale più muscoloso del pianeta, ma Ariza non intende cedere di un millimetro su quelli che ritiene essere i suoi diritti perché “io con questa attività non voglio fare soldi, ma questo è il servizio che io, come suo figlio e battezzato, voglio rendere alla Chiesa. Infovaticana è il mio discernimento, chi può giudicarmi?”.
Ragionamento che non fa una grinza. Unito ad un altro più logico: “Sarebbe come se il sindaco di New York pretendesse di far chiudere il New York Times o se la lo Stato italiano si opponesse alla pubblicazione del quotidiano la Repubblica”.
Tanto più che, in casi come questi e dato che si scomoda l’etimologia, qui siamo di fronte a Infovaticana e “vaticana” non è il sostantivo, che indicherebbe eventualmente in misura più precisa un toponimo per un’informazione proveniente dal Vaticano, ma è riferito alle cose inerenti al vaticano. La differenza tra il sostantivo e l’aggettivo utilizzato potrebbe essere decisiva per far valere Ariza sulla Santa Sede. Anche perché esistono molti siti che si richiamano come aggettivo al Vaticano: “Alcuni di questi – conclude Ariza - lo utilizzano persino associandolo alla caratteristica di essere infiltrati oltre le mura leonine. Però non vengono toccati. Perché?”.
http://www.lanuovabq.it/it/il-vaticano-in-guerra-contro-un-sito-scomodo

VIETATO DIRE “GLOBALISTA”: E’ ANTISEMITA (Allora è vero..).














Il giornalista di Fox News, John Robert, chiede: Cohn “è un notorio sostenitore del libero commercio, un globalista.

Il presidente lo sostituirà con un altro globalista, un altro liberista?”. Il   giorno prima  un uomo di Trump, Mick Mulvaney, direttore dell’ufficio amministrativo della Casa Bianca, nel salutare il dimissionario Cohn, aveva twittato: “Mai avrei immaginato di lavorare così bene con un “globalista”. Cohn è uno degli uomini più intelligenti  con cui ho lavorato”. Terzo, Trump in persona, giovedì, parlando di Cohn, ha detto: “E’ un globalista, è indiscutibile, ma sapete, è a suo modo è anche un nazionalista perché ama la patria”.
Titolo dell’Huffington Post: “La Casa Bianca ha usato  con noncuranza  il termine antisemita tre volte in una settimana”.   Ma soprattutto, una valanga di tweet: “Nemmeno più  lo nascondono!”; “E’ consolante vedere il mio governo usare il più comune linguaggio antisemita”; “Orrendo! Globalista  sta per Giudeo nello slang degli alt-right, e adesso è stato reso mainstream dai giornalisti accreditati”.
In effetti, in agosto il New York Times aveva pubblicato un articolo    sul glossario delle “destre” (Alt-right) dove avvertiva che “globalista” è un eufemismo per “giudeo”
Dunque la parola “globalista” va censurata, espulsa dal discorso pubblico, come la parola “negro”; ma  il lato più agghiacciante è che a mobilitarsi in questo processo alle  intenzioni  è stato il pubblico, centinaia di tweet di protesta,  che ha agito da psico-polizia collettiva e spontanea.
Ovviamente questa censura, che sta cominciando ad essere imposta dalla popolazione Usa e presto (vedrete) sarà imposta da noi dai custodi nostrani della neolingua, esprime anche la verità  meta-politica del nostro tempo.
Sì,  l’ordine economico politico “globale” è il Regno d’Israele   che si sta compiendo  sotto l’azione potente e incessante dei signori del discorso.
Poco importa ormai se Trump porrà o no i dazi sull’acciaio o le auto,  si accorderà con Kim o  farà la guerra all’Iran come gli chiede Sion.  Ha già fatto quello che, per la meta-storia, doveva  fare: spostare l’ambasciata USA a Gerusalemme, ossia riconoscere Gerusalemme sola capitale dell’ebraismo; Gerusalemme con la sua Roccia, il solo luogo al mondo dove gli ebrei possono evocare sacramentalmente YHVH.  Trump può anche finire ed essere buttato via, adesso.
E’ aperta  la strada quella realtà che Ben Gurion, fondatore dello  Stato d’Israele, apparentemente un irreligioso laicista, chiamò – davanti alla Knesset nel  1956-   “la restaurazione del regno di David e Salomone” ,  e   con precisi connotati di  una “federazione mondiale”. Previde  che  Gerusalemme  sarebbe stata “la sede della Corte Suprema dell’Umanità, per dirimere tutte le controversie fra i continenti federati,come profetizzato da Isaia”.
(David Ben-Gurion, Amram Duchovny, David Ben-Gurion, In His Own Words, Fleet Press Corp., 1969, p. 116)
Il profeta Isaia infatti (2:3-4)  profetizza che  “alla fine dei giorni”, quando “il tempio del Signore sarà eretto sui monti”  (cioè ricostruito), “da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli”.  Un arbitro divoratore, secondo il Deutero- Isaia: “Vi nutrirete  della ricchezza dei goym” (61:6) e “il popolo e il regno che non vorranno servirvi periranno,   le  nazioni saranno completamente sterminate” (60:12) – realtà  che i popoli del Medio Oriente hanno già sofferto sulla loro carne.
Come ha sottolineato il saggista  Laurent Guyénot, grande studioso di ebraismo,  quello di Ben Gurion non è affatto un sogno. E’ un progetto che si sta fabbricando. Nel 2003, si riunì un Jerusalem Summit,   con Netanyahu, Avigdor Liberman  e una dozzina di neocon “americani”, da Daniel Pipes a  Morris Amitay (vice-capo del JINSA, Jewish Institute for  National Security Affairs,   lo strategico collegamento della lobby col complesso militare-industriale), fino a Richard Perle, uno degli artefici, nel governo di Bush jr., dell’11 Settembre e della invasione americana dell’Irak, e dell’assassinio di Saddam.  Ebbene: questo  vertice riaffermò testualmente che “uno degli obbiettivi della rinascita divinamente ispirata di Israele è di fare di esso il centro della nuova unità delle nazioni, che  porterà all’era di pace e  prosperità prevista da profeti”.
Si vede chiaramente che il governo mondiale viene inteso da costoro non come ordinamento politico, ma il compimento  delle promesse messianiche.  Alfred Nossig, un  intellettuale  sionista che collaborò con la Gestapo per la selezione degli ebrei nel ghetto di Varsavia, scrisse in Integrale Judentum(Berlino 1922): “La comunità ebraica è più che un popolo nel senso politico moderno. E’ il depositario di una missione storica globale, direi anche cosmica, affidatagli dai suoi antenati fondatori, Noè e Abramo, Giacobbe e Mosé.  La volontà dei nostri antenati non fu di fondare una tribù, ma un ordine mondiale destinato a  guidare l’umanità nel suo sviluppo”.  Prima ancora, Kaufmannk Kohler, uno  dei grandi del cosiddetto giudaismo riformato americano, scrisse  nel suo Jewish Theology (New York 1918) : “Israele, il Messia  sofferente dei secoli, alla fine dei giorni diverrà il trionfante Messia delle nazioni”.
Guyénot, nel suo importante excursus,     tratta appunto del tema: “Quanto è sionista il  Nuovo Ordine Mondiale?”
Egli si  dedica a lumeggiare il paradosso per cui “il popolo più separatista  della terra”, il più “tribale”, sia anche   quello che predica il massimo universalismo ideologico; e ne fa risalire l’origine al YHVH biblico, ambiguamente “Dio del Cielo” e però il Dio genetico di Israele, “che è Dio in Gerusalemme” (Esdra 1:2-3), che ha portato ebrei contemporanei a  parlare dell’ebraicità come essenza dell’umanità. Il giudaismo “è un particolarismo che condiziona l’universalità”  (sic), sicché “c’è un’ovvia equazione tra Israele e l’Universale”, anzi “Israele equivale all’Umanità”: così  Emmanuel Lévinas (Difficile Libertà, Saggi sul Giudaismo).
E’ una concezione carnale  e razziale, orizzontale e aberrante di Dio stesso: “Nel cuore di ogni pio ebreo, Dio è un ebreo – Noi e Dio siamo cresciuti insieme – noi abbiamo  bisogno di un mondo nostro, un mondo-Dio, che non è nella vostra natura, o gentili, di costruire”. Così Maurice Samuel in Voi Gentili (1924).   Poiché chiunque sia  rimasto un poco cristiano sente in questo progetto  un sentore anticristico, violentemente avverso a quel Gesù che disse: “Il Mio regno non è di questo mondo”,   a noi interesserebbe sapere   qual è  l’atteggiamento della gerarchia cattolica di fronte a questo ordine che si sta costruendo  a tappe accelerate.
Da una rivista informatica siamo stati informati che “tra l8 e l’11 marzo”,  si tiene in Vaticano “una lunga sessione che coinvolgerà 120 studenti  per  36  ore su temi che sono cari alla Chiesa: inclusione sociale, dialogo interreligioso e assistenza ai migranti e rifugiati”.
Fino a ieri i temi cari alla Chiesa, e su cui cercava  di istruire i giovani, erano  cose come: il rischio della dannazione eterna, il modo per salvarsi dall’inferno, i  sacramenti, i dieci comandamenti. Oggi sono il dialogo interreligioso e l’assistenza ai migranti, di cui si vuole la “inclusione sociale”: sono temi di un ordine orizzontale e globale che ricalca il “globalismo messianico” dell’ebraismo che si sente vicino alla meta  di costruire a Gerusalemme il tribunale supremo dell’Umanità. .
Col precipitare degli eventi che portano a Gerusalemme capitale dell’ebraismo, la probabile ricostruzione del Tempio  come coronamento pseudo-religioso del Sionismo, assume tutto il suo tremendo significato quel documento della  Pontificia Commissione Biblica, Vaticano, © 2001, dal titolo «Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana». Clicca qui per leggerlo integralmente. Era allora prefetto della Congregazione della Fede –   ossia custode dell’ortodossia –   J. Ratzinger; il quale era anche d’ufficio  Presidente della Commissione stessa, quindi approvatore del documento, che loda altamente nell’introduzione.

Ratzinger: “L’attesa ebraica non è vana”.

In quel documento  si  afferma che “l’attesa messianica ebraica non è vana” – ossia che  coloro che hanno rifiutato Gesù come Messia, hanno ragione di aspettare un altro compimento: ora vediamo che cosa è il “compimento” che si sta attuando in Israele. Il Messia collettivo.
Come ben predicarono  i gradi padri della Chiesa, il Messia che attendono gli ebrei sarà l’Anticristo.  Ma la Chiesa modernista si è posta nelle condizioni di riconoscerlo come legittimo Messia, proprio in quel tremendo documento pontifici. In esso, infatti, si invita il cattolico a  sforzarsi di leggere la Bibbia, l’Antico Testamento, come lo leggono i giudei. “I cristiani possono e devono ammettere che la lettura ebraica della Bibbia è una lettura possibile, che si trova in continuità con le sacre Scritture ebraiche dall’epoca del secondo Tempio».
Per secoli,  i cristiani hanno letto la Bibbia come una  metaforica “storia sacra” dove si adombra la futura venuta di Gesù di Nazaret come Messia,   in profezie via via più precise e realizzatesi durante la vita  del Nazareno.  E’ un errore, perché “più si trova evidente il riferimento al Cristo  nei testi veterotestamentari, più si ritiene ingiustificabile e ostinata l’incredulità degli ebrei».
Ora, si capisce che la ragion d’essere  dei cristiani non è di credere in Gesù e salvarsi l’anima attraverso l’Eucarestia; è di giustificare e scusare  l’incredulità ebraica in Gesù, “riconsiderare la loro interpretazione della Bibbia ebraica, l’Antico Testamento».  Poi la frase agghiacciante, fatale:  la Pontificia Commissione, e con essa Ratzinger, si domanda “se i cristiani non debbano rimproverarsi di essersi impadroniti della Bibbia ebraica facendone una lettura in cui nessun ebreo si riconosce».
Ora, perché dovremmo preoccuparci se “nessun ebreo si riconosce” nella “lettura” cristiana della Bibbia?  E’ la “lettura” che diedero i primi apostoli  tutti ebrei, che diede  l’ebreo Paolo  –  è la ”lettura”  della Bibbia che diede in persona, evidentemente, Gesù di Nazaret, altrimenti i primi apostoli, tutti ebrei, non avrebbero osato inventarla. E’ovvio che “nessun ebreo” vi si riconosca, perché non riconosce in Gesù il Messia.   Adesso, poi, vediamo molto concretamente quale è  la “lettura “ biblica che gli ebrei: “il governo mondiale ebraico”; Gerusalemme “tribunale dell’Umanità federata, “ ti nutrirai delle ricchezze della  nazioni”;  le “distruggerai completamente”  se si ribellano.  Questi stermini sono  già in corso. E se si usa la parola “globalista”, si  è accusati di essere  “antisemiti”.  E già la gerarchia vaticana   collabora al governo mondiale, e sorveglia che non si commetta il peccato di antisemitismo, ossia di non-globalismo. In attesa di salutare il loro Messia.
La Roccia delle loro brame
Haram Er Sharif, il nobile Santuario, fu terminato nel 697 dal nono califfo ommyade, che chiamò per realizzarla maestranze di Bisanzio.  Queste costruirono l’edificio come  un martyrion,ossia come uno scrigno architettonico  dove si conservano reliquie  sante. Infatti non è una moschea: l’interno lo  mostra:

La reliquia è la Roccia. La Roccia di Abramo, dove  si dice che Abramo stesse per sacrificare suo figlio. Questa Roccia era inglobata nel Tempio ebraico, e solo lì si poteva validamente effettuare il sacrificio dell’Agnello, il cui  scopo era rinnovare l’Alleanza con JHVH. Quando Gesù dice a Simone di Galilea: “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa”, è a questa Pietra che allude. La Pietra che rende valido il sacrificio eucaristico.  Per gli ebei, prendere possesso della Roccia e celebrarvi il rito, rinsalderebbe il Patto che YHVH ha stretto con loro, legittimando divinamente il loro potere “globale”.


 https://www.maurizioblondet.it/vietato-dire-globalista-antisemita-allora-vero/

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