ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 giugno 2018

Chi usa ideologicamente l’argomento pauperista

L’emigrazione non si ferma se non si cancellano le cause
Intervenuto a Radio Padania ospite della trasmissione Rebelot di Marco Pinti, Giulietto Chiesa analizza le politiche predatorie dell’UE e in particolare della Francia nei confronti del continente africano.
 

Spirito missionario e ideologia immigrazionista





(di Cristina Siccardi) La Santa Romana Chiesa, che difende e tutela l’identità della persona, non ha mai appoggiato le emigrazioni di massa, ma ha sempre caldeggiato le missioni per il bene materiale e spirituale delle popolazioni, perché là dove viene seminata la Buona Novella, come è sempre accaduto, la civilizzazione e il progresso avanzano.  
Così, mentre la Cei promuove l’accoglienza indiscriminata dei migranti, i Vescovi d’Africa invitano paternamente, i propri figli a non lasciare la propria terra. Alcuni Pastori, quindi, che vogliono il vero bene delle proprie popolazioni, incoraggiano i giovani a non lasciare la propria terra d’origine per contribuire allo sviluppo dei loro Paesi senza lasciarsi prendere dalle chimere oltremare di governi europei irresponsabili(?), incoscienti (?) o che, volontariamente, si pongono l’obiettivo di scardinare i popoli europei mischiandoli etnicamente e religiosamente per essere meglio manovrabili (?).

Mai un Papa, prima d’ora, ha favorito le migrazioni dei popoli come Francesco e come molti vescovi italiani. La questione è grave. Essi si appellano ad alcuni passi biblici: Abramo che lascia la propria terra e il buon samaritano che soccorre un forestiero. Ma qui si parla di singoli uomini, non di moltitudini di persone che si spostano in massa per raggiungere l’ignoto. Ed ecco che i presuli africani – consapevoli del dramma epocale; della tratta di uomini, donne e bambini per conto di criminali; del business economico derivante dai viaggi dei clandestini (solo una minoranza sono profughi veri) e dalla loro permanenza nei centri di accoglienza; della schiavizzazione di alcuni emigranti; della già avvenuta possibilità che fra queste persone si inseriscano terroristi – si discostano da quell’ideologia globalista, multietnica e multireligiosa che gli elettori italiani hanno misconosciuto il 4 marzo scorso.
Già nell’agosto del 2015 Monsignor Nicolas Djomo, Vescovo di Tshumbe e Presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica democratica del Congo, aveva rivolto un appello alla sua gente: non cercare in Occidente un futuro migliore, ma costruirlo in Africa. Denunciò a chiare lettere l’ulteriore impoverimento dell’Africa causato dall’accoglienza indiscriminata dell’Europa nei confronti di tutti i migranti.
In sintesi: se i giovani africani lasciano il loro continente per cercare fortuna altrove, non metteranno il loro impegno, le loro energie e capacità per costruire un Africa migliore.
All’apertura della riunione della Gioventù cattolica panafricana, che si svolse a Kinshasa dal 21 al 25 agosto di tre anni fa, come riferì l’Agenzia Fides, organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie, il Vescovo Djomo dichiarò: «Guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione della giustizia, della pace e della riconciliazione durature in Africa. Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi».
Anche il Cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, Arcivescovo di Abuja, capitale federale nigeriana, si è pronunciato così alla Conferenza sulla tratta degli esseri umani, organizzata nel settembre 2016 da Caritas Internationalis e dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti: «Il traffico di esseri umani è destinato ad aumentare il numero di persone frustrate che non possono sbarcare il lunario. Lo sapete, il tempo di finire gli studi all’università e iniziate a vagare per le strade per tre, quattro, cinque e sei anni, senza lavoro, e si arriva a 30 o 31 anni senza futuro, ed è molto difficile starsene tranquilli» e, intervistato da Fides, aveva detto che «l’immigrazione verso una destinazione sconosciuta non è la vera rispostaLa gente dice che sarà sempre meglio da un’altra parte. Non è vero. La situazione a cui vai incontro all’estero può essere peggiore di quella che stai affrontando qui… Almeno qui, non c’è l’inverno, puoi sempre dormire sotto un ponte. Non puoi invece dormire sotto un punto là. Morirai di freddo».
Da parte sua, l’Arcivescovo di Dakar, Monsignor Benjamin Ndiaye, ha deplorato i «canali di immigrazione illegale», dicendo che «è meglio restare poveri nel proprio paese piuttosto che finire torturati nel tentare l’avventura dell’emigrazione» e si rivolse in questi termini ai giovani senegalesi: «Cari ragazzi, tocca a noi costruire il nostro Paese, tocca a noi svilupparlo, nessuno lo farà al posto nostro».
Monsignor Joseph Bagobiri, Vescovo di Kafachan, in Nigeria, esortò il Governo a spiegare ai giovani che «c’è più speranza di vita in Nigeria di quanta pensino di trovarne in Europa o altrove. Il paese ha ricchezze e risorse immense. I nigeriani non dovrebbero ridursi a mendicanti andandosene alla ricerca di una ricchezza illusoria all’estero».
Dell’episcopato africano è anche noto l’atteggiamento netto a difesa dei valori non negoziabili. Molti vescovi hanno denunciato le colonizzazioni ideologiche ai danni dei propri Paesi, con aiuti economici subordinati alla diffusione di contraccettivi, sterilizzazione e altre misure maltusiane di controllo demografico.
Pare di riascoltare le denunce del Venerabile Guglielmo Massaja, il grande Vicario Apostolico in Etiopia poi creato Cardinale da Leone XIII (10 novembre 1884), il quale constatò che, mentre in Africa si manteneva uno spirito religioso, seppure errato, nei luoghi dove i missionari non erano ancora giunti, in Europa il liberalismo secolarizzava sempre più le genti con le sue leggi. Mai si sognò il Massaja di catapultare la sua gente in Europa, egli portò loro, con il Vangelo e i Sacramenti, conoscenze, abilità, lavoro, civiltà.
Sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II parlavano di un «diritto a non emigrare» perché l’appartenenza identitaria è fondamentale per la persona. Anche Papa Sarto era su questa posizione. Fra il 1885 e la fine del secolo emigrarono dalla provincia mantovana 34.174 persone, un’emorragia che turbò profondamente monsignor Giuseppe Sarto, all’epoca Vescovo di Mantova.
Una domenica di agosto del 1887 si trovava a Castelbeforte in visita pastorale e gli fu annunciato che il mercoledì successivo sarebbero partiti per l’America 305 parrocchiani. La notizia non solo lo impressionò, ma lo addolorò a tal punto che fu spinto a scrivere una lettera pastorale, nella quale affermava che i parroci dovevano offrire, contro l’azione degli agenti delle immigrazioni (gli scafisti dell’epoca), «direzione, consiglio, aiuto» ai soggetti in cerca di fortuna al fine di «persuaderli a non lasciarsi trasportare da quel facile entusiasmo, a cui sussegue immediato il pentimento».
Fin qui il lato umano, ma poi emerge il Pastore di anime che si preoccupa e si occupa non solo del lato materiale e, quindi, economico e sanitario della questione, ma del lato spirituale ed etico. Eletto Pontefice nel 1903 sollecitò la Chiesa italiana a guardare con maggior attenzione al dramma dell’emigrazione nel tentativo di arginarla con l’intervento dei vescovi e dei parroci e fra le iniziative affidò ad uno speciale ufficio in seno alla Congregazione Concistoriale l’opera di «assistenza spirituale» degli emigranti.
Aiutare i migranti che si spostano per ragioni economiche, ovvero la maggioranza, è esaminare, progettare e realizzare ciò che è realmente utile al loro vero bene, come hanno sempre insegnato con sapienza i missionari da duemila anni a questa parte, a differenza delle Ong oggi di turno nel Mediterraneo o di chi usa ideologicamente l’argomento pauperista a discapito di tutti. (Cristina Siccardi)

Barchette di carta in difesa dei porti aperti. L’ennesima pagliacciata voluta dall’alto

„Barchette di carta per dire ‘sì’ all’accoglienza: il flash mob in centro a Bari per l’apertura dei porti“. Proseguono le pagliacciate del batticuore per l’umanità. Procedono di conserva con il massacro della classe lavoratrice e con la distruzione organizzata dei diritti sociali. Ogni protesta va bene ed è favorita, a patto che – Marx docet – non metta in discussione il reale dominio capitalistico e la struttura classista del totalitarismo glamour chiamato capitalismo.

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