ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 1 settembre 2018

I malviventi



LA SINDROME DEL MALE DI VIVERE


Non lasciamoci rubare la speranza. La finanza internazionale ci sta rubando i risparmi, la vita; i politici venduti ai suoi interessi la nostra identità e civiltà mentre una neochiesa eretica ci sta rubando la fede e il Vangelo
di Francesco Lamendola  


 00 28 croce ride bellissimo

La finanza internazionale ci sta rubando i risparmi, i salari, la vita. I politici venduti ai suoi interessi ci stanno rubando la nostra identità, la nostra civiltà, la nostra sopravvivenza come nazioni e come popoli. Una scuola e una università asservite al politicamente corretto ci stanno rubando la cultura e l’intelligenza, il senso storico e il senso estetico. Una contro-chiesa eretica e apostatica ci sta rubando la fede, la dottrina, il Vangelo. Ma il furto più grande di tutti, il tradimento più spregevole, la profanazione più immonda, sono quelli che si stanno compiendo ai danni della nostra speranza. Ci stanno rubando la speranza, ai giovani e ai meno giovani, a quelli che hanno un lavoro e a quelli che non ce l’hanno, a quanti hanno famiglia e a quanti, per una ragione o per l’altra, vivono soli: sia la speranza umana, che è patrimonio comune e necessità imprescindibile di qualsiasi essere umano, sia la Speranza cristiana, virtù teologale che discende da Dio e che non è in potere degli uomini dare o togliere ad alcuno, ma è in potere degli uomini, e sia pure di uomini diabolici, interamente votati al male, offuscare e nascondere, affinché i fedeli finiscano per non vederla e non riconoscerla più. Il furto della speranza, nella sua duplice accezione, laica e religiosa, è la cosa più grave fra tutte quelle che abbiamo sopra elencato: infatti, come sa anche la saggezza popolare, a tutto c’è rimedio, tranne che alla disperazione.


Se un uomo perde la speranza, perde anche la voglia di vivere e diventa un soggetto passivo, o meglio, cessa di essere un soggetto per diventare un oggetto, alla mercé di chiunque voglia farsi suo padrone e signore: sia in senso finanziario ed economico, sia in senso politico e giuridico, sia in senso intellettuale e culturale, sia in senso spirituale, morale e religioso. Diventa un relitto, un rudere, unozombie che si trascina penosamente, arrancando sulle strade polverose della vita, in attesa del colpo pietoso che lo liberi dalla sua sofferenza e dalla sua infelicità, come un cavallo sfiancato o come un asinello arrivato agli estremi, che non anelano ad altro se non a una rapida fine.

 http://www.accademianuovaitalia.it/images/Foto-sfumate/00-disperato.jpg
La sindrome del male di vivere: siamo prigionieri della disperazione? Il furto della speranza, nella sua duplice accezione, laica e religiosa, è la cosa più grave, specie se frutto di un disegno diabolico preordinato.

Non stiamo parlando in senso figurato, non stiamo facendo ricorso a immagini pittoresche per amor di retorica: conosciamo un bel po’ di persone che vivono, ormai, prigioniere di un tale stato d’animo, cioè prigioniere della disperazione. E siccome la speranza non si perde per strada come si perde un fazzoletto, perché essa fa parte naturalmente del corredo esistenziale di ogni essere umano, come ne fanno parte l’intelligenza, la memoria e la volontà, e se va perduta c’è sempre una causa ben precisa, un trauma gravissimo, una esperienza lacerante, così, davanti al moltiplicarsi di questo spettacolo, al proliferare di tali situazioni, non possiamo fare a meno di giungere alla conclusione che non si tratta più di situazioni e dinamiche private e particolari, ma di un fenomeno collettivo imponente, tragicamente grandioso, che ha a che fare con tutto l’andamento del sistema della società moderna, delle idee moderne e degli stili di vita moderni. È chiaro che ci troviamo di fronte a un fenomeno di ordine generale: come del resto aveva visto il grande Kierkegaard, la disperazione è la malattia mortale; ed è la malattia specifica della modernità. La modernità è una civiltà della crisi  perpetua, o, se si preferisce, è una anti-civiltà: la sola che sia nata sulla base di una negazione e non di un’affermazione, la negazione della tradizione cristiana e, più in generale, la negazione della natura spirituale dell’uomo. Di conseguenza, tutti gli uomini moderni sono malati, malati di disperazione. Questa è una cultura che non genera salute, bensì malattia; che non mette al mondo individui capaci di speranza, ma individui angosciati, oppure abulici e rassegnati, i quali hanno smesso di sperare, quindi hanno perso la voglia di vivere. Il crollo demografico della vecchia Europa ne è la chiara dimostrazione: non si ama più la vita, non si crede più nel futuro. Quante volte abbiamo sentito dire, anche da persone ancora relativamente giovani: Mettere al mondo dei figli? Mai! Non mi assumerò mai la responsabilità di gettare nella fossa dei leoni delle creature innocenti; il mondo in cui dovrebbero vivere è troppo incerto, troppo difficile e brutto. Ecco: questa è la più spietata auto-accusa che una civiltà possa rivolgere a se stessa.

http://www.accademianuovaitalia.it/images/Foto-sfumate/00-angelo-cade-papa.jpg
Una contro-chiesa eretica e apostatica ci sta rubando la fede, la dottrina, il Vangelo?

Storicamente, le epoche di angoscia e disperazione sono quelle della decadenza. Tale, per esempio, è stata la civiltà greco-romana negli ultimi secoli della sua lunga parabola, come ha visto uno storico del cristianesimo del valore di Eric R. Dodds; ed è stata un’epoca di angoscia, perché è stata un’epoca di vuoto spirituale, una terra di nessuno fra il paganesimo morente e il cristianesimo nascente. Se ne ricava che un’epoca di vuoto spirituale è anche un’epoca di angoscia e disperazione. Tuttavia, se si analizza la parabola storica della modernità, si resta colpiti dal fatto che essa nasce già vecchia: vale a dire già minata da un senso di angoscia e disperazione. Tali sono i tratti salienti del XVII secolo, quando essa nasce; e nei secoli successivi non fanno che crescere a dismisura. Il secolo XX si direbbe il secolo dell’inferno, nel quale si scatenano le forze delle tenebre: e non parliamo solo delle due guerre mondiali, dei genocidi e della bomba atomica, parliamo anche dell’immagine dell’uomo e della vita che emerge dalle correnti letterarie, filosofiche e scientifiche prevalenti. Ciò non può essere un caso. Ne consegue che la civiltà moderna, unica fra tutte quelle che conosciamo, è nata e si è affermata portando in se stessa i germi della malattia mortale: è stata, al di là delle ingannevoli apparenze, una civiltà decadente fin dalle origini. E solo una anticiviltà presenta una simile caratteristica, un simile difetto di fabbrica; tutte le vere civiltà nascono più o meno sane, per poi ammalarsi lungo la strada.

0 GALLERY SOROS JUNKER PAPA bis
La spaventosa verità è che una élite mondiale orchestra "la disperazione", la favorisce, la propaga, la ingigantisce? E' una duplice congiura contro il genere umano: sul piano materiale, impoverendolo sempre più per mezzo della speculazione finanziaria, fino a ridurlo in uno stato di vera schiavitù; sul piano morale, rubandogli la speranza, in modo da fiaccarne l’anima e ridurla in condizioni comatose.

Non vogliamo, tuttavia, impelagarci in un ragionamento astratto, storico o filosofico che sia. Vogliamo limitarci ai fatti, ai fatti osservabili, ai nudi fatti della nostra esperienza concreta. Crediamo di non essere i soli ad aver fatto questa osservazione: che l’angoscia e la disperazione dilagano. Magari dilagano silenziosamente, senza gesti clamorosi (per quanto, e non di rado, vi siano pure quelli): però avanzano sempre di più. Il male di vivere è diventato un sistema normale di vita; la depressione, l’abuso di farmaci e di alcool, il suicidio, sono “soluzioni” e “risposte” sempre più frequenti, quasi abituali. Alzi la mano chi non ha avuto almeno un amico che si è tolto la vita, o ha tentato di farlo, magari un padre di famiglia; o chi non ha conosciuto da vicino la depressione, magari nella persona di un congiunto; o chi non conosce diverse persone, nella cerchia delle sue frequentazioni abituali, che non hanno, o hanno avuto, seri problemi con l’alcool o con le droghe, o loro direttamente, oppure i loro figli, o gli amici dei loro figli. Tutto questo disagio esistenziale richiede una spiegazione globale, come globale è il problema. Statisticamente, è sempre esistita e sempre esisterà una percentuale di persone le quali, per svariate ragioni, non riescono ad adattarsi ai ritmi della vita, non riescono a integrarsi, non riescono a vivere serenamente, ma soffrono e si tormentano, e, non di rado, si comportano in modo autodistruttivo. Ora, però, non si tratta più di sporadici casi individuali, ma di una sindrome vera e propria: la sindrome del male di vivere; ed è una sindrome esclusivamente moderna. Dietro la vetrina scintillante del progresso, della fiducia nella scienza e nella tecnica, del consumismo, dell’edonismo, c’è una disperazione crescente, che non risparmia più nessuno, il ricco come il povero, il giovane come il vecchio, il lavoratore come il pensionato. Specialmente le persone più sensibili, e specialmente le persone di una certa età, che sono in grado di fare confronti con la situazione di trenta, quaranta, cinquanta anni fa, non riescono a darsi pace e scivolano verso la sfiducia, lo smarrimento, la depressione; stanno perdendo la speranza e non vedono alcun segnale confortante all’orizzonte, nemmeno per le future generazioni. Una persona anziana, che non sia del tutto egoista, potrebbe trovare conforto all’idea che i suoi figli e i suoi nipoti riusciranno a trovare il loro posto nel mondo, riusciranno a vivere una vita degna, se non felice; ma se anche questa aspettativa scompare, se anche per i giovani di domani le prospettive appaiono tetre, sconfortanti, chi non è più giovane sprofonda in un pessimismo senza rimedio. Si domanda a che scopo abbia creato una famiglia, abbia messo qualcosa da parte da lasciare ai figli e ai nipoti; si domanda che senso abbia avuto piantare degli alberi che non faranno ombra ai suoi discendenti, ma, probabilmente, a degli stranieri, provenienti da terre lontane, da civiltà e culture che niente hanno a che fare con la nostra, da tradizioni e valori lontanissimi, e perfino opposti a quelli che hanno dato un senso di continuità a loro e a quanti sono vissuti prima di loro. E tutto ciò ha il sapore di un’atroce beffa. Nessuno vive e lavora per degli estranei; è logico e naturale vivere e lavorare per lasciare qualcosa ai propri discendenti, affinché portino avanti l’universo spirituale e materiale al quale si appartiene.

http://www.accademianuovaitalia.it/images/GALLERY/0-GALLERY-DANTE-2.jpg
Oggi l’angoscia e la disperazione dilagano: è la cultura moderna del nichilismo che ci portando ad un inevitabile suicidio collettivo.

Diventa perciò necessario reagire allo scoraggiamento e non lasciarsi rubare la speranza, perché senza di essa non si può vivere. Ma dove trovare gli elementi sui quali far leva per tornare a guardare al presente, e soprattutto al futuro, con un minimo di fiducia? Umanamente, infatti, tali elementi non ci sono: non se vogliamo dirci la verità, né se vogliamo restare su un terreno realistico e razionale. La fede, per i credenti, dovrebbe essere l’elemento che consente quel salto di qualità, quello stacco dalle miserie presenti, che restituisce un orizzonte di speranza; anzi, di Speranza con la maiuscola, di Speranza come virtù teologale. Ma quelli che non hanno la fede? E quelli che l’avevamo, ma l’hanno persa, o la stanno perdendo? E quelli che la stanno perdendo proprio a causa della contro-chiesa, dei suoi pessimi esempi, della sua sistematica distruzione del codice dottrinale e morale sul quale hanno fondato la loro esistenza le generazioni che ci hanno preceduto? Ebbene, a questo punto occorre distinguere fra la speranza come mera disposizione psicologica e la speranza come elemento costitutivo della natura umana. Il primo è un fattore psicologico individuale e perciò variabile; ci sono persone naturalmente speranzose e ce ne sono altre naturalmente pessimiste. La speranza, per gli uni e gli altri, è una disposizione individuale, una attitudine della propria persona nel rapporto con la realtà esterna. Questo è un dato fisiologico immodificabile; come ci sono i biondi e i mori, così ci sono le persone che sperano sempre e altre che disperano di tutto. Un’altra cosa, ben diversa, è la speranza in quanto componente costitutiva dell’essere umano. Anche le persone più inclini al pessimismo e allo scoraggiamento non sono del tutto prive di speranza: la speranza è necessaria all’uomo quanto l’aria da respirare; nessuno può vivere completamente senza di essa, perché, se svanisce del tutto, subentra la decisione del suicidio. Il suicida è colui che non vede all’orizzonte neanche un raggio di speranza e non è disposto a sperare assolutamente più nulla. La disperazione, quindi, il contrario della speranza, è la forma estrema del nichilismo: e infatti il nichilismo è il tratto distintivo, in fondo il più coerente, della cultura moderna. Gli scrittori, i poeti, gli artisti, i pensatori moderni, sono quasi tutti nichilisti; o, almeno, lo sono quelli delle correnti maggioritarie. Meglio ancora: lo sono quelli della cultura dominante, selezionata apposta per veicolare il messaggio del nichilismo. Giungiamo così a sospettare la spaventosa verità:  che una élite mondiale orchestra la disperazione, la favorisce, la propaga, la ingigantisce, mentre si preoccupa di porre ogni sorta di ostacoli a quanti non sono disposti a farsi dei cantori di disperazione. Fra un Alberto Moravia, che descrive un mondo desolato e desolante, dove tutto è brutto, sporco, falso e ipocrita, dove non esistono sentimenti o persone puliti, ma solo meschinità, superbia, egoismo e una lussuria patologica, e una scrittrice come Maria Pascucci, che parla del bene, le case editrici, i critici letterari, i professori universitari si schierano massicciamente per il primo. La cultura moderna deve essere la cultura della disperazione: qualcuno lo vuole. Chi? Gli stessi che hanno deciso il destino dei popoli attraverso il nodo scorsoio della grande finanza: quella infima minoranza che possiede le banche e controlla le multinazionali. Per costoro, il fatto che gli uomini sprofondino nell’angoscia e nella disperazione è funzionale ai loro interessi: quanto più gli uomini sono depressi, impotenti e rassegnati, tanto più sono manipolabili. Ed è questo che vogliono: il controllo totale sugli uomini e i popoli, per attuare i loro diabolici progetti di dominio planetario.

Non lasciamoci rubare la speranza

di

Francesco Lamendola

continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/contro-informazione/le-grandi-menzogne-editoriali/6707-la-speranza-rubata

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.