ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 26 dicembre 2018

Nella nostra Chiesa sempre più incidentata

QUALCHE CHIARIMENTO AFFINCHÉ IL NOSTRO NATALE SIA MENO POVERO E MENO IDEOLOGICO: IN VERITÀ, A BETLEMME ERA SOLO TUTTO ESAURITO, GESÙ CRISTO NON È NATO DA DUE IMMIGRANTI …
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Tra il 25 e il 26 dicembre dovremo sorbirci i resoconti giornalistici stillanti correttezza politica che c’informeranno in quante gloriose cattedrali e basiliche, durante la Santa Messa della Notte di Natale, è stato fatto riferimento ad un Gesù povero e profugo. E più la cattedrale o la basilica sarà prestigiosa, più l’omileta avrà alzato il tiro …
.Puer natus est, alleluja !
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non c’era un posto, a Bethlehem …

Dedicheremo l’omelia al Vangelo di questa Santa Notte al legame che unisce l’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo al mistero della Santissima Eucaristia [vedere testo della Liturgia della Parola, Lc 2, 1-14, QUI].
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Nei giorni precedenti questo Santo Natale, ed in quelli che seguiranno, il divino mistero di questa nascita è stato definito in tanti modi dal mondo sempre più mondano e laicista, solo qualche esempio: il Natale indicato come «festa della pace», «festa della solidarietà», «festa dell’amore tra i popoli e dell’accoglienza delle diversità», ovviamente «festa dei poveri» e «festa degli immigranti». Sia chiaro: io non sono turbato né dai poveri né dagli immigranti, credo anzi sia nostro dovere umano e cristiano aiutare i poveri ad uscire dal loro stato di povertà, ed ai veri profughi che fuggono da guerre e carestie ad avere una patria: «Ero straniero e mi avete accolto» [cf. Mt 25, 31-46].

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A turbarmi, non è quindi il dramma della povertà,né il problema della immigrazione; da cinque anni a questa parte a turbarmi è altro, ed in specie quando in occasione del Santo Natale e della Santa Pasqua, queste due categorie ormai ideologiche ― poveri e migranti veri o sedicenti tali ―, prendono il posto del Verbo di Dio incarnato e del Cristo Risorto.
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Tra il 25 e il 26 dicembre dovremo così sorbirci i resoconti giornalistici stillanti correttezza politica che c’informeranno in quante gloriose cattedrali e basiliche, durante la Santa Messa della Notte di Natale, è stato fatto riferimento ad un Gesù povero e profugo. E più la cattedrale o la basilica sarà prestigiosa, più l’omileta avrà alzato il tiro. E così, come ad ogni 1° gennaio avremo il tradizionale resoconto dato da giornali e telegiornali sugli incidenti di capodanno avvenuti a Napoli, altrettanto accadrà nella nostra Chiesa sempre più incidentata dalla mondanità, ed il 26 dicembre potremo festeggiare la memoria di Santo Stefano Protomartire con tutti i resoconti più dettagliati sui pranzi che si sono tenuti nelle nostre chiese alla vigilia di Natale e sulle omelie a base di poveri e profughi che nelle stesse si sono tenute tra la notte del 24 ed il giorno del 25 dicembre, tra presepi divenuti ormai un monotono e conformistico tripudio di barconi e di ciambelle di salvataggio usate per adagiarvi sopra il Divin Bambinello appena sbarcato nell’Isola di Lampedusa.
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In questa Santa Notte desidero ricordare che a Natale, la orbe catholica, festeggia il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo [cf. Gv 1, 1-18], non festeggia una non meglio precisata “festa della solidarietà” svuotata del divino mistero e riempita di laicismo mondano. E le parole sono importanti, perché il modo più diabolico per distruggere la fede, è svuotare i misteri della fede del loro vero significato per poi riempirli di altro. Non più quindi memoria del grande mistero della Incarnazione del Verbo di Dio che si fa uomo assumendo la nostra stessa natura umana come illustra il Beato Apostolo Paolo nel suo celebre Inno Cristologico [cf. II Fil 2, 6-11 testo QUI], ma «festa della pace», «festa della solidarietà», «festa dell’amore tra i popoli e dell’accoglienza delle diversità» … il tutto con improbabili e non veritieri riferimenti ad un Gesù povero e profugo.
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Vediamo allora cosa narrano le cronache storiche dei Santi Vangeli: la Beata Vergine Maria, dopo avere risposto in piena libertà con il proprio «fiat» al messaggero del Signore [cf. Lc 1, 26-38], dà alla luce mesi dopo il Figlio unigenito di Dio, lo avvolge in fasce e lo depone in una mangiatoia. Questa nascita e questa deposizione in una mangiatoia non accadde nei modi narrati perché Giuseppe era povero e profugo, ma perché i due, come ci narra il Santo Vangelo che abbiamo appena proclamato [Lc 2, 1-14], erano in viaggio da Nazareth verso Betlemme per adempiere l’obbligo del censimento ordinato da Cesare Augusto [cf. Lc 2, 1-14]. Giuseppe era un artigiano che svolgeva il nobile e redditizio mestiere di ebanista, mentre Maria proveniva da una famiglia forse ancor più benestante di quella di Giuseppe, basti pensare che il marito di sua cugina Elisabetta era un Sacerdote della antica casta di Abìa [cf. Lc 1, 57-80]. Pertanto, se Gesù nasce in un luogo di fortuna è perché, come narrano i Santi Vangeli, non c’era un posto libero in alcun albergo [cf. Lc 2, 1-6]; non perché Giuseppe non avessero di che pagare l’alloggio quando la beata Vergine fu colta dalle doglie del parto durante quel viaggio, intrapreso non per scelta volontaria, ma per un dovere giuridico imposto dall’obbligo di farsi censire [cf. Lc 2,1].
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L’evento più grande della storia, l’incarnazione del Verbo di Dio, è descritto attraverso la successione di alcune fondamentali parole chiave: dare alla luce, avvolgere in fasce, porre in una mangiatoia. Con queste parole semplici e chiare si narra la nascita del Figlio Unigenito di Dio Padre, Gesù, la Luce del mondo. Perché «Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte di croce» [Fil 2, 6-11]. Lui, che è Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato della stessa sostanza del Padre [Simbolo Niceno-Costantinopolitano], vede la luce con gli occhi di un vero uomo nascendo dal ventre di una donna, la Beata Vergine Maria.
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Il Figlio Unigenito di Dio posto nella mangiatoia,costituisce per noi un grande valore mistagogico. Nella mangiatoia si depone infatti il cibo per gli animali: il fieno e la paglia, tenendoli elevati da terra affinché non si sporchino. Gesù, ponendosi nella mangiatoia, rivela al mondo sin dalla nascita qual è la sua vera essenza: il Verbo di Dio fatto uomo viene per farsi nutrimento reale degli uomini.
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Anche oggi Cristo è deposto nella mangiatoia dell’altare o del tabernacolo affinché tutti possano accostarsi a Lui per adorarlo come lo adorarono i festanti pastori accorsi [cf. Lc 2, 15-20] ed i Maghi Astronomi detti Re Magi [cf. Mt 2, 1-12], affinché tutti possano nutrirsi di Lui nella Santissima Eucaristia, che è il mistero del suo corpo donato e del suo sangue versato. E nell’Eucaristia Cristo non è presente simbolicamente o metaforicamente, ma realmente; Egli è presente vivo e vero in anima corpo e divinità.
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Cristo redime e salva l’umanità col sacrificio della croce, immolandosi come agnello di Dio che lava il peccato dal mondo [cf. Gv 1, 29-34], facendosi vero cibo, vero nutrimento dell’uomo. La Santissima Eucaristia è il mistero della mutua trasformazione: Dio si è fatto uomo come noi, affinché noi, lavati dal peccato col suo sangue, attraverso Cristo cibo di vita eterna possiamo trasformarci in Lui, con Lui e per Lui. Ricordate che cosa recita il celebrante quanto fa memoria dei defunti nelle Santa Messe di suffragio? Noi sacerdoti, agendo in quel momento in persona Christi ― non certo come dei meri “presidenti dell’assemblea gioioso-giocosa” ―, recitiamo questa bella orazione: «Egli trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso» [cf. Messale Romano, III Preghiera Eucaristica]. Questo, s’intende per mistero della mutua trasformazione.
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Ma qual è il vero Cristo Signore gioia viva ed eterna dell’umanità deposto in fasce nella mangiatoia? La gioia dell’uomo è Cristo accolto e ascoltato che diviene nostro cibo di vita eterna: « Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» [cf. Gv 6, 51]. Se Cristo non diviene nostro cibo vivo e nostra vita reale, l’uomo non potrà mai conoscere quella verità che ci farà liberi [cf. Gv 8, 32]. Non saranno mai le parole fini a se stesse a dare all’uomo quella gioia che pervade il Vangelo del Beato Evangelista Giovanni; meno che mai lo saranno quelle parole vuote che anziché condurre ai misteri della fede e della salvezza, svuotano questi misteri e li riempiono di altro, spesso di mondanità e di moderna paganità.
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Finché l’uomo non mangia in spirito di fede e verità Cristo nella sua carne immolata per la nostra salvezza, nessuna vera gioia nascerà per lui. E la carne viva e palpitante di Cristo Dio, prende sì vita in una tenera mangiatoia, ma poi finisce immolata su una croce per la nostra redenzione. Infine, il corpo glorioso di Cristo, risorge dalla morte. Perché l’epilogo finale della natività è la risurrezione. Ce lo dice il Beato Apostolo Paolo: «Se Cristo non fosse veramente risorto, vana sarebbe la nostra fede, vana la nostra speranza» [cf. I Cor 15,14].
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La nostra fede nasce con l’Incarnazione del Verbo di Dio deposto in una mangiatoia, ma è suggellata dalla pietra rovesciata di un sepolcro vuoto, dinanzi al quale l’Angelo dice alle donne: «Non cercate tra i morti colui che vive» [cf. Lc 24,5]. La tenera mangiatoia è solo l’inizio del grande annuncio cristologico, mentre il Cristo risorto è l’eterno, colui che affiancandoci nel cammino lungo la Via di Emmaus [cf. Lc 24, 13-53], ci guiderà attraverso i secoli verso il suo regno che non avrà fine, verso l’eterno.
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Dall’Isola di Patmos, 24 dicembre 2018
Notte di Natale – Natività del Signore
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo.

Migranti, il cardinale attacca Salvini alla Messa di Natale: "Giuseppe e Maria furono accolti"

L'arcivescovo Betori durante l'omelia tuona contro le chiusure dei porti: "Non si dica che questo nulla ha a che fare con il Natale e con la fede"


L'attacco a Matteo Salvini, questa volta, arriva durante l'omelia della Santa Messa di Natale.
E non da un pulpito qualunque, ma da quello della cattedrale di Firenze. A pronunciare l'anatema contro il vice premier leghista è stato l'arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, che è tornato a predicare l'accoglienza e a condannare il governo gialloverde per aver adottato politiche per combattere l'immigrazione clandestina in Italia. "A Betlemme - ha tuonato ieri durante l'omelia - per Maria e Giuseppe, se non ci fu posto nell'alloggio, non mancò almeno l'accoglienza in una stalla".
"La fede, lungi dall'allontanarci da questo mondo, ci chiama a una più coerente responsabilità in tutte le sue articolazioni, da quelle familiari a quelle sociali, nella vita economica e politica, attenti ai livelli intermedi delle aggregazioni sociali, specialmente là dove si esprime il servizio volontario e gratuito agli altri, come pure ai campi sempre più decisivi della cultura e della formazione, partecipi a ciò che accade accanto a noi e alle vicende che segnano la storia del mondo, impegnati nella cura della terra, la nostra casa comune". Durante la Messa di Natale l'omelia del cardinale Betori è stata interamente improntata sull'accoglienza. E non sono certo mancate pesanti critiche nei confronti del governo. Pur senza mai nominare Salvini è a lui che l'arcivescovo stava pensando quando dal duomo di Firenze chiedeva maggiore apertura nei confronti degli immigrati che, partiti dalle coste del Nord Africa, sbarcano in Italia. "Che cosa ci sta accadendo dal momento che, di fronte alle oggettive difficoltà di inserire nella nostra società persone provenienti da mondi e culture diversi, in questi anni non si è ancora riusciti a trovare forme efficaci di risposta che non siano le chiusure dei porti e l'abbandono di fatto all'illegalità, che dà origine, questa sì, a insicurezza e paura?", ha chiesto Betori. Che, poi, ha incalzato: "E non ci si dica che questo nulla ha a che fare con il Natale e con la fede".
"Quel bimbo che nasce è un Dio che si fa carne, un Dio che entra nella storia e se ne fa carico, chiedendo di esserne protagonista, gettando su di essa una luce definitiva e una potenza redentiva mediante il suo gesto di amore", ha aggiunto l'arcivescovo che, durante la predica, ha anche critica la "cultura individualista" che ora regna in Occidente. "Dobbiamo pur chiederci perché in un popolo da sempre aperto all'incontro e all'accoglienza sta prevalendo l'istinto a chiudersi nel proprio guscio, a negare ospitalità a chi viene da paesi in guerra, impoveriti dalle rapine dei potenti, stremati dalla fame - ha tuonato - c'è una radice profonda all'origine di questa chiusura ed è la cultura individualista che ha pervaso l'Occidente". Secondo il cardinale Betori, si tratta di "quella cultura che tradisce la natura della famiglia confondendola con altro che non lo è, ostenta l'affermazione di presunti diritti individuali corrodendo il concetto di persona, penalizza le espressioni della società civile - da quelle che sostengono la vita degli ultimi a quelle che promuovono cura, cultura e saperi - e questo a vantaggio di un vieto statalismo, si fa sorda alle attese dei più deboli lasciandoli nella marginalità, giunge a permeare di fragilità il volto di una Chiesa in cui esperienze di generoso servizio si trovano a dover convivere con il devastante e vergognoso tradimento dei piccoli""Sono alcune delle molte ramificazioni di una radice - ha concluso - che si nutre di rifiuto, di disprezzo dell'altro, negando gli orizzonti della comunione".

Il prete che ha messo il presepe nel pattume: "Non stimo il ministro Salvini"

Monta la polemica nel Pisano per il presepe fatto tra i rifiuti. Salvini: "Più che fare il sacerdote deve mettersi in politica". E il prete: "Non ti stimo"


"Al ministro non rispondo perché non lo stimo". Anziché stemperare la polemica don Armando Zappolini, il parroco di Perignano (Pisa) che ha voluto sfidare Matteo Salvini facendo il presepe nella spazzatura, torna a gettare benzina sul fuoco per rintuzzare lo scontro con il governo.
"Volete trovare Gesù? Cercatelo nella spazzatura", ha spiegato il religioso che è anche presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca).
Nei giorni scorsi le foto del presepe proposto dalla parrocchia di Perignano avevano fatto il giro del Paese scatenando accesissime polemiche. Don Zappolini aveva infatti deciso di mettere la capanna nella quale trovano riparo Gesù, la Madonna e Giuseppe in un bidone nero dei rifiuti. Per pregare la Sacra Famiglia, in questo paesino in provincia di Pisa, i fedeli devono letteralmente affacciarsi nel cassonetto sopra al quale è stato attaccato un foglio in cui c'è scritto: "Volete trovare Gesù? Cercatelo nella spazzatura". Il bue e l'asinello, invece, sono stati messi poco distante, in mezzo a un cumulo di stracci. "Dobbiamo avere il coraggio di fare il presepe dove Gesù ci aspetta - aveva spiegato alla Nazione - fra quegli scarti dell’umanità che da duemila anni sono la sua gente". Frasi durissime che oggi ha ripetuto anche a Repubblica Tv: "Le parole di Papa Francesco da tempo parlano di umanità calpestata, di messa da una parte, di buttata via come in una discarica sociale". Da qui l'idea di realizzare nella chiesa di Santa Lucia a Perignano il presepe all'interno di un cassonetto dell'immondizia. "In fondo - ha spiegato - quando disfi con una ruspa un campo rom o fai affondare un barcone nel mare o chiudi una casa di accoglienza e metti per la strada bambini e famiglie, è come buttare via delle cose ma quelle cose sono persone. E allora Gesù dove si trova? Si trova tra questa umanità scartata, in un cassonetto dei rifiuti".
Non appena l'iniziativa del sacerdote pisano aveva scatenato le polemiche dei parrocchiani e di molti fedeli, anche Salvini aveva commentato su Twitter criticando duramente il prete no global"Pensavo di aver visto tutto. Questo prete mette Gesù... nella spazzatura, contro 'le ruspe nei campi rom, i porti chiusi, la gente abbandonata' - ha scritto il vice premier leghista - roba da matti. Forse, più che fare il sacerdote doveva mettersi in politica. Chissà se i parrocchiani sono contenti". Ai microfoni di Repubblica Tv don Zappolini ha, a suoa volta, ribattuto, passando però agli insulti: "Al ministro non rispondo perché non lo stimo".

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