“Molto meno il cattolicesimo tedesco è oggi caratterizzato da vivacità religiosa, poiché le statistiche della Chiesa mostrano un costante declino riguardo alla frequenza della Chiesa, l’uso dei sacramenti, le vocazioni sacerdotali etc.
Nel frattempo, è stata l’abbondanza di denaro che fluisce dalla tassa ecclesiastica tedesca verso le regioni più povere della Chiesa universale che getta il fondamento dell’influenza tedesca. Questo rende l’arroganza ancora più imbarazzante, con cui i rappresentanti del cattolicesimo tedesco si presentano come maestri di scuola della Chiesa universale”.
Così il card. Walter Brandmüller  in questa interessante lezione di storia della Chiesa tedesca e delle sue continue, storiche tendenze a separarsi da Roma. 
Essa è stata tradotta dal tedesco all’inglese da Maike Hicksnon su Lifesitenews, e noi ve la proponiamo nella traduzione di Riccardo Zenobi. 
Card. Walter Brandmuller
Card. Walter Brandmuller a Roma nel settembre 2019
 “Senza Giuda, senza Roma, costruiremo la Cattedrale della Germania”
“Senza Giuda, senza Roma, costruiremo la Cattedrale della Germania” – questo slogan dall’iniziale ispiratore di Hitler, Georg von Schönerer (1842-1921), dà espressione ad un risentimento tedesco, che – ultimativamente – ebbe la sua espressione nella battaglia della foresta di Teutoburgo. La sconfitta di Roma in quella che fu la “Hermann Battle” (la battaglia di Arminio) del 9 dopo Cristo è stata per almeno gli ultimi duecento anni una parte essenziale della cultura del ricordo “Teutonico”.
Non fa quindi sorpresa che da essa cada una strana luce sulla relazione dei cattolici tedeschi con “Roma” – dal “Gravamina Nationis Germanicae” contro la “Roma” dell’inizio del 16° secolo fino ad oggi.
Se seguiamo questo aspetto, troviamo tracce di esso all’inizio del 19° secolo. Alcune persone accusarono Roma di essere colpevole del declino della “Chiesa Imperiale” poiché non si mosse per nulla per salvare i vecchi principati vescovili e abbazie imperiali quando il Sacro Romano Impero collassò – una mitica pugnalata alle spalle ante litteram.
In questo contesto – il Congresso di Vienna era in altalena – l’amministratore diocesano Ignaz Henrich von Wessenberg (Costanza) sviluppò l’idea di una Chiesa Nazionale Tedesca. Una ricostruzione dalle macerie doveva anche significare un superamento della divisione confessionale e il raggiungimento della pace tra Stato e Chiesa.
Su questo fondamento, dunque, anche l’unità politica della nazione doveva essere costruita. Era, certamente, veramente molto lontana dalla realtà quando von Wessenberg pensava che tale Chiesa nazionale sarebbe stata ancora Cattolica. In ogni caso, domandò un concordato con la Santa Sede – l’esempio di Napoleone potrebbe averlo qui ispirato. L’idea di Wassenberg era che un Primate tedesco sarebbe stato a capo di una Chiesa tedesca con una vaga connessione con il centro romano…Ad ogni modo, queste idee rimasero semplici idee.
Per ammissione, queste idee occupano ancora le menti, quando vennero fatte rinascere durante la nascita di un nuovo senso di nazionalità tedesco intorno all’anno rivoluzionario1848 quando ebbe luogo l’Assemblea Nazionale di Francoforte [“Paulskirchenjahr”].
Fu il professor Ignaz von Döllinger – che era già altamente rispettato all’età di 50 anni – che, con un senso di consapevolezza del problema – disse: “La maggior parte dei cattolici che, nel loro apprezzamento della nazionalità tedesca, hanno desiderato una Chiesa nazionale, non sono entrati in alcune contraddizione con la Chiesa Cattolica”. Ad ogni modo, questo storico della Chiesa proveniente da Monaco ha qui trascurato il fenomeno meteora del “Cattolicesimo tedesco” – o magari lo ha intenzionalmente ignorato? – che all’epoca sconvolgeva lo scenario.
Ci furono due cappellani – Ronge e Gersky – che erano separati in materia di fede e riguardo al celibato e andarono oltre e fondarono, in protesta contro il “pellegrinaggio della Santa Sindone” a Treviri nell’anno 1844, la loro “Chiesa Cattolica tedesca”. Trovò considerevole apprezzamento nel nord e nell’ovest dell’Impero.
“Ah! Sto tremando per il fatto che siamo già così vicini alla meta! Ma non è ancora fatta. Il grande successo è arrivato, il progresso di questo secolo è stato assicurato. Il genio della Germania sta già raggiungendo la ghirlanda d’alloro, e Roma deve cadere!” Così parlava Johannes Ronge.
Ebbene, non fu Roma a cadere. Intorno al 1860, nessuno parlò più di lui. Che lui raggiunse certamente qualche successo con le sue idee fu dovuto non solo alla continua influenza dell’Illuminismo.Fu il sentimento nazionale emergente nell’Epoca Romantica e la sua ammirazione del Medioevo, che evidenziò la distrutta unità religiosa in Germania. Riottenere tale unità sembrò dunque un obiettivo degno: una Nazione tedesca, una Chiesa nazionale tedesca.
Furono queste idee che rimasero vive qua e là, finché il Kulturkampf di Bismarck creò una situazione completamente nuova. Lo Stato, in accordo con la teoria hegeliana, non poteva incorporare “l’elemento alieno, la Chiesa Cattolica” e dunque fece uso della forza. In questa situazione che fu pericolosa per la vita del cattolicesimo tedesco – vescovi vennero imprigionati o espulsi, centinaia di preti vennero rimossi dai loro uffici e anche imprigionati – i cattolici tedeschi si radunarono unanimemente intorno a Roma, attorno al Papa – quei cattolici che furono troppo leali allo stato presto trovarono la loro “Chiesa” nella (scismatica) Chiesa Vetero-Cattolica.
Ora l’ultramontanismo – i cui proclamatori sottolineavano sempre l’universalità della Chiesa e la loro lealtà allo stato, mentre al tempo stesso rigettavano chiaramente ogni forma di nazionalismo, specialmente il militarismo Prussiano – portò i suoi frutti: una impressionante rinascita della pietà popolare, una lealtà verso la Fede Cattolica, ai vescovi, e al tanto caro Papa – era Pio IX.
Detta in breve: la consapevolezza di essere parte della Chiesa di Gesù Cristo che si espandeva a tutto il mondo non dava alcun appiglio al pensiero di una chiesa nazionale.
Ad ogni modo, prese luogo una ricaduta – con serie conseguenze per la teologia tedesca – che può essere vista nel comportamento di alcuni vescovi tedeschi e intellettuali cattolici nella crisi modernista all’inizio del 20° secolo. La filosofia dell’idealismo tedesco – imperniata sulla coscienza umana – e le sue connessioni con il pensiero evoluzionistico hanno portato al risultato di ritenere la religione come il prodotto della profondità dell’anima umana che si sviluppa da uno stadio al successivo nel corso dell’evoluzione e che quindi anche la religione è soggetta al cambiamento. Dalla prospettiva attuale, si possono considerare alcune azioni da parte di “Roma” in quegli anni come rigide, ma non si può mettere in dubbio la pericolosità di queste idee – che all’epoca vennero assommate nel termine “modernismo” – che certamente minavano i fondamenti della fede.
Che Pio X qui tirò il freno di emergenza chiedendo agli insegnanti di teologia di fare il Giuramento Anti Modernista, non deve essere minimizzato o ridicolizzato come un’espressione di “allarmismo romano”. Può, invece, sorprenderci che, tra tutti, i professori tedeschi di teologia furono esclusi dall’ottemperare a questa richiesta. Temevano per la loro libertà d’insegnamento e ricerca, la cui perdita li avrebbe esposti ad alcune critiche nel mondo accademico.
Ebbene, questo è il Sonderweg (via separata) tedesco. Fu in gran parte dovuto allo scoppio della Prima guerra mondiale e, nel suo inizio, al “Terzo Reich” e alla vittoria del Nazionalsocialismoche un dibattito fondamentale sul modernismo tra i teologi tedeschi non prese mai piede. Dopo la catastrofe e il risanamento della Germania, e nell’attesa del Concilio Vaticano Secondo, il problema del modernismo riemerse con una nuova intensità.
Si è tentati di dire che, con l’annuncio del Concilio, Giovanni XXIII aprì il “Vaso di Pandora” tedesco. Ciò che continuava a covare sotto la cenere dalla non risolta crisi modernista, ora prese visibilità, fortemente e con nuova veemenza. La convenzione cattolica tedesca del seguente anno 1968 divenne la sede di rabbiose, volgari proteste verso l’enciclicadi Paolo VI Humanae Vitae, il cui carattere profetico è sempre più riconosciuto oggi.
Nello stesso anno, la conferenza dei vescovi tedeschi provò a calmare le onde relativizzando il divieto posto dall’enciclica sulla contraccezione artificiale. Ciò ebbe un superficiale successo; il cardinale Döpfner, presidente della conferenza dei vescovi della Germania ovest, non trasmise le lettere – appropriandosene indebitamente – dal cardinale Bengsch il quale, nel nome dei vescovi della Germania est, chiese supporto all’enciclica.Un evento incredibile!
Così si arrivò alla “Dichiarazione di Königstein”, la quale lasciò alla decisione della coscienza degli sposi se usare mezzi o pratiche contraccettiva, oppure no. Nessuno dei Papi seguenti riuscì con le sue richieste a far correggere la decisione (dei vescovi tedeschi) dell’epoca. L’episcopato tedesco resistette contro il Magistero Papale.
In questa atmosfera anti-Romana, presto emersero il “sinodo comune delle diocesi tedesche” negli anni 1971-1975. Ruppe apertamente con la tradizione sinodale della Chiesa, sia a causa del suo statuto sia a causa della sua agenda, poiché dà eguale diritto di voto ai laici che erano lo stesso numero di membri al sinodo quanto i vescovi e i preti. Con questa decisione, i conflitti divennero inevitabili. Qui, possiamo solo richiamare i dibattiti riguardanti le omelie da parte dei laici. Il professor Joseph Ratzinger e il prelato Karl Forster – che era all’epoca segretario della conferenza dei vescovi – lasciarono il sinodo protestando.
Alla fine, possiamo anche richiamare la dichiarazione di Colonia del 1989, “Contro la privazione del diritto di decidere [“Entmündigung] – per una cattolicità aperta”, che fu sottoscritta da 200 teologi. Per prima cosa, fu una protesta contro la nomina del cardinale Meisner come arcivescovo di Colonia, ma poi divenne una protesta contro il “magistero di Roma”.
Giovanni Paolo II ricevette un’ancor più forte resistenza quando proibì ai centri di counseling della Chiesa per donne incinte di dare il “certificato di counseling” che era per legge una precondizione per un aborto legale, che era de facto una sentenza di morte per il bambino non nato.
Non si può capire oltre come oggi nascano così forti e insistenti resistenze da parte di molti dei vescovi tedeschi, specialmente dal cardinale Lehmann e dal vescovo Kamphaus. Solo dal 2000 in poi, uno decise di obbedire a Roma. Ciononostante, ci fu lo stesso resistenza che portò alla creazione dell’associazione Donum Vitae – nome veramente cinico – che continua a dare i certificati di counseling.
Se uno aggiunge i referendum ecclesiastici e la formazione di gruppi di protesta come Noi Siamo Chiesa, come anche la degenerazione delle un tempo leali organizzazioni cattoliche – senza dimenticare l’infiltrazione marxista dell’Associazione della Gioventù Cattolica – allora si può vedere l’estensione della dinamica centrifuga, con l’aiuto della quale il “Cattolicesimo nazionale” (quale contraddizione in termini!) si è distanziato dopo la Seconda guerra mondiale dalla Roma di Pio XII. Quella Roma fu nel 1945 l’unica autorità internazionale che diede la sua mano alla Germania distrutta quando rientrò nella comunità delle nazioni libere.
Oggi, ad ogni modo, la “Chiesa tedesca” – la conferenza dei vescovi tedeschi – cerca di influenzare la Chiesa universale. Non sono i versi di Emanuel Geibel del poema “La vocazione della Germania” (del 1861)  ancora interessanti “…allora il pescatore da Roma invano lancia le sue reti … e il mondo non può essere guarito dal tedesco?” Si può comparare la lettera di risposta del presidente della conferenza dei vescovi tedeschi al cardinale Ouellet del 12 settembre 2019.
Una simile affermazione, naturalmente, non è stata più giustificata per molto tempo da particolari realizzazioni della teologia tedesca.. Oggi sono carenti – a parte alcune eccezioni – i grandi nomi, come ne esistettero all’epoca del Concilio Vaticano Secondo e furono il fondamento della reputazione internazionale della teologia tedesca. Molto meno il cattolicesimo tedesco è oggi caratterizzato da vivacità religiosa, poiché le statistiche della Chiesa mostrano un costante declino riguardo alla frequenza della Chiesa, l’uso dei sacramenti, le vocazioni sacerdotali etc.
Nel frattempo, è stata l’abbondanza di denaro che fluisce dalla tassa ecclesiastica tedesca verso le regioni più povere della Chiesa universale che getta il fondamento dell’influenza tedesca. Questo rende l’arroganza ancora più imbarazzante, con cui i rappresentanti del cattolicesimo tedesco si presentano come maestri di scuola della Chiesa universale.
Non può essere più trascurato: il fantasma di una Chiesa nazionale tedesca si mostra sempre di più. Già nel mezzo del 19° secolo, alcune persone sognarono un concilio nazionale, il quale – era già all’epoca il pensiero – avrebbe stabilito l’unità della nazione a livello religioso. Ma anche se queste idee rimangono semplici sogni: l’isolamento nazionale del rimanente cattolicesimo tedesco in una Chiesa nazionale senza praticamente alcun legame con Roma sarebbe certamente la più sicura via per il declino finale.
Ci si può solo chiedere cosa, allora, rimane di “Chiesa” dove la nazione, lo Stato è il vero elemento strutturante, e il punto di riferimento della Chiesa.
In Scandinavia ci sono Chiese di Stato che hanno abbandonato da lungo tempo il Credo Apostolico. Nella Chiesa Anglicana, la Regina è il capo della Chiesa e il “Primo Ministro” nomina i vescovi. Una coltiva un rituale altamente estetico, ed ognuno crede quello che vuole. Una simile connessione con lo Stato può essere vista nelle Chiese “autocefale” dell’area della Cultura Bizantina.
Ad ogni modo, alla luce di questi modelli di “Chiese”, deve essere presente il semplice fatto che Gesù Cristo parla della Sua Chiesa al singolare. Il suo Apostolo Paolo, che chiama la Chiesa – ovviamente unica – il Corpo di Cristo, dice la stessa cosa.
È dunque quasi assurdo che, in un epoca in cui l’intero mondo parla di globalismo, prenda luogo nella Chiesa un autodistruttivo particolarismo nazionale. Il tentativo di avere un Sonderweg tedesco deve ora essere visto alla luce di queste riflessioni.
https://www.sabinopaciolla.com/card-brandmuller-alla-luce-di-questi-modelli-di-chiese-deve-essere-presente-il-semplice-fatto-che-gesu-cristo-parla-della-sua-chiesa-al-singolare/

CATTIVI MAESTRI DI KARL RAHNER

    Jaspers come Heidegger, cattivo maestro di Rahner. La vera libertà dell’uomo consiste nel dir sì alla "Rivelazione di Dio" e non nell’elaborare da sé la risposta al "Naufragio esistenziale" cosa che fanno le filosofie orientali 
di Francesco Lamendola  


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Il debito di Karl Rahner, cattivo teologo e pessimo sacerdote, regista occulto della “svolta antropologica” al Concilio Vaticano II, nei confronti di Martin Heidegger, è esplicito e ben conosciuto; quel che è meno conosciuto è il debito di Rahner, e un po’ di tutti i cattivi teologi della svolta conciliare, Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Yves Congar, Henri de Lubac, verso un altro filosofo tedesco contemporaneo, anch’egli di tendenza esistenzialista, anche se molto diverso, per certi aspetti, da Heidegger: Karl Jaspers. Probabilmente l’influenza di Jaspers sulla teologia, specialmente tedesca e francese, che è sfociata nella rivoluzione conciliare, è stata sottovalutata, tanto più che mentre Heidegger era il filosofo “cattivo” perché, pur essendo di estrazione cattolica, aveva aderito al nazismo, sia pure per un breve periodo, Jaspsers, sia per le sue posizioni etiche, sia perché aveva sposato una moglie ebrea e a causa di ciò, non avendo voluto separarsene, perse la cattedra, è sempre stato considerato l’esistenzialista “buono”, in quanto si era opposto al pensiero filo-nazista e si era così collocato dalla parte giusta della barricata. Anche Jaspers era di formazione cattolica e non ripudiò mai la sua origine; inoltre, poiché la sua filosofia riserva molto spazio alla problematica religiosa, tanto che la si può considerare come un’introduzione o una preparazione all’incontro con Dio nell’esperienza della fede, è certo che ha esercitato un’influenza diretta sui pensatori e sui teologi cattolici della seconda metà del Novecento, e che uomini come Karl Rahner hanno ricevuto il suo influsso in ciò che il suo pensiero ha di più caratteristico: l’idea del naufragio come occasione per la rivelazione dell’essere nell’esserci, ossia come rivelazione dell’assoluto nella dimensione dell’esistenza concreta degli enti. E non solo l’idea del naufragio come approdo salvifico, ma non scontato, della coscienza di fronte alla prospettiva del nulla e della morte, ma anche l’idea del dramma della libertà come scoperta della fragilità dell’esistenza, perché dove c’è libertà ci sono anche la validità e la durata, e né l’una né l’altra possono pensare l’essere senza contraddizione. Di qui un salto dalla dimensione della logica alla dimensione dell’intuizione immediata dell’essere, che oltrepassi la logica e giunge a una rivelazione intima, personale, che illumina la coscienza come un fascio di luce improvvisa.

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 Il sacerdote gesuita Karl Rahner regista occulto della “svolta antropologica” al Concilio Vaticano II

Dal punto di vista della teologia cristiana classica, sia patristica, sia scolastica, e specialmente tomista, tutto ciò è un discostarsi dal sentiero della limpida dimostrazione razionale, mutuata dalla filosofia greca classica, e specialmente da Aristotele, per avventurarsi sul terreno sdrucciolevole dell’esistenza concreta e della coscienza soggettiva e su quello, ancor più ambiguo e malagevole, dell’intuizione, che rimanda a Bergson e confina pericolosamente con l’irrazionalismo di matrice decadentista e simbolista: più un fatto poetico, o, se si preferisce, sentimentale, che rigorosamente filosofico. E qui i punti in comune col modernismo religioso, con la fede quale intuizione soggettiva ed emozionale della coscienza, sono anche più palesi: l’incontro col divino si configura sempre meno come un incontro anche di tipo intellettuale, e perciò contrassegnato da una verità oggettiva, e sempre di più come un fatto sentimentale, e perciò caratterizzato da una “verità” soggettiva e interiore, difficile o impossibile da verificare razionalmente. Ma cos’è la Rivelazione cristiana, se non una sintesi mirabile di razionalità e fede, nella quale la prima sostiene la seconda, la chiarisce e, a sua volta, se ne lascia guidare e illuminare? Ora, è proprio questo aspetto che entra in crisi con la “svolta antropologica” di Karl Rahner, la cui teologia è tutta incentrata sulla dimensione dell’umano, del concreto, del contingente, dello storico, e perde il contatto con l’assoluto, perché nega che l’assoluto sia accessibile all’uomo e pretende che lo divenga solo a patto di essere mediato, che divenga esserci, che sia calato in situazione. Ma questo è modernismo. È tipicamente modernista l’idea che il divino, per essere accessibile agli uomini, debba concretizzarsi nella storia, fino al punto che solo l’umano può rivelarne la presenza; e così facendo è l’assoluto che si storicizza, non la storia che si apre al mistero dell’assoluto.

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 Martin Heidegger

Per esplicitare questi concetti riportiamo alcuni estratti della parte finale  della terza sezione dell’opera capitale di Karl Jaspers, Filosofia, intitolata Metafisica (titolo originale: Philosophie: Metaphysyk, Berlin, Springer Verlag, 1932, 1948, 1956; traduzione dal tedesco di Umberto Galimberti, Milano, Ugo Mursia Editore, 1972, 1977, 1978, e Novara, Istituto Geografico De Agostini (in volume unico), 2009, pp. 1173-1176):
La constatazione che dovunque volgiamo lo sguardo e dovunque ci attacchiamo, alla fine ci troviamo in presenza del naufragio, fa sorgere la domanda se ciò deve accadere necessariamente. Le risposte, che non possono valere come conoscenze sicure, tentano di chiarire l’essere nella cifra.
1. Se c’è la libertà, la validità e la durata non possono che essere fragili. Se la verità dell’essere consiste nella VALIDITÀ DI CIÒ CHE SI PUÒ PENSARE SENZA CONTRADDIZIONE, allora la stabilità immobile di un essere uniformemente uguale a se stesso sarebbe come l’essere della morte a cui non posso credere. Pertanto, per penetrare la verità inconoscibile ma autentica dell’essere è necessario che la struttura logica naufraghi in antinomie. (…) Per esserci, l’essere è costretto ad assumere nella forma temporale la forma di un movimento verso il naufragio. (…)
2. Poiché la libertà c’è solo attraverso la natura e contro la natura, essa è costretta a naufragare o come libertà o come esserci. C’è libertà solo se c’è natura. La libertà non esisterebbe senza un ostacolo da superare e senza un fondamento in se stessa. Ciò che nelle malattie mentali acquista una forza tale da distruggere l’uomo come se fosse un nemico appartiene all’esserci dell’uomo, alla stessa natura oscura che lo produce e contro cui egli deve combattere. L’uomo può trovarsi in una situazione tale da non riconoscersi in ciò che ha fatto. È come se qualcosa gli avesse tolto il senno, eppure quello che ha fatto lo ha fatto e, quindi, ne deve rispondere. È vero che il suo genio esige che sia disposto e aperto a tutto, e che quindi abbia a prendere liberamente la propria decisione. Ma la sua natura, che ascolta la voce del genio, non lo assiste con la sua presenza in un modo sicuro e costante. (…) La trascendenza, quindi, non è solo nella libertà, ma, attraverso la libertà, anche nella natura. La trascendenza, nella sua alterità rispetto all’esistenza, è la cifra di quel fondamento trascendente da cui anch’io, ma non solo io, sono. La realtà del mondo, che è più comprensiva dell’esserci delle esistenze possibili, se da un lato appare solo come il materiale della mia libertà, dall’altro sembra annunciare un essere proprio della natura a cui io pure sono soggetto. L’impossibilità di fondare la totalità in un’unità conoscibile, non consente di assolutizzare la natura, né di intendere l’esistenza come la totalità. Si impoverirebbe la filosofia dell’esistenza se la si limitasse alla sfera del se-stesso. (…)
3. Per contenere qualcosa d’autentico, il finito non può che essere frammentario. Poiché nella sua incondizionatezza, l’esistenza vuole superare i limiti della finitezza propria dell’esserci, in questo suo slancio l’esistenza finisce con l’andare in rovina. Perciò il naufragio è la conseguenza dell’essere autentico nell’esserci. L’esserci implica la coesistenza di più cose di cui ciascuna deve lasciare all’altra possibilità e spazio. La struttura del mondo, basata su misure, limitazioni, concessioni e compromessi è in grado di procurare una relativa stabilità. Ma, per essere veramente, io devo turbare questa stabilità perché l’incondizionatezza non conosce misura. La colpa della incondizionatezza, che è ad un tempo la condizione dell’esistenza, viene espiata con l’annientamento dell’esserci che vuole mantenersi e persistere. Per questo ci sono nel mondo due forme di etica. Una, che pretende di avere una validità universale, si esprime nell’etica della misura, della prudenza, della relatività, e non ha alcun senso del naufragio; l’altra, nella problematicità del suo non-sapere, si esprime nell’etica della libertà incondizionata, che considera tutto possibile, ed è completamente catturata dalla cifra del naufragio. (…) L’esistenza deve concepire se stessa come esserci finito che ha fuori di sé le altre esistenze e la natura. Ma come esistenza possibile vuole necessariamente realizzarsi in tutto e raggiungere, nella propria attuazione, il compimento della sua opera e di se stessa. La sua incondizionatezza consiste nel cercare l’impossibile. Quanto più risolutamente essa segue la sua linea e scarta ogni accomodamento, tanto più tende a superare i limiti della finitezza. La sua più alta misura non ha più misura. Per questo deve naufragare. Il carattere frammentario del suo esserci e della sua opera diventa la cifra della trascendenza per un’altra esistenza che la sta a guardare.


Jaspers come Heidegger, cattivo maestro di Rahner

di Francesco Lamendola

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