ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 31 ottobre 2019

L’allegria da forzati

HALLOWEEN E LE "ZUCCHE VUOTE"

                                          

Halloween: "Il giorno delle zucche vuote". Il trionfo della morte, sotto la specie dell’allegria da forzati del divertimento a ogni costo. Cercando un luogo “Halloween free” in cui non si celebri "la più stupida" delle ricorrenze 
di Roberto Pecchioli  

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Considerazioni oziose di un ozioso. Cerco un luogo “halloween free” in cui non si celebri la più stupida delle ricorrenze, il giorno in cui siamo invasi da zucche intagliate ed illuminate dall’interno, costumi macabri, in un tripudio di arancione, viola e nero, il colore della morte. L’ozioso gira per la città aggredito da festoni arancione, palloncini giallo neri, zucche vere o imitate in tutte le fogge, bambini vestiti con costumi che riproducono fantasmi, scheletri, cappelli a punta, spaventapasseri, bimbe vestite da streghe. Non pochi portoni e tantissimi negozi sono decorati con i medesimi simboli. Una catena di supermercati promette – o minaccia – “sconti da paura” per Halloween, con un volantino arancione su cui campeggia una zucca antropomorfa, con i buchi a simboleggiare occhi, naso, bocca e, immancabile, un teschio con le tibie incrociate. Il trionfo della morte sotto la specie dell’allegria da forzati del divertimento a ogni costo.

A sera, innumerevoli feste a tema porteranno nei locali e in molte case torme di uomini e donne mascherati con simboli del macabro e dell’occulto. Scolaresche intere, con in testa maestre e madri più invasate dei loro piccoli, occupano giardini, piazze, centri commerciali, cortili, intente a festeggiare. Ma che cosa? L’inizio del nuovo anno celtico, la notte delle streghe, i morti, sotto sotto il demonio. E’, propriamente, la ricorrenza celtica di Samhain, legata alla fine della bella stagione. Il significato letterale sarebbe “la notte di tutti gli spiriti ”. La deriva materialista della società ha travolto non solo la festa di Ognissanti, istituita dal papa Gregorio IV nell’anno 840, ma anche la ritualità pagana ed il suo peculiare senso del sacro.
Altri rimandano alla leggenda irlandese di Jack O’ Lantern, condannato dal diavolo a vagare di notte alla luce di una candela inserita in una zucca vuota. Si tratta, dunque, di una ricorrenza dai chiari tratti satanici, legata al culto della morte, nella prevalenza di elementi notturni. Il simbolismo gotico horror di Halloween è presente in romanzi non propriamente adatti ai fanciulli, come Frankenstein di Mary Shelley e Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mister Hyde di Robert Stevenson. Include temi come la morte, il male, i mostri.

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Per padre Gabriele Amorth, festeggiare Halloween è rendere un osanna al diavolo, il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona!

Con lungimiranza, il cristianesimo seppe innestare i propri riti sulle credenze preesistenti. La festività dei Santi, modelli di comportamento, portavoce di un aldilà illuminato dalla presenza di Dio, veniva seguita dalla ricorrenza dei defunti, a significare il ricordo dei cari scomparsi, ma anche la necessità di orientare la vita al bene, in vista della beatitudine celeste. La nostra società è del tutto scristianizzata, le chiese non fanno neppure il tentativo di spiegare la negatività dei simboli di Halloween, l’evidente deriva nel territorio dell’occulto. Del resto, gran parte della gente, ormai, non è neppure in grado di coglierne i significati e la stessa inversione rispetto alla festa di Ognissanti e alla ricorrenza dei Morti. Il consumismo asimbolico prevale e quasi nessuno degli adulti- genitori, educatori, commercianti- coinvolti nei parafernali di Halloween si avvede della natura oscura, dei segni macabri se non demoniaci, del fumo di stregoneria del giorno di “dolcetto o scherzetto”.
Turba il fatto che in pochissimi anni, per motivi di mercato, un’usanza a noi estranea sia diventata tanto popolare, un vero e proprio obbligo consumistico, un rito sociale, scacciando quel che rimaneva della natura spirituale, di meditazione serena ma severa della tradizione dei Santi e dei Morti. Pur non percepito dalla stragrande maggioranza, resta il retrogusto amaro di un’inversione di significato che fece dire al più esperto esorcista della Chiesa cattolica, padre Gabriele Amorth, che festeggiare Halloween è rendere un osanna al diavolo, il quale, se adorato, anche soltanto per una notte, pensa di vantare dei diritti sulla persona. Deliri passatisti per la neo chiesa di Pachamama, la divinità animistica amazzonica, in cui il padre generale dei gesuiti afferma che il diavolo non esiste se non come realtà simbolica.

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Halloween: "Il giorno delle zucche vuote"!

Un docente della nostra giovinezza asseriva con ragione che se la moda avesse imposto alle donne di indossare come copricapo un vaso da notte e agli uomini di portare baffi tagliati a forma di pene, la maggioranza l’avrebbe fatto. Qualunque stupida moda, specie se proveniente dall’America, si propaga come un’infezione in pochissimo tempo, favorita dal sistema di spettacolo e intrattenimento che lavora per l’imitazione dei modelli più bassi, corrivi, guadagnandoci sopra. Il resto lo fa il sistema commerciale, che si butta sull’occasione come un avvoltoio sulla preda morente. E agonizzante davvero è una civilizzazione che dimentica se stessa e sostituisce i Santi con gli scheletri, i demoni e le zucche, la luce con la tenebra.
Negli Usa, il giro d’affari di Halloween supera i 3 miliardi e mezzo di dollari all’anno per il solo acquisto dei costumi. Poi ci sono le feste, i dolciumi, tutto il circo del consumo. Poderoso Caballero es Don Dinero, potente cavaliere è Don Denaro, ex sterco del demonio.
I devoti di Halloween non lo sanno, ma festeggiano la morte e il lato tenebroso dell’esistenza esorcizzandola con l’allegria chiassosa dei naufraghi. E’ la giornata delle zucche vuote, e non ci riferiamo alle gustose cucurbitacee. Sappiate, genitori, nonni, insegnanti che se permetterete ai vostri bambini di suonare alla mia porta per lo stucchevole “dolcetto o scherzetto”, io, ultimo dei mohicani a festeggiare Ognissanti e a detestare l’oscurità di Halloween, diventerò molto, molto irascibile. Vade retro, Halloween, vade retro zucche vuote.   

HALLOWEEN, IL GIORNO DELLE ZUCCHE VUOTE

di Roberto Pecchioli

LA CULTURA DEL DUBBIO

                                         
Non aver risposte per niente è: "mettere in dubbio tutto". La cultura del dubbio sistematico e dell’interrogativo perenne ha creato una "Forma mentis" nell’uomo moderno, a partire dall’intellettuale: "Lo scettico professionale" 
di Francesco Lamendola  
  
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Il dramma dell’uomo moderno è essenzialmente quello di vivere in una società che non ha più le risposte per le domande che continuamente egli tenderebbe a formulare, stimolato ad un ritmo frenetico dagli incessanti cambiamenti economici, sociali, politici e culturali. I celebratori della modernità, senza dubbio, vedono in questa attitudine – il porre continuamente domande alle quali non si sa dare una risposta – un segno di vitalità e di progresso, perché, essi dicono, è solo in questo modo che avanzano le conoscenze, si ampliano gli orizzonti e si sviluppa la scienza. In fondo, il punto centrale di contrasto fra la scienza moderna e quella classica si colloca proprio qui: nel fatto che la scienza moderna accusava la scienza classica di non saper dare risposte al di fuori dell’ambito di ciò che era già conosciuto, e sia pure in forma implicita. Questa era, secondo i campioni della scienza galileiana, la pecca fondamentale della scienza aristotelica: il fatto che girava su se stessa producendo parole, ma non facendo avanzare davvero il sapere. Non è questa la sede per discutere se tale accusa fosse rispondente al vero; ci basta aver evidenziato che essa era ritenuta giusta da quelli che la formulavano, e ciò diede un carattere rivoluzionario alla scienza moderna: in questo senso, e soprattutto in questo senso, è corretto parlare di una Rivoluzione scientifica all’alba del XVII secolo.

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Il dramma dell’uomo moderno è essenzialmente quello di vivere in una società che non ha più le risposte per le domande che continuamente egli tenderebbe a formulare!

Sta di fatto, però, che moltiplicare le domande prive di risposta, per quanto si abbia la speranza di poterla trovare in un secondo momento, finisce per saturare l’orizzonte concettuale e mandare in blocco l’attività intellettuale. Non è affatto un caso chel’irrazionalismo sia parte così caratteristica dell’evoluzione intellettuale della modernità: è la naturale reazione di quanti restano sgomenti di fronte alla mole enorme di questioni e problemi sollevati, ai quali non si sa dare, per ora, alcuna risposta, cosa che provoca angoscia e smarrimento negli animi più sensibili. Non tutti hanno il sangue freddo per assistere impassibili all’aprirsi di sempre nuove falle nello scafo della nave su cui ci si è imbarcati; non tutti conservano calma e serenità grazie al pensiero che, prima o dopo, ogni falla verrà colmata, e la nave proseguirà felice e imperturbabile la sua crociera. Fra l’altro, a lungo andare, la cultura del dubbiosistematico e dell’interrogativo perenne in cui si è immersi ha creato una particolare forma mentis nell’uomo moderno, proprio a partire dall’intellettuale: quella dello scettico professionale. Costui si è talmente indurito e corazzato di fronte alla marea delle domande senza risposta che ha finito per introiettare l’idea che la persona intelligente non cerca nemmeno più risposte, ma solo altre domande, e che una cultura degna della libertà non perde tempo a cercar di risolvere dubbi e interrogativi, anche perché non si fida di alcuna risposta, avendo sperimentato che, in un mondo soggetto a mutamenti rapidi e incessanti, anche le risposte si usurano velocemente e diventano obsolete, inadeguate, perfino ridicole.

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La società pre-moderna aveva le sue brave risposte; e per quelle che non possedeva, era certa che le avesse Dio, supremo garante dell’ordine complessivo e del senso di ogni cosa!

Il mondo moderno è letteralmente disseminato delle macerie di vecchie risposte che hanno fatto il loro tempo e sono state lasciare indietro, quasi come reperti di archeologia industriale ai margini della città che cresce, formando un elemento caratteristico del paesaggio intellettuale entro il quale ci muoviamo e, nello stesso tempo, un monito a tutti affinché gli uomini sensati la smettano di correr dietro la chimera delle risposte, e a ciò che le genera, ossia l’idea della verità, per limitarsi a sollevare interrogativi e abituarsi a vivere con essi, sia pure su una superficie sempre mutevole e imprevedibile, con la stessa disinvoltura con cui il surfista pare che si trovi perfettamente a suo agio mentre solca la cresta delle onde gigantesche, con l’acqua che schiuma e ribolle tutto intorno a lui, senza strappargli, almeno in apparenza, neanche il più piccolo segno d’inquietudine, disagio o paura. E come il becchino si abitua all’idea della morte per il fatto di lavorare sempre coi cadaveri, e il magistrato all’idea della disonestà e della cattiveria per il fatto di aver sempre davanti dei delinquenti, così l’uomo moderno si abitua all’incertezza e all’assenza di risposte agli interrogativi che la vita comunque gli pone, ma che la cultura in cui è immerso gli dicono doversi accettare come insolubili se non addirittura privi di senso. Egli così, giorno per giorno, si indurisce, si corazza contro l’istinto di cercare le risposte, si chiude in un bozzolo di scetticismo, anche se, nello stesso tempo, la cultura dominante gli fa credere che nessuna meta, nessun traguardo gli sono preclusi, grazie agli strumenti offerti dalla tecnica e dal Logos strumentale e calcolante. In altre parole, l’uomo moderno non solo non ha le risposte alle domande fondamentali dell’esistenza, ma le disdegna; non solo vive nel dubbio su tutto ciò che lo riguarda, ma disprezza e comparisce chi dubbi non ne ha; e non solo si è adattato a vivere senza risposte e quindi senza verità, come una creatura della notte che non ha bisogno degli occhi, perché la facoltà visiva sarebbe inutile nei luoghi in cui vive, ma è divenuto sommamente insofferente nei confronti delle risposte, considerate tutte storicamente determinate e perciò tutte valide solo per un certo lasso di tempo e all’interno di un certo paradigma culturale, e poi destinate a cadere, come le foglie degli alberi in autunno.

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Un orizzonte intellettuale insostenibile? La vita ordinata, civile, aperta verso il futuro e non chiusa in una spirale autodistruttiva, ha bisogno di chiarezza, ha bisogno di risposte, ha bisogno di verità. Per una persona normale, vivere senza nessuna di queste cose, senza punti di riferimento, senza punti d’appoggio, improvvisando in continuazione la strada da seguire è semplicemente impossibile. Alla lunga, ciò genera degli squilibrati mentali, o produce delle persone anaffettive e potenzialmente pericolose per se stesse e per gli altri!

La società pre-moderna poneva anch’essa delle domande ma aveva anche le risposte; le risposte appartenevano allo stesso universo concettuale dal quale scaturivano le domande. E ciò sia nell’ambito della vita materiale, l’economia, la finanza, l’agricoltura, il commercio, le tecniche, i trasporti, il governo, eccetera, sia nell’ambito della vita intellettuale, spirituale, morale e religiosa. Esiste Dio, e chi è? Chi siamo noi? Da dove veniamo, dove andiamo, che significato ha la nostra esistenza? Perché la famiglia, perché lo studio, il lavoro; perché l’onestà, perché il bene, invece del disordine, dell’egoismo, dell’ignoranza, della corruzione  e del male? Per tutte queste domande e altre simili la società aveva le sue brave risposte; e per quelle che non possedeva, era certa che le avesse Dio, supremo garante dell’ordine complessivo e del senso di ogni cosa. Di più: la società dei nostri avi si sarebbe vergognata di non averle; non si sarebbe fatta un vanto di ritenerle irrazionali e inutili. E non solo: essa pensava che ogni genitore, ogni educatore, ogni adulto hanno il preciso dovere di trasmettere la verità e la certezza alle giovani generazioni, in proporzione alla loro età e alla loro capacità di comprensione, con l’obiettivo ultimo di renderli pienamente padroni delle risposte. Oggi, al contrario, si direbbe che gli adulti godano nel porre i giovani di fronte a domande senza risposta, a moltiplicare i loro dubbi, a suscitare sempre nuove incertezze; e nel deridere l’ingenua fiducia dei bambini circa l’esistenza delle risposte. L’ultima trovata di questa forma maligna di distruzione dei fondamentali dell’esistenza, da parte degli adulti nei confronti dei bambini, è quella di instillare nei piccoli dell’asilo e della scuola elementare il dubbio di avere un corpo biologico che non corrisponde al loro autentico orientamento sessuale, in modo da farne degli individui che non sanno più nemmeno se identificarsi, o no, col fatto (perché almeno quello è unfatto, grazie a Dio) di essere maschio o femmina. Perché lo fanno? Forse solamente per stupire i giovani, per sorprenderli, mostrandosi più giovani, scettici e disinvolti di loro; per lusingare la propria vanità guadagnandosi il loro interesse, che evidentemente pensano di non meritare qualora si mettessero a dare delle risposte chiare e precise, a insegnare che a ogni domanda si può trovare una risposta, se essa è ben formulata e se ha un significato reale e non meramente verbale. Un tipico esempio del cambio di paradigma dall’amore per la verità al relativismo è dato dalla teologia, non solo e non tanto nei suoi contenuti, ma nell’approccio complessivo e nella prospettiva con cui viene proposta. Un tempo essa era lo strumento razionale più forte per aiutare le anime a trovare Dio e a confermarsi nella fede; oggi essa si compiace di mettere al centro l’uomo e di riferire a lui tutto quanto, anche i dubbi, perché pretende che il dubitare di tutto, di Dio, dell’anima, della vita eterna, renda le persone più autonome e le aiuti a sviluppare una fede più matura. Il risultato è che la moderna teologia allontana le anime da Dio, invece di aiutarle a conoscerlo, amarlo e servirlo, quale dovrebbe essere il suo scopo.

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Oggi si direbbe che gli adulti godano nel porre i giovani di fronte a domande senza risposta, a moltiplicare i loro dubbi, a suscitare sempre nuove incertezze; e nel deridere l’ingenua fiducia dei bambini circa l’esistenza delle risposte. L’ultima trovata di questa forma maligna di distruzione dei fondamentali dell’esistenza è quella di instillare nei piccoli dell’asilo e della scuola elementare il dubbio di avere un corpo biologico che non corrisponde al loro autentico orientamento sessuale, in modo da farne degli individui che non sanno più nemmeno se identificarsi, o no, col fatto di essere maschio o femmina!

La società moderna pertanto, ha fatto qualcosa di assai peggiore che moltiplicare le domande alle quali non sa o non vuole rispondere; ha fatto una virtù del non cercare più le risposte fondamentali, ha messo in ridicolo chi prova a farlo e, come se non bastasse, ha concentrato la sua fiducia nella tecnologia, i cui sviluppi rapidissimi e sconcertanti le hanno offerto un surrogato delle vecchie certezze. Così facendo, essa ha imboccato realmente una via senza ritorno: perché la tecnologia non essendo altro che un mezzo, non solo non potrà sostituirsi adeguatamente alle mancate risposte, ma imprimerà un’ulteriore accelerazione alla proliferazione di domande alle quali non saprà rispondere. Un buon esempio di ciò è dato dalle sconvolgenti possibilità aperte dalla cosiddetta ingegneria genetica. Gli studiosi di bioetica si stanno ancora azzuffando sugli interrogativi posti da una delle possibili applicazioni delle nuove tecniche di manipolazione dei geni umani, e non solo umani, che già la tecnica ha fatto un ulteriore balzo in avanti e ha creato delle nuove, inimmaginabili possibilità, spostando sempre più innanzi le frontiere di ciò che fino a ieri pareva impensabile e mettendo tutti, legislatore compreso, davanti ai fatti compiuti d’un progresso inarrestabile, foriero di sempre nuove, sconvolgenti applicazioni, ciascuna delle quali avrebbe mandato in crisi società assai più solide, dal punto di vista etico e spirituale, della nostra; società che avevano le risposte ai quesiti fondamentali e in particolare per segnare il confine fra ciò che è giusto e lecito, e ciò che non lo è. Al contrario la società attuale, sviluppatasi in un orizzonte di relativismo pressoché totale, è dominata dalla prassi anziché dall’etica, in quanto la maggioranza delle persone, compreso il legislatore, ritengono in ultima analisi che il criterio di verità, o quanto meno di liceità di un’azione, sia dato dal fatto che essa di fatto viene praticata in questa o quella parte del mondo. Dopo di che i progressisti, col tam-tam dei mass-media, creatori dell’opinione pubblica, lanciano campagne per sostenere che il proprio Paese non sarà mai un Paese normale, o civile, finché non avrà adottato le stesse leggi, né avrà offerto ai suoi cittadini le stesse possibilità di cui godono quelli del Paese X: che si tratti di fecondazione eterologa, o della possibilità di cambiar sesso a spese della pubblica sanità, o di qualsiasi altra cosa.

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La cultura del dubbio sistematico e dell’interrogativo perenne in cui si è immersi ha creato una particolare forma mentis nell’uomo moderno, proprio a partire dall’intellettuale: quella dello scettico professionale!

Il fatto è che un tale orizzonte intellettuale e morale è insostenibile non solo per la società nel suo insieme, ma anche per i suoi singoli membri. La vita, la vita ordinata, civile, aperta verso il futuro e non chiusa in una spirale autodistruttiva, ha bisogno di chiarezza, ha bisogno di risposte, ha bisogno di verità. Per una persona normale, vivere senza nessuna di queste cose, senza punti di riferimento, senza punti d’appoggio, improvvisando in continuazione la strada da seguire, adattandosi incessantemente ai mutamenti sempre più bruschi che la tecnica e la finanza impongono, è semplicemente impossibile. Alla lunga, ciò genera degli squilibrati mentali, o produce delle persone anaffettive e potenzialmente pericolose per se stesse e per gli altri. Persone che non danno un valore intrinseco alla vita umana, perché vedono ogni giorno che nulla ha un valore intrinseco, ma tutto, letteralmente tutto, riceve valore dalle circostanze. Il proliferare inarrestabile delle pratiche abortiste e dell’eutanasia ha questa radice nichilista: nulla è vero, nulla ha un significato e un valore in sé, ma tutto dipende dal come. Se le condizioni non sono ritenute favorevoli, a insindacabile giudizio del singolo (in realtà, della cultura dominante che fabbrica in serie gli uomini-massa), allora un bambino  non ha il diritto di nascere, e un anziano o un malato non hanno il diritto di continuare a vivere. Non c’è affatto da stupirsi se, in un clima culturale di questo genere, i cerchioni della morale sono saltati e se si moltiplicano i comportamenti distruttivi e autodistruttivi, col dilagare delle droghe, dell’alcool e con stili di vita disordinati e pericolosi.

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 L'uomo ha l’istinto di cercare le risposte, ma l’uomo moderno non solo non ha le risposte alle domande fondamentali dell’esistenza, ma le disdegna: si è adattato a vivere senza risposte e quindi senza verità!

C’è perfino la moda degli sport estremi: perché limitarsi a scalare normalmente una montagna, con corde, chiodi e moschettoni,  quando lo si può fare arrampicandosi a mani nude? Perché limitarsi ad ammirare una ripidissima cascata, quando ci si può tuffare alla sua base da un’altezza di cento metri? E perché, gettandosi dall’aereo, aprire il paracadute per tempo, quando lo si può fare proprio all’ultimo momento, così da suscitare scariche sempre più emozionanti di adrenalina? E perché tenere un casa un cagnolino o un gatto, quando, purché si abbia un giardino, si può allevare un cane da guardia ferocissimo, o magari un leone o una tigre, o un serpente boa? E perché ritrarsi in fotografia in pose e situazioni normali, quando lo si può fare sull’orlo di un cornicione o di un tetto, o su un binario della ferrovia, mentre il treno sta arrivando? Si gioca con la vita, la propria e l’altrui, come si gioca con ogni altra cosa: l’esistenza è ridotta a una scommessa in cui non si pensa al prezzo da pagare se si perde, ma solo alle emozioni da strappare. Così, per un istante almeno, ci si sente padroni della situazione. Non è solo la noia a generare questi comportamenti, ma anche e soprattutto la mancanza di certezze, l’assenza di risposte. L’uomo è un essere fatto per la verità: a differenza di tutti gli animali, il bisogno di verità è inscritto nel suo statuto ontologico. Se quel bisogno viene continuamente disatteso, represso, negato, egli finisce per impazzire. E tutto questo accade perché si è voluto escludere il solo che può garantire la verità e dare le risposte: Colui dal quale tutto proviene.

Non aver risposte per niente è mettere in dubbio tutto

di Francesco Lamendola


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