ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 3 agosto 2018

Le sue chiese che non sembrano chiese, i suoi preti che non sembrano preti

LA CHIESA DI SAN QUIRINO


XV - Omaggio alle chiese natie: San Quirino. Una follia del Concilio Vaticano II. L’avere accostato brutalmente la chiesa barocca del 1600 e quella del tardo 1900 ha prodotto un risultato di assurda e incomprensibile dissonanza 
di Francesco Lamendola  

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La più antica chiesa cittadina dedicata a San Quirino sorgeva poco fuori delle mura cittadine, non lungi dall’attuale Piazzale Osoppo; assalita da truppe turche nel corso di un’incursione, nel 1472, e parzialmente incendiata, venne restaurata, ma poi, lentamente, cadde in rovina. Nel 1595, quando la città venne suddivisa in parrocchie dal patriarca di Aquileia Francesco Barbaro, una nuova chiesa venne costruita per servire il borgo Gemona, ma l’opera andò a rilento e l’edificio venne ultimato solo nella seconda metà del ‘600 e dedicato alla Madonna della Misericordia e a san Luigi Gonzaga, tuttavia rimase a lungo inagibile. A quell’epoca, da molto tempo, la sede parrocchiale era presso la vicina chiesa di Santa Chiara, molto più antica (della fine del 1200), che ora si trova all’interno dell’area del Collegio Uccellis. Solo all’inizio del ‘700 la parrocchia fu traslata nella chiesa della Madonna della Misericordia, soprattutto perché le monache clarisse si erano lamentate di dover dividere il sacro edificio con la popolazione di un quartiere molto popoloso e di non avere una chiesa tutta loro. Bisogna arrivare comunque al 1701 perché la nuova chiesa venisse consacrata e aperta al culto, dopo essere stata dedicata a San Quirino, vescovo e martire di Sisak, in Croazia, e al 1725 perché fosse finalmente completato il campanile. L’interno, a pianta rettangolare, è ricco di opere pittoriche e scultoree, fra le quali spicca l’altar maggiore e la pala di Antonio Carneo (1637-1692), il maggior pittore friulano del ‘600, raffigurante una serie di storie della vita del re Davide. Nel 1808 le leggi napoleoniche imposero la soppressione di molte sedi parrocchiali e tale sorte toccò anche a quella di San Quirino, che venne unita al Redentore; col ritorno degli austriaci fu ripristinata la situazione precedente, e per un secolo e mezzo San Quirino è stata il cuore spirituale del borgo Gemona, uno dei più popolosi della città.

0 SAN QUIRINO ESTERNO
Una follia del Concilio Vaticano II. L’avere accostato brutalmente la chiesa barocca del 1600 e quella del tardo 1900 ha prodotto un risultato di assurda e incomprensibile dissonanza.

Ed ecco che si arriva al 1967, al vento di follia del Concilio Vaticano II e alle deliranti teorie sulla nuova architettura sacra. 

Poiché la chiesa è divenuta troppo piccola per la popolazione del quartiere, si decide non di ampliarla, ma di costruirne una nuova, e di farlo addirittura in aderenza al muro della vecchia, ma in stile ultramoderno, in omaggio alle tanto sbandierate “aperture” conciliari alla modernità. Il progetto viene affidato all’ingegnere Antonio De Cilia, che si è in qualche modo ispirato alle forme dell’antico teatro greco, ma in chiave novecentesca, e ha largamente utilizzato il calcestruzzo, il vetro e i mattoni cotti a vista. Qualsiasi cosa si pensi di siffatta architettura, il minimo che si possa dire è che l’avere accostato brutalmente, anzi barbaramente, la chiesa barocca del 1600 e quella del tardo 1900 ha prodotto un risultato di assurda e incomprensibile dissonanza: come se nel bel mezzo di un concerto di Bach facesse irruzione un motivo rock, col rullare frenetico della batteria e il vibrare assordante delle chitarre elettriche. Ce n’era proprio bisogno? Cosa si è inteso dimostrare: forse la continuità fra la Chiesa di prima e quella dopo il Concilio? Se, per caso, l’intenzione era questa, ciò che si vede è che le due Chiese sono giustapposte artificialmente, ma che non vi è alcuna continuità fra l’una e l’altra: se ne stanno come due corpi separati, e un muro le divide. Lo spazio non mancava: perché non si è costruita la nuova chiesa a qualche distanza dalla vecchia? Ed era proprio necessario giustapporre i due stili in maniera tanto stridente? Osservando l’esterno dal lato del campanile, il contrasto appare ancora più sgradevole, incomprensibile, per non parlare di quello fra i due interni, che palesa l’assoluta incompatibilità di sentire fra la spiritualità d’un tempo e la nuova, se pure è tale. Infine, perché nulla mancasse alla rivoluzione (e usiamo questa parola nel senso pienamente ideologico del termine), a decorare le vetrate è stato chiamato, nel 1994, un frate servita friulano, Fiorenzo Maria Gobbo, amico ed estimatore di un altro servita friulano, padre Turoldo, profeta della rivoluzionarie vaticansecondista, che ha decorato le vetrate in  uno stile che si può definire con una sola parola: brutto. Sfidiamo chiunque a capire, guardandole, che i soggetti raffigurati sono Maria, la Chiesa, la Gerusalemme celeste; come si dice in friulano: Mame, no’ capis plui nuje. E non serve il traduttore per afferrarne il significato.

0 SAN QUIRINO
Il trionfo del cemento: l'interno della chiesa nuova.

Ecco: pur se non era la nostra chiesa, la nostra parrocchia, entrare nella nuova chiesa di san Quirino, anzi, il solo avvicinarsi alla vecchia, così sconciamente aggredita dalla nuova, e vedere fino a che punto tutto il lato ovest del borgo Gemona, uno dei più caratteristici e dei più simpaticamente e autenticamente popolari della città, ci provocava un profondo senso di disagio. Un disagio che noi, bambini, non potevamo certo spiegare, e che non avremmo neanche saputo esprimere, se non con questa sensazione: che nella nuova chiesa di San Quirino, sia all’esterno, sia, soprattutto, al suo interno, non riuscivamo in alcun modo a trovare quella serena, mistica atmosfera di raccoglimento che ci avvolgeva all’istante, nell’atto di varcare la soglia di una qualsiasi delle altre chiese del centro urbano. Non ce n’era una sola, dal duomo a quella di San Giacomo, dalla chiesa di san Giorgio a quella del Carmine, dalla basilica delle Grazie al Redentore, da San Cristoforo alla chiesa dei Cappuccini, in cui non ci si sentisse immediatamente immersi nella pace e non si provasse un senso di devota concentrazione interiore, quasi abbracciati da Gesù, dalla Madonna e dai Santi. Ma nella nuova chiesa di San Quirino, realizzata sotto i nostri occhi proprio quando i primi segni del consumismo si affacciavano, sia pure in ritardo, anche in quest’angolo d’Italia – il primo supermercato Upim, per esempio, che apriva i battenti in Via Manin, per poi trasferirsi, sempre in centro, sull’area dell’ex cinema Eden, grande e originale, insensatamente abbattuto da urbanisti smaniosi di novità – non percepivamo nulla di tutto ciò. Eppure era luminosa, niente da dire: fin troppo; le ampie vetrate alle pareti lasciavano entrare il sole a volontà; era anche ben riscaldata, con tanto di tetto fotovoltaico: una meraviglia dell’ingegneria moderna. Però, qualcosa mancava. Non avremmo saputo dire bene che cosa mancasse; era una sensazione difficilmente identificabile, e tuttavia chiara, precisa. Ora lo sappiamo l’abbiamo capito, cosa mancava: mancava l’essenziale, cioè la spiritualità. Una chiesa cove non si respira un’atmosfera spirituale, è come se non fosse una chiesa. In chiesa, la gente viene per incontrare Dio; ma non lo può incontrare se non ci sono le condizioni adatte. Si ha un bel dire che Dio è dappertutto e che, volendo, lo si può sentire e pregare ovunque; questo è vero, e tuttavia non è vero: è vero per le anime che possiedono una fede eccezionale, perché esse trovano Dio in qualsiasi luogo, perfino in un buio carcere o in un campo di concentramento; ma non è vero per la maggioranza delle anime, le quali hanno bisogno di un aiuto, di un supplemento di circostanze esterne favorevoli, e specialmente per le anime dei bambini. Le chiese sono fatte per questo, per favorire l’incontro dell’uomo con Dio; se no, che cosa le si costruisce a fare? Per celebrare la religiosità moderna, le conquiste del Concilio Vaticano II? Per piacere, questa  solo ideologia, è propaganda, è politica: non c’entra nulla con il cristianesimo, e soprattutto, non avvicina di un millimetro le anime a Gesù Cristo; semmai le respinge. E infatti, questo è ciò che si prova entrando nelle brutte chiese post-conciliari, quelle che sembrano scatoloni di cemento, informi, sgraziate, anonime e al tempo stesso pretenziose, simili a delle fabbriche, o magari a dei penitenziari, a qualsiasi edificio tranne che a delle vere chiese; quelle che, si direbbe, vogliono farsi perdonare dalla mentalità moderna la “colpa” di essere pur sempre, o di cercar di essere, delle chiese cattoliche. Un po’ come i tanti, troppi preti moderni che pare si vergognino di far capire che sono preti, e pertanto se ne vanno in giro vestiti in borghese, anzi casual, senza nemmeno un crocifisso sulla giacca o sul maglione: e credono, in questo modo, di essere più vicini al mondo, più aperti al dialogo, più disposti ad ascoltare. Pazzi e stolti: sono semplicemente meno preti, meno cattolici, meno spirituali; sono cristiani che si vergognano di testimoniare la loro fede in Gesù Cristo; sono operai timidi della vigna del Signore, o forse qualcosa di peggio, che cercano di passare inosservati per non suscitare il fastidio della gente, in una società che ormai è divenuta post-cristiana, se non decisamente anticristiana.

XV - Omaggio alle chiese natie: San Quirino

di Francesco Lamendola

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