ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 19 dicembre 2018

Nel paese un tempo cattolico


Presepe multietnico
nei  giardini “Madre Teresa di Calcutta” nel quartiere Aurora a Torino
 




Notizia

Torino è una grande città, divenuta tale soprattutto per la presenza degli stabilimenti della Fiat e del relativo indotto. Nel 1860, all'unità d'Italia, contava circa 173.000 abitanti, passati a circa 500.000 negli anni 1920 e a circa 600.000 negli anni 1930, arrivò a contare circa 1.200.000 abitanti nel 1971. Da allora la popolazione è andata diminuendo, fino ad arrivare oggi a circa 850.000 abitanti.
Di pari passo e mutata altalenando la tipologia degli abitanti: oggi Torino conta circa il 15% di immigrati extracomunitari, per lo più concentrati nei quartieri più popolari, dove la città ha assunto un volto del tutto inedito, fino a mutare usi e costumi.
In uno di questi quartieri, Aurora, è presente un giardino che è noto in città come centro per lo spaccio della droga, dove operano quasi tutti extracomunitari.




In questi giardini, i responsabili della circoscrizione 7, ovviamente di sinistra, hanno pensato bene di approntare un presepe “multietnico” che, a detta del responsabile della circostrizione: “rappresenta il nostro quartiere”; ma che in realtà rende onore agli spacciatori nordafricani che infestano il luogo.


 


In questo presepe, composto con tavole di legno sagomate e colorate, la Madonna è di colore nero, San Giuseppe ha fattezze caucasiche e il Bambino Gesù è mulatto.




Come è del tutto evidente, e come è divenuto di uso corrente nel nostro paese un tempo cattolico, ogni nostro simbolo religioso oggi viene trasformato in uno strumento per promuovere la distruzione di ciò che resta della nostra civiltà cattolica, per far posto ad una società senza radici e senza religione.
Il decantato demagogico rispetto per lo straniero è un paravento per colorare di rosa il triste spettacolo delle nostre città ridotte a bazar e a ricettacolo di ogni tipo di delinquenza.

In tutto questo stanno svolgendo un ruolo distruttore perfino coloro che per primi avrebbero il dovere di preservare la nostra identità culturale e soprattutto religiosa: i preti, con a capo il signore argentino che siede indegnamente e impropriamente sul trono di Pietro.

Anche solo da un punto di vista storico, la Sacra Famiglia era composta da ebrei discendenti dal popolo che da più di 1.000 anni prima di Cristo si era insediato in Palestina, e per di più tutti di stirpe reale.
Colorare di nero Maria. mongolizzare Giuseppe e fare diventare Gesù un mezzo sangue è quanto di più demenziale si possa immaginare, con l'aggravante che gli stessi extracomunitari a cui si vorrebe rendere omaggio con tali nefandezze, alla fine finiranno col nutrire per noi dileggio e disprezzo.

Quando un popolo sputa sulla sua identità, finirà con diventare servo di chi ci tiene a mantenere identità e religione, come gli extracomunitari che ormai affollano il nostro paese.




Che solfa, il presepe immigrazionista


di Giuliano Guzzo
Oh no, pure qui. Dopo quello dello scorso anno a Castenaso, paese alle porte di Bologna, e quello allestito pochi giorni fa alla Casa della Carità di via Brambilla, a Milano, pure a Trento – evviva l’originalità – è approdato un presepe immigrazionista, con Giuseppe, Maria e il Bambinello su una zattera avvistata alla chiesa del Santissimo, in corso Tre Novembre. La strumentalizzazione è chiara ed è altrettanto chiaro che di immigrazione, ormai, sermoneggiano tutto l’anno le Ong, il sindaco di Riace, Baobab Experience, padre Zanotelli, Saviano, Emma Bonino, Laura Boldrini, Sergio Mattarella, Roberto Fico, Pamela Anderson, eccetera.

Invece di Gesù Bambino si parla solo adesso, quando ancora se ne parla: è troppo chiedere di tenere distinte le cose? Si deve sempre e comunque buttarla in politica? Dopotutto, il presepe è invenzione di san Francesco d’Assisi, che in tema di povertà era leggermente più credibile di chi oggi fa l’accogliente, sì, ma con i quartieri degli altri. Eppure manco il Poverello sentì il bisogno di fare del Natale un manifesto di accoglienza, sapendo che come segno d’Amore già basta e avanza: pretendiamo di saperne forse più di lui? Chiedo, sapendo che non avrò risposte. Poco male. L’unica Risposta di cui davvero ho bisogno m’arriva, in silenzio, dal mio presepino in legno.
http://campariedemaistre.blogspot.com/2018/12/che-solfa-il-presepe-immigrazionista.html
Il Conte Neri Capponi, uomo della Tradizione

È deceduto in Firenze il giorno giovedì 13 dicembre 2018 (Santa Lucia) il Conte Neri Capponi, Patrizio fiorentino, Giudice del Tribunale Ecclesiastico a Firenze, ma non soltanto in Firenze (è stato Presidente nazionale dell’allora importante Associazione «Una Voce» per la difesa della liturgia e del canto gregoriano e, poi, Presidente Internazionale della medesima associazione), canonista, Docente Universitario, fece parte di quel cenacolo che si riuniva intorno ad Attilio Mordini, un gruppo di intellettuali cattolici che si definivano «Uomini della Tradizione» e che si riunivano nei locali della Confraternita di San Tommaso in via della Pergola. Tra questi personaggi il politologo Domenico Fisichella, il Principe Girolamo Strozzi Guicciardini, gli scrittori Adolfo Oxilia, fondatore della Rivista «L’Ultima» (anagramma di «Umiltà») e Fausto Belfiori, fondatore e Direttore della bellissima rivista «Adveniat Regnum» sulla quale scrivevano le migliori penne cattoliche dell’epoca.
Da sinistra: Pucci Cipriani, Neri Capponi, Juri Malcev, autore de L’Altra letteratura (1957-1976) da Pasternak a Solzenicyn (La Casa di Matriona), esule dopo dieci anni di manicomio coatto perché dissidente dal regime comunista sovietico
Per anticonformismo e per coraggio Neri Capponi si rifà ai suoi avi e al noto episodio che, nel 1494, al calar delle truppe francesi di Re Carlo VIII vide protagonista Pier Capponi che, deposto l’imbelle Piero dei Medici, si mette in contrapposizione a quella famiglia e, di fronte a un Re che, asserragliato con le sue truppe, diventa sempre più esigente, straccia i capitolati e alla minaccia di Carlo VIII, «Noi suoneremo le nostre trombe», risponde impavido il Capponi, «E noi suoneremo le nostre campane»… Re Carlo comprende che le cose si mettono male e per evitare una “guerriglia” che avrebbe decimato le sue truppe lascia Firenze per cui chiosò il Machiavelli:
Lo strepito dell’armi e dei cavalli
non poté far che non fosse sentita
la voce di un Cappon tra tanti Galli
tanto che il re superbo fé partita.
 Il Conte Capponi si distinse per la sua battaglia in difesa della Messa di sempre e, come lui racconta, in un saggio pubblicato nel 1995 sulla Rivista «Religioni e Società», in un primo tempo fu vicino alle posizioni di Monsignor Marcel Lefebvre :
«Conobbi personalmente Monsignor Marcel Lefebvre quando, alla metà di febbraio del 1975, organizzai per lui un pontificale con il rito antico nella Basilica di San Lorenzo a Firenze che provocò vivo disappunto nella curia fiorentina, Lo rividi più tardi, alla fine del maggio 1975 quando il presule mi venne a trovare nella mia qualità di avvocato  per prospettare un ricorso al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica contro l’illegittima soppressione della sua Fraternità Sacerdotale San Pio X, fatta il maggio 1975 da Monsignor Mamie, Vescovo di Losanna (… )come si sa al Supremo Tribunale fu perentoriamente inibito di esprimersi sulla questione dal Sostituto Segretario di Stato Mons. Giovanni Benelli che asseriva di parlare a nome del Papa.» (Cfr. il saggio Uomini della Tradizione nella Firenze religiosa del secondo dopoguerra. Un profilo autobiografico, pagg. 155-177 in «Religioni e Società», n. 22-23, anno X, maggio – dicembre 1995).
«La crisi della fede nel post concilio – è sempre il Conte Capponi che scrive nel medesimo saggio – e la rivoluzione liturgica del 1969, considerata inseparabile dalla crisi della Fede, portò sulla stessa sponda “conservatori”, “tradizionalisti” e persone che, pur non essendo impegnate in alcuna maniera, per ragioni sia religiose che culturali si opponevano alla rivoluzione liturgica. Da questa convergenza nacque il Movimento “Una Voce”  che si proponeva di difendere l’antico rito romano (erroneamente chiamato “tridentino”).Fin dal principio però il fulcro della battaglia si incentrò sulla difesa degli antichi testi liturgici , dell’antico calendario e del modo di celebrare la liturgia e solo secondariamente sulla difesa del latino, secondo lo slogan (inventato nel 1978 dal giornalista scrittore – Carlo Belli – già collaboratore de “Il Tempo” di Roma e presidente dell’Associazione “Una Voce Italia” dal 16 maggio 1976 al 2 maggio 1979): “meglio il vecchio rito in turco che il nuovo in latino.»
Un personaggio Neri Capponi che, di fronte a una nobiltà fiorentina, in gran parte filogiacobina, non temé di nuotare “controcorrente”… con tutte le conseguenze del caso, in una città “rossa”, in una regione “rossa” e in un’Italia vigliaccamente pronta a calar le brache di fronte al Comunismo che, allora, sembrava ormai il futuro (tragico), situazione che faceva dire ai più «Meglio rossi che morti» e a cui il romano Professor Roberto de Mattei rispose: «Meglio morti che rossi»… una posizione che piacque subito al nostro Conte fiorentino.
E nel Sessantotto, di fronte alla contestazione sessantottarda – ricordo davanti alla sua Facoltà universitaria la scritta intimidatoria: «Capponi, fascista sei il primo della lista» – il Professor Capponi seppe affrontare la canaglia urlante difeso dai suoi studenti.
Si batté contro il divorzio in difesa della famiglia e fu sempre in prima fila nella difesa di quelli che Benedetto XVI chiamerà i «Principi non negoziabili» e dunque guerra all’aborto, al femminismo, all’eutanasia, alla droga, alla pornografia… anelli di una stessa catena.
Non si vergognò a proclamarsi di Destra («Sono talmente a destra che sfumo all’orizzonte») ed io con lui ricordo di aver più volte parlato al Fronte Monarchico Giovanile di Tradizione, di Crociate, di Carlo d’Asburgo, dei Martiri della Vandea, del glorioso Regno delle Due Sicilie e dei loro Sovrani eroici e coraggiosi Francesco e Sofia, del nostro Granduca Leopoldo e dell’attuale Sigismondo del quale è stato amico e consigliere – potete vedere il Granduca Sigismondo in una delle foto in coda insieme a Padre Ronaldd, il Conte Capponi e il Professor Massimo de Leonardis -, ma anche dei «Santi di Casa Savoia» e dei «Confessori» della Fede come il Cardinal Mindzenty… con un altro grande e indimenticabile amico, Monsignor Luigi Stefani, con il quale ci ritrovavamo alle periodiche riunioni del MAC (Movimento Anticomunista Cattolico) nello studio dell’Avvocato Domenico Polito in via Martelli n.8, insieme ai professori Leopoldo Medici e Virgilio Mori, e tutti eravamo redattori del mensile «Il Recensore», l’Organo ufficiale del MAC.
Collaboratore di «Controrivoluzione» – la rivista che fondai nel 1989 e che da trent’anni dirigo – dal 2015 era nel Comitato scientifico della stessa rivista, Organo dell’ANTI 89, insieme ai docenti universitari: Francesco Dal Pozzo d’Annone, Massimo de Leonardis, Roberto de Mattei, Patrizia Fermani, Alessandro Giorgetti, Andrea Sandri, Piero Vassallo.
Capponi fu capo di Guardia «nobile» della Misericordia di Firenze e con la «cappa nera della Misericordia» giace ora nel feretro.
È morto nel dolore, Neri Capponi, ma serenamente, affrontando con quel coraggio e quella forza d’animo da tutti riconosciutagli, il giudizio inappellabile di quel Cristo che tanto amò in vita.
Un amico e un Maestro il Conte Capponi che si oppose e che combatté i «cattivi maestri» che cercarono, dall’alto dei loro scranni politici e universitari, di ammaliare i giovani con i «canti di Sirene rivoluzionarie e giacobine».

Da sinistra: Padre Ronald C.O. (che celebra la Messa di sempre), il Conte Neri Capponi, il Professor Massimo de Leonardis, il Granduca Sigismondo di Toscana


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