ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 18 aprile 2018

Le cose stanno veramente così?

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Gli atei, il paradiso e la libertà cristiana

    Dopo che domenica scorsa, durante la visita in una parrocchia romana, papa Francesco ha risposto a una domanda fatta da un bambino circa il destino dell’anima del padre ateo, molti giornali, oltre a sottolineare quanto sia stato commovente il momento, hanno proposto titoli come Tuo papà in cielo anche se ateo, Il bimbo piange per il padre morto, Il papa: era buono, è con Dio, e via così.
La notizia forse la ricordate. Ecco il bambino Emanuele, in lacrime, abbracciare Francesco e sussurrargli qualcosa all’orecchio. Poi ecco il papa rivelare che Emanuele gli ha chiesto: il mio papà, che era ateo ma volle far battezzare i suoi figli, sarà adesso in paradiso? Risposta di Francesco: «Chi dice chi va in cielo è Dio, ma com’è il cuore di Dio davanti a un papà così? Dio ha un cuore di papà. Voi pensate che Dio sarebbe capace di lasciarlo lontano? Dio abbandona i suoi figli? Li abbandona, quando sono bravi? Emanuele, questa è la risposta: Dio sicuramente era fiero di tuo papà, perché è più facile battezzare i figli essendo credente che non essendolo. E sicuramente a Dio questo è piaciuto tanto. Parla con tuo papà, prega tuo papà».

Non è la prima volta che Francesco tocca l’argomento. Anni fa, a Santa Marta, disse che il Signore con la Croce ha redento tutti, anche gli atei, e «se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo là [in paradiso]».
Le cose stanno veramente così? Non essendo teologo, non lo so e lascio la risposta a chi ne sa più di me. Nel notare comunque l’immancabile compiacimento di molti commenti (ecco il papa che finalmente dice chiaro e tondo che in cielo vanno tutte le persone buone, non solo i credenti), mi permetto un’osservazione: Dio può essere davvero «fiero», come ha detto il papa, di un ateo? Può essere Dio orgoglioso di una creatura che l’ha rifiutato? Forse nei suoi confronti potrà essere tenero, comprensivo, amorevole, ma fiero?
Ne parlo con Santa Subito. E il suo commento mi colpisce per il cambio di prospettiva. Infatti, anziché stare ad almanaccare sulle parole del papa (cosa che invece io faccio sempre e lei mi rimprovera), osserva: «Per fortuna non è un nostro problema. Ci pensa Dio a decidere chi va in paradiso e chi no. Da cattolica, mi sembrerebbe piuttosto il caso di sottolineare  che il credente ha già qui, sulla terra, la sua ricompensa. Questo è il punto. Il credente, stando con Dio, affidandosi a lui, vive nelle braccia del Padre e così vive bene, al sicuro. Ecco il premio, ecco la ricchezza. Quanto all’Aldilà, ci penserà il Padre a fare le valutazioni del caso».
Santa Subito, come sapete, è filosofa, e il sottoscritto attinge alla sua sapienza come un povero assetato perduto nel deserto della propria mancanza d’umanità. In più Santa Subito ha un sacco di amici e uno di loro, che in questo periodo è ricoverato all’ospedale, proprio oggi le ha mandato un messaggio sul quale entrambi, Santa Subito ed io, sorseggiando il nostro caffè mattutino sul vecchio tavolo della cucina, abbiamo meditato quasi increduli, dato che è arrivato, a sorpresa, come una risposta alle nostre domande.
È una citazione tratta da Sant’Agostino (sempre una sicurezza) e dice così: «O Dio, allontanarsi da Te significa cadere. Rivolgersi a Te significa alzarsi. Rimanere in Te significa avere durata nella sicurezza. O Dio, abbandonarti significa morire. Ritornare a Te significa svegliarsi a nuova vita. Dimorare in Te significa vivere».
L’amico che ha mandato il messaggio si chiama Giovanni ed è come se avesse letto nei nostri cuori. Avevamo bisogno di una risposta e lui ce l’ha recapitata al momento giusto. E noi sappiamo che è proprio così, proprio come dice Sant’Agostino, perché l’abbiamo sperimentato e lo sperimentiamo ogni giorno. Non è sentimentalismo.
Ovviamente la domanda di Emanuele al papa non è priva di senso. Quel bambino certamente si preoccupa del destino eterno del papà e così facendo, fra l’altro, dimostra di prendere sul serio i Novissimi, le cose ultime, molto più di tanti pastori che non ne parlano mai o ne parlano malvolentieri. Resta il fatto che il credente la ricompensa l’ha già qui e ora, sulla terra, e sarebbe bene, almeno ogni tanto, dirlo chiaramente.
La riflessione di Santa Subito nasce dal fatto che lei, come mi ha confessato una volta, ha sempre faticato a capire la parabola del padrone della vigna che a diverse ore del giorno chiama operai a lavorare per lui e alla sera dà a tutti la stessa paga, provocando l’indignazione di quelli della prima ora: «Essendo io una della prima ora, non riuscivo a capire il comportamento del padrone della vigna. Poi però ho avuto un’illuminazione e ho compreso: la ricompensa, per me e per tutti quelli come me, consiste nel fatto di essere stata nella vigna fin dall’inizio».
A questo proposito ricordo un Angelus di Benedetto XVI (21 settembre 2008) nel quale, parlando della parabola, disse che è significativo che a narrarla sia Matteo: «Mi piace sottolineare che Matteo, in prima persona, ha vissuto questa esperienza (cfr Mt 9,9). Egli infatti, prima che Gesù lo chiamasse, faceva di mestiere il pubblicano e perciò era considerato pubblico peccatore, escluso dalla “vigna del Signore”. Ma tutto cambia quando Gesù, passando accanto al suo banco delle imposte, lo guarda e gli dice: “Seguimi”. Matteo si alzò e lo seguì. Da pubblicano diventò immediatamente discepolo di Cristo. Da “ultimo” si trovò “primo”, grazie alla logica di Dio, che – per nostra fortuna! – è diversa da quella del mondo. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri – dice il Signore per bocca del profeta Isaia –, / le vostre vie non sono le mie vie” (Is 55,8)».
«Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno», dice san Paolo, un altro chiamato a lavorare nella vigna dopo esserne stato lontano. E Benedetto XVI spiega: «Paolo ha compreso bene che operare per il Signore è già su questa terra una ricompensa».
Ma com’è possibile, dirà qualcuno, parlare di ricompensa dal momento che la fede comporta un’infinita serie di adempimenti e doveri che limitano la nostra libertà?
Ci stavo pensando quando, camminando per Roma, eccomi capitare per caso (per caso?) di fronte all’abitazione nella quale visse Cornelio Fabro. E così, ancora una volta, la risposta mi è stata come recapitata a domicilio, bella pronta.
«Ma guarda – mi sono detto – Fabro mi è venuto incontro proprio nel momento del bisogno». Il grande teologo infatti spiegò molto chiaramente che la libertà cristiana è liberazione dalla schiavitù del peccato e disse che la libertà, quando diventa un  assoluto, sganciato dalla morale e quindi dalla nozione di bene e di male, non ti libera affatto, ma ti mette in catene, in balia dell’orgoglio e delle passioni. E in fondo è proprio questa la lezione che si può ricavare da tutte le tragedie che la modernità ha portato con sé.
Ricordo, in particolare, un testo di Fabro nel quale, tracciando un profilo di quel grande difensore e promotore della libertà cristiana che fu Josemaría Escrivá de Balaguer, scriveva: «Mancando di un fondamento trascendente, la libertà ha preso per oggetto e fine se stessa: è diventata libertà vuota, libertà della libertà, legge a se stessa, perché libertà senza legge che non sia l’esplosione degli istinti o la tirannia della ragione assoluta ch’è poi il capriccio del tiranno. Il pensiero moderno, nelle sue forme più coerenti, rifiutando la metafisica ha distrutto ogni morale, poiché la morale esige la distinzione assoluta fra il bene e il male, fra il vero e il falso: ma questo a sua volta esige una verità ed una bontà assoluta, la quale è lo stesso Essere assoluto che gli uomini, come nota S. Tommaso, hanno chiamato Dio (S. Th. I, q. 2, a. 3)» (Cornelio Fabro, Un maestro di libertà cristiana: Josemaría Escrivá de Balaguer, in «L’Osservatore Romano», 2 luglio 1977).
Eccolo qui il grande, incommensurabile dono che ricevi quando lavori nella vigna del Signore. È la libertà cristiana, l’unica autentica perché fondata sulla verità, come promette Gesù: «La verità vi farà liberi» (Gv 8, 32).
Dopo di che il giudizio spetta a Dio. E noi, che ci fidiamo di Lui, siamo ben contenti di lasciargli questa responsabilità.
Aldo Maria Valli

Una vicenda che spiazza



La vicenda di Alfie Evans, che sta giustamente attirando la nostra attenzione in questi giorni, mi ha fatto fare alcune brevi riflessioni, che vi propongo cosí come mi sono venute in mente, senza alcuna pretesa di completezza e sistematicità. E scusandomi per l’eventuale confusione.

Accanimento eutanasico. Oggi la Nuova Bussola Quotidiana pubblica un articolo di Tommaso Scandroglio, che evidenzia le contraddizioni della sentenza della Corte di Appello inglese, che lunedí scorso ha respinto la richiesta di trasferire il bambino in un altro ospedale per il suo best interest. Visto che nel Regno Unito l’eutanasia è un reato, i giudici, per giustificare la decisione di lasciar morire Alfie, hanno tirato fuori la scusa dell’accanimento terapeutico. Ciò significa che avevo visto giusto quando, nel post dell’11 marzo avevo giudicato quanto meno “imprudente” da parte del Papa parlare di accanimento terapeutico in un momento in cui il vero problema è l’eutanasia. In questa vicenda, come è stato giustamente fatto notare, se c’è un accanimento, non è certo quello terapeutico, ma esclusivamente l’accanimento eutanasico e, se vogliamo, l’accanimento giudiziario. Disquisire in questo contesto sull’accanimento terapeutico non può che costituire un supporto indiretto a chi cerca pretesti per praticare e giustificare l’eutanasia.

Stato totalitario. La sentenza vieta il trasferimento di Alfie in un’altra struttura ospedaliera. Come fa notare Scandroglio, siamo arrivati all’assurdo per cui il best interest di Alfie gli impedisce di fare un viaggio in aereo, lo costringe però a morire all’Alder Hey Hospital. Ma, al di là della soppressione della logica, siamo arrivati anche all’instaurazione dello Stato assoluto, che ha potere di vita e di morte sui suoi cittadini (ha ancora senso parlare di “cittadini”? Non sarebbe piú corretto tornare a far uso del termine, che pensavamo definitivamente superato, di “sudditi”?). Finora, quando un malato voleva lasciare l’ospedale, questo si cautelava facendo firmare al malato stesso o ai suoi familiari una dichiarazione con la quale l’ospedale veniva sollevato da qualsiasi responsabilità. È comprensibile che i medici vogliano tutelarsi contro eventuali futuri ricorsi. Ma impedire, con tanto di sentenza giudiziaria e piantonamento della polizia, che si possa lasciare l’ospedale significa che ormai non abbiamo piú la libertà di scegliere dove curarci e neppure quella di morire in pace dove vogliamo. E questo nella patria della democrazia moderna!

La perfida Albione. Ultimamente in Gran Bretagna stanno avvenendo fatti alquanto discutibili: il caso Skripal, l’attacco militare alla Siria, la vicenda del piccolo Alfie sollevano non pochi dubbi di correttezza politica e morale. La spregiudicatezza ha sempre caratterizzato la politica dell’Inghilterra nel corso dei secoli, tanto da meritarle il poco invidiabile titolo di “perfida Albione”. Non ci meraviglieremo perciò se gli inglesi continuino a non farsi condizionare da eccessivi scrupoli di carattere morale. Il fatto è che con queste ultime vicende si ha l’impressione che sia stato superato il limite della decenza. Sarà che un tempo era piú facile tenere nascosti i reali moventi di certe scelte, mentre oggi, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, le bugie vengono subito a galla; non so, ma mi sembra che la Gran Bretagna stia attraversando una forte crisi di credibilità. Si direbbe però che, al di là dell’Inghilterra, sia tutta una civiltà, la civiltà occidentale (di cui l’Inghilterra ha sempre costituito una sorta di avanguardia), a essere caduta in una crisi profonda. Ebbene è interessante vedere come sia un bambino che non ha ancora compiuto due anni a mandare in tilt un sistema iniquo e falso, che finora era riuscito a nascondere sotto il velo della democrazia, delle buone maniere e dei valori umanitari la propria ipocrisia. Viene in mente il Salmo: «Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli» (Sal 8:3).

Una Chiesa a pezzi. Se Atene piange, Sparta non ride: non sono solo l’Inghilterra e l’Occidente a mostrare le loro crepe. Neppure la Chiesa sta facendo una gran bella figura in questa vicenda. Attenzione, non solo la “Chiesa in uscita” di Papa Francesco, vociferante sui migranti e incredibilmente afona sulle questioni bioetiche; ma anche la Chiesa piú rassicurante e tradifriendly dell’Arcivescovo McMahon, che, a quanto pare, si mostra piú interessata alle cappe magne che alla difesa della vita. Entrambe queste “Chiese” sembrano trovarsi d’accordo nel “non disturbare il conducente” della società in cui viviamo. C’è poco da fare, non possiamo piú nasconderci dietro ad alcun paravento ideologico: tradizionalisti o innovatori, siamo tutti sulla stessa barca, e purtroppo è una barca che fa acqua da tutte le parti. Chi da una parte, chi dall’altra, ci siamo rinchiusi nel nostro piccolo mondo, con le nostre sicurezze e i nostri battibecchi, e abbiamo completamente perso il contatto con la realtà. Anche in questo caso, un bambino di 23 mesi e, insieme con lui, una coppia di giovani sposi e una folla di tanta gente semplice stanno spiazzando una Chiesa che pensava di essersi aperta al mondo e che invece si sta solo dilaniando in estenuanti lotte intestine. Speriamo che questa esperienza ci faccia riflettere e ci aiuti a superare le nostre attuali difficoltà. Dobbiamo ringraziare Alfie per averci fatto aprire gli occhi sulle nostre meschinità. Una preghiera per lui è il minimo che possiamo fare in contraccambio.
Q

PS: apprendo che questa mattina il babbo di Alfie, Thomas Evans, è stato ricevuto dal Santo Padre. Questo giovanotto ci sta dando una lezione di coraggio e di grande dignità. E grazie alla Nuova Bussola Quotidiana per il suo instancabile impegno a favore della vita.
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