ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 13 agosto 2018

Dio è ancora cattolico?

Il Papa riscrive il Padre Nostro. Dio non induce in tentazione

Francesco risponde alla domanda dei suoi ragazzi: "La traduzione è sbagliata: il vero tentatore è Satana"


Qualche parroco ha già aggiornato la traduzione, ma la gran parte dei preti italiani ripete ancora il testo sbagliato: «Non c'indurre in tentazione».
Parole che il Papa boccia senza appello, tornando per la seconda volta in pochi mesi sul Padre Nostro, la preghiera più diffusa fra i cristiani. Francesco parla ai centomila giovani accorsi a Roma, al Circo Massimo, per ascoltare la sua parola e non lascia spazio a interpretazioni: «Nella preghiera del Padre Nostro c'è una richiesta: non ci indurre in tentazione. Questa traduzione italiana è stata recentemente cambiata perchè poteva suonare equivoca». 

Francesco risponde alla domanda di un giovane che chiede lumi sul tema. «Può Dio Padre indurci in tentazione? - insiste Francesco - Può ingannare i suoi figli? Certo che no. Infatti una traduzione più appropriata è: non abbandonarci alla tentazione. Trattienici dal fare il male, liberaci dai pensieri cattivi». «Non abbandonarci alla tentazione»: è esattamente questa la formula già adottata in qualche chiesa e che rende correttamente l'originale greco. La tentazione infatti è opera di Satana. Ma il cambiamento arriverà solo fra qualche mese, a novembre, quando l'assemblea straordinaria della Cei, la Conferenza episcopale italiana, approverà il nuovo Messale Romano la versione ritoccata del Padre Nostro. «A volte le parole - commenta Francesco - anche se parlano di Dio tradiscono il suo messaggio d'amore. A volte siamo noi a tradire il Vangelo».
Un ragionamento che non si ferma alla liturgia. E investe tutta la vita: se nella prima giornata, Bergoglio aveva invitato i ragazzi a volare alto e a credere nei sogni, l'Angelus domenicale diventa un'apologia del bene. Che è cosa assai diversa dal comportarsi bene. Per il cristiano l'asticella sale molto più in alto, fino ad un'altezza vertiginosa: «Non sentitevi a posto quando non fate il male. Ognuno è colpevole del bene che poteva fare e non ha fatto». Una raccomandazione che Francesco declina con esempi concreti: «Non basta non odiare, bisogna perdonare; non basta non avere rancore, bisogna pregare per i nemici; non basta non essere causa di divisione, bisogna portare pace dove non c'è; non basta non parlare male degli altri, bisogna interrompere quando sentiamo parlare male di qualcuno». Insomma, se la Chiesa è nella testa di Francesco un ospedale da campo dove si curano le ferite dell'umanità, il fedele, a maggior ragione il giovane che entra nella battaglia dell'esistenza, non può cavarsela come un ragioniere dello spirito che faccia il suo compitino. Ritornano i sogni, ritornano i grandi ideali, con corredo di sacrifici, e gli uomini visionari come San Francesco: «Non conosceva frontiere e sognando in grande ha cambiato la storia dell'Italia». Francesco ammonisce: «No a una cultura di morte e al disprezzo dell'altro. Il cristiano - è la conclusione per niente rassicurante - non deve essere ipocrita e deve vivere con coerenza». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ripropone invece alla platea del Circo Massimo il dramma dei migranti. E lo fa soffermandosi sulla figura del profeta Elia, al centro delle letture domenicali: «La fuga di Elia ci fa pensare ai tanti giovani che vivono sulla loro pelle la stessa condizione del profeta e che devono rifugiarsi o migrare in altri Paesi a causa di guerre o dittature o carestie». Un invito, insomma, a non dimenticare quel che accade intorno a noi e a trasformare le emozioni di questo week end particolare, compresa la Notte Bianca trascorsa nelle chiese rimaste aperte, in un giudizio sui drammi del mondo. E in una vita rinnovata.
Stefano Zurlo


SULLA CORRETTA TRADUZIONE
Padre nostro, l'importanza della tentazione

Durante la veglia di sabato del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell'annosa questione della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio "Non ci indurre in tentazione". Ma cosa dice la Scrittura? Dio non può abbandonarci alla tentazione, ma ci può indurre ovvero tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo stati trasfigurati e quindi possiamo vincere.




Durante la veglia di sabato del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell'annosa questione della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio "Non ci indurre in tentazione". Il Papa ha detto: "Nella preghiera del Padre Nostro c'è una richiesta: 'Non ci indurre in tentazione'. Questa traduzione italiana recentemente è stata cambiata, perché poteva suonare equivoca. Può Dio Padre 'indurci' in tentazione? Può ingannare i suoi figli? - ha chiesto - Certo che no. Infatti una traduzione più appropriata è: 'Non abbandonarci alla tentazione'. Trattienici dal fare il male, liberaci dai pensieri cattivi....A volte le parole, anche se parlano di Dio, tradiscono il suo messaggio d'amore. A volte siamo noi a tradire il Vangelo". 



Fin qui il Papa. Come stanno le cose? In merito al "non ci indurre in tentazione", vanno menzionati innanzitutto tre brani:


"Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone..."(Es 14,17). Qui è il Signore che induce all'ostinazione; "Ecco,dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti, perché il Signore ha decretato la tua rovina..."(1 Re 22,23). Qui è il Signore che induce alla mistificazione; "E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità" (2 Tess 2,11-12). Qui è il Signore che induce all'inganno.


Nella I domenica di Quaresima, la "domenica delle tentazioni di Gesù" la Liturgia Horarum secondo il Novus Ordo, propone la lettura di sant'Agostino a commento del salmo 60, di cui riportiamo il brano seguente: "...la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.

Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque perse da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tenere lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato" (Commento al Salmo 60,3; CCL 39,766).

Pertanto, Dio non può abbandonarci alla tentazione, ma ci può indurre ovvero tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo stati trasfigurati e quindi possiamo vincere.


San Tommaso D'Aquino, nel suo Commento al Padre nostro, dopo aver premesso che Dio 'tenta' l'uomo per saggiarne le virtù, e che essere indotti in tentazione vuol dire consentire ad essa, scrive: "In questa (domanda) Cristo ci insegna a chiedere di poterli evitare (i peccati), ossia di non essere indotti nella tentazione per la quale scivoliamo nel peccato,e ci fa dire: 'Non ci indurre in tentazione'."[...].


L'Aquinate poi, chiarito che la carne, il diavolo e il mondo tentano l'uomo al male, annota che la tentazione si vince con l'aiuto di Dio, in quale modo? "Cristo ci insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella tentazione"[...]. Infine, si chiede: "Ma forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: 'non ci indurre in tentazione'? Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, a causa dei suoi molti peccati precedenti, sottrae all'uomo la sua grazia, tolta la quale, egli scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista: 'Non abbandonarmi quando declinano le mie forze' (Sal 71[70],9). E Dio sostiene l'uomo, perché non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato".


A questo si deve aggiungere anche il commento al Padre nostro di Ratzinger, dalla trilogia delle sue opere.


Quindi, secondo questi autori conserva tutto il suo senso la petizione "et ne nos inducas in temptationem": il testo latino corrisponde esattamente all'originale greco del Nuovo Testamento. Il punto focale è prendere in considerazione tutta la Rivelazione biblica, nella quale Dio si manifesta in modo "cattolico": etimologicamente, secondo la globalità dei fattori, che caratterizzano la vicenda umana e che non sfuggono in alcun modo a Lui, se è vero il detto: non muove foglia che Dio non voglia.


Del resto, non dice Giobbe: se da Dio abbiamo accettato il bene, perché non dovremmo accettare il male? Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore. E Gesù: tutti i capelli del vostro capo sono contati. Per questo, Dio è cattolico, come disse von Balthasar.


- PADRE NOSTRO, UNA TRADUZIONE TANTI SIGNIFICATI, di Riccardo Barile

IL PAPA, TOLKIEN E IL PADRE NOSTRO, di John R. Holmes
SULLE TRADUZIONI SI GIOCA IL FUTURO DELLA LITURGIA, di Riccardo Barile

Nicola Bux


http://www.lanuovabq.it/it/padre-nostro-limportanza-della-tentazione

Pena di morte e nuovo Catechismo: forzatura o riforma nella continuità?

Continuano a essere numerosi i commenti al cambiamento introdotto da Francesco nel Catechismo della Chiesa cattolica a proposito di pena di morte.
Due i fronti: da un lato chi ritiene che la nuova versione, fondata su motivazioni che attengono alle scienze sociali e non alla dottrina morale, sia in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa lungo duemila anni; dall’altro chi vede invece nel cambiamento una decisione legittima e necessaria, un esempio di riforma nella continuità animata dallo Spirito Santo.
Quanto al primo fronte, tra i commenti più recenti c’è quello di Edward Feser, autore con Joseph M. Bessette del libro By Man Shall his Blood Be Shed. A Catholic Defense of Capital Punishment (Ignatius Press), che in un articolo per il Catholic Herald(http://www.catholicherald.co.uk/commentandblogs/2018/08/08/the-new-wording-on-the-death-penalty/) scrive: “La nuova formulazione sembra logicamente implicare che la Scrittura, i precedenti Catechismi della Chiesa e precedenti papi, incluso san Giovanni Paolo II, abbiano tutti indotto i fedeli a un grave errore morale”.
L’elemento più problematico della revisione, osserva Feser (che è docente di filosofia al Pasadena City College), è l’affermazione che la pena di morte è inammissibile perché è un attacco all’inviolabilità e alla dignità della persona. Nelle Scritture infatti ci sono molti passaggi che non solo consentono, ma in alcuni casi comandano la pena capitale. Per fare solo due esempi, Esodo 21:12 afferma che “colui che colpisce un uomo causandone la morte sarà messo a morte” e in Levitico 24:17 troviamo che “chi percuote a morte un uomo dovrà essere messo a morte”. Qui dunque sembra che la Scrittura comandi un attacco all’inviolabilità e alla dignità della persona. Eppure la Chiesa insegna anche che la Scrittura è ispirata divinamente e non può insegnare l’errore morale. Dunque?
Poi c’è l’insegnamento dei papi precedenti. Ad esempio, Innocenzo III chiese agli eretici valdesi di affermare la legittimità della pena capitale come condizione della loro riconciliazione con la Chiesa. “In altre parole, il papa insegnò che la legittimità della pena capitale è una questione di ortodossia cattolica”. Ma, se così è, “la revisione di papa Francesco al Catechismo sembra implicare che gli eretici hanno sempre avuto ragione e che papa Innocenzo ha condotto i fedeli a un grave errore morale”.
Per fare un altro esempio, la versione del Catechismo del 1997, promulgata da Giovanni Paolo II, sebbene spieghi che i casi in cui la condanna è veramente necessaria sono molto rari e praticamente inesistenti, afferma che “l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude il ricorso alla pena di morte”. Ma, se così è, il cambiamento introdotto da Francesco implica che san Giovanni Paolo II ha insegnato che la Chiesa non esclude ciò che equivale a un attacco all’inviolabilità e alla dignità della persona.
Poi c’è il Catechismo Romano promulgato da san Pio V, e a lungo usato dalla Chiesa, secondo il quale l’autorità civile, quando punisce il colpevole con la morte, protegge la conservazione e la sicurezza della vita umana. E quindi, di nuovo, si pone il problema: quel papa era in errore?
Il succo, dice Feser, sta nel fatto che la correzione introdotta da Francesco implica che la Chiesa (Scritture, papi, dottori della Chiesa) per due millenni ha insegnato ai fedeli l’errore morale, ma ciò è incompatibile con l’idea, che la Chiesa rivendica, secondo la quale il magistero della Chiesa è sempre affidabile.
A giudizio di Feser, poi, la revisione si basa su “asserzioni empiriche che sono alquanto discutibili”. Davvero la pena di morte “è inutile” al fine di proteggere le persone innocenti, come si legge nella lettera della Congregazione per la dottrina della fede? E davvero “sistemi di detenzione più efficaci” sono in grado di garantire la difesa dei cittadini? E davvero la pena di morte non ha valore deterrente, come sembra pensare ora la Chiesa? Qui siamo nel campo delle scienze sociali e del totalmente opinabile, un terreno rispetto al quale, dice Feser, la Chiesa non ha, né deve avere, competenze specifiche. Pertanto non è su queste basi che la Chiesa deve formulare e giustificare le proprie affermazioni.
Su un fronte ben diverso da quello di Feser si pone il commento di Giovanni Marcotullio Pena di morte e Catechismo: la “riforma nella continuità” (https://it.aleteia.org/2018/08/03/ccc-2267-pena-morte-riforma/), che parte da una precisazione su ciò che si deve intendere per “dottrina”: non un blocco unico, ma un insieme di varie branche: “De fide (tutto ciò che riguarda il contenuto del depositum fidei), De fide revelata(ad esempio il Regno di Dio), De fide definita (ad esempio la consustanzialità del Figlio al Padre), De fide revelata et definita (ad esempio il dogma cristologico calcedonese)”. E “poi ci sono questioni di morale e di disciplina, che dipendono più o meno direttamente dalle questioni de fide, e che sono tanto più riformabili quanto più sono distanti dai contenuti veri e propri della fede cattolica”. Conseguenza? “Chiunque vede bene che la moralità della pena di morte è molto (ma molto) distante da qualsivoglia contenuto della fede cristiana”. Pertanto “desta stupore che si debba spiegare che è il diritto alla legittima difesa a doversi conciliare con il decalogo e col comandamento nuovo… e non il contrario”.
“A chi poi sappia anche leggere un poco i documenti sarà evidente che già Giovanni Paolo II fece tutto quanto poteva, dopo l’abolizione della pena capitale nello Stato pontificio (Paolo VI), scrivendo nel Catechismo che nelle attuali condizioni dello stato civile e sociale la pena di morte resta solo teoricamente ammissibile ma praticamente sempre da scartare. Dopo di questo Benedetto XVI si fece più audace nel chiedere addirittura alla comunità degli Stati di abolire in toto la pena di morte, e dunque il rescritto di Francesco, col quale si ritocca quel (nient’affatto irriformabile) articolo del CCC, è non solo lecito ma un esito naturale e prevedibile del recente trend magisteriale. Si potrebbe ravvisare in questo caso un esempio pratico dell’ermeneutica della riforma nella continuità di cui parlava Benedetto XVI nel celeberrimo discorso di Natale alla Curia romana del 2005”.
Ma un altro punto è sottolineato da Marcotullio. Quando in Gv 16,13 leggiamo che lo Spirito Santo «vi guiderà a tutta la verità», essendo Egli stesso «lo Spirito di Verità» (cf. Gv 14,17; 15,26; 16,13), vediamo che “ci sono dunque dei processi ineludibili di adesione alla Verità nello Spirito Santo che non sono terminati” e che da parte dei fedeli cattolici dovrebbero implicare “adesione allo stesso Spirito, discernimento nello Spirito Santo ed evitare la ‘bestemmia allo Spirito Santo’ che è anche quell’atteggiamento (talvolta habitus) che in nome della Dottrina impedisce alla Dottrina stessa di volgere alla Verità tutta intera nell’azione dello stesso Spirito”.
A giudizio di Marcotullio, molte reazioni negative, o addirittura indignate, alla revisione introdotta da Francesco sono, come si suol dire, emblematiche. Nascono cioè da una vita spirituale povera e priva di autentica esperienza di Chiesa. Così, anziché lasciar fare allo Spirito Santo, ci riduciamo facilmente “a cercare come volpi deformi ed in agguato la parola mal detta dal Santo Padre, dal Vescovo, dal sacerdote e dal fratello”, e “questo è un cancro”.
Come si vede, il dibattito è più che mai aperto.
Aldo Maria Valli

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.