ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 6 ottobre 2018

La grande mistificazione

VIVERE NELLA GRANDE MENZOGNA


Vivere al tempo della Grande Menzogna. Diceva Upton Sinclair: " . . è difficile far capire una cosa a qualcuno, quando il suo stipendio dipende dal fatto di non capirla". E' un inganno mondiale: viviamo in un grande Truman Show 
di Francesco Lamendola  
  
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 A noi è toccato in sorte di vivere al tempo dei grandi falsari e delle loro grandi falsificazioni, cioè al tempo della Grande Menzogna. La sola differenza importante è fra le giovani generazioni, che non lo sanno, e si bevono tutto, e quelle meno giovani, che lo sanno, perché possono fare il confronto con il prima. Queste, a loro volta, si dividono in due grandi categorie: l’una è formata dai pochi che parlano e denunciano l’inganno mondiale; l’altra, di gran lunga maggioritaria, è formata da coloro che tacciono, o perché neppure loro si sono accorti di nulla, in quanto si sono lasciati bollire a fuoco lento, o perché hanno tutto l’interesse a tacere e ad assecondare la grande mistificazione, in quanto solo così possono conservare dei privilegi o dei vantaggi, che, diversamente, rischierebbero di perdere. Fra questi c’è, poi, la sotto-categoria di chi sta zitto per paura, per il timore di rendersi impopolare, di diventare un patetico don Chisciotte, di passare per pazzo: anche costoro temono di perdere qualcosa, la loro tranquillità, la loro pace. Preferiscono vivere in un mondo dove tutto è il contrario di come viene presentato, in un grande Truman Show, piuttosto che mettere a repentaglio la loro pace. Questione di gusti, naturalmente: che pace può esservi nel vedere una cosa del genere e fare finta che tutto sia normale, non è cosa che ci riguardi; contenti loro, contenti tutti. E poi, come diceva don Abbondio, se il coraggio uno non ce l’ha, non può mica darselo da solo. Infatti: gli uomini, oggi, sono veramente, disperatamente soli: avendo rinunciato a Dio, non restano loro che le relazioni umane basate sull’effimero, sulla convenienza, sulla paura.


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Le forme della falsificazione globale? Diceva Upton Sinclair: " . . è difficile far capire una cosa a qualcuno, quando il suo stipendio dipende dal fatto di non capirla".

Dunque: la grande mistificazione. Sì, lo sappiamo: a fare questi discorsi, si passa effettivamente per matti, o, nel migliore dei casi, per dei maniaci, vittime di un’ossessione delirante, schizoide, compulsiva: la sindrome del complotto globale. Pazienza, nessun problema. I più accaniti nel deridere e aggredire le poche voci di allarme che si levano qua e là, sono dei vermi di professione, che in inglese si chiamano debunkers: sono pagati da quelli che complottano, e quindi la loro azione di disinformazione sistematica ha origine dal fatto di essere stipendiati al preciso scopo di screditare chiunque tenti di alzare il velo sull’intera faccenda, o anche su singole parti di essa (per esempio, la narrazione di cosa è realmente successo l’11 settembre del 2001). Solitamente indossano la maschera dei ricercatori o dei divulgatori scientifici, oggettivi, solidamente dotati di buon senso, positivi, razionali, con i piedi per terra, in modo da screditare ancor più le vittime dei loro attacchi, facendoli apparire, per contrasto, dei poveri mentecatti esagitati, che balbettano come facevano maghi e stregoni quando già Galilei gettava le basi della Scienza nuova. Ed ecco che Alberto Angela, per esempio, ci spiega, in una puntata di Ulisse, che le Due Torri di New York erano praticamente dei parallelepipedi vuoti, tanto più che avevano oltre 22.000 finestre per ciascuno, e suggerisce, così, che bastava uno starnuto a farli cadere, mentre la verità è che esse avevano, come tutti i grattacieli, una doppia struttura rinforzata, cioè erano dotati di una struttura interna robustissima: praticamente una torre dentro un’altra torre. A volte questi signori si prendono pure lo sfizio di divertirsi a parlare anche loro del complotto, e ci scrivono sopra fior di romanzi, e ci fanno dei bei soldi, tutt’altro che illusori, mentre pretendono che il complotto non esiste e non è mai esistito,  ma è solo il frutto del delirio di poche menti scombussolate è il caso di Umberto Eco, con Il pendolo di Foucault, o Il Cimitero di Praga, e così via. Che simpatici furbacchioni: passano la vita a screditare le teorie del complotto, a fondare C.I.C.A.P, e cose simili, per dimostrare che va tutto bene, che è tutto a posto, tutto nella norma, il mistero non esiste, abbiamo ogni cosa sotto controllo grazie alla scienza e alla razionalità; però intanto si arricchiscono scrivendo e vendendo libri, da cui si ricavano film di grande incasso, sbizzarrendosi a descrivere complotti, misteri, sette, esoterismi, padroni occulti del mondo, e così via. Ogni tanto, però, qualcuno passa il segno e ci lascia le penne, come è  successo a Stanley Kubrick, che forse ha detto troppe cose con il film Eyes Wide Shut; e al regista Roman  Polanski, che andava punito (e sappiamo come) perché avrebbe fatto meglio a stare più sul vago quando ha girato Rosemary’s Baby. Che volete, i conti tornano: non è buona educazione sputare nel piatto dove si mangia abbondantemente. E non si è molto credibili quando si denunciano i complotti, dopo aver passato la vita a servire i loro autori.

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La falsificazione globale: per i registi dell'inganno mondiale bisogna che la falsificazione investa tutto, copra tutto: l’unica cosa che è difficile sopprimere, è il passato, ma anche per quello esistono delle tecniche adatte.

Ma in che cosa consiste la falsificazione generale, esattamente? È presto detto: non c’è un solo ambito della cultura e dell’informazione che ne sia esente. Logico: se venisse a mancare, o cadere, anche un solo puntello, l’intero castello di falsificazioni crollerebbe miseramente: dunque, bisogna che tutto si tenga, ed è necessario che nulla, neanche il più piccolo spazio, venga trascurato. Per riuscire, bisogna che la falsificazione investa tutto, copra tutto: l’unica cosa che è difficile sopprimere, è il passato, ma anche per quello esistono delle tecniche adatte. La più semplice di tutte consiste nel cuocere i cervelli a fuoco lento, così che non facciano confronti fra il mondo di ieri e quello di oggi, e aspettare. Aspettare cosa? Che muoiano i vecchi. Quando saranno morti tutti, i giovani non sapranno più: il passato, per loro, sarà quello che raccontano gli Umberto Eco e gli Alberto Angela. Cioè, potranno raccontare loro qualsiasi cosa. Quando i prossimi papi saranno tutti come Bergoglio, chi potrà mai sapere cosa erano i veri papi e come dovrebbe essere un papa? I giovani crederanno che essere papa sia quella cosa lì: vale a dire, tutto il contrario di ciò che un papa è sempre stato fino al Concilio, e che deve essere. Nel migliore dei casi, penseranno che il suo compito consista nel lavare i piedi ai poveri, preferibilmente musulmani; non nel custodire fedelmente la dottrina. La dottrina: e che roba è? Ah, sì, quella roba in cui credevano i nostri bisnonni, bigotti e infagottati nei loro pregiudizi, nella loro rigidità. E adesso diamo un’occhiata, un po’ più nello specifico, all’articolazione complessiva della Grande Menzogna, sulla cui base si costruiscono tante brillanti carriere di giornalisti, di scrittori, di accademici, di scienziati, di artisti, di architetti, di urbanisti, di fumettisti, di registi, di campioni sportivi, di uomini e donne di spettacolo, e naturalmente di finanzieri, di politici e di pubblici amministratori, nonché di filosofi, di teologi e perfino di vescovi, di cardinali e di… papi.

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Le forme della falsificazione globale: "il denaro". La privatizzazione del denaro ci fa capire chi comanda veramente, oggi, nel mondo: se i politici o i finanzieri?

C’è la falsificazione che è la madre di tutte le falsificazioni: quella del denaro, e, di conseguenza del debito pubblico. Oggi gli usurai fanno le cose in grande stile: non prestano denaro solo ai singoli, ma agli Stati; e, già che ci sono, lo creano, lo fabbricano dal nulla, attraverso le banche centrali, che sono in realtà private: e così acquisiscono denaro vero, frutto del lavoro della gente, e danno in cambio denaro falso, virtuale, inesistente. Allo stato X serve un prestito di un milione di dollari? Nessun problema: qualcuno si mette al computer, scrive che la banca tal dei tali emette un prestito a favore di…, al tasso d’interesse del…, e il gioco è fatto. Naturalmente, gli interessi crescono, anno dopo anno: quello Stato, nel corso di cinque, dieci anni, ha bell’e pagato il suo debito: ma non gli interessi, che sono cresciuti in maniera esponenziale, anche perché le aste dei titoli di Stato, per finanziare appunto il debito, sono fatte con criteri che avvantaggiano le banche stesse, non i debitori, in questo caso gli Stati. Strano, vero? Perché almeno quei criteri dovrebbero stabilirli i governi, non le banche. Ma se sono stati proprio i governi a dare carta bianca alle banche perfino sulla cosa essenziale: l’emissione del denaro… Da qui si capisce chi comanda veramente, oggi, nel mondo: se i politici o i finanzieri. Fate un po’ voi: guardate chi stabilisce le regole del gioco (sporco) e tirate le vostre conclusioni. Di certo, non le stabiliscono i politici. I politici fanno solo da passacarte: si limitano a trasferire il debito pubblico sulle spalle, cioè nelle tasche, dei cittadini. Altro non fanno. Mai un politico che si alzi in piedi e chieda di “vedere” il gioco; mai uno che ponga la questione: ma una banca centrale, non dovrebbe essere a capitale pubblico? Come mai ci affidiamo, legati mani e piedi, a delle banche private, e consegniamo loro le chiavi di casa nostra, cioè i cordoni della borsa? No: nessun ministro, nessun governo, nessun presidente della repubblica pone mai simili interrogativi. Si vede che è tutto a posto, che va bene così. Il debito pubblico degli Stati nasce e cresce dal nulla, fino a diventare un cancro, una metastasi, che brucia posti di lavoro, risparmi, pensioni, speranze nel futuro, figli non nati perché i potenziali genitori non osano metter su una famiglia. Ma niente paura: ci son i figli degli immigrati in arrivo, state tranquilli: è tanto semplice, no? Così semplice che Tito Boeri ce lo ripete ogni volta che occorre, e tanti altri gli fanno eco. Meno male che ci sono gli immigrati, che fanno i figli e ci pagano le pensioni: li dovremmo ringraziare. E soprattutto, dovremmo farne arrivare ancora di più, sempre di più; perché attualmente ne abbiamo troppo pochi. Suvvia, non saremo mica diventati un popolo razzista, per caso? Senza contare che bisogna essere razionali: senza gi stranieri, come faremmo a tenere in piedi la nostra traballante economia, a tenere in vita la nostra moribonda società? Dopo di che, si tratta di convincere i cittadini di quello Stato che sono debitori: anche se in tutta la loro vita non hanno mai contratto il più piccolo debito; anche se non hanno mai fatto spese superiori alle loro possibilità; anche se hanno sempre lavorato duro e risparmiato più che potevano. Non importa: fin dalla culla, fin dal momento di nascere, un cittadino di quello Stato, poniamo l’Italia, ha sulle spalle un debito di 40.000 euro da risarcire. A chi? Alle banche. Quando lo ha contratto, se quel bambino doveva ancora nascere? Lo hanno contratto i suoi genitori. Quando? Come? Non si sa. Lo ha contratto lo Stato, e lo Stato è formato dai cittadini: quindi ciascun cittadino è tenuto a rifondere il debito. E quel bimbo viene cresciuto col senso di colpa, accompagnato dalla persuasione di essere debitore, quindi brutto e cattivo. Qui entrano in gioco i servi di secondo livello: i debunkers, i disinformatori. Stuoli di giornalisti, economisti, opinionisti, martellano incessantemente il pubblico con lo stesso mantra: gli italiani hanno vissuto allegramente, al disopra delle loro possibilità (bricconcelli!); hanno accumulato un grande debito; bisogna che lo ripaghino. È tutta una mistificazione, è tutta una truffa: non c’è niente di vero, nemmeno il toner del computer dove sono state scritte quelle cifre, quelle cifre assassine che inchiodano al debito i popoli e i singoli cittadini del pianeta: però tutti ripetono che è così, che le cose effettivamente stanno in quel modo e non in altro e la gente, a forza di sentirselo ripetere, finisce per crederci. Chi non ci crederebbe? Lo dicono gli economisti, lo dicono i politici, lo dicono i ministri. I ministri sono stati scelti dai parlamentari, e questi sono stati eletti dal popolo, dunque son lì per fare gli interessi del popolo, non è vero? Nessuno va a pensare che mentano; nessuno va a pensare che siamo sul libro paga dei signori della Grande Menzogna; i padroni della finanza. Se lo dicono loro che dobbiamo ripagare il debito, sarà vero per forza. Chi siamo noi, comuni morali, sprovvisti di conoscenze specifiche in materia di economia e di finanza, per permetterci di dubitarne? 
Vivere al tempo della Grande Menzogna

di Francesco Lamendola
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