ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 agosto 2019

«I pensieri perversi separano da Dio»

Lo hanno rimesso in croce

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Perversae cogitationes separant a Deo (Sap 1, 3).


«I pensieri perversi separano da Dio». La divina sapienza ci stimola a completare il nostro quadro. Abbiamo osservato come la nuova teologia, con il suo metodo ipercritico, abbia instillato nelle menti dei cattolici uno scetticismo generale. Bisogna tuttavia aggiungere che essa, se da una parte ha sistematicamente messo in dubbio le conoscenze consegnateci dalla Rivelazione, orale e scritta, dall’altra le ha sostituite con nuovi “dogmi”, privi però di ogni fondamento. Ci sono falsità di ordine storico che son diventate certezze indiscutibili; tanto per fare un esempio, l’idea che non siano stati gli Ebrei a volere la morte di Gesù, ma i Romani. Uno di coloro che più ha contribuito ad accreditare tale evidente falsificazione del Santo Vangelo è il fu Jean-Marie Lustiger (circonciso col nome di Aaron), il quale aveva preteso di farsi cristiano rimanendo giudeo, non solo di stirpe ma pure di fede. Lo dimostra il fatto che nelle sue esequie, celebrate il 10 agosto 2007, per disposizione testamentaria furono inseriti elementi propri del rituale ebraico. Il fatto, certamente concordato ai piani alti di ambo le sponde, ai piani più bassi provocò indignazione: «Non è possibile essere una cosa e il suo contrario simultaneamente. Ma questa è una nuova posizione della Chiesa Cattolica e quindi dobbiamo respingerla con vigore e cercare di capirne i motivi reconditi».


È un piccolo esempio dei frutti del cosiddetto dialogo – sarebbe più appropriato monologo – ebraico-cristiano, quella farsa grottesca in cui sedicenti cattolici si lascian seppellire dai giudei, con tanta gratitudine, di insulti e veleno. Il motivo occulto del nuovo corso, a ragione aborrito dal rabbino citato, non era però quello da lui sospettato (che cioè la Chiesa volesse fagocitare l’ebraismo), semmai il contrario: la nostra giudaizzazione per annacquamento della verità evangelica. Nel brodo di coltura di conciliari acrobazie dialettiche si son di fatto sviluppati i ben più nocivi germi delle mistificazioni teologiche. In totale contraddizione con la Scrittura e la Tradizione, sfruttando una diffusa ignoranza indotta, sono stati inculcati assiomi contrari sia alla fede che alla ragione, del tipo: «Dio non giudica e non punisce»; «Dio ti ama così come sei»; «Prima bisogna annunciare l’amore di Dio, la morale viene dopo», ecc. Nell’epoca in cui la Bibbia è stata restituita al Popolo di Dio, in cui chiunque può tenerla in casa e perfino proclamarla nella liturgia, il testo sacro è censurato in modo inverecondo o piegato alle interpretazioni più fantasiose a conferma dell’ideologia del momento. In realtà, il tema del giudizio divino attraversa da un capo all’altro sia l’Antico che il Nuovo Testamento; nelle parole stesse del Signore, la possibilità di ricevere il Suo amore è chiaramente condizionata dall’osservanza dei Comandamenti; la dimensione morale è inseparabilmente inclusa nell’annuncio cristiano fin dalle prime battute.


Se dico a qualcuno che Gesù Cristo è morto per i suoi peccati, secondo ilkérygma originario (cf. 1 Cor 15, 3), ma non gli svelo al contempo quali siano i suoi peccati, la lieta novella che gli trasmetto sarà per lui semplicemente irrilevante, se è convinto di non averne. Non per nulla san Paolo, rivolto al procuratore romano Felice, gli parlò di giustizia, continenza e giudizio futuro, piuttosto che di amore divino; l’insuccesso non fu certo dovuto a un errore pastorale dell’Apostolo, bensì al fatto che il suo interlocutore non aveva una coscienza retta, ma sperava che il detenuto tentasse di corromperlo (cf. At 24, 25-26). Chi è abituato ai peccati della carne non può nemmeno comprendere l’amore di Dio, accecato com’è dalla libidine, che ne distorce il pensiero e ne schiavizza la volontà: «La sapienza non entrerà in un’anima dedita al male né abiterà in un corpo sottomesso ai peccati» (Sap 1, 4). Se dunque ho veramente a cuore la salvezza di un’anima, devo anzitutto scuoterla con la prospettiva del giudizio futuro: «Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (Mt 16, 27).


Una volta aperto un varco nel cuore indurito con la minaccia del castigo, occorre incoraggiarlo con la promessa del Salvatore: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dio ama il peccatore non in quanto tale, ma in quanto creatura fatta a Sua immagine che, se acconsente alla grazia, si può convertire e redimere. L’infinitamente Santo e Giusto, che in nessun modo può approvare il male, vuole invece liberarne gli uomini, ma per far questo ha bisogno del loro libero assenso, con il quale essi rigettano i propri peccati, emettono il proposito di non commetterne più e accolgono il perdono. Questo atto della volontà è a sua volta preparato e reso possibile dalla grazia preveniente, ma è pur sempre un atto umano, necessario e meritorio. Se i ministri di Cristo non insegnano a far questo, sono mentitori che ingannano le anime con una falsa sicurezza, esponendole alla dannazione eterna e mettendo in pericolo la propria stessa salvezza: «Se io dico al malvagio: “Tu morirai” e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te» (Ez 3, 18).


Ormai, nella Chiesa, ci si è assuefatti alla sistematica giustificazione di qualsiasi trasgressione in piena disobbedienza alla parola del Signore, alla quale ci si richiama però affannosamente, in modo palesemente tendenzioso, per legittimare la propria infedeltà o per codificare nuovi, imperdonabili delitti. Si sono addirittura create intere categorie di persone che godono di una generale impunità, dato che un semplice giudizio portato sui loro atti trasgressivi solleva immediatamente ondate di corale indignazione. Non si grida più, come all’epoca della peste: «Dàgli all’untore!», bensì: «Dàgli al razzista, all’omofobo, al fascista!». È così che, grazie all’opera di sinistre cooperative e di associazioni pseudocattoliche come l’AGESCI e la Comunità di Sant’Egidio, siamo assediati da zingari che, se non ti borseggiano, ti assillano con le loro sfrontate bugie, insultandoti poi in modo irripetibile se non li accontenti; da drogati che, dietro minaccia di danneggiamenti e vessazioni, ti estorcono il pizzo per comprarsi la dose; da clandestini che, pur oziando da mane a sera, si ritengono insigniti di tutti i diritti e privilegi; da negri che, in nome dell’antirazzismo, si esonerano da sé dall’osservanza delle più elementari regole del vivere civile; da musulmani che, in forza della loro religione, godono della licenza di stupro sulle donne degli infedeli; da sodomiti che si concedono ogni pubblica indecenza e denunciano chiunque abbia qualcosa da eccepire…


Volendo andare alla radice di tale atteggiamento, scopriremo – non per un problema di prevenzione o di paranoia – che esso è tipico di una certa minoranza la quale, storicamente, lo ha sempre praticato a danno di tutti gli altri, ritenendosi ad essi superiore. Anche la spiegazione del fatto è la stessa: il rinnegamento di Dio. C’è chi Lo ha messo in croce fisicamente e chi, sotto la sua influenza, Lo sta rimettendo in croce spiritualmente. Il primo, tuttavia, non ama il secondo per via di questa sequela; al contrario, lo sta assoggettando progressivamente a sé non solo a livello finanziario, ma anche sul piano morale e culturale. L’idea-principe (il pensiero perversodi cui sopra) che il diavolo instilla nei superbi è quella di non avere alcun obbligo nei confronti di chi non fa parte del gruppo; diretta conseguenza è che, da un lato, giustificano allegramente qualunque omissione o trasgressione e, dall’altro, pretendono qualsiasi cosa senza meritarla. Se eventualmente si degnano, dall’alto della propria pretesa eccellenza, di realizzare per estranei qualcosa di materialmente buono, lo fanno per mero interesse di casta o per salvaguardare una facciata perbene. La carità, in tale contesto, è una realtà totalmente sconosciuta, sia per una ragione ontologica (l’assenza del Battesimo o dello stato di grazia), sia per un motivo di ordine morale (la mancanza di umiltà).


Come possono esser detti nostri fratelli maggiori quelli che, ripudiato il Padre comune e perseverando ostinatamente nel rifiuto di convertirsi, sono da Lui riprovati? Nei loro confronti, peraltro, è una grave offesa, visto che il Talmud ci classifica come bestie. In realtà, l’innata durezza e diffidenza con cui trattano chiunque non sia dei loro, così come il carattere anaffettivo delle loro stesse relazioni interne, sono effetto di un implacabile senso di colpa collettivo che li attanaglia da duemila anni, piuttosto che di persecuzioni ed esclusioni che essi stessi han provocato con i propri comportamenti odiosi e con i subdoli, instancabili tentativi di dominare le società che li ospitano. Per loro, d’altronde, non esiste alcuna via parallela di salvezza, a dispetto delle affermazioni contenute in saggi propagandistici attribuiti a un papa ritiratosi dalle sue funzioni che non ha modo di far pervenire all’esterno le sue rimostranze, qualora ne abbia. Gesù Cristo è l’unico Salvatore di tutti gli uomini, a maggior ragione di quelli verso i quali Dio si è impegnato con le Sue promesse, purché si decidano a riconoscerlo come Colui che le ha adempiute al di là di ogni aspettativa.


«Che cosa dobbiamo fare, fratelli?» (At 2, 37), domandarono gli astanti, col cuore trafitto, alla fine del discorso pronunciato da san Pietro subito dopo la Pentecoste, che si era concluso con questa solenne affermazione: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2, 36). «Convertitevi – rispose l’Apostolo – e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2, 38). Quel giorno furono battezzate ben tremila persone (cf. At 2, 41), tutte anime che entrarono così nella via della salvezza. La soluzione della bimillenaria questione ebraica è tutta lì, in quei pochi versetti. E noi, che già abbiamo il Battesimo con tutti gli altri mezzi della grazia, possiamo forse persistere nel vanificare la morte del Signore con i perversi pensieri della falsa teologia, che nella coscienza di tanti cattolici ha disintegrato la fede e la morale, cancellando in essa la consapevolezza della necessità di appartenere alla Chiesa e di osservare i Comandamenti divini?


Principium verborum tuorum veritas; in aeternum omnia iudicia iustitiae tuae (Sal 118, 160).

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