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mercoledì 27 giugno 2018

Tu chiamalo se vuoi..spaventato !?

Cina. Lo "spavento" del cardinale Zen ha le sue buone ragioni


Nella sua recente intervista con Philip Pullella della Reuters, papa Francesco è stato interpellato anche sulla Cina e su ciò che aveva detto in proposito il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, secondo cui "il dialogo va avanti con successi e insuccessi, due passi avanti e uno indietro".
Francesco si è mostrato fiducioso in un accordo tra la Santa Sede e le autorità cinesi, anche se in tempi non vicini:
"Io dico che i cinesi meritano il premio Nobel della pazienza, perché sono bravi, sanno aspettare, il tempo è loro e hanno secoli di cultura… È un popolo saggio, molto saggio. Io rispetto tanto la Cina. […] Per quanto riguarda i tempi, qualcuno dice che sono i tempi cinesi. Io dico che sono i tempi di Dio, avanti, tranquilli".
E quanto alle critiche del cardinale Giuseppe Zen Zekiun, vescovo emerito di Hong Kong, ha minimizzato:
"Penso che è un po’ spaventato. Anche l’età forse influisce un po’. È un uomo buono. È venuto a parlare con me, l’ho ricevuto, ma è un po’ spaventato. Il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare".

Ultimamente, però, le notizie che arrivano dalla Cina non sono affatto incoraggianti. In maggio Settimo Cielo ha già riferito di una recrudescenza della repressione anticristiana, e a nulla sono valse le inconsistenti giustificazioni messe in campo dai sostenitori di un accordo a ogni costo.
Il 19 giugno l'informatissimo sito "Bitter Winter" che si occupa della libertà religiosa in Cina, fondato e diretto da Massimo Introvigne, ha riferito una vicenda quanto mai rivelatrice del pessimo clima che avvolge i negoziati:
Il protagonista della vicenda è un sacerdote di nome Yan Lixin, 55 anni, di Guangping nella provincia dell'Hebei, responsabile di alcune comunità della cosiddetta Chiesa "sotterranea", cioè retta da vescovi nominati da Roma ma non riconosciuti dalle autorità cinesi.
In aprile il vescovo di Hong Kong, Michael Yeung Ming-cheung – riconosciuto sia da Roma che da Pechino e pochi giorni fa, il 23 giugno, in visita "ad limina" dal papa –, aveva invitato padre Yan nella sua città per una discussione pubblica proprio sui negoziati in corso sulle modalità di nomina dei futuri vescovi cinesi.
Padre Yan prenotò l'aereo per recarsi a Honk Kong sul suo telefono mobile. E il 9 aprile, con lo stesso telefono, si mise in contatto con un giornalista giapponese invitato anch'esso alla stessa discussione. Ma il suo telefono era sorvegliato e così la sera stessa piombarono in casa sua una dozzina di agenti della polizia.
Il sacerdote fu arrestato e rinchiuso in un hotel di Handan, dove fu sottoposto a incessanti interrogatori. Dopo sette giorni lo trasferirono in un altro hotel, a Guangping, sempre in stato d'arresto. E gli interrogatori proseguirono, con l'obiettivo principale di forzare padre Yan a iscriversi all'Associazione Patriottica dei Cattolici Cinesi.
Questo obiettivo non è di poco conto. Tutt'altro. Nella lettera del 2007 di Benedetto XVI ai cattolici cinesi – che è tuttora ritenuta anche da papa Francesco la "magna carta" della Chiesa in Cina – l'Associazione Patriottica è considerata il primo di quegli organismi "che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica", l'appartenenza ai quali "è il criterio per dichiarare una comunità, una persona o un luogo religioso, legali e quindi ufficiali", ma la cui "dichiarata finalità di attuare 'i principi di indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione democratica della Chiesa' è inconciliabile con la dottrina cattolica".
Ebbene, in piena fedeltà alla Chiesa, padre Yan ha rifiutato di piegarsi. E dopo venti giorni di reclusione, il 28 aprile è stato rilasciato, però con l'obbligo di non uscire dalla sua regione e di poter essere rintracciato a qualsiasi ora.
Da allora vive sotto stretta sorveglianza e ha dovuto diradare le celebrazioni delle messe presso le sue comunità, per evitare il più possibile di mettere anche queste in pericolo.
I più impazienti fautori dell'accordo tra il Vaticano la Cina – che dovrebbe assegnare alle autorità cinesi la designazione dei futuri vescovi, fatta salva la facoltà del papa di accettarla o respingerla – ritengono "superato" il divieto dell'iscrizione all'Associazione Patriottica, che anzi dovrebbe essere incoraggiata per superare ogni divario tra "ufficiali" e "sotterranei" e assicurare anche a questi ultimi il riconoscimento governativo.
Ma in realtà tale questione continua ad essere una seria pietra d'inciampo sulla strada di un accordo.
Basti pensare all'irrisolto caso del vescovo di Shanghai Taddeo Ma Daqin. Fatto vescovo con l'approvazione sia di Roma che di Pechino, nel giorno della sua ordinazione, il 7 luglio 2012, egli revocò la sua precedente iscrizione all'Associazione Patriottica. Per questo fu messo il giorno stesso agli arresti. E continua a restare recluso anche dopo che nel 2015 ha ritrattato la sua dissociazione e ha professato pubblica sottomissione al regime.
Eppure, incredibilmente, "La Civiltà Cattolica" – la rivista diretta dal gesuita Antonio Spadaro che è stampata ogni volta con la previa autorizzazione del papa – ha di recente definito la vicenda di Ma Daqin un modello esemplare di "riconciliazione tra la Chiesa in Cina e il governo cinese".
Se questa è la "riconciliazione" a cui dovrebbe portare il tanto decantato accordo, le critiche del cardinale Zen sono quindi motivate da ragioni ben più serie che da uno spavento senile, come lui stesso ha cercato di spiegare ai suoi lettori cinesi, sul suo blog, in una breve replica alle parole del papa, conclusa con la preghiera a Dio perché "non lo lasci cadere nelle mani dei suoi nemici".
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In Asia News una rassegna delle reazioni in Cina all'intervista del papa alla Reuters:

Settimo Cielo di Sandro Magister 27 giu


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