ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 7 agosto 2018

La forza della liturgia

LA CHIESA DELLE ZITELLE

XXII - Omaggio alle chiese natie: le Zitelle. La chiesa della Presentazione di Maria al Tempio o delle Zitelle è uno degli edifici religiosi più interessanti, meglio conservati a Udine ma al tempo stesso uno dei meno conosciuti 
di Francesco Lamendola 
 

All’interno di questa chiesa così umbratile, così vicina e tuttavia così lontana, a neppure cinque minuti di strada da Piazza San Giacomo e dal cuore della città, eppure pressoché sconosciuta alla gran parte degli udinesi, lo sguardo vaga piacevolmente dai dipinto agli stucchi, dalle sculture ai lampadari, dagli altari ai candelabri, e respirando l‘atmosfera densa, raccolta, mistica, eppure serena e quasi festosa per la ricchezza delle decorazioni e l’ariosità degli elementi decorativi, si sente, s’intuisce la forza della liturgia, della vera liturgia, non quella postconciliare, ma quella tridentina, con la sua solennità, con la sua spiritualità, con il senso della trascendenza, con la musica d’organo e il canto salmodiante; e la mente capisce, afferra in un lampo il segreto, o uno dei segreti essenziali, del perdurare della fede come patrimonio spirituale di una intera società, condiviso e tramandato di generazione in generazione. 

La cultura moderna riduce ogni cosa agli aspetti concreti, visibili, razionali; non vuol sentir parlare di miracoli, di mistero, di soprannaturale: vorrebbe portare anche la fede sul suo terreno preferito, quello della spiegazione logica delle cose, e s’infastidisce di tutto ciò che, a suo giudizio, serve solo a creare un nube confusa di elementi irrazionali, forse superstiziosi, che, a suo credere, non aggiungono niente, semmai screditano il senso puro della fede. Questi cristiani moderni e debitamente progressisti ritengono che quel che ha da dire il Vangelo, lo si può e lo si deve dire come piace al mondo moderno: riducendolo a una specie di parabola morale, a un codice di comportamento, che, peraltro, si può e si deve continuamente aggiornare, tenendo conto del progressivo modificarsi del sentire comune. In questa prospettiva, quel che viene a mancare completamente è, appunto, il mistero; anzi, il Mistero, nel suo strettamente teologico del termine: ciò di cui la mente umana arriva a comprendere sia la razionalità, sia la necessità, ma che non può comprende, tanto meno spiegare, con le sue sole forze, perché arrivare a capire e più che a capire, a sentire, è un dono che viene da Dio e non una umana conquista, come avviene, invece, nell’ambito del sapere scientifico. Viceversa, ciò che diventa centrale, in questa prospettiva, è la storia: la fede diventa storia, diventa il vissuto di una certa comunità in un certo periodo storico, che deve perciò essere continuamente aggiornate, affinché risulti credibile e “moderna” ai fedeli: se si può ancora usare la parola “fedeli” per indicare coloro che non credono se non ciò che vedono, che può essere interamente spiegato, che si deve accettare sena averlo visto. Tu hai creduto perché hai visto; beati quelli che crederanno senza aver visto, dice Gesù a san Tommaso, dopo avergli fatto mettere le mani nei forti dei chiodi che porta ancora sul corpo. Ma se la fede diventa una espressione della storia, allora la storia torna ad essere quel che era prima di Cristo e quel che sempre sarà senza di Lui: una gabbia, una prigione, una realtà chiusa e soffocante, dalla quale è impossibile evadere; le certezze eterne evaporano, si dissolvono; e la Speranza cristiana si allontana sempre più, fino a diventare evanescente. Cristo infatti  venuto nella storia, ma per spezzare le sue catene e per aprire agli uomini la via del Cielo; non per rinchiuderli nuovamente nella loro condizione terrena. Se era solo per questo, non c’era bisogno né che s’incarnasse, né che morisse, e soprattutto non c’era bisogno che risorgesse dai morti. Cristo è risorto perché era Dio, ma anche per mostrare agli uomini che il loro ultimo destino non è la storia, non è la carne, che conducono alla morte, ma la vita eterna. E per puntare a una simile meta, bisogna cessare di essere uomini carnali e diventare uomini spirituali; il che avviene mediante la grazia, la sola forza capace di sconfiggere il peccato.

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Giuseppe Cosattini, La Madonna col Bambino, S. Ignazio e san Bernardino.

De, poi, si riflette su quale sia la radice dell’idea progressista, secondo la quale la liturgia va semplificata, va ridotta, e soprattutto va antropocentrizzata (altare rivolto verso i fedeli, scambio di pace con la stretta di mano, canti della Messa che sanno più di Bob Dylan che di cristianesimo, e soprattutto ricezione della santa Eucarestia con le proprie mani, stando ritti in piedi), ci si accorge facilmente che risiede in un atteggiamento di superbia intellettuale. I progressisti, che sogliono definire se stessi “cristiani maturi”, o ”cristiani del dialogo”, come se, prima di loro, ci fossero solo chiusura e immaturità, quando addirittura non si definiscono senz’altro con slogan quali noi siamo chiesa, come se tutti gli altri cattolici ne fossero esclusi, si sono scordati le parole di Gesù: Se non diventerete piccoli come questi bambini, non entrerete nel regno dei Cieli. Essi credono che concedere spazio al Mistero, e ai simboli che ad esso rimandano, significhi indulgere ad una fede puerile, ingenua, non degna degli uomini moderni; e siccome ci tengono moltissimo ad essere moderni, vorrebbero sbarazzarsi di tutto ciò, ritenendolo un polveroso ed inutile ammasso di anticaglie. 

A loro non importa nulla se la secolare liturgia della Chiesa è sempre stata un aiuto per accompagnare le anime verso la trascendenza; a loro, così misericordiosi, ma solo a parole e solo con chi non è cattolico, non interessa se, private di quei simboli, le anime delle persone semplici, a cominciare, appunto, dai bambini, sono in certo qual modo allontanate dalla fede, perché non riescono più a visualizzare, sia pure in maniera simbolica, i contenuti della fede stessa. I progressisti ritengono di non aver bisogni di simboli o di riti particolari, ma di essere capaci di una fede “matura”, vale a dire fondata sulla loro presa di coscienza razionale. Un tipico esempio di ciò è stata la soppressione del latino come lingua liturgica, soppressione peraltro illegale, dato che nessun documento l’ha mai stabilita e visto che la Messa riformata è stata imposta de facto al clero e ai fedeli, passando letteralmente sopra le loro teste. I progressisti affermano che il latino, essendo una lingua “morta” (dal che si evince anche la loro colossale ignoranza), non si prestava più, da molto tempo, alle necessità liturgiche della Messa: evidentemente non si sono mai resi conto che chi non capiva la “vecchia” Messa di Pio V, non la capiva non perché fosse in latino, ma perché non era più in un atteggiamento di vera fede, e che nemmeno la capisce adesso che è in italiano, se “capire”, quando si parla della fede, significa qualcosa di più che afferrare i contenuti razionali di una certa cosa, come si può afferrare il senso di un problema di matematica. Così, quando padre David Maria Turoldo spezzava una coroncina del Rosario ed esclamava: Basta con queste superstizioni da Medioevo!, esprimeva il sentire di un tipico cattolicesimo progressista, il quale nutre fastidio e disprezzo per le preghiere consacrate dalla Tradizione, giudicandole formalistiche, inautentiche, esteriori; e non si preoccupava, oltre che dello scandalo gravissimo e della sofferenza che il suo gesto causava alle anime, nonché della offesa fatta alla Madre di Dio, del fatto che il Rosario è, di fatto, un validissimo aiuto alla preghiera, dal momento che non tutti sono capaci di pregare in maniera personale: cosa che non autorizza alcuno a sostenere che chi prega recitando l‘Ave Maria ha una fede meno matura e meno perfetta di quella di colui che prega con parole sue. Di nuovo: la maledetta, la non mai abbastanza esecrata superbia intellettuale. Del resto, lo vediamo bene dove  essa conduce: davanti ai referendum sul divorzio e sull’aborto, in entrambi i casi padre Turoldo si schierò a favore del mantenimento delle leggi approvate in Parlamento e diede torto ai cattolici che speravano di ottenerne l’abrogazione. È questa la nemesi dei superbi: credono di aver capito molto più degli altri, credono di aver capito tutto, e non hanno capito niente. Di fatto, scivolano negli errori più grossolani: errori non solo di dottrina, ma anche di morale, cioè di ordine pratico: proprio loro, che sempre si vantano di essere più vicini al comune sentire degli uomini. Ma un sacerdote che si dichiara pubblicamente a favore del divorzio e dell’aborto, è ancora un sacerdote? Anzi, è ancora un cattolico? Evidentemente no. A meno di pensare che i progressisti, e loro soltanto, abbiano il diritto di fabbricarsi, secondo i loro gusti e le loro convinzioni, un cristianesimo fatto su misura; operazione che hanno poi l’impudenza di dichiarare pienamente legittima, appunto perché loro riescono a leggere meglio, e più a fondo, nei contenti della divina Rivelazione. Evidente tautologia: loro capiscono meglio il Vangelo, perciò prendono decisioni che si discostano e che configgono frontalmente con il Magistero; però niente paura, perché loro sanno cos’è veramente il Vangelo, pertanto non stanno cambiando nulla, stanno solo approfondendo la fede…

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L'interno della Chiesa.

Qualcuno, che non ha mai avuto a che fare con loro e con la loro mentalità, potrebbe pensare che ciò che abbiamo detto dei cattolici progressisti sia eccessivo, ingiusto, ingeneroso. Il fatto è che chi ne ha fatto l’esperienza, sa che non ci sono limiti alla loro arroganza, al disprezzo e all’inimicizia che ostentano nei confronti degli altri cattolici, al punto da non ritenere questi ultimi nemmeno dei correligionari e da non sentirsi in dovere di usare, verso di loro, quella delicatezza e quella disponibilità all’ascolto che ostentano, invece, verso i protestanti e i seguaci delle religioni non cristiane.

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Islamici in una Chiesa Cattolica: il Concilio Vaticano II vuole anche questo?

Un piccolo esempio renderà l’idea. In un paese non lontano da Teramo, Villa Camera di Campli, il 3 agosto 2018, il parroco ha invitato in chiesa - non nel salone parrocchiale: in chiesa - l’imam della moschea locale, a parlare sul tema Gesù nel Corano (si faccia attenzione al titolo: Gesù e non Gesù Cristo, ovviamente perché, per gli islamici, Gesù non è il Cristo) e, per dare maggiore spazio all’evento, per quel giorno non è stata celebrata l’Eucarestia. Si noti che era il primo venerdì del mese e anche la festa del santo patrono. Due giovani che sedevano fra il pubblico (il fatto è riportato sul blog Chiesa e post concilio), al termine della conferenza, hanno chiesto ai due sacerdoti presenti se Gesù Cristo è ancora l’unico Salvatore, come insegna il Catechismo; al che uno dei due preti si è alzato bruscamente, dicendo che il dibattito non era previsto, e ha fatto per allontanarsi, dopo aver salutato cordialmente gli islamici. Uno dei due giovani gli ha chiesto. Reverendo, non saluta anche noi? Siamo fratelli nel Battesimo!, ma il sacerdote seccamente ha risposto: Non parlo con chi non professa la mia stessa fede ed ignora il Concilio! Evidentemente, gli islamici invitati quella sera professano la sua stessa fede, visto che con loro parla, mentre i cattolici che chiedono se Gesù è ancora il solo Redentore non appartengono alla stessa fede e quindi non meritano che si rivolga loro la parola. L’allusione al Concilio è eloquente: chi nutre dei dubbi sul pluralismo religioso inaugurato allora, non è più degno di essere considerato cattolico. Se ne deduce che i progressisti sono divenuti seguaci di una loro nuova religione: quella del Vaticano II…
Tratto da:
XXII - Omaggio alle chiese natie: le Zitelle

di Francesco Lamendola

Per leggere la prima parte 

LA CHIESA DI SANTO SPIRITO

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IL TEMPIO OSSARIO

    XXI - Omaggio alle chiese natie: il Tempio Ossario. Non è bello, o a noi, almeno, non è mai parso bello; imponente, questo sì: incredibilmente solido, massiccio, grandioso, a suo modo eroico, d’un eroismo intriso di retorica di Francesco Lamendola
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