ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 29 novembre 2019

Le mani distese

La Medaglia miracolosa e le straordinarie intuizioni di Jean Guitton


Intuizioni straordinarie di Jean Guitton sui simboli della Medaglia miracolosa. Dubito che a riguardo si sia scritto qualcosa di più profondo. Davvero notevole. Un testo che emana tanta luce.
Estratto da J. Guitton, La Medaglia miracolosa. Il segno della misericordia a Rue du Bac, pp. 57-72

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«A questo punto vorrei presentare alcune considerazioni sui simboli dell’Apparizione.
(…)
Il vestito della Vergine è un vestito lungo, a maniche piatte. Come il camice liturgico, esso riveste tutto il corpo, lasciando intravedere il profilo, ma senza lasciar scorgere nessuna delle sue parti. In altri termini, la Vergine che appare nel 1830 è una Vergine velata (…) la Vergine dell’annunciazione era coperta, secondo il vangelo di san Luca, dalla duplice «adombrazione» dell’Onnipotenza e dello Spirito. Tale era l’annuncio dell’angelo a Maria. L’ombra creatrice, che ricorda l’opera dello Spirito Santo nel primo giorno del mondo, è simbolizzata dal vestito tessuto da dita umane, il quale si aggiunge a quel primo vestito naturale impalpabile, che è il pudore, soprattutto il pudore della donna. Ma riflettiamo ancora. Consideriamo il vestito descritto da Caterina. È un vestito sacerdotale. È duplice: da una parte c’è un camice, una tunica, e, dall’altra, un mantello, un velo. La dalmatica ricopre il corpo; il velo ricopre la tunica. La dalmatica era già un linguaggio di pudore sacro. Il velo va oltre: è un linguaggio di consacrazione. I due linguaggi esprimono lo Spirito creatore e santificante, che aleggia sulle acque. Veni Creator Spiritus.
Crapez, commentando il simbolismo della rue du Bac, mi diceva una volta che in iconografia «il velo» aveva sostituito ii «mantello». Aveva osservato che prima della Riforma c’erano esempi di «Vergine con mantello», che copriva sotto la sua protezione, insieme a personaggi celebri, anche i poveri. In questo emblema del mantello il protestantesimo condannò l’«adorazione» pagana di una creatura. Da allora l’immagine fu disdegnata dalla devozione occidentale, come già lo era dall’icona. Il mantello però riapparve sotto la forma del velo, donde quel velo bianco che copre la testa dell’apparizione e che scende fino ai piedi. Quanto al volto della Vergine, esso non è stato descritto dalla veggente. A La Salette, Melania, specialmente nei racconti posteriori alla visione, fu la moderna poetessa del volto verginale. Qui basterà citarne alcune righe, che Caterina non avrebbe certamente smentite:
La vista della santissima Vergine era di per se stessa un paradiso compiuto. Aveva in sé tutto ciò che poteva soddisfare, poiché la terra era dimenticata. La santa Vergine era affiancata da due luci… Tutte queste luci non facevano male agli occhi e non stancavano affatto la vista. La voce della bella Signora era dolce, incantava, rapiva, faceva bene al cuore, saziava, appianava tutti gli ostacoli, calmava, addolciva… Gli occhi della santissima Vergine, la nostra tenera Madre, non si possono descrivere con un linguaggio umano. Per parlarne, bisognerebbe essere un serafino, ci vorrebbe di più, ci vorrebbe il linguaggio stesso di Dio, di quei Dio che ha formato la Vergine immacolata, capolavoro della sua onnipotenza… Gli occhi della Bella Immacolata erano come la porta di Dio, da dove si vedeva tutto ciò che può inebriare l’anima.

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Ma, se Caterina non ha parlato del volto inaccessibile, ha ben descritto le mani: ha detto che le mani della Vergine, dopo che il globo era scomparso (ne riparleremo), si sono distese. La medaglia miracolosa è caratterizzata da questa estensione delle mani verso la terra. Questo gesto delle mani distese sarà identico a quello della Vergine di Lourdes, nell’apparizione del 25 marzo. Lo si ritroverà nell’apparizione di Pontmain, il 17 gennaio 1871. Il simbolismo delle mani tese è quello dell’accoglienza, più precisamente della compiacenza; è il gesto con il quale un potente desiste, lascia cadere lo scettro e la spada, per dare alle sue mani offerte solo un significato di indulgenza, di bontà soccorrevole e amorosa. Le mani aperte designano l’essere disarmato, offerto, che si offre a un’altra offerta, nata dalla gratitudine. È noto che, nell’apparizione, le due mani sono ugualmente stese; nessuna è privilegiata rispetto all’altra. La distensione delle due mani indica un dono totale: quello che Maria fa di se stessa a chi la implora. Le mani sono mani di «Signora», di «Regina», che non possono non evocare nei lettori assidui dell’Antico Testamento la sposa del Cantico dei Cantici.
Ciascuna di queste mani ha diversi anelli: in tutto quindici anelli ornati di pietre preziose, che emanano raggi. Le pietre preziose rimandano alla Bibbia, specie all’Apocalisse, più esattamente al capitolo 21, dove l’autore descrive le pietre brillanti che danno lustro alle basi delle torri: zaffiro, smeraldo, calcedonio, sardonico, crisolito, berillo, topazio, crisopazio, giacinto, ametista.
La visione di Giovanni raffigurava allo stesso tempo una città e una sposa. Le due realtà evocavano la Gerusalemme celeste, la Gerusalemme messianica, alla quale tutte le nazioni possono e devono convertirsi e di cui Ezechiele aveva parlato. Tutto questo riappare (per colui che sa leggere in profondità biblica) nella «medaglia», vista e descritta dalla contadina incolta. Non so se sia stata sottolineata a sufficienza la somiglianza della Vergine di Caterina con la Vergine escatologica, di cui la Vergine messianica era una figura (…). La Vergine dell’apparizione è la Vergine dell’Apocalisse, la Chiesa al termine del suo corso, la storia finalmente compiuta. Perché ha quindici anelli? Si afferma che si tratta di un simbolo dei quindici misteri del rosario. Ma questi quindici misteri sono il simbolo, il riassunto, la «dialettica vivente» della pietà; essi evocano tutta la storia della salvezza, riunendola intorno alla Vergine come in uno specchio.
Non sembra che Bernardetta abbia pensato al senso della cifra 15 quando la Vergine le disse di ritornare per «15 giorni», né che Stella Faguet a Pellevóisin abbia, riflettuto molto sulle «quindici» visite che ricevette dalla sua visitatrice. Quindici non è una cifra biblica, neppure una cifra liturgica. Ma il rosario ha introdotto la cifra 15, diventata ormai cifra mistica. Che cosa vogliono dire gli anelli? Crapez pensava che gli anelli ricordassero gli antichi rosari, analoghi agli anelli che gli scout portano alla cintura. Nel 1830, egli dice, gli anelli erano lo strumento che serviva a contare le preghiere del rosario. Si metteva l’anello nell’indice della mano destra, lo si faceva girare col pollice della stessa mano. Il rosario è una Corona di fiori che il mormorio della parola umana raccoglie, presenta e intreccia intorno a colei che la pietà onora come una «Regina del cielo e della terra». L’apparizione suggerisce che questo modo popolare della preghiera è accettato dalla Regina, che con queste quindici pietre preziose raccomanda la recita del rosario. La veggente interpreta i raggi che emanano dalle pietre preziose come il simbolo delle grazie che la Vergine effonde sulle persone che gliele chiedono. Un’altra interpretazione distingue due tipi di pietre: quelle che irradiano e quelle che non irradiano e che sono «le grazie che ci si dimentica di chiedere».
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Vorrei aggiungere una parola sulle dodici stelle. È chiaro che dodici è cifra biblica ed evoca le tribù d’Israele e la comunità degli apostoli. Nell’aritmetica biblica è il simbolo della pienezza.
Parliamo adesso dei globi. L’apparizione presenta due globi, due «sfere»: una sfa sotto i piedi della Vergine e l’altra nelle braccia. La «sfera» che è sotto i piedi non è che la metà di una «sfera»: un emisfero. È bianca. Il piccolo globo d’oro che è nelle mani della Vergine, sormontato da una croce d’oro, simbolizza, secondo Caterina, «il mondo intero, particolarmente la Francia e ogni persona in particolare». Questa visione è stata paragonata a quella avuta da san Vincenzo de’ Paoli alla morte di santa Chantal, ossia a un globo di fuoco che-si univa a un altro globo più. grande e luminoso. Al «globo» di suor Caterina si è pure paragonato quello che Anna Maria Taigi contemplò durante i quarantotto anni della sua vita mistica: una specie di sole in cui ella scopriva certi avvenimenti futuri. La sfera rappresenta la totalità. Una figura chiusa, cerchio, ellissi, aureola, nimbo, losanga, quadrato, cuore, mandala, rappresenta l’universo. Quanto al «globo di fuoco», esso fa pensare a quei carri di luce, a quei roveti che appaiono talvolta nella Scrittura, come il ricettacolo, il tabernacolo della presenza di Dio. Si pensi al roveto ardente; si pensi al carro di Elia (…). La Vergine si staglia, si delinea entro un globo di luce; sembrava portata da un globo di fuoco
(…)
L’apparizione del 1830, come varie apparizioni mariane, assume col passare del tempo un significato più vasto. Questo significato era sconosciuto ai veggenti, che si limitavano a trasmettere un messaggio, come una macchina spirituale. La Vergine, dicevo, aveva un globo grande sotto i piedi (che, di fatto, non era che un mezzo globo). In generale, è di quello che Caterina parlava. Ma diceva anche che la Vergine teneva nelle mani un piccolo globo. Quando i fasci luminosi erano proiettati dalle mani, questo piccolo globo era quasi invisibile. Caterina diceva che rimanevano solo raggi. Sembra che il semiglobo inferiore fosse la replica del globo superiore. Di ciò si ebbe coscienza fin dall’inizio. Chevalier scriveva: «L’augusta Maria sembra indicare nella figura del piccolo globo l’immagine dell’universo di cui la forma imperfetta era nascosta sotto i suoi piedi». Questi due simboli ricordavano ciò che è contenuto in varie formule bibliche e tradizionali: l’idea che Maria ha un rapporto con la totalità dell’essere, come figura della Sapienza creatrice (…).
La nozione di un rapporto di Maria con la «creazione» era presente nei testi che la liturgia applicava alla Vergine. Penso al testo del libro del Siracide in cui si vede la Sapienza che gioca dinanzi a Jhwh come una ragazzina, durante la creazione delle cose. Sembra che un’entità misteriosa chiamata Sapienza (Sophia) fosse la prima creatura, il modello ideale, direbbe Platone, abbozzato da Dio prima di ogni cosa. All’interno di questa «forma del mondo», di questa matrice universale, di questo modello, Dio avrebbe successivamente, in un secondo momento, precipitato la creazione nel divenire. La creazione era già contenuta in questo modello dell’essere, in questa «matrice» (nel senso delle matematiche moderne). Che questo modello del tutto sia in relazione col Cristo, il vangelo di san Giovanni e il capitolo 1 della lettera ai Colossesi di san Paolo lo dicono esplicitamente. Che questa matrice, questo modello sia stato nascosto entro una creatura privilegiata, è quanto la devozione mariana e il pensiero di alcuni spirituali (come Bérulle e Olier) hanno affermato. La Chiesa non li ha contraddetti, anzi sarebbe piuttosto portata ad approvarli nell’attribuire questi testi alla Vergine, concepita come preesistente nel pensiero di Dio creatore. Non aggiungiamo altro su questo punto, di per sé misterioso. Indichiamo soltanto che l’idea così moderna di «Maria Regina dell’Universo» si trova inclusa nella visione del 1830, mentre nel 1830 l’aspetto cosmico non era ancora stato chiarito.
Alcuni hanno pensato che nella visione dei due cuori ci fosse una distinzione tra il cuore celeste e il cuore terrestre, ossia tra il globo nel suo stato di perfezione, simbolizzato nella sfera totale, e il globo nel suo stato di imperfezione, simbolizzato nell’emisfero che sta sotto i piedi dell’apparizione. È difficile dirimere un dibattito in cui entrano tante valutazioni. Ma che Maria con la sfera d’oro in mano sia appartenuta alla sostanza dell’apparizione; che questa parte della visione sia rimasta oscurata nei primi tempi; che Caterina Labouré abbia sofferto molto e in maniera crescente durante la sua vita, in modo insopportabile nell’ultimo anno, per non aver trasmesso tutto il messaggio; che su questo punto non sia stata accontentata se non alla fine della vita, quando seppe che l’immagine della «Vergine col globo» sarebbe stata finalmente introdotta, tutti questi fatti sono sottolineati dagli storici. Forse è riservato a questa fine del XX secolo di capire il tormento davvero atroce della sua coscienza a proposito dell’immagine di una Vergine col globo? Gaetano di Sales (discendente italiano di san Francesco di Sales) ha insistito su questo punto nelle sue due opere. Oggi, nella cappella della rue du Bac, ognuno può vedere la statua della Vergine con in mano la sfera d’oro sormontata da una croce. Non si può non restare colpiti dal carattere moderno dell’ultima fase della visione.

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Aggiungo alcune note sui simbolismi più. «tradizionali» della medaglia e anzitutto sul serpente: «Un serpente di colore verdastro — diceva Caterina — con chiazze gialle». Il serpente si contorce sotto il tallone della Vergine che lo schiaccia. Questo simbolo era chiaro per i cristiani e gli ebrei; si riferisce al versetto 15 del capitolo 3 della Genesi:, «Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Ma innalziamo l’immagine! Nella Genesi si può intravedere la protostoria dell’umanità.
Dall’eterno avversario (il serpente) è tentata anzitutto là donna; la donna, poi, fa cadere l’uomo; Dio li punisce, non senza dar loro una speranza sicura. E questa speranza passa attraverso una seconda donna misteriosa, «nuova Eva», la quale combatte col drago. Alla fine la donna è vittoriosa, anche se è stata colpita al tallone. Soffermiamoci su questo racconto, così importante per l’intelligenza della storia. Possiamo dire che il libro ispirato, chiamato Bibbia, incomincia alla prima delle sue pagine e finisce all’ultima. La prima pagina racconta la caduta dei nostri progenitori, l’ultimo dei libri canonici è l’Apocalisse di san Giovanni: vi si racconta il trionfo finale del bene sul male e vi si contempla la Gerusalemme celeste.
Ebbene, l’inizio e la fine si corrispondono vicendevolmente. Tutta la storia si riassume nella sua origine e nel suo compimento; l’origine è una figura della fine, la fine un richiamo dell’origine. E l’immenso intervallo elastico che separa l’Alfa dall’Omega, quello che noi chiamiamo la storia della salvezza, non è nient’altro che «il tempo». La medaglia, richiamando la primissima origine e l’ultima fine, è dunque anche il simbolo del tempo. Ma noi viviamo ancora nell’intervallo e ignoriamo «come finirà». Ciò sottolinea l’importanza che può avere lo studio del racconto originale per prevedere ciò che è importante, prima della fine del «divenire» che Giovanni, il veggente di Patmos, ha tracciato nel suo racconto apocalittico.
È una donna, dicevo, ad avviare la caduta. Questa donna che si chiama «la madre dei viventi» porta il nome di Eva. Ed è annunciato che una donna, o la stessa donna, dovrà lottare contro il serpente; che sarà ferita al tallone, cioè in una parte poco importante del suo corpo, ma che essa ferirà il serpente e lo farà morire colpendolo nel punto capitale. La missione di Caterina e il conio della medaglia sono impregnati di questa profezia. Màle e Vloberg dicono che nel Medioevo, quando si raffigurava la Vergine col serpente, essa era inseparabile da Gesù. All’inizio del secolo XV la Vergine veniva raffigurata sola e in lotta contro il serpente. Poi, nel secolo XVIII, san Pietro Fourier diffuse tra la gente certe medaglie in cui il serpente, posto più sotto del piede di Maria, circondava il globo del mondo. Non è impossibile che Caterina abbia conosciuto medaglie di questo tipo o, almeno, che ne abbia sentito parlare.
Maria schiaccia il serpente impuro, crudele e libidinoso. Questa lotta riempie la storia della salvezza. La Vergine e il serpente sono in lotta nella loro posterità. Tale è il tema che sant’Agostino, nel V secolo, sviluppa nei venti libri della Città di Dio. Il mondo è il teatro di una lotta tra due città: la città di coloro che mettono l’uomo al centro e gli subordinano Dio (lo constatiamo diffusamente, sottilmente e profondamente ai nostri giorni), e la città di coloro che mettono l’uomo al suo posto e lo subordinano a Dio. Le due città sono in lotta, le due posterità sono in conflitto, la posterità del male ferisce la posterità del bene. Alla fine, la Donna trionfa, e qui non si può mancare di evocare il capitolo 12 dell’Apocalisse, dove si vede la Donna aureolata di luce, con la luna sotto i piedi, che genera il Figlio nel dolore.
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Ritorniamo alla medaglia; situiamoci col pensiero nell’estasi di Caterina. Nel momento in cui le mani della Vergine sembravano inclinarsi per il peso dei raggi, gli occhi di Maria, diceva, si sono abbassati, un quadro di forma ovale si è formato intorno all’apparizione e si è vista contemporaneamente una iscrizione incidersi in lettere d’oro: «O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi». Si è fatta sentire una voce che raccomandava: «Fate coniare una medaglia secondo questo modello». Allora il quadro si è girato. Anche questo rigirarsi deve avere un significato. Infatti la visione presentava due fasi, strettamente legate, anche se profondamente distinte, come il diritto e il rovescio di una medaglia. E si può dire, in un certo senso, che la parte più nascosta e più segreta della medaglia non è quella che viene rappresentata generalmente e che rimane «figurativa». Il rovescio della medaglia presenta simboli «astratti», senza rapporto con il corpo umano.
Entriamo in una regione più misteriosa, più profonda della prima; esaminiamo questa faccia. Ci sono una M maiuscola e due cuori. Punto e basta. La suora fu colpita dal carattere sommario, elementare, in qualche modo insufficiente, di questa seconda visione; e si chiese che cosa significasse. Subito ebbe la risposta: «La M e i due cuori ne dicono abbastanza». Dei due cuori, uno era incoronato di spine, l’altro trafitto da una spada. Entrambi erano legati a una croce. Abbiamo, dunque, un’allusione simbolica (e abbastanza ricorrente, dopo san Giovanni Eudes) ai «due cuori di Gesù e di Maria»: sono rappresentati uniti l’uno all’altro, solidali l’uno con l’altro. Ciò che qui viene evocato, sono due cuori uniti nella compassione, dove la compassione, questa facoltà di soffrire senza soffrire e con la sola partecipazione alla sofferenza dell’altro, è la pienezza dell’amore. L’animale può soffrire. Soltanto l’animale pensante compatisce. La pietà cattolica associa spesso l’amore del Figlio e l’amore della Madre.
L’unione di Gesù e di Maria in un solo cuore era già stata insegnata da san Giovanni Eudes (…). Quando andiamo dal notaio, ci dice: «Firmate l’atto al margine, soltanto con le vostre iniziali». E sappiamo che uno dei grandi di questo mondo, qual era Napoleone, tracciava semplicemente una N imperiale e stizzosa. La M maiuscola della medaglia, iniziale di Maria, è intrecciata alla croce. Maria, nella faccia astratta della medaglia, appare al tempo stesso come crocifissa e come crocifera; subisce la croce e la benedice, la porta. Molti spirituali, dopo l’autore dell’Apocalisse, hanno sottolineato il legame tra Maria e la redenzione. La sottile idea di molti mistici è che il corpo di Maria sia stato come la prima «croce» di Gesù: il primo elemento del cosmo e della biosfera sul quale Gesù si è disteso e offerto. Il rapporto di Maria con la croce era sottolineato fortemente nel Medioevo: ne è esempio lo Stabat Mater. Diciamo che i privilegi di Maria nella gioia sono meritati dagli abissi di sofferenza. Gioia e sofferenza sono a tal punto collegate nell’intreccio del suo essere che non c’è una senza l’altra. D’altronde, tutto ciò che è immeritato dev’essere sanzionato, compensato, riscattato, giustificato attraverso le prove.
Nelle vetrate del Medioevo l’azzurro significa la gioia e tutte le sfumature della gioia, altrettanto soavi quanto le gradazioni dell’azzurro. Basta guardare i rosoni delle nostre cattedrali per vedere che l’azzurro domina sul rosso, il cobalto e l’indaco sulla garanza e sulla porpora. L’azzurro significa gioia e il rosso dolore. Sembra che i vetrai abbiano intuito che l’azzurro era meritato dal rosso: in tal senso che, con la redenzione, il Cristo abbia meritato per colei che doveva portarlo nel suo grembo quel privilegio di purezza totale, di pienezza, che noi chiamiamo «l’Immacolata concezione».
Nella visione figurativa di Caterina Labouré questi due aspetti erano rappresentati in modo schematico e astratto attraverso il guizzo delle aste della M sull’asse della croce. Tale è il senso di questa geometria mistica.
La medaglia è una miniatura: minima, leggera, ideogrammatica. In uno spazio molto piccolo, in modo minuscolo, con un minimo di simboli, essa riassume in un tutto la mariologia. In essa si potrebbe trovare una microapocalisse, ossia un insegnamento del pensiero globale della Chiesa sulla Madre del Cristo, proposto per immagine e allegoria. E questo insegnamento ha il carattere di essere una sintesi dell’idea e dell’immagine, una somma fatta tanto per la gente eletta quanto per il popolo.
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Medito sulla disposizione della medaglia, sulla sua disgiunzione in due fasi successive, una fase di gloria e una di dolore, quasi a indicare che la beatitudine e la sofferenza sono le due facce di un’identica e incomunicabile realtà.
In una di queste facce, dicevo, la medaglia propone l’immagine di una Vergine velata, con i piedi nudi appoggiati al globo del mondo. Questo globo è minacciato dall’«antico serpente». Le mani lasciano sfuggire dei raggi. Il rovescio della medaglia presenta la lettera M sormontata da una croce; al di sotto della croce, due cuori. C’erano anche dodici stelle. Si poteva dire che il diritto della medaglia presentava il dramma della salvezza visto dall’esterno, la lotta primordiale indicata nella Genesi tra la Donna misteriosa e l’enigmatico serpente: lotta che si ritroverà nell’Apocalisse. La prima faccia è un’immagine di gioia, ogni sorgente mirando a effondersi, ogni amore a suscitare amore. Ma se si gira la medaglia, allora si notano il segno della croce e i due cuori che soffrono insieme: così entriamo nell’intimità del primo mistero.
Supponiamo per ipotesi che si fosse chiesto a un creatore d’immagini, a un poeta (a Picasso, a Claudel), credente o miscredente, di fabbricare una medaglia il cui principio fosse di contenere il massimo di insegnamenti in un minimo di tratti e di segni, con ancora la clausola che la suddetta medaglia dovesse essere intelligibile a tutti i cristiani, abitassero sui vertici del pensiero o nel cuore delle masse o nel profondo delle folle, fossero carnali o asceti. Supponiamo che una tale medaglia fosse stata messa a concorso: è probabile che i risultati sarebbero stati inferiori a quelli della «medaglia» vista nell’estasi di Caterina. E’ difficile, infatti, concentrare più idee di quante ne contenga questa medaglia. In essa si trova riassunta l’essenza del mistero del Cristo rifratto nel «cuore di Maria».
La Medaglia Miracolosa, segno della regalità dell’Immacolata

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