ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 2 novembre 2019

Il dio sconosciuto da annunziare..?

PACHAMANA? PREFERISCO “MATRIX” – O IL VEDANTA


Leggo  in una articolo filo-Bergoglio le speranze che   il ragionier Enzo Bianchi (il guru di Bose)    ripone sul sinodo amazzonico. Speranze rivelatrici.  “Il Papa indica un orizzonte profetico”, “il fenomeno della fede che si deve inculturare nelle genti, nei popoli, è un fenomeno al quale nel passato abbiamo prestato poca attenzione”  . Sic. “Il Papa ci chiede di fare una revisione e di chiederci davvero come un popolo può esprimere la sua fede, la sua liturgia, la sua vita cristiana in termini che le sono propri. 

È un’esaltazione della diversità nell’unità cattolica”:  Perché poi, alla fin fine, dice, “Se là  [fra gli amazzonici] hanno il problema di quelli che non diventano cristiani, noi abbiamo quello delle nuove generazioni che alla messa non van più e non sentono nessuna attrattiva da parte della liturgia cattolica. Cosa vogliamo fare? Accettare il dato di fatto o ripensare per poter dialogare anche liturgicamente con le nuove generazioni”.
Mi domando se, in fondo, non siano mossi dal senso di un fallimento  della grande azzardata  campagna  di marketing  lanciata  dal Concilio modernista. Il Sudamerica  è  stato il terreno delle loro sperimentazioni   ed “offerte”  cattoliche  ultra moderniste,  marxiste, rivoluzionarie – e  adesso “là hanno il problema di quelli che non diventano cristiani” come   “qui”  che i giovani “alla Messa non vanno più”. Un  consuntivo tremendo  per i conciliaristi.
Naturalmente, ora ci riprovano aumentando le dosi. Sunteggia il giornalista amico: “Periferie, migrazioni, sfruttamento delle risorse naturali, cambiamenti sociali e vulnerabilità familiare, corruzione, tutela dell’ambiente. Questi i temi al centro del  Sinodo per la Regione Panamazzonica”, e  “comunioni”  amazzoniche,  ossia dalle”culture”  infere e dalle forze magiche e stregonesche. Come dimostrano le prosternazioni  dei prelati davanti a Pachamama.   Non manca niente, in apparenza, dal catalogo delle  offerte.  Ma è vero?
Mai una volta, nei secoli, che ci si sia posti il tema di “inculturare”  il messaggio di Cristo nel Vedanta, nelle Upanishad, o nel Canone  Pali; o anche, se volete, nel film che ha avuto successo tra i giovani diversi anni fa, “Matrix”.
Oserei suggerire ai prelati un modesta  idea: se vogliono “inculturare”, perché non cominciano da Matrix? Intendo quel film di qualche anno fa, che ebbe successo tra i “giovani”.
Perché  come dice Morpheus a Neo, «Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.»






Pachamama non è la pillola rossa.


Gli spettatori appena smaliziati riconoscono che qui si allude a ciò che la sapienza dell’India ha chiamato Maya.
Magari,  partendo da Matrix, invece di finire con gli stregoni  amazzonici o seguaci ecologici di Greta, riescono ad arrivare fino – che so  – al Vedanta.
Perché Matrix  dice quel che dicono Cristo, le Upanishad,   lo Svegliato:  in questa vita, nell’aldiquà, siamo dentro alla Matrix; che questa è una trappola  – o un test,  o una prova  – da cui dobbiamo uscire, e in fretta , tanto ne usciremo con la morte –  e  sforzarci di andare  al di là, dove è il Reale.
“Tranello” chiamò  l’aldiquà il grande Shalaluddin Rumi: “Tutti i mortali fuggono dalla loro volontà e dal loro io , si addossano l’obbrobrio del vino e della buffoneria pur di liberarsi per un tratto dell’autocoscienza. Tutti sanno  che l’esistenza è un tranello, che volontà autocoscienza e memoria sono un inferno”.
Questa è  la differenza fra le vere  e false spiritualità: quelle vere ti avvertono che siamo nella Matrix, e si deve uscirne.  E quelle che te lo nascondono, ti distraggono con le magie,  la coca e la chicha e  Pachamama,  o la raccolta differenziata perché bisogna controllare il Clima.
Un  “capo spirituale” che ti  dà disposizione   su “immigrazione, sfruttamento delle risorse naturali, tutela dell’ambiente”,  un  “nuovo umanesimo”; un governo globale “contro il riscaldamento  globale”  palesemente non smaschera  la “Matrix” e allora  è meglio andare a vedere il film  – e “inculturarlo”  nel  messaggio di Cristo.
Cosa è il Reale? Matrix allude al superamento di “maya”. Un  riferimento  alla dottrina indù del  Vedanta:  la dottrina dell’advaita. La non-dualità.  Cioè, che il Reale è una Unità. Che significa  molte cose: da una parte, che atman è Brahman , l’anima individuale è il Divino ,  ma anche in generale che gli altri, tutto il mondo, anche i tuoi nemici, sono te stesso. Per un  grave difetto di “inculturazione”, ciò ha fatto concludere agli studiosi occidentali che abbiamo a  che fare con “panteismo”: cosa che è invece propria  negata esplicitamente nell’Atma-Bodha di Shankaracharia: “Brahma non è affatto simile al Mondo”.  Né  d’altra parte l’anima individuale  va confusa con  l’io di cui abbiamo esperienza empirica: “neti neti”,   né questo né quello  , nulla di ciò in cui ci identifichiamo.    Asserzione che non contraddice quella immediatamente seguente, “niente vi è al di fuori di Brahma”: infatti l’intero  universo  è contenuto  nel divino, non è vero il reciproco: l’universo è rigorosamente nulla in confronto a Brahman.
Ora,   “atman è Brahman” è un’asserzione che il buon cattolico si sente in dovere di rifiutare come eretica e panteistica,  data l’irriducibilità assoluta del mio piccolo insignificante “io” con  Dio.
Ma San Paolo, alla fine della sua corsa eroica,    sapendosi prossimo a lasciare la testa sul ceppo, e  a ricevere la corona del  grande  atleta vincitore,  annuncia: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Dice che  la sua atman ora è Brahman, o no? .Dice anche come ha fatto: “Sono stato crocifisso con Cristo”.  Ho buttato via  il mio “io”, per amore  mi sono inchiodato alla Divina Volontà.
Quindi, va capito: l’identità dell’atman con Brahman  non è una dottrina, è un apice metafisico. Non è un tema “filosofico” di cui si possa discutere nelle università; è il punto d’arrivo di uno sforzo ascetico supremo,   di una eroica abnegazione totale  di sé .
Difficile da capire? No, difficile da “essere”. Come è difficile l’esortazione : “Siate perfetti come è perfetto il Padre mio, che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”.  A noi  parrebbe che la perfezione dovrebbe far piovere sui giusti, e lasciare a secco gli ingiusti. Invece, Egli ci ha ordinato: “Pregate per i vostri nemici,  amate coloro che vi perseguitano”. Ciò che sta dicendo Gesù, è che il Suo Regno, il Reale è advaita.  Senza-dualità.
Ovviamente, che amare i propri nemici è quasi impossibile  nella Matrix – perché per noi, il mondo è duale: esiste il giusto e  l’ingiusto,il nemico e l’amico, il bene e  il male.  Questa è la Matrix.
Per lo stesso motivo –   cogliere che il Reale è advaita, senza dualità alcuna – la dottrina del Risveglio insegna, anche con esercizi mentali, a sviluppare la compassione per tutti i viventi: gli animali perché  non avendo intelligenza non possono operare per la propria Liberazione;  i nostri simili perché rischiano di sprecare”questo stato umano  così difficile da ottenere”il solo dove  si può  arrivare al Nirvana. Dunque anche i nostri nemici sono da compatire.  Gli occidentali  discutono se la compassione buddhista sia   meno della  carità cristiana  –   tuttavia è sempre qualcosa di più che “l’immigrazione e lo sfruttamento delle risorse naturali”,  l’accoglienza dei sodomiti  nelle  scuole elementari  eccetera.
Quello che ha d’imperfetto, attende di essere rettificato da Cristo.
Utile recuperare dal Buddhismo il motivo per cui noi non siamo capaci di amare i nemici: la paura  è il motivo, insito nella voglia di  vivere in un “io” che  si sa privo di consistenza durata, Realtà:   vuoto.   “Una razza che trema”,  che si agita  come “pesci in una corrente quasi prosciugata”  –  così ci vide lo Svegliato secondo l’Atthavagga.  Abbiamo paura, e per questo  abbiamo nemici,  ci difendiamo.






(Arte del Gandhara)

E non è facile, perché nel mondo, noi siamo immersi in Maya.  Tradurre “maya”  con”illusione”, è  una semplificazione da cattiva inculturazione. Le illusioni, sarebbero facili da far svanire;   in realtà,   Maya “non è affatto distinta dalla Sua onnipotenza”.   E’  quella che nella nostra cultura chiamiamo al Creazione.  Qualcosa di molto duro, e concreto, come Matrix. Una prova,  un labirinto di coltelli –   che ci  ferisce, che ci maciulla, che  alla fine ci fa morire tutti, in  un ospedale, in un incidente,  o in un campo di battaglia, giusti e ingiusti.
Perché  c’è la sofferenza nel mondo? Protestiamo noi  (come ha ben visto Dostojevsky, ipocritamente).   “Perché i bambini, gli innocenti  soffrono”? La risposta di Dio alla sofferenza  degli innocenti  è  questa:   si fa uno di noi, e   si fa inchiodare in croce.  Vuol dire  che è il solo modo di uscire dalla Matrix, altrimenti ne avrebbe trovato un altro.  E non ci lascia spazio a illusioni sentimentali e tenerezze: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”, e anzi: “Chi vuol salvare la propria vita – la perderà”.  Bisogna superare il test.
In fondo è strano che Cristo esorta al coraggio supremo per superare il Test, l’abbandono del proprio “io”  e  i cattolici oggi (non escludo me stesso) appaiono tremebondi, impauriti di tutto,  si distinguono quasi tutti per queste prudenze, diremmo, democristiane.  C’è qualcosa di sbagliato in certo insegnamento clericale .
Ma i santi soccorrono.
“Perché vi confondete agitandovi?”, disse Gesù a don Dolindo:   è  la paura, che appartiene allo strato più profondo  della nostra vita nella Matrix, che ci esorta ad abbandonare:  “ Lasciate a me la cura delle vostre cose e tutto si calmerà. Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in me, produce l’effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose. Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell’anima, stornare il pensiero della tribolazione, e rimettersi a me perché io solo vi faccia trovare, come bimbi addormentati nelle braccia materne, all’altra riva”.
E’  il coraggio di tornare il  bambino eroico  che  “segue la mamma nella  stanza oscura” attaccato alle sue  vesti,  che ci fa ottenere di superare  il tremendo Test.  Alla fine,  se e quando saremo nel Reale – il suo Regno  – vedremo che nonostante tutti i nostri sforzi, sacrifici, sofferenze, versamento di sangue – in realtà ha fatto tutto Lui, con la sua Grazia, nei modi più incredibili e prodigiosi miracoli.
Ma questo se saremo di quelli che “non hanno voluto salvare la nostra vita”.
Il che non significa  – non mancheranno gli accusatori –   che Blondet vi sta dicendo che le religioni sono  tutte vere.  Sto dicendo solo che quelle che avvertono che siamo in una Matrix per superare il  terribile Test,  sono come “antichi testamenti” –   in  attesa di Cristo, che vi ha  il suo posto potenziale,  ed attendono un San Paolo che   con santa faccia tosta e capacità di inculturazione, come all’aeropago di Atene, dicesse  «Passando in e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio.»  Per  cui adesso  viviamo la grecità come cristianizzabile, cosa allora non affatto sicura.






L’Altare al dio ignoto in Atene. “Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi”…

Mi auguro che il sinodo amazzonico scopra    fra i culti stregoneschi   il dio sconosciuto da annunziare.   Dubito.   Che “Periferie, migrazioni, sfruttamento delle risorse naturali, cambiamenti sociali e vulnerabilità familiare, corruzione, tutela dell’ambiente”  non sia un parlar d’altro.
Perché, d’accordo, capisco l’inquietudine clericale, il problema di marketing:  se nell’Amazzonia “ hanno il problema di quelli che non diventano cristiani, noi abbiamo quello delle nuove generazioni che alla messa non van più e non sentono nessuna attrattiva da parte della liturgia cattolica. Cosa vogliamo fare?”.
Magari essere più santi?  Più crocifissi? Più abbandonati come disse Gesù a don Dolindo?







“Amazzonia: la posta in gioco”. La voce degli indio

Quello che segue è il testo dell’intervento dell’Avv. Jonas de Souza Marcolino Macuxí al Convegno internazionale “Sinodo panamazzonico: la posta in gioco”, tenutosi a Roma, sabato 5 ottobre 2019 presso l’Hotel Quirinale, organizzato dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, il convegno si è svolto nell’Hotel Quirinale. Al termine i link ai video e agli altri atti del convegno
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Con orgoglio vengo a rappresentare i popoli nativi dell’Amazzonia in questo convegno organizzato dall’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira. Apprezzo l’invito a parlare in questo luogo simbolico, questa piattaforma per il mondo, la Roma eterna del millenario Impero e dei Papi.
Urî Jonas Marcolino, macusi, brasiliano, Maikan Pisi Wei Tî´pî po, tîko´mansen urî. Sono Jonas Marcolino, Macuxi, brasiliano, vivo nella terra indigena Raposa Serra do Sol. I migliori complimenti all’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira perché dà voce agli indigeni brasiliani dell’Amazzonia.
La nostra leadership e la nostra lotta vengono da lontano. Nel 2008 eravamo a San Paolo al seminario “Amazzonia, minaccia alla sovranità – farsa o realtà?”, un’iniziativa patrocinata da oltre cento associazioni.
Durante questo seminario, io, come leader indigeno Macuxí e uno dei direttori dell’Associazione di difesa degli indigeni del Nord Roraima, ho dichiarato che fino all’età di diciotto anni mi dedicavo esclusivamente alla caccia e alla pesca. Sono nato da genitori analfabeti, sono diventato un insegnante di matematica e mi sono laureato in Giurisprudenza.
Io e il mio popolo siamo totalmente contrari alla demarcazione della nostra Riserva. Siamo la maggioranza e non siamo stati ascoltati né dal governo socialista del PT né dalla Corte Suprema.
Interpellato dalla stampa, sono stato chiaro sulla situazione dei Macuxí che vivono in quella Riserva: ci sono circa dodicimila Macuxí a Raposa Serra do Sol. Noi, che siamo contro la demarcazione della Riserva, rappresentiamo il 70%. Siamo integrati, utilizziamo l’elettricità, le automobili, gli autobus e abbiamo villaggi produttivi. Vogliamo accedere a questi strumenti, vogliamo progredire. Il problema è che alcuni ritengono che nel XXI secolo ci siano ancora persone che possano sopravvivere cacciando e pescando.
La FUNAI (Fundação Nacional do Indio) vieta l’accesso allo sviluppo. Questa politica ci condanna a vivere in un passato primitivo.
L’Amazzonia dal punto di vista dei nativi
Alcuni popoli indigeni vivono nelle Americhe da molto prima che arrivassero i portoghesi e altre nazioni del Vecchio Mondo. Lì hanno vissuto e combattuto, alcuni si sono estinti e altri hanno emigrato. Nel corso di secoli in Amazzonia è arrivato un po’ di tutto: esploratori, avventurieri, pirati, missionari, naturalisti, botanici, zoologhi, etnologhi, antropologhi e scienziati.
Molti erano gli studiosi che vedevano l’opportunità e la possibilità di offrire un nuovo stile di vita agli indigeni. Tutto questo processo di incontri con culture diverse ha consentito, in realtà, un interscambio e una parziale fusione con tradizioni, comportamenti e sentimenti differenti rispetto alla identità indigena. Si condivideva una stessa storia. Si è trattato di un processo naturale e non imposto.
Disgraziatamente il frutto fecondo di questo processo di interscambio culturale fu avvelenato dai missionari della cosiddetta Teologia della liberazione, da alcuni membri di movimenti ecologisti e ambientalisti, nonché da alcune ONG, che con il pretesto di tutelare i poveri indigeni hanno in realtà raccolto ingenti somme di denaro, più per interessi propri e dei propri finanziatori piuttosto che per i nativi dell’Amazzonia.
Le influenze esterne sono state davvero moltissime. È a partire dalla metà del XX secolo che entrano in scena molti sostenitori degli indios, i cosiddetti “indigenisti”, religiosi e civili, politici e ONG sia nazionali che internazionali.
Costoro seguivano l’ideale indigenista ispirato a una nuova concezione della Chiesa cattolica, profeticamente denunciato nell’opera di Plinio Corrêa de Oliveira del 1977 «Tribalismo indigeno, ideale comunista-missionario per il Brasile del XXI secolo».
Questi nuovi missionari hanno lavorato sodo per realizzare il falso ideale descritto dal Professor Plinio. Volevano tornare indietro nella storia, prendendo l’aborigeno come modello ideale. Volevano distruggere, smantellare, diffamare, separare e lottare. L’esatto opposto di ciò che noi volevamo.
Noi indigeni non intendiamo affatto tornare al passato. Noi vogliamo godere di tutte le libertà e di tutti i diritti umani fondamentali, inalienabili e indispensabili per garantire una piena dignità umana.
Migliaia di indigeni sono già pienamente integrati nella civilità universale, non vivono più nell’età della pietra e non praticano il cannibalismo. Le pochissime tribù che ancora oggi praticano l’infanticidio in Brasile lo fanno perché la legge glielo consente ritenendo tale barbara pratica espressione di una tradizione culturale, in totale spregio del diritto inviolabile alla vita, alla libertà, alla sicurezza e alla dignità.
Molte pratiche tra gli indigeni in Amazzonia, come camminare per lunghe distanze, trasportare manioca nello zaino, o caricare tronchi sulle spalle o paglia sulla testa, sono necessarie per la sopravvivenza e non per tradizione o valore culturale.
In Roraima, il primo contatto permanente tra indiani e bianchi avvenne con l’inizio della costruzione del Forte São Joaquim, nel 1775, per volere della corona portoghese, alla confluenza dei fiumi Uraricoera e Tacutu, che formano il Rio Branco. Fu usato lavoro schiavo, compresi gli indigeni.
La Fazenda São Marcos fu fondata nel 1787. Il processo di interazione tra indiani e bianchi ha indubbiamente portato alla reciproca assimilazione della cultura di entrambi i popoli e alla loro successiva integrazione.
I missionari cattolici e protestanti hanno iniziato il lavoro di evangelizzazione tra le popolazioni indigene nelle regioni di Surumu e Cotingo in modo permanente dalla seconda decade del XX secolo.
Tra i cattolici, spicca come grande missionario l’arcivescovo Dom Alcuin. L’autore Zé Massaranduba afferma: “Dom Alcuin ha vissuto in modo permanente con gli indiani. Parlava fluentemente la lingua macuxí. Oltre a celebrare Messe, battesimi e matrimoni, ha lavorato nei campi, partecipato alle danze di parichara, alleluia, Tukui e guadagnato la fiducia degli indiani”.
Tra i missionari protestanti, Harold Burns si distinse perché rimase tra i Macuxí dal 1950 al 2006, fondando tre grandi chiese evangeliche, a Contão, Araçá e Pacu. In queste comunità indigene, i balli di Natale sono stati sostituiti da Conferenze natalizie e cerimonie.
Nel 1939 fu aperto il primo commercio locale a Surumu, che nel 1960 sarebbe stata elevata alla categoria di villaggio. Nel 1949 furono istituiti la Missione di São José, l’Ospedale di São Camilo e la Scuola di Padre José de Anchieta, dove lavoravano principalmente i missionari della Missione della Consolata, iniziando una nuova fase nella storia delle popolazioni indigene dello stato di Roraima.
Questa missione era iniziata bene, ma in seguito, con l’arrivo dei nuovi missionari della Teologia della liberazione, queste stesse strutture – Missione, Ospedale e Scuola – vennero utilizzate per attuare una politica opposta: quella di smantellare l’economia locale, che si basava sull’allevamento di bestiame, sulla cultura del riso e sull’agricoltura di sussistenza.
Questo processo di smantellamento culminò con la chiusura delle fattorie negli anni Novanta e la fine della coltivazione del riso nel 2005, a seguito della sfortunata demarcazione della riserva Raposa Serra do Sol.
È interessante notare che allora gli indiani erano già integrati, un’integrazione che ebbe il suo apice con la prestigiosa presenza del maresciallo Cândido Rondon nei villaggi indigeni Macuxí dello stato di Roraima. Rondon è stato un eroe unico.
Dopo la sua morte, la sua figura ha ispirato università, professionisti, accademici, esercito e marina nella creazione del Progetto Rondon, che ha portato gli studenti universitari a conoscere la realtà brasiliana e a partecipare al processo di sviluppo di queste regioni lontane.
Questa istituzione diventò permanente nel giugno 1968, al tempo del governo militare, con il motto: “Integrare, non consegnare”, che sostituì il primo “La giungla non è il nostro nemico”.
L’Amazzonia, sebbene appartenga al Brasile, spesso non è così amata e ambita dalla maggior parte dei brasiliani. Tuttavia, noi indiani e amazzonici in generale, abitanti di questo immenso territorio, la amiamo e la difendiamo in modo incondizionato, perché tutta la nostra vita dipende da essa, con le sue immense risorse idriche e naturali.
Dobbiamo unire le persone che hanno uno spirito altruistico per offrire agli indiani un’istruzione tecnica, scientifica e umanistica di qualità, libertà economica, sicurezza, pace e armonia per garantire un presente e un futuro felice e dinamico.
Vediamo ora l’influenza delle nuove missioni religiose e delle ONG. I missionari della Consolata arrivarono nel territorio di Rio Branco nel 1948 per continuare la missione iniziata dai Benedettini che aveva lo scopo di catechizzare gli indiani.
Negli anni Settanta, però, arrivarono i nuovi missionari collegati alla Teologia della liberazione e iniziò il cambiamento, con effetti nettamente negativi. Faccio un esempio. I fazendeiros facevano un grande sforzo per aiutare e far crescere la Missione di São José, donando ogni anno 100, 200 e persino 300 buoi alla Missione.
Non avrebbero mai immaginato che i nuovi sacerdoti missionari, che loro pure trattavano con il massimo rispetto e affetto, avrebbero usato queste risorse per espellerli dalla regione.
Perfino i Comandamenti della legge di Dio vennero rovesciati. Edmilson das Neves, popolarmente noto come Nêgo da Guanabara, afferma che nel 1971 Padre Jorge celebrò il suo matrimonio nella comunità indigena di Contão. All’epoca, Padre Jorge predicava la parola di Dio e parlava dei Dieci Comandamenti, tra cui “Non rubare”.
Già a metà degli anni Ottanta, quando Edmilson incontrò di nuovo questo sacerdote nella comunità di Canta Galo, gli chiese perché avesse cambiato la sua predicazione inducendo gli indigeni a rubare il bestiame ai fazendeiros, contraddicendo ciò che egli stesso predicava prima.
Padre Jorge rispose: “Esistono molti tipi di furti. Furto per necessità, perché qualcuno è cleptomane e così via… ”Edmilson conclude: “Padre Jorge parlò e parlò fino a quasi convincermi che rubare è giusto”.
Allo stesso modo, racconta il Tuxaua [Capo] Hilario che Suor Augusta, dopo una Messa, ancora all’interno della chiesa, chiese agli indiani di espellere il fazendeiro dalla fattoria di Aratanha. Per farlo, avrebbero dovuto tagliare il filo della recinzione. Se l’agricoltore avesse riparato la recinzione, gli indiani avrebbero dovuto uccidere il suo bestiame fino a costringerlo ad andarsene. Così gli indiani avrebbero riavuto le loro terre rubate dai bianchi.
Esistono molte storie di questo genere che mostrano l’enorme inversione di tendenza introdotta dalla Teologia della liberazione. Oltre alla predicazione del furto, c’è anche il sospetto di tradimento e assassinio.
La Nonna Monica, un’anziana della comunità di Camararém, racconta ad esempio che Padre Jorge Dalden arrivando a Maturuca chiese il permesso di vivere lì. Il Tuxaua Lauro Merikior, in un gesto di umanità, lo accolse. Dopo alcuni mesi, il prete scomparve dalla comunità, portando con sé il giovane Jaci.
Quando tornarono, il Tuxaua Lauro morì improvvisamente. Per Nonna Monica fu Padre Jorge a far uccidere il Tuxaua Lauro Merikior, per permettere che Jaci ne prendesse la carica e raggiungere così il suo scopo nella regione.
Lauro Merikior aveva ereditato il bastone di capo da suo padre Meriquior, che lo aveva ricevuto dal maresciallo Rondon. Potrei raccontare numerosi fatti di questo genere. Questi religiosi propagano la Teologia della liberazione sotto l’egida del comunismo, e viceversa. In tre decenni, sono riusciti ad annullare tutto ciò che era stato costruito nello stato di Roraima in più di un secolo.
Un secolo di prosperità basato sulla libertà economica, sulla proprietà privata e sui principi dell’economia capitalista, con un’enfasi sul principio della libertà nel lavoro. In breve tempo tutto è stato distrutto in nome di un primitivismo rivoluzionario.
Un’altra tattica è stata la divisione dei villaggi. Le grandi malocas, descritte nel Diario di Rondon, furono disgregate in numerose piccole comunità, ognuna con un capo, allo scopo di occupare più spazi di potere.
I grandi capi persero la loro influenza, poiché un semplice capofamiglia poteva essere un tuxaua con lo stesso potere di un grande tuxaua. I nuovi missionari furono così in grado di inserire come capi persone con le loro stesse convinzioni, invitati poi a partecipare a grandi assemblee, che potevano durare intere settimane, nelle quali era loro fatto una sorta di lavaggio del cervello, la cosiddetta “conscientizzazione”.
In questo modo consolidarono il comunismo nelle comunità indigene. Questi missionari predicavano una società comunista, senza padroni e operai, e dove i beni sono messi in comune.
Ma, secondo un filosofo inglese, “lo svantaggio del capitalismo è l’ineguale distribuzione della ricchezza; il vantaggio del socialismo è la distribuzione equa delle miserie”. Secondo il dottor George Bry, uno dei maggiori difensori del principio della libertà nel lavoro, “senza libertà e senza proprietà, una società è immobilizzata nell’inerzia e nella miseria”.
Tutto questo processo di introduzione del comunismo tra gli indigeni non aveva legittimità nelle nostre idee. Furono religiosi della Teologia della liberazione, come Padre Jorge, Padre Sabino, Padre Pedro, Padre Tiago, Suor Augusta, Suor Teresa e altri che indottrinarono gli indigeni, spingendoli a rubare e a uccidere i proprietari, insegnando loro a odiare chi non fosse della corrente liberazionista, a invadere la proprietà privata, a rigettare l’energia elettrica, le strade, a opporsi alla presenza dell’Esercito e così via.
Ci hanno insegnato persino a odiare i parenti di sangue. In questo modo, il proprio fratello, il padre, il cognato sono diventati un nemico. Dividere il popolo è un’opera tipicamente satanica. Questi non possono essere i frutti di uomini e donne di Dio. Questa politica di divisione e isolamento degli indigeni veniva attuata praticamente in tutto il Brasile.
La Funai (Fundação Nacional do Indio)
Nel 1993, la Comunità indigena di Contão utilizzava già l’energia elettrica, l’acqua corrente e persino un’antenna parabolica comunitaria.
In quello stesso anno ricevemmo un documento sottoscritto dai capi villaggio e dai leader della comunità indigena di Surumu, in cui affermavano di essere contro i bianchi e i politici, contro le strade, l’energia elettrica, l’Esercito e le bevande alcoliche.
Noi indigeni che godevamo del benessere dovuto a quelle cose da più di cinque anni, non potevamo stare zitti. Nel settembre dello stesso anno decidemmo perciò di costituire la Società di Difesa degli Indigeni Uniti di Roraima-SODIURR, per promuovere lo sviluppo socio-economico e culturale delle nostre comunità.
A quel tempo, sotto il coordinamento del vescovo Dom Aldo Mongiano, la FUNAI (Fundação Nacional do Indio) della diocesi di Roraima si unì al CIMI (Conselho Indigenista Missionario) e ad alcune ONG, allo scopo di confinare gli indiani nelle Riserve, senza la presenza dei bianchi (tranne loro, ovviamente…).
Questa politica di isolamento fu attuata in tutto il Brasile, specialmente con gli indiani Yanomai e Wamiri-atroari. Ma i nativi confinati nelle Riserve non sono affatto liberi, sono controllati dagli “indigenisti” che godono di privilegi a discapito degli stessi indigeni.
Ho potuto verificare personalmente la mancanza di libertà quando io e altri due macuxi abbiamo tentato di andare a vivere una settimana tra gli indigeni wamiri. Giunti al confine della Riserva, strettamente sorvegliato, e chiuso ogni giorno dalle 18:00 alle 06:00, il capo della comunità, Mário Paroê, ci intimò di andare nella città di Manaus per chiedere l’autorizzazione a soggiornare nella riserva, autorizzazione che poi ci fu negata.
Racconto un altro fatto, successo nel 1987 e di cui esistono i verbali delle testimonianze. In un’assemblea di tuxaua [capi] a Surumu, i partecipanti furono sfidati dai missionari a chi avrebbe ucciso il maggior numero di bestiame dei fazendeiros.
Il Tuxaua Sivaldo, della comunità indigena di Ticoça, riferì che nei giorni successivi alla sfida era normale trovare tre o quattro mucche morte ogni mattina. Questa strage di bestiame fece arrabbiare i fazendeiros, che rafforzarono quindi la sicurezza, anche con agenti di polizia e guardie private.
Il signor Jair Reis, considerato uno dei più grandi fazendeiros, nel 1993 mi disse che gli indiani avevano sempre rubato in media circa il 5% della sua mandria, ma dal 1987 in poi ne avevano rubato il 50%. In queste condizioni non era più in grado di rimanere nella zona. E se ne andò.
Era il consolidamento del piano strategico del vescovo Dom Aldo Mongiano, che mirava a sconvolgere e distruggere l’economia di Roraima. Purtroppo, vi riuscì.
La diocesi di Roraima si oppose al concetto di integrazione e di assimilazione. I vescovi e i sacerdoti della Teologia della liberazione volevano liberare gli indiani dai bianchi, salvo poi soggiogarli loro stessi. Dai frutti possiamo sapere chi è buono e chi no.
In Amazzonia ci sono centinaia se non migliaia di ONG, alcune brasiliane altre straniere. Tra queste spiccano Greenpeace, il Club di Roma, Survival International, ISA, MST, CIR, SODIUR e altre.
Ad eccezione di Sodiur, tutte le altre ONG sembrano seguire il documento stilato dal Consiglio mondiale delle Chiese indirizzato alle organizzazioni missionarie in Brasile, approvato nel luglio 1981. Il primo paragrafo afferma che l’Amazzonia è patrimonio dell’umanità. Il possesso di questa vasta area da parte dei paesi amazzonici sarebbe semplicemente circostanziale.
Ciò per decisione unanime delle organizzazioni membri del Consiglio, e per decisione dei vari Consigli di difesa degli Indigeni e dell’Ambiente. Diamo un’occhiata ad alcuni brani del documento:
– È nostro dovere mantenere la foresta pluviale amazzonica e i suoi esseri viventi – gli indiani, gli animali selvatici e gli elementi ecologici – nello stato in cui la natura li ha lasciati prima dell’arrivo degli europei;
– È nostro dovere garantire la conservazione del territorio dell’Amazzonia e dei suoi abitanti aborigeni, affinché possano essere sfruttati dalle grandi civiltà europee, le cui aree naturali sono state ridotte a un limite critico;
– L’indigeno deve essere consapevole che il missionario è l’unica salvezza.
Nonostante il documento sia stato ritenuto apocrifo da alcuni, è proprio quello che vediamo applicato. Il comportamento ostile degli indigeni nei confronti di qualsiasi bianco che non sia missionario della Teologia della liberazione, i discorsi per la preservazione dell’ambiente, le proteste contro l’apertura di strade nelle riserve indigene e contro tutto ciò che la civiltà chiama progresso, sono cose pubbliche e notorie in Amazzonia.
Sono state le ONG, guidate dal CIMI, a esercitare pressione sul Parlamento affinché approvasse il capitolo VII della Costituzione federale, che contiene gli articoli 231 e 232 riguardanti gli indiani.
Per gli studiosi, l’articolo 231 ha posto fine alla politica di integrazione inaugurata dal Maresciallo Rondon: “Sono riconosciuti agli indios la loro organizzazione sociale, i costumi, le lingue, credenze e tradizioni, e i diritti originari sulle terre che occupano tradizionalmente, spettando all’Unione la loro demarcazione, la protezione e il rispetto di tutti i loro beni”.
L’interpretazione letterale di questo articolo implica il riconoscimento di tutti i mali – infanticidio, cannibalismo, guerre, ecc – che c’erano fra gli indigeni prima dell’arrivo degli europei.
Passo ora alla conclusione.
La nostra linea sta guadagnando sempre più spazio fra le popolazioni indigene, che così si staccano dalla sciagurata dittatura dei missionari della Teologia della liberazione legati al CIMI e alle ONG indigeniste.
Il monopolio di capi come Raoni, ricevuto da Papa Francesco e dal presidente francese Macron, sta finendo: essi non rappresentano i popoli dell’Amazzonia. Col presidente Bolsonaro adesso abbiamo più libertà.
Lo scorso 24 settembre, in occasione dell’apertura della sessione delle Nazioni Unite, il presidente brasiliano ha portato con sé l’india Ysani Kalapalo con il sostegno delle associazioni indigene che rappresentano almeno cinquantadue popoli amazzonici.
Le testimonianze ottenute dalla rivista Catolicismo confermano i desideri di nuovi leader come l’india Kaynä Munduruku. Kaynä mostra che la situazione è cambiata per le popolazioni indigene: “Ci stiamo risvegliando, vogliamo più libertà e non accettiamo che gli antropologi e gli indigenisti impongano la nostra identità. Noi sappiamo chi siamo, e non abbiamo bisogno degli antropologi”.
Conclude Kaynä: “Dobbiamo dare alle popolazioni indigene l’opportunità di lavorare. Non possiamo continuare a vivere con l’aiuto dello Stato, questa non è una vita buona e sana. L’indio deve produrre. Non è pigro, egli è capace e ha una grande intelligenza. Sa come piantare, come produrre, ha solo bisogno di opportunità. Con il loro lavoro, gli indigeni daranno un grande contributo all’economia brasiliana”.
In conclusione: la maggioranza assoluta degli indiani dell’Amazzonia brasiliana aspira alla piena libertà, affinché possano avere un’educazione di qualità, sviluppare al massimo le loro potenzialità, la propria volontà, il proprio spirito creativo e di iniziativa.
Vogliamo diventare grandi imprenditori di attività nostre e produrre da noi ricchezza. Tutto ciò sarà possibile se ci sarà l’unione tra indiani, neri, bianchi, gialli, meticci…
Se ci sarà un’unione di sforzi, idee e risorse, insomma, se ci sarà l’unione di tutti i brasiliani con spirito di umanità e di virtù, che lottano per la libertà e la dignità di tutti, senza discriminazioni.
Concludo congratulandomi ancora una volta con l’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira per aver dato voce ai brasiliani nativi dell’Amazzonia e lamentando che il Sinodo Panamazzonico che inizia domani non abbia invitato alcuna voce indigena discordante da questa neo missiologia descritta.
Nella campagna piemontese Napoleone si rivolse ai suoi soldati con le seguenti parole: “Avete vinto sanguinose battaglie senza cannoni, avete attraversato fiumi impetuosi senza ponti, avete percorso incredibili distanze a piedi nudi, vi siete accampati innumerevoli volte senza mangiare nulla, tutto grazie alla vostra audace perseveranza! Ma, soldati, è come se non avessimo fatto nulla, perché c’è ancora molto da realizzare!”.
Abbiamo ancora molto da fare per garantire agli indiani una vita di pace, armonia e prosperità. Grazie!
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La sessione del pomerigio  è stata tutta in italiano
Questo, invece, è il link al video sulla “Carovana amazzonica“, proiettato alla fine dell’incontro
Per ulteriori informazioni e materiale di analisi sul Sinodo dei vescovi che adesso si sta svolgendo in Vaticano, visitate il nostro sito Osservatorio Sinodo Amazzonico:

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