ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 novembre 2019

Follia temporanea?

La cecità di fronte la crisi della Chiesa

«Domine, quo vadis?» gli chiese Pietro al quale Cristo rispose: «Vado a Roma a farmi crocifiggere». Una frase che spinse il primo Papa a tornare per affrontare la sorte che lo attendeva, ovvero il martirio.


Appia Antica, 22 ottobre 2017, si stacca il fregio papale dalla chiesa del «Quo vadis»
Una notizia post-datata ma molto significativa, oggi, che così riportava:
“Paura domenica pomeriggio sul sagrato della cappella nel luogo dove all’apostolo Pietro in fuga dalle persecuzioni di Nerone apparve Gesù Cristo. Sopralluogo dei vigili del fuoco e del Vicariato. Nessun ferito (qui la fonte originale). Ad aggravare la situazione potrebbe essere stata la pioggerella caduta in mattinata, anche se non si esclude che qualche danno possa risalire al passato. Ma solo per un caso, nel primo pomeriggio, sul sagrato della chiesetta «Domine Quo Vadis» al bivio fra via Appia Antica e via Ardeatina, non c’erano turisti, altri visitatori e nemmeno religiosi. Un volo di circa otto metri che ha trasformato quel frammento di marmo in una specie di micidiale proiettile che per fortuna si è frantumato sui gradini senza ferire nessuno. Le schegge sono finite in strada. A dare l’allarme sono stati proprio i religiosi della Congregazione di San Michele Arcangelo, che abitano nel convento annesso alla chiesa. Il fregio distrutto è stato comunque recuperato: è in mille pezzi ma forse sarà ricostruito in vista del restauro dello stemma con le tre api, simbolo della famiglia Barberini e adottato da Papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, pontefice nato a Firenze, rimasto in carica dal 1623 al 1644.
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Adesso saranno i tecnici inviati dal Vicariato – gli stessi che dopo le numerose scosse di terremoto fra la fine dell’anno scorso e l’inizio del 2017 hanno valutato i danni provocati al patrimonio religioso nella Capitale – a esaminare i reperti caduti e anche altri frammenti di stucco che l’umidità, insieme con le vibrazioni del terreno provocate dal continuo passaggio di veicoli sui sampietrini, potrebbe aver contribuito a staccare. Il sopralluogo di ieri pomeriggio ha riguardato anche l’interno della chiesa dove campeggia anche la lapide che ricorda la visita di Papa Giovanni Paolo II il 22 marzo 1982.
Un luogo fortemente simbolico per i pontefici, tanto più che fu costruito, come raccontato negli Atti di Pietro, dove proprio all’apostolo in fuga dalle persecuzioni di Nerone apparve Gesù. «Domine, quo vadis?» gli chiese Pietro al quale Cristo rispose: «Vado a Roma a farmi crocifiggere». Una frase che spinse il primo Papa a tornare per affrontare la sorte che lo attendeva, ovvero il martirio.”
Con tale quadro assai significativo, vogliamo introdurre un ampio ed interessante commento della FSSPX ad un articolo davvero curioso  – e pure imbarazzante – di Padre Giovanni Cavalcoli, nei riguardi di Bergoglio, papa Francesco. Qui l’originale. Non aggiungeremo nulla di nostro, va da se che condividiamo le correzioni fraterne fatte dalla FSSPX.  Buona riflessione.

Padre Giovanni Cavalcoli, un domenicano italiano, ha scritto una pagina sul suo blog dal titolo: Non habemus papam, “non abbiamo un Papa”. L’autore specifica di non essere sedevacantista; questo titolo sensazionale vuole attirare l’attenzione. Si presenta come un conservatore e si inserisce nella linea dell’ermeneutica della continuità di Papa Benedetto XVI, di cui è ammiratore.
L’articolo firmato dal domenicano di Ravenna si concentra sulla personalità e sulle azioni di papa Francesco; mostra l’angoscia che causano in lui e in molti buoni cattolici. Cerca di spiegare questo difficile pontificato per la fede dei fedeli presentando diverse ragioni.
L’imprudenza del papa
La prima spiegazione proposta dal religioso è una «imprudenza pastorale» inerente a Papa Francesco, caratterizzata da «riformismo modernista e dialogo mal compreso con il mondo». Questo modo di fare le cose sarebbe la causa di una «situazione ecclesiale caotica» che è diventata ingestibile.
Padre Cavalcoli lamenta che il papa mantenga «contatti amichevoli con tutte le maggiori potenze internazionali ostili alla Chiesa cattolica, senza criticarle: il mondo protestante, il mondo comunista, il mondo ebraico, il mondo islamico, la massoneria». Questa critica è corretta? D’un tratto sembra che il domenicano sia colpito dall’amnesia. Chi andava regolarmente a incontrare i protestanti? Chi è stato il primo papa a entrare ufficialmente in una sinagoga? Chi ha detto ai musulmani che avevamo lo stesso Dio? Non è stato Papa Giovanni Paolo II? Quindi Benedetto XVI sulla sua scia?
Allo stesso modo, padre Cavalcoli si lamenta della confusione introdotta nella Chiesa, per mancanza di insegnamento chiaro, di precise condanne, di sanzioni prese contro coloro che vagano nella fede. Non c’è dubbio, ma questa situazione non è nuova. Non risale a questo pontificato.
Tentativi di spiegazione
Il domenicano prova quindi a comprendere l’«anima» di Francesco. Scopre quattro fattori «che disturbano e rendono la sua azione apostolica, sebbene intensa, controproducente o illusoria».
Prima di tutto, esiste un «fattore morale»: una preoccupazione troppo grande di voler piacere al mondo. Questa accusa di demagogia non è nuova; già il cardinale Bergoglio è stato criticato su questo punto in Argentina. Ma perché rimproverare papa Francesco di voler piacere al mondo, mentre l’apertura al mondo è precisamente il peccato originale del Concilio Vaticano II? Ciò che accade soggettivamente al Papa è una cosa, ma di fatto sta perseguendo oggettivamente un fine essenziale del Concilio. Ridurre questo atteggiamento a una colpa personale del papa regnante è facile, ma è un modo per non guardare in faccia la realtà.
Esiste poi un «fattore culturale», che padre Cavalcoli descrive come una «riluttanza» verso l’attività astratta, che verrebbe sistematicamente sostituita da una retorica di semplice affermazione, slogan, impulso emotivo, ironia o scherzo. Qui abbiamo una descrizione dell’anti-intellettualismo del papa, che probabilmente deriva dall’attuale formazione gesuita. Senza dubbio lo stile del papa in quest’area contrasta con i suoi due immediati predecessori. Ma è anche un segno della nuova teologia, condannata da Pio XII, riabilitata da Giovanni XXIII e che anima ancora il mondo dei teologi contemporanei, con poche eccezioni.
In seguito viene presentato un «fattore psicologico», che in realtà è una «mancanza di equilibrio psichico» (sic!). Due indizi sono dati da padre Cavalcoli. Innanzitutto, c’è un aspetto «bipolare» che caratterizza Papa Francesco (ricordiamo ai nostri lettori che, noi, ne parlammo qui,  ed anche qui, in tempi non sospetti, si direbbe). Senza dubbio non vuole parlare di una patologia medica dichiarata, ma di quella che la psichiatria chiamerebbe un «tratto» di personalità. Poi ci sarebbero, osa il domenicano, il «sospetto (…) di momentanei lapsus mentali» all’origine «frasi che, prese alla lettera, sarebbero materialmente delle eresie o prossime all’eresia».
Ora, dice il domenicano, «un papa non può essere formalmente e intenzionalmente eretico». Quindi, non c’è altra spiegazione che la follia temporanea. L’analisi di padre Cavalcoli è facile qui, ma è anche spericolata e scandalosa a meno che non abbia accesso alle informazioni sulla cartella clinica di Papa Francesco, il che è dubbio.
Inoltre, l’autore ignora chiaramente la storia ecclesiastica. Certamente il papa non può insegnare a tutta la Chiesa un’eresia. Ma Papa Onorio I fu condannato, dopo la sua morte, dal 3 ° Concilio di Costantinopoli nel 361, per aver favorito l’eresia monotelita. E papa Giovanni XXII, uno dei papi di Avignone, fu costretto dal suo confessore, un domenicano, a ritrattare sul suo letto di morte per aver dato un insegnamento vicino all’eresia.
  • La spiegazione di padre Cavalcoli è povera. Così, i sedevacantisti dicono: il Papa non può sbagliarsi, ma dice errori, quindi non è papa. Chi lo segue dice: il papa non può sbagliarsi, quindi gli errori che insegna non lo sono. Il nostro domenicano si rifugia in un terzo vicolo cieco: il Papa attraversa momenti di follia temporanea. È un modo semplicistico per sbarazzarsi della difficoltà che ogni cattolico oggi deve affrontare.
Il quarto fattore esplicativo avanzato da padre Cavalcoli è dello stesso tenore: il Papa lascerebbe a volte il posto a tentazioni diaboliche. Questa affermazione completamente gratuita non merita nessun altro commento.
Ab1yoFLe deviazioni ecclesiali di papa Francesco
Il padre domenicano si lamenta anche dell’accoglienza universale del papa verso tutti, dimenticando di proteggere la propria casa, la Chiesa di cui si occupa. Si lamenta amaramente per questo, spiegando che esiste un tesoro da proteggere e che può essere fatto solo riparandosi dietro i muri. Inoltre, accusa Francesco di aver limitato la Chiesa a mire «economiche, sociali, politiche, populiste, ecologiche, terrene, umanistiche». Lo rimprovera di mescolarsi con il mondo, prendendo e ricevendo da lui. Lo accusa di «convivere con altre religioni», senza voler convertire i loro fedeli.
L’autore avrà trascorso 40 anni in letargo o isolato in un eremo, isolato dal mondo? Eppure fu Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, a spiegare nel 1985 che «il problema degli anni sessanta era acquisire valori meglio espressi da due secoli di cultura liberale». È anche la tesi magistrale di Romano Amerio, nel suo libro Iota Unum, che mostra che dal Vaticano II, gli uomini della Chiesa sono dedicati al «cristianesimo secondario», vale a dire agli elementi del Cultura cristiana, trascurando più o meno il fine soprannaturale, la lotta spirituale della grazia e la necessità della fede divina e cattolica. Infine, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, entrambi promossi dal Concilio e attuati coscienziosamente da Giovanni Paolo II, hanno fatto dimenticare alla Chiesa che deve essere una missionaria perché è l’unica vera religione.
Le ultime lamentele
Padre Cavalcoli lamenta inoltre che sono quelli che considera «squalificati» – ovvero i tradizionalisti e soprattutto i «Lefevriani» – che sono i più contrari agli eccessi di Papa Francesco. Quindi si interroga sul silenzio di vescovi e cardinali. Li immagina spaventati, temendo la rabbia del papa, di essere degradati, di perdere la berretta cardinalizia o la sede episcopale, persino la disapprovazione dei modernisti o la massoneria che potrebbe tagliare il loro i fondi (?).
Forse sono animati da una o da un’altra di queste paure. E ci sono quelli che agiscono per servilismo; di questi ce ne sono sempre stati nella Chiesa. Ma dobbiamo aprire gli occhi: la stragrande maggioranza dei prelati è d’accordo con il Papa o lo segue beatamente. Il peggioramento della crisi che padre Cavalcoli vede oggi non è altro che il prodotto di una generazione di vescovi “Vaticano II”. È il frutto del Concilio stesso. La ricerca di altre cause, l’avanzamento di fattori o spiegazioni più o meno assurde non portano a nulla. Non tornare alla vera causa, quella della dinamica distruttiva del cattolicesimo attuata dal Vaticano II, è rendersi ciechi all’evidenza, al punto da non riuscire a trovare la soluzione.
Al contrario, e questo è un segno positivo nello sfacelo attuale, diversi cardinali e vescovi presentano analisi e ora accettano ormai delle messe in discussione. Senza andare alla radice, vi si avvicinano al prezzo di un certo coraggio.
Non resta che sperare che la guarigione da questa cecità non tardi, al fine di accelerare l’attuazione di mezzi adeguati affinché la Chiesa possa recuperare la sua tradizione ed eliminare, infine, tutti i germi corruttori introdotti dal Concilio.
https://cronicasdepapafrancisco.com/2019/11/26/la-cecita-di-fronte-la-crisi-della-chiesa/

Chiesa si, Cristo no ?



di Enrico Roccagiachini
Cari amici di Campari & de Maistre, oggi vorrei proporvi non un articolo, ma una provocazione. Spero garbata, ma comunque pepata. E che possa, magari, avviare una discussione.
Eccola.
Quando ero giovane, ormai parecchi anni fa (sigh!), andava uno slogan che qualcuno ricorderà: “Cristo si, Chiesa no”. Tra i molteplici - e contraddittori - significati che possedeva, c’era sicuramente quello di suggerire lo smantellamento della Chiesa come istituzione per salvarne il messaggio. A questo si riferiva il concetto “Cristo si”.
Oggi tutto rende evidente che lo slogan in voga - nonché il programma ecclesiale in corso di realizzazione - è esattamente l’opposto: “Chiesa si, Cristo no”. Salviamo la Chiesa come organizzazione che detiene un qualche potere ed una qualche influenza nella società, e a tal fine smantelliamone il messaggio. Perché per cercare di appartenere alla classe dirigente del mondo, bisogna essergli in qualche misura omologhi, consentanei. E questo impone di rinunciare al messaggio, a Cristo.
Ecco, questo è, a mio parere, il dramma - anzi, la tragedia - del momento corrente. E definirla tragedia è più che eufemistico.

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