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sabato 11 agosto 2018

Vaccino cattolico

SPIRITUALITA' E CONSAPEVOLEZZA



Consapevolezza vero vaccino, anche in quanto cattolici? Dobbiamo offrire ai bambini un clima di spiritualità. O ci riappropriamo della nostra libertà interiore, riuscendo a decondizionarci dal politically correct o sarà la fine 
di Francesco Lamendola  

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Se vogliamo ricostruire un orizzonte di speranza per le generazioni future; se abbiamo veramente a cuore il destino dei nostri figli e nipoti; se vogliamo assicurare loro gli strumenti perché possano difendersi in una realtà sociale, morale e materiale sempre più difficile, sempre più ingrata, sempre più alienante, dobbiamo adoperarci affinché i bambini, crescendo, trovino un clima nuovo, e siano accompagnati da un forte senso di spiritualità, che oggi è andato quasi del tutto perduto. Quello che ha reso stabile la società pre-moderna, la società europea che si poteva chiamare società cristiana tout-court, è stato il senso di spiritualità che non solo il clero, ma gli adulti in generale, sapevano trasmettere ai loro figli. I bambini crescevano con la netta consapevolezza che non di solo pane vive l’uomo, e che le cose dello spirito sono altrettanto necessarie, anzi più necessarie, per vivere la vita buona, di quelle fisiche: una vita felice e realizzata, ovviamente non nel senso che noi oggi diamo alle parole felicità e realizzazione. I genitori, per primi, davano l’esempio della laboriosità, dell’impegno, della responsabilità, ma trasmettevano anche il senso del sacro e della trascendenza. Il bambino imparava che esistono cose buone e cose cattive, cose lecite e cose illecite, cose giuste e cose sbagliate, sia sul piano della vita pratica, sia su quello della vita morale e religiosa (le ultime due cose essendo inseparabili).

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Saper resistere alle piccole tentazioni da bambini significa allenarsi per le grandi tentazioni dell’età adulta.

Un esempio tratto da ricordi personali chiarirà bene il concetto. Nostro nonno, fornaio e grandissimo lavoratore, si alzava alle quattro ogni mattina, per cinquant’anni, per scendere nel forno a impastare il pane. Mai una vacanza, mai un viaggio, mai una spesa inutile, senza essere né avaro, né meschino. Non era nemmeno un bigotto: credeva, ma senza esagerazioni esteriori; andava a Messa la domenica, e lì finiva, anche per ragioni di tempo, il suo impegno religioso, almeno a livello esteriore (e l’unico giornale che comprava era Famiglia Cristiana, quando quel settimanale era veramente cristiano). Un giorno capitò in visita a dei parenti in campagna; aveva con sé la sua figlia più piccola. Per festeggiare l’ospite, quelle brave persone tirarono fuori una serie di antipasti da far leccare le dita a un buongustaio: prosciutto, pancetta, mortadella, salame, e così via. Malauguratamente, quel giorno era di venerdì; e la bambina, fresca di catechismo, gli disse che lei non poteva mangiare, ma che mangiasse pure lui, perché se la meritava quella piccola deroga, dopo tanto lavoro indefesso. Ma il nonno non assaggiò niente; nessuno dei due profittò di quei buoni piatti. Ed erano anni in cui il consumismo ancora non esisteva, non c’era nemmeno la parola: era appena finita la Seconda guerra mondiale, e nessuno era abituato al di più, né i bambini facevano i capricci per avere la bambola o il trenino; almeno quelli delle classi lavoratrici e della piccola borghesia. A distanza di oltre settant’anni, quella bambina ancora si doleva di aver “costretto” suo padre a rispettare il digiuno settimanale, ma non si pentiva di come si era comportata, era solo dispiaciuta per lui. Eppure lui, senza dubbio, avrà fatto volentieri quel sacrificio, perché quella era una famiglia che si reggeva su affetti veri: erano persone di poche parole e di pochi gesti appariscenti, ma ricche di sensibilità.
Evidentemente, i nonni avevano trasmesso ai propri figli – loro insieme a tutti gli altri adulti, sacerdoti compresi - l’importanza del digiuno del venerdì; avevano trasmesso l’idea che non c’è solo l’istinto, ma anche la vita dell’anima; non solo la natura, ma anche la grazia. Un’idea che ha reso forti generazioni e generazioni di nostri progenitori: saper resistere alle piccole tentazioni da bambini significa allenarsi per le grandi tentazioni dell’età adulta. Sta di fatto che la società funzionava: le famiglie restavano unite, nella buona e nella cattiva sorte; nessuno pensava che fosse una cosa normale fare la propria vita, o inseguire i propri sogni, o puntare a realizzarsi, tutte espressioni moderne, calpestando i valori, e procurando l’infelicità degli altri; nessuno riteneva lecito cercar di essere felici – e qui torniamo al discorso sulla felicità - al prezzo di provocare il dolore e lo sconforto di altri, oppure offendendo e disprezzando l’amore di Dio. Perciò, anche se erano tanto più poveri di noi in senso materiale, i nostri nonni erano spiritualmente assai più ricchi, e soprattutto più preparati ad affrontare le difficoltà della vita.

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Bisogna attivare la nostra consapevolezza? Il diabolico consumismo con l’attrazione morbosa per i gingilli della tecnologia o gli abiti firmati, per tutte quelle banali frivolezze che riempiono la vuota esistenza di tante persone, ma non fanno crescere d’un millimetro la spiritualità latente in ciascun essere umano.


L’altro giorno ci è capitato in mano il libretto della Prima Comunione di tanti anni fa. Sfogliandolo, nostalgia a parte, abbiamo notato che chi lo ha compilato (non reca il nome dell’autore, o degli autori, e anche questo è indicativo di quel clima di sobrietà e di modestia che tanto contrasta con il narcisismo e l’esibizionismo del neoclero dei nostri giorni) possedeva una visione estremamente chiara, coerente e realistica dell’importanza di trasmettere ai bambini un senso di spiritualità. Non è vero, quindi, che la Prima Comunione data ai bambini, per coraggiosa e geniale decisione di san Pio X, si riduceva a una forma d’indottrinamento, quasi un lavaggio del cervello; al contrario, era il coronamento di un’opera pedagogica meditata e sapiente, che partiva da un sicuro riconoscimento di ciò che è essenziale alla natura umana, il bisogno di verità, e di ciò che non è essenziale, tutte quelle cose che distraggono la vita dell’anima dal suo scopo primario. Il quale si può sintetizzare, se vogliamo, nella formula catechistica delconoscere, amare e servire Dio in questa vita, per poi goderlo nell’altra, ma non ha niente di bigotto, né di affettato, né di artificioso, al contrario, è la più profonda lezione di vita che un essere umano possa imparare, al termine di un’esistenza spesa nella continua ricerca della verità. Ecco cosa abbiano trovato, dunque, in quel libretto, nelle premesse alla Prima Comunione (Preghiamo fratelli, Udine, Arti Grafiche Friulane, imprimatur dell’arcivescovo monsignor Giuseppe Zaffonato, pp. 144-145):

1. La Prima Comunione dev’essere realmente il giorno più bello della vita. Il neo-comunicando deve sentire che riceve il “pane della vita” per nutrirsi di Gesù, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti, della sua volontà; deve sentire che la prima presenza di Gesù nel suo corpo e nella sua anima è un impegno per conservare, rinforzare e fortificare questa presenza in tanti altri incontri con la Comunione frequente. Così egli vedrà chiaramente il dovere di tendere a una perfezione sempre più alta per giungere alla “pienezza di Cristo”, alla “maturità di Cristo”.
2. Massima importanza assume quindi la istruzione catechistica che dev’essere adeguata alle possibilità del fanciullo, ma nel medesimo tempo accuratissima, e non dev’essere soltanto teorica, fatta di domande e risposte, ma condotta alla pratica della vita cristiana, a una bontà che sa superare i propri egoismi e donare letizia e felicità a tutti e arriva a inserire il fanciullo nella vita comunitaria della parrocchia con la frequenza alla Confessione e alla Comunione e con l’iscrizione alle Associazioni cattoliche.
3. È pure indispensabile che attorno al fanciullo sia formato UN CLIMA CALDO SPIRITUALITÀ, PER CUI EGLI RESPIRI UN’ATMOSFERA QUASI DI PARADISO e senta quasi le ali per volare a Gesù [il maiuscolo è nostro]. I genitori, i familiari, i parenti e gli amici di casa si sentano perciò impegnati con i Sacerdoti, gli educatori a creare questo alone di schietta e forte spiritualità e vivano la giocondissima responsabilità di far iniziare al piccolo un contatto intimo e fecondo con Gesù, sorgente della vita divina. Non diano la prima e forse l’unica preoccupazione al vestitino, alla festicciola, ai regali, ecc., ma al fatto reale di un cristiano che diventa “cristoforo”, portatore di Cristo, e non per qualche giorno, ma per tutta la vita, e di fronte a qualsiasi situazione. Vedano poi di accostarsi anch’essi alla Comunione…

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Quale sarà il nostro futuro: la consapevolezza il solo vero vaccino, anche in quanto cattolici?

Quale chiarezza concettuale, quanta pulizia e sicura conoscenza delle cose umane, frutto di saggezza ed esperienza di vita, e non, o non solo, di lettere teologiche e di precettistica dogmatica. Già solo leggendo queste righe, l’anima si sente innalzata e trasportata in regioni dove l’aria è più respirabile; sente, intuisce, afferra, che il suo vero destino è l’eternità, non le frivolezze della vita ordinaria, non i bassi desideri materiali, che ci tengono ancorati e imprigionati in un mondo asfittico e tetramente chiuso in se stesso. Oggi i bambini, purtroppo, crescono in un clima quasi totalmente materialistico; e non solo lo vedono e lo vivono fuori di casa, ma anche in famiglia, con i genitori che, sovente, sono assorbiti dalla affannosa rincorsa del consumismo e che la domenica, per esempio, invece di recarsi con lui in chiesa, o di trascorrere una serena giornata di riposo e di visite ai parenti e ai nonni anziani, lo portano con sé allo shopping nei grandi centri commerciali, e comunque, anche se non comprano nulla, forse perché non possono, nondimeno gli trasmettono l’attrazione morbosa per quegli oggetti materiali, per i gingilli della tecnologia e gli abiti firmati, per tutte le banali frivolezze che riempiono la vuota esistenza di tante persone, ma non fanno crescere d’un millimetro la spiritualità latente in ciascun essere umano. Bisogna sempre ricordarsi che si raccoglie quel che si è seminato: se si semina  il diabolico consumismo, si raccoglieranno frutti diabolici. I figli che, da grandi, trascurano e disprezzano i genitori, li sbattono alla casa di riposo non appena possibile e poi, un minuto dopo che sono morti, corrono in banca o dal notaio per mettere le mani sull’eredità, sonoil logico risultato di questa contro-educazione; impossibile aspettarsi qualcosa di diverso, viste le premesse. Lo vedete quel giovanotto che va su e giù per la strada del quartiere, facendo rombare la motocicletta, una volta, due volte, dieci volte, da quasi un’ora, disturbando tutto il vicinato, imperterrito, indifferente al disagio altrui (ammesso che lo veda o se lo immagini, cosa tutt’altro che certa)? Probabilmente sta provando la motocicletta nuova che gli ha regalato papà. Non ha altri impegni, o responsabilità, o compiti da svolgere. Dovrebbe studiare, considerata l’età, oppure andare a lavorare; ma non fa né una cosa, né l’altra. Si gode li regalo di papà, che non è un premio, perché non ha fatto assolutamente nulla per meritarselo, neanche prendersi uno straccio di diploma a diciannove anni, come tutti; ma che importa? E così va avanti e indietro, in sella alla sua moto, su e giù, giù e su; si sente un centauro: altro da fare non ce l’ha, pensieri più intelligenti non gli vengono, come volete che ammazzi il suo tempo? La giornata è lunga per chi ha la pappa pronta e non deve mai render conto di niente a nessuno. È già un miracolo se non gli spuntano nel cranio pensieri ben più pericolosi che quello di rompere le scatole a cinquecento persone con la sua moto, persone che hanno lavorato tutto il giorno, loro sì, e adesso, giunta la sera, vorrebbero solo riposarsi e rilassarsi un poco.

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Bisogna battere e ribattere sullo stesso concetto, perché è la chiave di volta dell’intero edificio: o ci riappropriamo della nostra libertà interiore; o riusciamo a decondizionarci dal politicamente corretto, anche in quanto cattolici, oppure sarà la fine: verremo risucchiati nella grande palude.

Dobbiamo offrire ai bambini un clima di spiritualità

di Francesco Lamendola
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